CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 25 gennaio 2022

IL PROCESSO, ovvero: SCRIVERE LA STORIA (14)





















Precedenti capitoli:


l'Infinito Dio del nulla (12)  (13)


Prosegue con:


...Una Scienza nuova  (15)


E il capitolo completo della


.... Storia... in Eterna Memoria


di Pavel







Quando l’uomo prende consapevolezza del proprio sé, la socialità dello Stato tende ad interpretare l’individuo nella logica di una immutata simmetria. Quindi se vi è una natura manifesta e nascosta nella sua progressione, la possiamo rilevare nella volontà di perseguire attraverso la - conservazione - e nel paradosso del suo opposto - la rivoluzione -.

 

La finalità e l’intento atto all’istinto della cancellazione, quindi facilmente asservibile nel senso genetico della specie, ma mai evoluzionistico nelle finalità che vorrebbe perseguire. Perché, appunto, ad uso e consumo anche essa, a una stretta cerchia di probabili o improbabili cospiratori al soldo della moneta d’oro di Achab.

 

Mentre la democrazia, che si riconosce attraverso lo stretto passo del rifiuto, della protesta, della rivolta, non deve rimanere vittima ed ostaggio di una nuova e più terribile forma totalitaria, che come sempre disconosce poi le esigenze del singolo individuo. Spesso si è transitato per questi vicoli ciechi, per queste trappole culturali. L’inganno in esse potrebbe essere un danno maggiore per l’uomo e le sue probabili costruzioni evolutive.




L’eliminazione fisica, materiale e spirituale di una intera cultura, di un dissenso, di un presunto male incarnato atto ad appagare una natura rivolta alla violenza. Perché immagine della violenza. In quanto l’uomo vive nel suo riflesso, ed abbisogna sempre di una vittima da immolare, per il bene dell’intera umanità. E nello stesso tempo per perseguire ideali giusti per l’intera comunità, che seguendo un tale progetto purga il mondo dal male.

 

Il male esteriore, scatenando il male interiore nella più barbara violenza.

 

Quindi in questa lunga disquisizione storica per porre l’accento nella sua continuità, nel suo manifestarsi anche quando essa, la Storia, è convinta di operare per giuste ragioni e per giuste cause. Per il bene della causa comune che può nascondersi anche nella falsa morale di un codice disciplinare ad uso non del lavoratore, ma di colui che attraverso il lavoro sfrutta e perseguita ma soprattutto nega la verità.

 

Se taluni hanno acceso il fuoco del patibolo, è vero che qualcun altro lo ha permesso, qualcuno che non ammette il dissenso, l’eresia. Poi la mano del boia può essere quella del Santo Uffizio o la Gestapo, poco cambia, ai fini della storia stessa.




Però per l’interesse della storia è importante cercare e mostrare i comuni denominatori che la caratterizzano. Anche nei suoi gesti più banali, che nel micro cosmo della socialità in cui vengono vissuti rappresentano il macro cosmo della cultura su cui poggia l’intero edificio.

 

E raccontare l’intero edificio, ed i suoi inganni perpetrati negli anni e nei secoli, è scrivere, non riscrivere la storia…

 

Il paragone storico non distorce il tema o il racconto, del povero disgraziato. In cuor mio, ed attraverso l’esercizio della storia, io vedevo e vedo queste immagini. Mi appariva un profugo, un perfetto, un rifugiato… qualcuno che cercava disperatamente un appello di fronte ad una sentenza già scritta dalla storia.

 

Nel ricordo del suo volto scavato, nel quadro delle tinte dei suoi lineamenti, dalla musica delle sue parole, dal dolore del deambulare del suo parlare e perdersi per interminabile sentieri nei boschi dove non smetteva mai di raccontare e raccontarsi, io nella fitta ragnatela del suo disquisire, vago nello spazio della geografia dei miei ricordi.




Di tutti i ricordi di cui l’intera umanità dovrebbe essere depositaria e custode per una evoluzione che non permetta ciò che io vedo, di cui anche io soffro, di cui anche io talvolta ed in silenzio senza farmi vedere, piango.

 

Così vedo il condannato e il carnefice, l’eretico ed il persecutore, l’anarchico ed il monarca, l’artefice e lo stato che lo caccia e bracca, lo scienziato e il prete, ed infine la natura e l’uomo che la vuole piegare alla sua inutile ragione. La galleria dei volti che si sovrappongono, a quello del mio povero amico sono molti,… troppi.

 

Chi non ha coscienza della storia non può scorgere nulla in quel grande panorama della nostra esperienza comune, chi non ha amor per la natura e la cosa creata non può scorgere nessun quadro, nessuna luce, nessuna pennellata nell’universo della vita.

 

Non può né piangere né sorridere di fronte alla sua grandezza confusa per altro nel meschino panorama di quella fumosa città.

 

Ed il mio parlare ed ascoltare, sono quadri di storia che si materializzava al nostro umile cospetto.




Mi sento impotente di fronte all’oltraggio di tutte le umiliazioni che subiamo, di tutte le violenze che la nostra secolare quiete deve accettare in nome di una nuova e più terribile dittatura. Sarei fuggito assieme a lui, e probabilmente il nostro parlare senza voce, come solo coloro che veramente parlano possono, devono avergli dato quest’ultimo suggerimento.

 

Combatto contro una sentenza millenaria, antica quanto l’uomo, avrei discusso con il suo ed il mio demone, avrei parlato con il suo ed il mio Dio, ma l’uomo o tutti gli uomini sembravano non più ascoltarci nella nostra prigionia e lenta agonia.

 

Una sentenza che poteva essere di volta in volta …una croce o una lancia nel bel mezzo di un campo nemico. La differenza di fronte al male, alla massa e alla guerra di tutti i giorni, è poca cosa.

 

È poca cosa è vero, ed anche qui non scorgo una contraddizione, ma bensì una nuova simmetria della storia. Più lui parla, più la mia mente cerca appigli su cui aggrapparmi per scalare l’impervia parete. Ogni tanto, al suo raccontare, al suo parlare, fisso dei chiodi sulla liscia parete, che mi deve apparire inconquistabile. E sempre in cuor mio fui deciso allora come adesso, per quanto l’impresa può apparire disperata, a conquistarne la cima.




 Non credo che il disgraziato, l’amico, la vittima, può aver salvezza in mezzo a quel mare, però voglio raccontare, descrivere, e partecipare tutti dell’antico male nell’incapacità del ricordo e nel voler ricordare. Voglio denunciare la mancanza di memoria, la smemoratezza, che la storia segretamente sta ripercorrendo inesorabilmente. Cerco ogni volta di comporre i pezzi dell’intricato mosaico della mia Chiesa. E per quanto, i più, lo avrebbero fatto passare per pazzo, io ravviso nella lucida configurazione dei fatti, un ben preciso disegno criminoso.

 

Il tempo, ma solo il tempo e la pazienza, mi diedero ragione.

 

Ma intanto il misfatto, l’inganno, il campo, il rogo, il processo, la tortura erano stati perpetrati. Inesorabilmente, quando lui parlava io vedo e vivevo tutte quelle immagini. La mia rabbia è repulsione, sconcerto, nausea. Non vi è pagina di letteratura e storia che non fosse stata scritta sul suo volto, sulla sua schiena.




E spesso quando mi appariva privo di parola, perché la tortura del giorno era stata più inclemente, le lacrime mi bagnano il viso, e difficilmente riesco a riconoscere la strada, ed il viale alberato che spesso percorrevamo assieme. Talvolta anche i colori mi sfuggono, e provo in senso di vergogna e smarrimento. Lo avrei voluto nascondere nel bosco, costruirgli un castello, tanto era ed è pura la sua ingenuità nei confronti della vita. La sua ingenuità lo rendevano e rendono il bersaglio, la preda, la vittima, l’agnello per l’ingordigia del male del mondo.

 

Ed io lì a rappresentare il mondo e sentirmelo raccontare, e poi a vergognarmi di esso. Non avrei creduto che i miei stimati consimili fossero capaci di tanto, talvolta troppo. Volevo non credergli, ed ero sicuro che ogni sua verità sarebbe stata puntualmente recisa come un ramo di un albero, da una nuova inquisizione. Ogni miracolo cancellato da una beffa, di chi non crede a nulla eccetto la verità di questa nuova cultura, di questo fumo che sale lento, di questi telefoni, di queste macchine, di queste merci.

 

(Giuliano Lazzari, Storia di un Eretico) 

 

UNA NUOVA PIU’ COMPIUTA SCIENZA: 

 

Stiamo seguendo i frammenti di una biografia, la quale sicuramente proviene da documenti ben precisi, dei quali al momento siamo sprovvisti, per cui ci dobbiamo adeguare alla prassi storica, di attenerci ai vari testi in uso per diagnosticare sia il male che la sua inarrestabile pretesa; di certo l’inganno non meno della persecuzione regnano incontrastate, e sicuramente non solo adottate nei confronti di  Pavel, in quanto il presentimento, un rigido comune clima, sia per ciò concernente il regno degli zar, quanto le successive rivoluzioni, dell’imminente arresto, disponevano un simmetrico stato d’animo (circa il male diagnosticato e contratto), come una imminente annunziata Apocalisse della morte, contro le forze del Bene, rappresentate più che egregiamente dal nostro ‘Filosofo-teologo-scienziato’, preso non solo come esempio, suo malgrado, ma altresì evidenziato nel vasto repertorio ‘geologico-stratigrafico di una e più Geografie, con le caratteristiche che più ne evidenziano i panorami ammirati, siano questi ben scorti nelle descritte agricole pianure e catene montuose (date simmetricamente da una determinata politica) che le contraddistinguono; siano questi dedotti da ‘invisibili-visibili’ catene montuose che ne precludono l’accesso, donde i benefici Fiumi irrigano la costante paziente semina.




E dove si  celebra e/o consuma, non più la vita, ma il dramma inerente alla vasta interpretazione cui assoggettato il suo frutto di cui il paziente lavoro, deturpato da una insana corrotta deleteria demagogia, più o meno politica, più o meno cattolica; più o meno quinquennale-capitalistica-economica, giacché sappiamo bene che le decime erano tributo dovuto anche al clero, il quale godeva di un sempre più grande potere, e non solo terreno, ma anche, e simmetricamente, inquisitoriale sulle controllate inquisite, ed in ultimo, curate Coscienze.

 

Anche in questo caso, abbiamo ‘cura’ di una vasta Coscienza, di una elevata Cima, la quale nello stupore della sconosciuta protratta conoscenza circa l’elevata consumata esistenza, per ugual ghiacci fiumi e vasti panorami dalla cui Anima dovrebbe nascere ogni, non dico pretesa, ma subordinato Sentiero di Conoscenza circa il clima e la bellezza che da questa Cima l’umano ingegno simmetrico alla sua (elevata) Natura, ispira, quale morale e miglior principio alla sue pendici, dell’esistenza e comprensione della stessa.


(Prosegue...)







sabato 22 gennaio 2022

L'INFINITO DIO DEL 'NULLA' (12)

 










Precedenti capitoli:


Eckhart e Sankara 


ovvero: l'Infinito  [11]










l'Infinito Dio del 'nulla'  (13)   &


Complementari-simmetriche 


icone per chi 'nulla' avesse compreso








Zero e infinito furono in senso stretto al centro del Rinascimento. Allorché l’Europa si riscuoteva dal sonno dei Secoli Bui, questi concetti – il nulla e il tutto – avrebbero demolito le fondamenta aristoteliche della Chiesa e aperto la strada alla rivoluzione scientifica.

 

Sulle prime la Curia romana non avvertì l’insidia, e alti dignitari ecclesiastici si cimentarono con le pericolose idee, benché queste minassero il fulcro medesimo di quella filosofia tanto grata alla Chiesa; lo zero fece capolino al centro di ogni dipinto rinascimentale, e un cardinale dichiarò che l’Universo era infinito, senza limiti.

 

Ma d’infatuazione si trattava, e non era destinata a durare. Come la Chiesa si sentì minacciata, si trincerò nuovamente dietro la vecchia dottrina filosofica che così bene l’aveva affiancata per tanto tempo. Ma era troppo tardi: lo zero aveva ormai preso piede in Occidente e, nonostante le pontificie obiezioni, la sua forza era tale da non consentire più un nuovo esilio – Aristotele dovette piegarsi di fronte all’infinito e al vuoto, e con lui si sfilacciò la prova dell’esistenza di Dio. Alla Chiesa restava aperta un’unica via: accettare lo zero e l’infinito; i credenti, a ogni buon conto, avrebbero sempre potuto trovare Iddio anche celato dentro l’uno e l’altro.




Nei primi tempi del Rinascimento non risultava evidente che lo zero avrebbe posto una minaccia nei confronti della Chiesa; esso appariva uno strumento pittorico, un infinito nulla che annunciava lo straordinario rifiorire delle arti figurative. Prima del XV secolo i dipinti e i disegni erano sostanzialmente immobili e privi di rilievo; le immagini vi erano rappresentate fuori proporzione e costrette in due dimensioni, con piatti cavalieri che spuntavano da deformati castelli in miniatura. Nemmeno i migliori artisti sapevano ritrarre con verosimiglianza – non conoscevano il potere dello zero.

 

Fu un architetto italiano, Filippo Brunelleschi, che per primo mostrò le possibilità di uno zero infinito, usando un punto di fuga per creare un dipinto realistico. Considerato dal punto di vista dimensionale, un punto è uno zero geometrico per definizione. Nella vita di tutti i giorni abbiamo a che fare con oggetti tridimensionali (per la verità, Einstein ha rivelato la tetra-dimensionalità del mondo in cui viviamo, come si vedrà in un successivo capitolo); l’orologio che teniamo sul cassettone, la tazza di caffè che prendiamo ogni mattina, lo stesso libro che stiamo leggendo ora, sono tutti oggetti a tre dimensioni.




Nel 1425 Brunelleschi collocò un tale oggetto al centro del disegno di un famoso edificio fiorentino, il Battistero. Questa entità di dimensioni nulle, il punto di fuga, è un’impercettibile macchiolina sulla tela che rappresenta un punto infinitamente lontano lungo la direzione di osservazione. Più gli oggetti raffigurati sono distanti da chi guarda, più sono prossimi al punto all’infinito e risultano, quindi, progressivamente ridotti in proporzione, fino a che ogni figura sufficientemente remota – persone, alberi, edifici – finisce in pratica per collassare in un punto a zero dimensioni e scomparire con esso.

 

Lo zero al centro del dipinto contiene un’infinità di spazio.

 

Questo oggetto in apparenza contraddittorio conferì, come per magia, al disegno del Brunelleschi una così perfetta aderenza al tridimensionale edificio sacro da renderlo indistinguibile dall’originale. Tant’è vero che, quando l’autore mise a confronto la propria opera con l’autentica costruzione architettonica (traguardando quest’ultima da dietro la tavola del dipinto attraverso un foro, e interponendo o meno uno specchio), l’immagine riflessa si sovrappose esattamente ai contorni geometrici dell’edificio. La tecnica della fuga prospettica aveva trasformato un disegno bidimensionale nella perfetta simulazione di un corpo a tre dimensioni.




 Non è per caso che zero e infinito sono tra loro legati nel punto di fuga; come la moltiplicazione per zero determina il collasso della retta di rappresentazione dei numeri sulla posizione 0, così esso fa sì che la gran parte dell’universo si addensi in un minuscolo puntolino.

 

 È ciò che accade in una ‘singolarità’, concetto che diverrà assai importante in un successivo momento della storia della scienza, mentre a questo precoce stadio di sviluppo i matematici non sapevano, delle proprietà dello zero, granché di più degli artisti. 


(Prosegue)





 

mercoledì 19 gennaio 2022

FINITO (9)











Precedenti capitoli:


Il pane e il circo (7)  &  [8]


Prosegue all'...:










Infinito  (10)






BREVE PREMESSA:

                              

Con le sue truppe persiane, Alessandro il Grande aveva marciato nel IV secolo a.C. da Babilonia fino in India, e fu grazie all’invasione macedone che i matematici indiani vennero a conoscenza del sistema di numerazione sumerico… e dello zero. Alla morte del condottiero, nel 323 a.C., le contese tra i suoi generali ne spezzettarono l’impero; Roma affermò la propria egemonia a partire dal II secolo a.C. e inghiottì la Grecia, ma la sua potenza non arrivò fino in India.

 

Come conseguenza, quella terra lontana non venne interessata né all’ascesa del cristianesimo né dalla caduta dell’Impero romano nei secoli IV e V d.C.  L’India non fu parimenti esposta all’influenza aristotelica. Nonostante che Alessandro fosse stato allievo dello Stagirita e che certamente ne introducesse le idee in quel paese, pure la filosofia ellenica non vi attecchì: a differenza della Grecia, l’India non vide mai con timore l’infinito e il vuoto, e, anzi, ne fece propri i concetti.

 

Il vuoto occupava un posto importante nella religione Indù. L’Induismo era da principio un credo politeistico fondato su un ciclo leggendario di battaglie e divinità guerriere, simile per molti aspetti, alla mitologia ellenica, e i cui dèi nel corso del tempo – e secoli prima dell’arrivo dei Macedoni – avevano iniziato a sfumare l’uno nell’altro. Benché i riti tradizionali e il culto del pantheon originale venissero conservati, esso acquisì la sostanza di religione monoteistica e introspettiva, e i molteplici numi divennero manifestazioni di un onnicomprensivo unico dio, Brhama.




Più o meno nel periodo dell’affermarsi a ovest della civiltà ellenica, l’induismo perdeva i caratteri di similitudine con imiti occidentali, le distinzioni tra le singole divinità si facevano incerte, mentre le connotazioni mistiche si accentuavano sempre più.

 

Il misticismo era un manifesto prodotto dall’Oriente.

 

Così come altre religioni orientali, l’induismo era impregnato del simbolismo della dualità. Alla stregua dei principi yin-yang dell’Estremo Oriente e, in Medio Oriente, del dualismo etico del Bene e del Male di Zoroastro, nella religione Indù creazione e distruzione si intrecciano; il dio Shivaè un agente a un tempo dell’una e dell’altra, tanto che viene rappresentato con un tamburo della creazione in una mano e la fiamma della distruzione in un’altra.

 

Shiva rappresentava, comunque, anche il nulla, essendo uno dei volti della divinità, Nishkala Shiva, letteralmente Shiva ‘indivisibile’ e ‘trascendente la forma’; egli era l’estremo vuoto, il supremo niente, l’incarnazione dell’assenza di vita. Però dal vuoto era scaturito l’Universo, e così parimenti l’Infinito.

 

A differenza dell’Universo come concepito in Occidente, il cosmo Indù è sconfinato, con innumerevoli altri universi esistenti oltre i limiti di quello noto agli umani. Al tempo stesso, però, questo cosmo, mantenne sempre qualchecosa dell’originale vacuità; dal niente il mondo era venuto, e il rinnovato conseguimento del niente diveniva il fine ultimo dell’umanità.




Si narra come la Morte racconti dell’anima a un discepolo: “Nel profondo del cuore di ogni creatura è l’Atman, lo Spirito, il Sé. Più piccolo del più piccolo atomo, più grande dello spazio immenso”.

 

Codesta entità, che abita in ogni cosa, è parte dell’essenza universale ed è immortale; quando una persona muore, l’atman ne abbandona il corpo accedendo ben presto a un’altra creatura, cosicché l’anima trasmigra e determina la reincarnazione del defunto.

 

Meta degli Indù è svincolare completamente l’atman dal ciclo della rinascita, arrestandone il samsara da un decesso al successivo, e la via per ottenere la definitiva emancipazione attraverso la negazione dell’esistenza consiste nel distacco dall’illusoria realtà materiale.

 

‘Il corpo, casa dello spirito, è in balia del piacere e del dolore’, spiega un dio ‘e se uno è governato dal proprio corpo, costui non potrà mai essere libero’. Ma nel momento in cui pervenga a separare sé stessi dalle velleità della carne e a volgersi al silenzio e al non-essere della propria anima, allora il moksha, la liberazione, sarà raggiunto; librandosi sopra le panie dei desideri umani, l’atman individuale potrà unirsi alla coscienza collettiva o brahman, anima cosmica onnipervasiva e realtà presente ovunque e in nessun luogo al medesimo tempo.

 

Ecco, dunque, l’infinità ed ecco il nulla.

 

La cultura indiana era già dedita all’investigazione attiva del vuoto e dell’infinito, e…. come tale accettò lo zero. 

(C. Seife, Zero)




 In una celebre lettera di Cantor indirizzata a Hilbert, afferma che…:

 

‘con un insieme compiuto si intende ogni molteplicità della quale tutti gli elementi sono insieme senza contraddizione e quindi può essere pensata come una cosa in sé stessa’.

 

Ritroviamo qui tutti gli elementi presenti nelle definizioni precedenti: di fatto la nozione di insieme è sempre la stessa. Da notare è il riapparire in modo esplicito della nozione di contraddizione, che dopo la definizione del 1882 non era più stata menzionata esplicitamente nelle definizioni del 1883 e del 1895.

 

Questo non è casuale: infatti, la nozione nuova qui introdotta, la ‘consistenza’ di un insieme, è completamente calibrata sulla ‘non-contraddittorietà’. Gli insiemi consistenti sono quelli costituiti da una molteplicità di elementi che possono essere pensati insieme senza alcuna contraddizione; mentre gli insiemi inconsistenti sono costituiti da elementi che non possono essere pensati insieme perché contraddittori fra loro.

 

Questi concetti vengono compiutamente esposti per la prima volta in una famosa lettera indirizzata a Dedekind del 3 agosto 1899:

 

‘Una molteplicità può essere determinata in modo tale che l’accettazione di un “essere-insieme” di tutti i suoi elementi conduce a una contraddizione, così che è impossibile comprendere la molteplicità come una unità, come una cosa compiuta. Queste molteplicità le chiamo assolutamente infinite o molteplicità inconsistenti. Come ci si può convincere facilmente, per esempio la “collezione di tutto il pensabile” è una tale molteplicità […]. Quando al contrario la totalità degli elementi di una molteplicità può essere pensata come “essente-insieme” senza contraddizione, così che è possibile metterli assieme in una cosa sola, la chiamo una molteplicità consistente o un “insieme” ’.




Il principio di comprensione nella sua forma standard, cioè ingenua, non vale dunque per la teoria di Cantor, la quale contempla fin da subito la possibilità che vi siano proprietà a cui, pena la ‘contraddizione’, non corrisponde alcun insieme.

 

Il passo della lettera a Dedekind sopra citato conferma quanto prima evidenziato rispetto alla stretta connessione tra gli insiemi e la ‘non-contraddizione’. Un insieme può dirsi consistente se non dà luogo ad alcuna contraddizione. Tuttavia, a una riflessione più approfondita, la cosa potrebbe non apparire molto chiara: del resto, nella lettera di risposta a Cantor, lo stesso Dedekind lamentava una mancanza di chiarezza proprio su tale distinzione.

 

Da quello fin qui detto, risulta chiaro che la ‘non-contraddittorietà’ è un elemento necessario affinché un insieme sia consistente, ovvero possa essere trattato come una cosa singola, un qualcosa di individuale.

 

Ma cos’è che mette assieme gli elementi di un insieme?

 

Il loro stare insieme da dove deriva?

 

Cosa rende possibile che una molteplicità divenga una unità?

 

Cantor non spiega mai esplicitamente in che cosa questa unità consista: insomma il punto filosofico centrale nella nozione di insieme rimane celato. Il fatto che Cantor non si pronunci su tale questione non significa che non si possano trovare indizi che vadano in una direzione piuttosto che in un’altra.

 

Uno di questi indizi è il costante riferimento al Pensiero ogniqualvolta egli debba definire che cosa è un insieme.

 

Che la consistenza sia data dalla possibilità di pensare insieme gli elementi sembra spingerci nella direzione di considerare il Pensiero come ciò che dà unità a una varietà sparpagliata di elementi.

 

L’unità di un insieme sarebbe data dal pensiero che pensa quell’insieme. 


[Prosegue all'Infinito...]








lunedì 17 gennaio 2022

IL PANE e IL CIRCO (7)

 










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L'uomo circo [6]


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Il pane e il circo 


l'articolo completo  [7/8]


& Finito e Infinito  (9/10)






Il teatro greco è anche espressione della contestualità del processo che porta allo svolgimento della tragedia tratta dalla tirannia alla democrazia…

 

Almeno dovrebbe giacché siamo partiti, sebben ricordiamo - o al contrario - dimentichiamo, con la mitica tragedia del caucasico Prometeo, e con l’evidente eredità geologica della frattura che ne consegue, circa, secondo il canone mitologico della nota tragedia di Eschilio, la quale rappresenta l’atto di ribellione del figlio nei confronti del padre, e il segreto apportato al beneficio dell’uomo ‘sapiens e/o demens’ che da ciò deriva.

 

Un segreto, un vincolo, strappato dalle vulcaniche viscere della Terra sino alle inviolati olimpi degli Dèi, o il Dio unico.

 

Regna un doppio movimento, uno materiale letto nella lenta graduale evoluzione umana connessa con la geologia della terra quindi della Natura, e di cui non certamente disgiunti, ed uno celato come velato, in rappresentanza della Dottrina Sacra. Il Dogma in seno ai due eventi circoscrive, seppur esplicitato nell’opposta volontà interpretativa, ogni limite. Sarà Eckhart che scioglierà il difficile nodo, anche la sua sarà Eresia!

 

Quindi Uno - o Molteplici - in seno agli Elementi divinizzati come tradotti nella teologica dottrina matematica, Dèi.




Uno l’Occidente molti in Oriente, seppur il vincolo del Sacro sarà violato in nome della dottrina economica politica. Quindi l’intento Sacro ci sembra, come da Tempo e al di fuori di questo, oggettivato, nel ripristinare la Memoria dal Mito e il suo Dio che ne custodisce il Mistero, unita con tutti coloro che avversarono i canoni interpretativi del proprio Tempo assoggettato dal vincolo qual vero limite-limitante dell’uomo.

 

In nome di questo difficile compito non abbiamo mai conservato come nutrito la paradossale condizione del Confine più o meno imposto dal Dogma. Anzi abbiamo colto la genialità di ugual medesimo intento di chi, spogliato dei panni, come un umile Francesco, ha abbracciato la dura disciplina del Sacro per preservarne e tutelarne la Memoria abdicata alla eterna involuzione o ‘apparente’ rivoluzione umana. Giacché non scorgiamo differenza nell’odierna dissacrazione abdicata ad una macchina, da cui ogni dissacrante derivata nuova ed odierna mitologia circa l’uomo.  

 

Il paradosso lo abdichiamo al limite di chi nulla, o al contrario, eletto nella incompiuta stirpe dell’umana saccenza affine ad ugual ignoranza, comprende circa la nostra comune Follia, materialmente oggi come ieri, con ugual stati d’animo, ci avversa e perseguita. L’atto finale sarà, così come fu anche per Pavel il martirio. La persecuzione. In tal Fine solo negli occhi della pura Natura raccoglieremo l’eredità persa!

 

Il segreto Linguaggio. 



  

In questa chiave di lettura - di certo - si è generato un terremoto non isolato, anzi un evento sismico più volte e simmetricamente rilevato, ed adottando una nostra particolare interpretazione nell’evoluzione gnostica come ortodossa di talune eresie (apparentemente inconciliabili), non men che simmetriche dinastie, che dal Cloro famiglia reale dei Flavi, hanno assunto toni di storiche (avvelenate) apostasie in seno a presunte fratture, le quali godono del beneficio dell’invisibile risultato (letto in ugual simbolo trafitto) quale comune denominatore di una medesima equazione circa la volontà di preservare la Natura del Sacro.

 

Quindi della buona Fede riflessa nel difficile Dogma della Storia (ovvero della materia) cui sono custodi ed interpreti; in questi stessi luoghi, infatti, rimembrati come celebrati, hanno assunto per l’appunto toni tragici circa l’amletico destino dell’umanità, nonché altrettanto amletici per chi ne ha interpretato una lettura ben più profonda - riflessa e motivata -  al di fuori al Dogma della vita eternamente tradita ed incatenata al tormento della roccia, tradotta come ‘materia’.

 

La quale a sua volta esplicita ed anticipa la tragedia del tiranno nel caso del nostro Pavel (Florenskij),  impropriamente tradotto qual Eretico, quindi vittima di una nuova dogmatica politica, e come tale, non solo raggirato, ma bensì costretto alla contorta adolescenziale deviata psicologia del tiranno stesso, divenuto inquisitore, in nome per conto della presunta parte della ‘lesa maestà’ di nuovo inscenata, come impropriamente usurpata ed incarnata, dello stato da questi rappresentato, inesorabilmente tradito dall’Eretico (folle) seppur ortodosso Pavel.




In tutto ciò regna ripugnanza verso l’uomo, e concordo con Pavel in sua eterna beata Memoria, e come lui guardo smarrito verso la più sincera devota pura incorrotta Natura.

 

Certamente non esiste Tragedia più grande, alla quale anche lo stesso inquisito, nella prima fase della sua vita deve aver conteso l’ispirata evoluzione in cui la moneta del proprio (folle) destino, nel momento in cui una determinata presa di Coscienza deve aver preso il sopravvento giovanile circa l’Amleto qual chiave di lettura di ugual tragedia circa la Vita.

 

E certamente questo non un caso circa gli eterni Dèi della Storia, divenuti dapprima e simmetricamente Elementi di ugual evoluzione matematico-scientifica, al successivo servizio della Sacra scienza teologica, così come un certo innominato Apostata.

 

Il rovesciamento di ruoli, l’eterno rovesciamento di ruoli in questa amletica rappresentazione divenuta tragedia, più volte o quasi sempre replicata nell’ampio palcoscenico della Storia, di cui una mia riservata lettura geologica, impone una lettura altrettanto macabra e fors’anche disconosciuta, circa il ruolo interpretato volontariamente, e invece del tutto involontario della  vittima sacrificale, del Prometeo, del Cristo Eretico, dell’Apostata, in sede del Dogma imposto, sia dalla Storia come della politica, circa una presunta affiliazione ad un fantomatico pericoloso esoterismo contrario ed avverso al popolo (o meglio, alla ‘lesa maestà’ di cui vittima per mano del vero osannato aguzzino).




 Ovvero una improbabile assurda artificiosa realtà divenuta folle irrealtà edificata nell’invisibile architettura politica ad uso e consumo del tiranno, il quale prefigura una futura simmetrica comunione di intenti con la sana dittatura per il bene dello Stato. Tale avvento esoterico-mitologico, il quale conservato, e per beffa della Memoria del Pavel, successivamente donato alla sua famiglia, da chi custode del vero misfatto e inganno generazionale, tendente ad offuscarne l’elevata inconsapevole statura; comporta tutta l’ignorata celata mostruosità non solo del regime, oserei d’ogni regime anche se visto conservato letto ed interpretato dalla tirannia alla futura democrazia, ma anche di ciò cui l’uomo votato al potere capace per elevare la propria bassa meschina statura, per tramite dell’apparato dittatoriale (segreto) poliziesco, qual voce - del rinato o risorto - invisibile dogma inquisitoriale del votato ordine nella propria simmetrica rivoluzione evolutiva.

 

Non mutando il proprio disegno!

 

I personaggi che di comune accordo, pur in apparente disaccordo, si muovono nell’ombra del male, nel vero senso demoniaco della parola a cui il Diavolo e le sue schiere si ispira; non li scorgiamo, forse in senso storico non vogliamo, giacché i morti potrebbero tornare in vita e riprendersi quanto di proprio; non vediamo la congiura in tutto l’abominio, di cui solo il Tiranno ne interpreterà la scena o atto della Storia, nella comune tragedia cui consegna non solo il proprio popolo, ma l’intera umanità.




E come in ogni simmetria la figura ruotando non muta la propria forma, così il nuovo zar in nome e per conto del popolo, diviene il noto Inquisitore, e come tutte le inquisizioni, in questo rovesciamento ove ogni verità sovvertita, l’ortodosso, lo scienziato, diviene nemico del popolo. Mentre il vero nemico si annida e nasconde come il peggior morbo unito all’altrettanto veleno del nazismo.

 

Ecco che, bruciata la vittima sacrificale come un eretico, una strega, un pubblico nemico, per lesa maestà al potere pre-costituito, ci si avvierà ad un patto demoniaco, ove i veri diavoli della terra, in questa sede neppure il caso l’appellativo di demoni, in quanto come tale rischiano l’appello d’una diversa considerazione e differenza interpretativa, dominano come Lucifero prima stella del mattino, donando la propria luce rubata al segreto di un più probabile rinnegato Dio.

 

Con questo scellerato patto l’apostata e il diavolo hanno vinto, e forse, vinceranno ancora sia in politica come in economia, conferendo dubbia luce agli occhi smarriti del vero uomo.

 

I diavoli si uniranno nel (futuro) scellerato patto, di cui il Cristo apostata incatenato, nella simulazione forzata di cui disconosciamo la veridicità così come l’autenticità, a cui si ispirerà il Tiranno, giacché il male proviene da ugual Terra, seppur - in buona fede - prefigurato come un presunto ideale (di chi probabilmente non ha ben intuito cosa capace il male di questa terra) avverso e contrario al bene, il quale tentò di riscattare con l’immateriale sacrificio nel beneficio a somiglianza di Cristo, la salvezza di altri.




Noi, in senso Eretico, raccogliamo e conserviamo i miglior frutti di questa ed ogni Terra!

 

I vivi al servizio della Memoria dei morti, in questo dramma ove non possiamo e dobbiamo dissociarli da processi di streghe e gnostici, anzi un merito interpretativo che ci vuole uniti nella negata verità da cui il martirio che li unisce da una vita trafugata da un corpo come leggeremo da Prosperi, mutilato della vita.

 

Così i Dèmoni gli antichi dèmoni della Terra, quelli affini all’interpretazione greca, tornare in vita e tormentare i morti che si pensano ancor in vita accompagnati dal falso gesto della storia, forse per esorcizzare, al pari di uno sciamano, l’‘animale’, la divenuta ‘bestia’ in questa Storia involuta, di cui si è sempre nutrita al pari di un agnello. In questa sorta di peccato generazionale di Adamo, mai riscattato dalla razza macchiata del suo eterno male, e di cui la natura priva; l’uomo ‘sapiens o demens’ scrive di se stesso nella grotta come all’altare della chiesa nutrita di ugual peccato, come alla consumata civiltà del parlamento d’ogni repubblica, ove la recita della presunta o dovuta memoria, lo vorrebbe riscattare dalla colpa per sempre  rinnovata, seppur abdicata alla falsa intenzione della celata democrazia abdicata al vincolo dell’altrettanto falsa e corrotta Memoria, ogni volta evoca il demoniaco patto in nome del potere.




E nella rappresentazione di questo circo, come bene aveva intuito il nostro ortodosso-eretico Pavel, lo spettacolo della Storia fa la sua eterna comparsa, ove al personaggio unico viene alternato il carosello della democrazia, ed ove due (o tre) opposti imperi - uguali nella propria ineguale simmetrica-asimmetrica anamorfica prospettiva, tendono a medesimo armato fine bellico in onore e dovere dello strumento litico e l’economia che ne deriva. E dal carosello o giostra della inscenata democrazia, si procederà all’unicità della medesima simbologia, ove l’uomo più demens che sapiens, trova appagato il concetto che al meglio si confà al proprio corpo privato del compianto spirito abdicato alla eterna dottrina economica dell’altrettanto compianta età dell’oro.

 

Il Sacro mito, così come anche aveva intuito il Pavel, non men dello scrivente, sarà veicolato verso il nuovo istinto della Terra, rapportata al costante incessante fabbisogno della materia.

 

Si vivrà in funzione di questa.

 

La Natura farà la propria discreta scomposta delirante scomparsa, ed anche se compianta nulla sarà fatto in suo nome, giacché come nel caso di Pavel, il vero eretico, ovvero il monarca, o democratico dittatore, la vedrà e scorgerà - così come interpreterà - quale opera malefica da subordinare, seppur rimpianta nella alterata produzione, da esseri ancora in vita afflitti dalla morte viva, da rapportare nonché oggettivare all’esigenze umane, quindi celebrare incorniciare, al museo degli orrori, qual acclamato capolavoro di Natura morta!

 

(Giuliano)


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