Prosegue con il
Dinnanzi alla Natura e i suoi innumerevoli infiniti fraseggi, Frammenti di colori che traduciamo in Arte, quando l’Anima e lo Spirito in Armonia con l’intera Natura la quale ci ha creati, più o meno evoluti, più o meno consapevoli del rapporto imprescindibile che a Lei dobbiamo, e qual rinnovato pagano in disaccordo con il ‘Verbo’, medito una diversa Parola e Rima nascosta seppur Acerba avversa ‘all’oltraggioso peccato consumato’ divenir Commedia d’ogni creato, abdicando alla mela della Conoscenza, avversa alla dotta pedanteria degli ortodossi maestri del Tempio, assieme ad ogni frutto di una sublime Natura che li crea così saporiti e maturi per ogni Stagione di questo e altro ‘immondo peccato’ nell’eretica semplicità di assaporarne il gusto.
Bell’è tacere de cotanta cosa,
considerando el mio pocho
intellecto,
ma la gram fede mi muove e
escusa,
sì ch’io prego la virtù di
sopra
ch’alume l’alma del beato
aspecto,
e che l’inmaginar
conseguischa l’opra.
Lì è una natura e tre persone,
Lì dello sommo Bene è la
pienezza,
Lì è con Pietà somma Ragione;
E gli angeli benigni senza
corpi
Cantano sempre il Ciel pien
d’ allegrezza,
Non come a noi gridando ‘scorpi,
scorpi’.
Da questo cielo vien tutta
la luce
La qual per l’universo ognora splende;
Questa, creando, Dio in noi la spira,
Ed ogni umano ha per sé l’alma sua;
E tu, se l’ignoranza tua
delira!
Ciò che comincia in tempo, in tempo muore;
Passando e rinnovandosi li
moti
Del mondo, pur s’ appressa
all’ultime ore.
Del quando, sono incerti li mortali,
Ché i segreti divini non
son noti,
Ma son celati li più specïali.
(Acerba, C. D’Ascoli)
E non certo dobbiamo e possiamo risolvere – cotal (duplice) peccato - come un conflitto interiore, dacché comprendiamo che i ‘maestri’ non accettano e tantomeno comprendono, all’ombra dell’oscuro Tempio, o della smarrita Selva al girone d’ogni Anima condannata senza salvezza alcuna, ciò di cui in medesima ombra d’un secolare Albero apostrofato e contemplato, inerente alla vita e il suo ugual principio, e come l’‘immateriale’ dimensione e forma compone l’Universo (compreso l’interiore) conferendo alla muta Natura la vera ricchezza, e maggior spettro di Linguaggio subordinato all’improprio dominio umano.
Congetturo secondo il parer mio,
E so che nostra conoscenza umana
È cosa stolta verso l’alto
Dio;
Ma cominciando dall’età
primiera…
Sperando
così di risolvere un’antica contesa e il diverbio allorquando il Sentiero
medesimo si divide procedendo verso la negata verità, dal dotto saccente
‘maestro’ esplicitando, in verità e per il vero, quanto in noi non ancora del
tutto compreso evoluto, o peggio, maturato qual apparente conflitto interiore
(prossimo alla patologia), di cui la ‘dogmatica’ e con lei un certo ‘dogmatismo’,
oppongono il vincolo della materiale conoscenza per ciò che vede eppur non
comprende, e il dipinto in Rima compone una nuova Eresia…
Ma perché forse questo imparare ad i giovani può parere cosa faticosa, parmi qui da dimostrare quanto la pittura (dell’intera Natura) sia non indegna da consumarvi ogni nostra opera e studio. Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell’amicizia, quale fa gli uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell’artefice e con molta voluttà si riconoscono.
Dice Plutarco, Cassandro uno de’ capitani di Allessandro, perché
vide l’immagine d’Allessandro re tremò con tutto il corpo; Agesilao Lacedemonio
mai permise alcuno il dipignesse o isculpisse: non li piacea la propia sua
forma, che fuggiva essere conosciuto da chi dopo lui venisse. E così certo il
viso di chi già sia morto, per la pittura vive lunga vita.
E che la pittura tenga espressi gli iddii quali siano adorati
dalle genti, questo certo fu sempre grandissimo dono ai mortali, però che la
pittura molto così giova a quella pietà per quale siamo congiunti agli iddii,
insieme e a tenere gli animi nostri pieni di religione.
Dicono che Fidia fece in Elide uno iddio Giove, la bellezza del
quale non poco confermò la ora presa religione. E quanto alle delizie dell’animo
onestissime e alla bellezza delle cose s’agiugna dalla pittura, puossi d’altronde
e in prima di qui vedere, che a me darai cosa niuna tanto preziosa, quale non
sia per la pittura molto più cara e molto più graziosa fatta.
L’avorio, le gemme e simili care cose per mano del pittore diventano
più preziose; e anche l’oro lavorato con arte di pittura si contrapesa con
molto più oro. Anzi ancora il piombo medesimo, metallo in fra gli altri
vilissimo, fattone figura per mano di Fidia o Prassiteles, si stimerà più
prezioso che l’argento.
Zeusis pittore cominciava a donare le sue cose, quali, come dicea, non si poteano comperare; né estimava costui potersi invenire atto pregio quale satisfacesse a chi fingendo, dipignendo animali, sé porgesse quasi uno iddio.
(L. B. Alberti)
L’Armonia,
e non solo la Pittura che si ispira ad ogni cosa Creata, dovrebbe far parte
della nostra Natura, della nostra specie, ma sappiamo anche, in verità e per il
vero, che per ciò concernente l’Essere più evoluto del suo ultimo anello che
tenta di dominarla sottometterla, nonché tacerla per come subordinata dalla
Scrittura, dai remoti tempi della ‘creazione’ (li scorgiamo ancora questi
esseri i quali in nome del loro Dio, e il rapporto esclusivo e non solo
interpretativo, circa il danno arrecato
non solo alla Natura, ma al mondo intero), sussiste un eterno irrisolto
rapporto conflittuale con noi stessi (creati dalla Natura) e la cosa creata (la
Natura), e un antico Giano che procede ben oltre quanto dalla Natura
ammesso e concesso nello stato evolutivo originario; dipingendo nel Quadro
d’ogni giorno lo specchio della morte!
Che fu Mosè, e con lui l’antica legge.
Da poi fu Cristo con gli
ultimi giurni:
Lascio la fine a lui che
tutto regge,
Ché terminare il mondo è in
suo volere,
E i moti naturali e li diurni
Di tutti i cieli, quanto al
mio vedere.
Ma qui risorge il dubitare umano,
Considerando le genti
passate.
Se sopra loro il ciel non
fu più sano,
Ché il cielo impressïoni peregrine
Non ha, sì come le cose
create,
Dunque, perché è di noi più
breve il fine?
Perché sì prodi, perché sì
giganti
Erano al tempo? Perché s’ è
smarrita
Natura umana negli atti cotanti?
Dico che ciò che è creato
in tempo,
In lui fu sempre la virtù
finita;
Passando stato, declina per
tempo.
Bello è tacere di cotanta cosa
Considerando il mio poco
intelletto,
Ma la gran fede mi muove ed escusa,
Sì ch’ io ne prego la Virtù
di sopra
Ch’ allumi l’alma del beato
aspetto
E che l’immaginar consegua
l’opra.
Era il Figliuolo innanzi il
moto e il tempo,
E il Padre col Figliuolo una natura
Eterna, ché non cade mai
suo tempo.
Questa era prima presso il
primo agente;
Se l’esser tutto per Lui
tien figura,
Il fatto senza Lui, dico, è nïente.
Allora
cosa non va nell’essere cosiddetto umano?
Dobbiamo
ancora parlare del male originario!?
L’etimologia del termine Ianus è stata oggetto di varie interpretazioni. Cercando di sviluppare la tesi in sé autorevole di P. Nigidio Figulo, A.B. Cook e, più recentemente, L.A. Mackay hanno pensato che la sua base possa essere ricondotta ad un ‘divianus’ dal quale si sarebbero sviluppati i vari ‘di(v)iana’, ‘dianus’, ‘ianus’, ‘iana’, ‘Diana’ di cui parla Varrone. La tesi sembrerebbe avere il pregio non solo di appoggiarsi a fonti antiche, ma di giustificare l’identificazione di ‘Ianus’ col sole (oppure con la luna, secondo Mackay) per l’asserita evidente relazione con la ‘luminosità’ insita nel significato del nome. Si ritenne perciò che ‘dianus’ si fosse formato su una base dia-derivata da un probabile ‘d(i)yeu’ - poggiante sulla radice indoeuropea ‘dey’, ‘brillare’, che attraverso l’adattamento ‘dy-ldi’ - si è conservata nel latino in termini come ‘Dionis’ o ‘Diana’ mentre non esiste il supposto ‘Dianus’ di P. Nigidio Figulo.
Prosegue con il Capitolo completo

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