domenica 15 giugno 2025

CURARE IL MONDO (2)

 








Precedenti mali 


Prosegue con la cura 


(Seconda parte con breve 


appendicite... del corpo intiero


contattare il Fioravanti Grazie!]







...E qui sarà opportuno inserire una parentesi sul carattere generale dei vizi di ieri e di oggi, iniziando dalla trattazione contemporanea più suggestiva che io conosca. In Vizi comuni, uno studio pubblicato negli Stati Uniti nel 1984, Judith Shklar (1928-1992) ricordava che i peccati del cristianesimo tradizionale costituiscono delle minacce contro l’ordine divino. Essi sono trasgressioni di una legge divina e offese contro dio, e la superbia è il peggiore di tutti perché è il rifiuto di dio. 

 

Ma a noi questo universo morale retto da leggi divine non interessa - commenta Shklar, e io mi associo - perché non ci fa riflettere sugli unici vizi che veramente importano e che sono quelli che offendono altri esseri umani. Ed ecco che Shklar, seguendo la proposta dello scettico Montaigne, mette al primo posto, desautorando la superbia, la crudeltà, il vizio che offende causando torti verso un altro essere vivente e provocandone la sofferenza, principalmente fisica.





Noi respingiamo l’idea di peccato come la concepisce la religione rivelata, dichiara Shklar, e giudichiamo il male ‘in sé e per sé, e non perché significhi una negazione di dio o di una qualsiasi norma suprema’.

 

Anche lo studio sul tema di Umberto Galimberti (I vizi capitali e i nuovi vizi, raccolta di articoli usciti sul quotidiano italiano ‘la Repubblica’) si muove in una dimensione non religiosa, esponendo alcune considerazioni di tipo sociale legate soprattutto allo sviluppo attuale dei fattori economici: come conciliare, si chiede Galimberti, l’etica della mortificazione che sta alla base del cristianesimo con l’etica della soddisfazione sostenuta dall'economia?




La società opulenta e consumistica ci chiede di consumare, sostituire, rinnovare, sprecare, distruggere merci e oggetti, buttar via materassi, sedie e spazzolini per essere felici e soddisfatti.

 

Galimberti invece inizia proprio criticando il principio del consumo (primum consummismus) e le psicologie che lo appoggiano e lo sostengono: cognitivismo e comportamentismo.

 

A differenza della psicoanalisi, infatti, tali psicologie dell’adattamento si impegnano a far sì che l’individuo si aggiusti le idee e riduca ‘le proprie dissonanze cognitive in modo da armonizzarle all’ordinamento funzionale del mondo’.




Mentre Galimberti nota ma insieme condanna la tendenza della società odierna ad organizzarsi intorno all’etica della soddisfazione dettata dagli interessi economici, il filosofo spagnolo Fernando Savater ne fa una lettura provocatoria e dissacrante. I vizi additati come tali dalla chiesa - scrive Savater nel suo I sette peccati capitali - sono in realtà il motore dell’economia, e ciò che nell’individuo può essere considerato un difetto diventa per la società stessa elemento vitale: se non esistesse l’avarizia non ci sarebbe accumulazione capitalistica, se non ci fosse la gola non ci sarebbero ristoranti né guide Michelin.

 

Quel che conta è la tendenza al lusso, sembra dire Savater riprendendo le tesi del seicentesco filosofo inglese Bernard de Mandeville; sono i vizi e le passioni (orgoglio, avarizia ecc.) a spingere l’uomo a fare sempre meglio, ad arricchirsi, a primeggiare, a muovere insomma il motore dell'economia.




Il ragionamento ha una sua plausibilità, eppure sostenere tesi come quelle di Savater produce come effetto una generale giustificazione delle regole del mondo economico che, portata all’eccesso, plaudirebbe per esempio alle guerre, fondamentali per lo sviluppo dell’industria bellica, e allora via ad inventare guerre umanitarie ad hoc, armamenti atomici inesistenti, armi di distruzione di massa frutto di fantasie perverse, per poter distruggere le vecchie armi di distruzione di massa e correre alle fiere degli armamenti ad ammirarne ed acquistarne di nuove.

 

L'effetto sarebbe decisamente distorto, tant'è che infatti Savater stesso, in corso d’opera, non prende troppo sul serio la posizione ‘mandevilliana’...




Va bene che i ‘vizi privati’ si trasformino in ‘pubbliche virtù’, ma fino a un certo punto. Ben lo si vede nei vizi maggiormente legati alla cupidigia dei beni materiali, gola e avarizia (maggiormente perché in realtà tutti i vizi sono espressioni di cupidigia o brama avida e smodata).

 

Scrive Savater:

 

Quel che c’è di male nel mangiare in modo esagerato, a parte i problemi col colesterolo e con l’estetica, è che esiste sempre la possibilità di mangiare anche quello che spetta agli altri (in quanto la gola) diventa peccato quando offende i diritti e le aspettative del prossimo, quando si mangia ciò che spetta agli altri, lo si accaparra e gli si lascia poco o niente. Il vero peccato consiste nei mangiare quello che spetta all’altro.

 

Il peccato individuale di chi troppo ingurgita è diventato il peccato globalizzato che alcuni ecologisti come Thomas Young definiscono di eco-gluttony: il nostro saziarci grazie alla fame di tanti altri, dimenticando che se noi affoghiamo nel cibo altri non hanno niente da mangiare.




Così oggi anche l’avarizia, secondo Savater, ‘sta in quel 10 per cento della popolazione che utilizza le risorse energetiche dell’intero pianeta, mentre al resto dell'umanità arriva un millesimo dell’energia che vi si produce’, mentre Young aggiunge che l'eco-gluttony (o accaparramento e sovraconsumo di risorse da parte dei paesi ricchi, specialmente gli Stati Uniti) equivale al peccato di avere figli in un mondo sovrappopolato, una tesi alquanto radicale ma che non può non far riflettere.

 

Insomma - afferma Savater ridimensionando le sue stesse petizioni di principio - quel che nell’individuo è considerato un difetto può diventare sì elemento vitale in relazione a una data comunità, a condizione però che non si cada poi nell’eccesso e nel parossismo del consumo idolatrato e assolutizzato al pari dei nuovi moderni idoli, come la libertà. L’assoluto (dal latino absolutus, ‘sciolto dai vincoli’) non fa bene a nessuno. A nessuno fanno bene il potere ed il consumo assoluti, e nemmeno la libertà o la verità assolute.




Quanto ad altri studi recenti sui vizi/peccati, il Dizionario dei vizi e delle virtù di Salvatore Natoli, nonostante il titolo, parla prevalentemente d'altro. Parla di forme di vita, di regole di condotta che però vengono intitolate ancora (ed è questo l'aspetto significativo) ripercorrendo lo schema dell’ordinamento morale cristiano dei vizi e delle virtù. Questo schema è seguito puntualmente dallo studio di Gianfranco Ravasi (‘Le porte del peccato’), colto, raffinato e ricco di spunti e suggerimenti tratti sia da passi biblici sia dalla letteratura e dalla filmologia, e che coniuga profano e sacro pur aderendo esplicitamente a questa seconda visione ed assegnandole il monopolio tout court dell’etica.

 

Asse morale e criterio generale di giudizio dei vizi è qui infatti il principio fondamentale dell’amore di dio - cui Ravasi aggiunge, rispetto al catechismo tradizionale: ‘e per il prossimo’ - che viene violato nel peccato.




Aspetto non contemplato da Shklar, da Galimberti, da Natoli e nemmeno da Savater, ai quali - come all’autrice - non interessa l’offesa a dio bensì l’offesa rivolta ad altri esseri, prossimi e no, umani e no. Né interessano loro le trasgressioni alla legge religiosa, convenzione stabilita dagli uomini e presentata dalle chiese come risultato di ordini divini immutabili.

 

Interessano invece la filantropia e il rispetto degli altri basato su un’etica laica non ispirata alla trascendenza, non la redenzione degli uomini dalla ‘morte eterna’, compito che si autoattribuisce specificamente l’etica religiosa cristiana.

 

Dopo questa breve panoramica sullo stato del peccato in generale, e del peccato della gola in particolare, nella nostra epoca secolarizzata, globalizzata e obesizzata, torniamo come promesso alle origini della dottrina dei vizi e al suo rapporto col vizio/peccato di gola.




Da dove deriva il sistema dei vizi e dei peccati, ancora vivo nella teologia cristiana cattolica benché ripudiato da altre correnti religiose cristiane come quella protestante?

 

Deriva da antiche dottrine orientali: dall’astrologia, dalla dottrina ermetica, dai culti mitraici, dalla speculazione gnostica, e ancora più indietro dall'influenza di Babilonia, dalla teogonia egizia...

 

I sette peccati capitali, spiega il massimo studioso dell’argomento, Morton Wilfred Bloomfield, sono ciò che resta del viaggio dell’anima della dottrina gnostica, derivante dall’Egitto e dalla Siria e confluita nel cristianesimo dei primi secoli. Per dare gli elementi base del concetto: l’anima individuale, uscita da dio o da un mondo superiore, discende attraverso le sette od otto sfere dei pianeti, ricevendo da ognuna alcune caratteristiche, fino a quando entra, sulla terra, nel corpo di un bambino appena nato.




Dopo la morte, l’anima ripercorre il viaggio all’indietro, restituendo gli elementi ricevuti a ognuno dei suoi donatori fino a raggiungere l’Ogdoàs, al di sopra delle sette sfere, dove si unisce a dio o vive in ogni caso una vita felice nell’aldilà.

 

A estrarre il concetto dei peccati capitali dal suo contesto originario e a trapiantarlo nella tradizione cristiana (dove fino a quel punto non ce n'era traccia) furono gli scrittori e gli eremiti dell’età patristica, che collegarono gli spiriti maligni della concezione cosmologica e ultraterrena gnostica con la concezione dei demoni dell’antichità classica e della tradizione religiosa ebraica.

 

L’origine della teoria dei vizi è chiaramente precristiana ma il problema che essa riguarda è decisamente il problema di tutte le religioni e di tutta la filosofia, ovvero il problema del male.




Da dove viene il male?

 

Per il cristianesimo il male è chiaramente e univocamente negazione della volontà divina. Tale negazione viene schematizzata a scopo semplificatorio nel mancato rispetto dei comandamenti e delle opere di misericordia, nel cattivo uso dei sensi, nei sette peccati capitali.

 

Per la dottrina giudaica la soluzione è relativamente semplice: se dio ha creato tutto, ha creato anche la possibilità del male. Invece per i culti mitraici e gli scritti ermetici che costituivano la dottrina centrale delle sette gnostiche in epoca ellenistica il male è esterno a dio, non da lui creato né causato: esso è presente negli spiriti malvagi nemici degli uomini, quegli spiriti ('pnéumata') che dimorano nella sfera delle sette stelle mobili o pianeti, e che da lì invadono e tentano l’uomo. 


[PROSEGUE CON LA SECONDA PARTE DELLA TERAPIA]






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