Prosegue con le 'note' al testo
La ricerca del ‘risparmio di spesa’ nell’attività
edificatoria è stato un modus operandi che i procuratori
de supra avevano consolidato nel corso dei
secoli, con dei riscontri molto concreti nelle fabbriche.
Le Procuratie Vecchie in piazza San Marco, iniziate
nel 1514 e proseguite sino alla fine degli anni 1530, ne sono un caso
esemplare. A causa di un eccessivo frazionamento distributivo degli alloggi, i
muri di spina di buona parte delle Procuratie Vecchie poggiano sul colmo delle
volte con una evidente illogicità costruttiva; inoltre, al primo piano, in
corrispondenza delle volte del portico, il solaio è stato eliminato, per cui i
pavimenti delle sale principali che si affacciavano su piazza San Marco poggiavano
direttamente sul riempimento delle volte del porti- co sottostante, con grande
disordine di tutta la struttura.
Questo genere di soluzioni erano concepite allo scopo di incrementare i proventi agendo sul numero degli affitti, piuttosto che sul prezzo, e tenendo al minimo la spesa. Non crediamo che questo atteggiamento ‘al risparmio’ dipendesse soltanto dalla particolare congiuntura economica in cui Venezia si trovava a seguito delle guerre cambraiche. Sembra essere, piuttosto, il risultato di una particolare cultura edificatoria ricorrente nella tradizione veneziana. Lo si può rilevare con maggiore evidenza nel tratto di Procuratie costruite verso San Giminiano, iniziato in tempi sicuramente migliori per l’economia veneziana, nel gennaio del 1530. Sebbene nell’appalto per la demolizione del vecchio edificio si fosse specificato che la nuova costruzione avrebbe dovuto seguire il ‘modulo’ e ‘l’ordine’ delle Procuratie contigue, in realtà il nuovo edificio, pur mantenendo lo stesso motivo architettonico e decorativo della facciata, subì un sensibile scadimento nella qualità delle strutture murarie.
Lo si può verificare nel documento di appalto dei lavori di costruzione datato 6 maggio 1532, nel quale le opere murarie, solitamente differenziate in opere di fondazione e di elevazione, erano in questo caso accomunate e appaltate tutte a sei passi al ducato, una cifra molto bassa se confrontata con un pagamento del 1523 di medesime opere di fondazione valutate quattro passi al ducato.
Rispetto alle Procuratie Vecchie del lato nord
della piazza, i cui muri d’elevazione sono a tre teste, circa 39 cm, le opere
murarie del tratto di Procuratia del lato ovest della piazza, verso San
Giminiano, vengono appaltate riducendo lo spessore a ‘una piera’, cioè a sole
due teste, circa 26 cm. Ma quel che più denuncia la scarsa qualità della
costruzione, cioè il ‘risparmio di spesa’, è l’indifferenza tra le murature
d’elevazione e quelle di fondazione, ambedue previste dello stesso spessore di ‘una
piera’, in contrasto con il sapere comune del buon costruire che esigeva,
specialmente a Venezia, che le murature di fondazione fossero di spessore
maggiore di quelle fuori terra.
Sansovino in qualità di proto della Procuratia de supra si trovò ad agire in questo ambito di valori. I suoi primi interventi – ricordati da Vasari – sono stati perfettamente allineati con questa mentalità del ‘risparmio di spesa’.
Per quanto Sansovino abbia concepito la Libreria
marciana con un linguaggio architettonico all’antica e abbia ‘voluto’ – come
lui stesso dichiarò nell’interrogatorio – una grande volta a botte in muratura ‘per
essere - la Libreria - più bella et più perpetua et più sicura da foco’,
tuttavia il dimensionamento della struttura muraria è condizionato dal
principio del ‘risparmio di spesa’.
La sezione resistente è di metri 0,80 – spessore
della muratura lato ovest (Zecca) – cioè 1/14 della luce della sala della
Libreria di metri 11,0059: una proporzione ardita, nella sua snellezza, se
paragonata a quella di 1/9 che si rileva tra spessore del muro e ampiezza della
volta a botte nel salone centrale della villa medicea di Poggio a Caiano,
esempio emblematico di rinascita di una volta a botte ‘all’antica’ alla corte
di Lorenzo il Magnifico, e quella di 1/10, genericamente la più diffusa nella
costruzione delle strutture voltate nei secoli XVI-XVIII.
Una muratura di metri 0,80 e alta non meno di metri 6,70 era ritenuta sicuramente più che sufficiente a portare il peso di una struttura non spingente, come un tetto di capriate, ma era rischiosa se posta a contrastare le spinte di una volta a botte in muratura, specialmente se ribassata e con una luce di metri 11,00.
Il problema di Sansovino consisteva quindi
nell’annullare la spinta della volta. La tradizione edificatoria tardomedievale
risolveva questo problema con un sistema di catene a vista; Sansovino lo
risolve invece – come lui stesso riferisce – con una innovazione tecnica: le
catene ‘a braga’.
Per comprendere di che cosa si tratti, è sufficiente sfogliare il piccolo trattato di Carlo Dotti, ‘Esame sopra la forza delle catene a braga’, del 1730. È un sistema estradossale di aste di ferro battuto composto da:
1) un tirante orizzontale (AB) lungo quanto è la
luce da coprire e passante sopra il colmo della volta;
2) due altre aste verticali laterali (AE e Bff) che
funzionano da paletti di bloccaggio;
3) due aste diagonali (EC e Dff), le cosiddette ‘braghe’,
che uniscono i paletti al tirante orizzontale.
Rispetto al tradizionale sistema sviluppato dall’arte del costruire medievale delle catene intradossali a vista collocate alle imposte delle volte, il sistema ‘a braga’ aveva il vantaggio di essere inglobato nella muratura e pertanto non visibile, consentendo a Sansovino di realizzare l’effetto ‘all’antica’ di uno spazio voltato, ma risparmiando sullo spessore delle murature.
(Lupo)
BREVE COMMENTARIO
Circa il già citato problema morale - e non solo - evidenziato
e riportato a voi nobil Signori accompagnati da altrettanti fiere cortigiane non
meno di altrettanti alloggiati villani, concernenti la ‘summa’ di problemi (più
che calcolati) di sì vasta trascorsa et odierna, interna ed esterna, magnifica opera
architettonica posta ai servigi dei cinque stadi d’ogni futura vigilata
coscienza, di cui si pavoneggiano procedendo motorizzati in moto spericolato
per ogni invasione di campo, e mai a piè libero ed incensurato, quantunque
sempre marcato seppur fiero e spedito quale libero terzino non ancora centrocampista
della nazionale padana dei fratelli d’italia unita.
Asservita da una monopalla romana e una popolana nazione - più serva che maestra - che gli fa il tifo comprensivo di coro in attesa dello stadio per acclamarla unica e superba, come quell’Eva il di cui Adamo gli fece reclamata peccaminosa offerta severamente punita dal geloso rabbino dal piano al di sopra d’ogni sospetto, o meglio che dico, dal Ramo in cui assiso essendo il frutto più goloso e proibito del paradiso, noto locale aperto tutto il giorno e sognato per l’intera notte dal profeta di corte, in cui rinchiuderla per poi goderne d’ogni suo frutto proibito - comprensivo del mirato uccellino - di cui il dio raccomanda ogni servigio al servizio del futuro uomo e l’intiero suo mondo così amato e pregato ogni giorno…
Che i putti e l’intera corte degli Angeli non pugni
di propria mano, giacché questo un vero peccato a cui dio provvede per proprio
comando…
Parliamo del dio del tempio, anche se il galileo non li vede!
Acclamata fino a più misere sale Vaticane senza più
Eva rinchiusa in giardino, a chieder perdono della ruota di scorta, ove ogni
squadra in trasferta - ed a lei avversa - pur ammirando la palla più bella
rischia il fuorigioco della pena comprensiva di patibolo proprio fuori le mura
del maso Gianicolo.
Giacché catrame & cemento - hor hora scoperto
con cui edificato l’intero stadio da campo - ci par un brodo da convento cui
aspirare per lo zolfo d’ogni futuro progresso - e non solo architettonico -
d’ogni santo jorno; e di cui già abbiamo accennato nel primo girone dedicato a
codesto più modesto Architetto, retrocesso al ritorno con obbligo di sentenza all’andata
d’una esiliata trasferta al noto lido con tanto di immeritato risarcimento
(aretino permettendo).
Ovvero, assumerlo ancora qual modello all’ancora d’ogni navigata e più moderna avventura da stadio, assunta e governata da una professionista del calcio con solo una palla per deciderne la sorte; e non solo, come ben disse l’Aretino, nel culo, ma dritta fino alla ruota - senza più fortuna - e con solo la danza della morte ove ogni numero estratto ne decide il girone della cultura senza uno stadio… e neppure un Colosseo per ancor meglio acclamarla nella triste sorte votata!
L’ultimo
acquisto della squadra - mobile immobile o ammobiliata - non fa differenza per
una cultura vigilata a tempo pieno in attesa dello stadio per meglio ammirarla,
la palla!, mai sia detta la nobile libreria diseredata, la quale
si specchia nella propria ed altrui coscienziosa Architettura alla svista di
Genti e Imperi governati da futuri Primi ed ultimi Ministri; terzini non ancor
marcati da attaccanti e miglior centrocampisti… dei vasti campi degli unni;
compresi nuovi e vecchi papi in panchina in attesa di miglior partita; non meno
di più modeste fiere ambulanti, o Selve braccate per ogni paese da più
industriose bestie macellare. Che al calcio preferirono la bombarda con cui
invadere lo stadio nel secondo tempo di ritorno con cui il gioco si fa duro e
la palla acclamata da Ognuno!
Dacché rileviamo ancora come il crollo, il cedimento della ‘botte’ (che l’ama e ammira come la più bella e senza nessun difetto), della ‘volta’; ovvero, quando una volta c’èra maggior favella e poesia ed ognun mirava all’uccello, ed imperava - regnando ancora - su ogni favola antica, narrata ed ammirata - davanti e sullo retro - d’ogni bottega sempre vigile e aperta ad ogni antica usanza e leggenda, sottratta ad ogni strano scostumato capriccio della serva; servita narrata, ed in ultimo digerita, alla botte della nota cantina del popolo, ed ove ogni caccia èra ed ancor concessa con eccesso del più noto Bacco cantare la propria soave pulzella ben condita e seminata fino alla pecorina della stalla vicina…
E per Dionisio non si faccia dell’antico
spirito pagano che qui ce lo lavoriamo!
Cotal mirabile Architettura hor hora adottata e concepita, nonché ci vien detto, importata dalla non lontana colomba americana, senza più stalla fienile e somaro per solo alleviare la sofferenza del peso e della distanza, quando viene invasa ed allietata dall’antico castellano che ce la come il somaro; nonché accoppiata esportata e seviziata fino alla cucinata muraglia della Cina, e la quale essendo nata e evoluta dall’uovo di medesima gallina, tende ad essere fedele all’armonia dell’allevato futuro papero non ancora brutto anatroccolo, senza più il fegato all’oca dell’Osteria della Bastiglia, ove ogni piatto veniva cucinato ancor più saporito di come èra nato ma non certo ben digerito dalla trafitta pulzella Giovanna; e il suo arco con trionfo architettonico finale proprio sullo sfondo, quando viene eretta cavalcata e posseduta dalla squadra avversaria con solo una palla per farle piacere - e mai sedere - sulla nota sedia del papa con cui rimpiangerla, quando libera correva e cavalcava per possedere ed essere posseduta… come un nobile infante putto…
Giacché c’era una volta la ‘botte’ ancor meglio edificata per ogni favola narrata al popolo affamato non ancor vespaio Vespasiano permettendo, il quale della pugna pugnando godeva in libera latrina a cielo aperto esposta fino al futuro trionfo ove maneggiarlo ancor meglio; per tendere l’armonia architettonica, nonché evolutiva, d’ogni futuro gabinetto, fino al baroccato Cigno con più alta torre circa la nota fiera d’ogni paese così servito e posseduto davanti e sullo retro; ovvero, il più bel Cigno di Miralago, l’oasi preferita con Vista mozzafiato a suffragio universale al fine d’ogni futura fine adottata per mirabile e più somma Opera della piattaforma danzante e rotante.
Dicevamo e ancor oggi affermiamo, all’ancora ben
piantati come rimirati e dicono evoluti in cotal somma Opera senza Natura
alcuna, edificare miglior porto da cucina con più vasto commercio intellettivo
servito freddo fino alla Siberia senza più oste o osteria per conservarne il
delicato prezioso segreto antico; il quale difetta alla Vista d’Ognuno, Nessuno
escluso in quanto sempre in perenne Viaggio simmetrico alla sua antica dèa.
Cielo et universo racchiuso all’intestinale vermicolare della fu perduta mano, ed hor hora che vi narriamo, evoluto all’uncinato palmare disavventura conferita dall’improprio incrocio con una strana stella, ove si potea ancor meglio navigare e conservare il segreto versetto del piatto preferito, Verbo d’ogni Tempio navigato per ogni mare fino alla marea del nobile Ammiraglio, non ancor affogato o divorato dal saporito pesce servito allo stomaco della nota Balena, l’osteria del profeta saltato in padella all’ultima crociata della Libera ricetta, ed ogni Dio ne faccia incetta…
Per la giusta mano a senso unico alternato di marcia si segua la corrente del Casino universale dell’azzurra Venere uncinata, affinché il numero della retta coordinata, con o senza prefisso, possa ristabilire l’ordine perduto del sommo architetto, il noto Papero evoluto da una gallina; un tempo il preferito piatto coltivato seminato, e poi ed in ultimo, consumato entro e fora le mura d’ogni porto, oppure servito freddo nel più noto ghetto dell’Osteria, del già nominato e compianto invano, Tempio senza più popolo o misere genti affogate per più parziale jiudicio delle più note tavolate di Mosè, il miglior cuoco del villaggio senza legge e fornello che possa appena rimembrare il segreto del piatto così ben servito; infatti appena servito la Cima si adombra del suo dell’altrui profumo ben cotto, questo il segreto della vera Legge di cucina per ogni porto… quando in ultimo servito come digestivo!
Per ogni città e convento con Diritto d’alloggio, la gallina fa’ buon brodo, essendo gradito, il brodo stesso medesimo, dal remoto tempo in cui dallo stesso nati e ancor oggi sopravvissuti e giammai affogati; detto anche brodo primordiale con o senza l’indiano, in attesa del verme danzante con la Venere d’ogni giorno, nella notte si prega di non russare in quanto il menu prevede un nutrito contorno facile da digerire, essendo gradito e assaporato da ogni onesto e volenteroso ciarlatano, fino al brigante di passaggio nello stretto del Macellaio, Magellano fu dimenticato come una volta dell’intiera storia da osteria.
Ovvero nel passaggio a cui Ognun costretto per lo brodo d’ogni santo jorno, nero caldo e fumante come solo una volta alla mensa della botte sanno pernare cucinare et cogitare, l’osteria di Roma il convitto senza più caciotta e vino al crocevia di Ponzio, con poste succursali e tanti troppi cavalli e senza somari alati, fino alla Gerusalemme da liberare; Leonardo infatti, l’oste ingegnerato et ancor meglio accreditato dal vasto azionariato edificato dalla botte alla volta a cielo aperto, per ogni delicato masticato palato, suggerisce parabola culinaria fino al condito Teschio con cui gradire Venere danzare e pregare, accompagnare il piatto forte del giorno, Barabba e il circolo della morte; cotal portata dai ognun gradita dai tempi quando il ghetto non ancor osteria, prosegue per ogni decantata mensa acclamata a furor di popolo; dacché cari amici non stupitevi se cuociamo tutti a fuoco lento…
(Giuliano)
NOTE AL TESTO
L’apparente dissolvimento della grammatica, il
frazionamento del senso del discorso, il frammentato senso della disposizione
della Logica, ogni logica, inerente al commento di seguito al crollo della ‘botte’,
celano un cifrato criptato senso di dissolvimento dell’ordine civico a cui sottoposto,
quindi costretto, il corretto indirizzo in cui consolidata la struttura dell’intero
Linguaggio sfuggito dalla Grammatica costruita su una Architettura urbanistica a
cui asservito per meglio consolidare l’abominio della civiltà edificata sulla
rinnegata morta Natura; a cui però, nel dissolvimento dell’ordine
architettonico in cui ogni presunta civiltà rinnega se stessa medesima ogni
qual ‘volta’ non rimembra l’origine del senso civico dell’Idea come della
parola, e la ‘volta’ disgregandosi rileva e rivela il frammentato senso sottoposto
al degrado morale del presunto progresso.
Giuliano cerca, così, in apparente licenzioso dissolvimento del senso filosofico
del Dialogo con il Sansovino, di riproporre ad un pubblico restio nell’accettarlo come risolverlo,
quindi interpretarlo e tradurlo, nell’odierna prospettiva di uno o più punti di
fuga in cui il Paesaggio si frammenta in varie corografie stilistiche
allucinatorie parenti di un ‘fiammingo’ caro al pagano; ed in cui il
malcapitato ‘lettore’ abituato ad un ordine storico/architettonico affine alla prospettiva del Brunelleschi con un altrettanto ordine maniacale/grammaticale ed una simmetrica prospettiva di una presunta bellezza in cui l’Architettura
edifica la propria magnificenza specchio di una presunta civiltà sottoposta
alla grammatica della ricchezza, edifica magnifica Opera ignorando ma
quantunque esaltandola, l’antica Natura da cui deriva, o dovrebbe, il vero
senso raffigurativo della prospettiva in cui si prega ogni vergine Madonna
madre di quel Cristo, violentata nella pretesa di pregarlo - e ancor meglio
edificarlo - al crocevia di ogni croce il cui figlio morto per mano di medesima
ricchezza interpretativa, in cui il Tempio edifica ignorandone la vera
prospettiva, ed in cui il Sacrificio del Verbo si impone nella regola dissolvendone
il vero Linguaggio interpretativo, in cui il Dio, il vero dio ignorato e
Straniero, costretto ad un senso Architettonico ad uso umano si frammenta nella
grammatica in cui costretto ed ignorato, quindi corretto torturato esiliato e perseguitato!
In verità e per il vero, la sua vera e più certa
Natura, restia a rispettare cotal verbosa grammatica edificata entro le mura della
struttura con più punti di fuga interpretativa per un apparente anaformismo discorsivo a cui la grammatica come la simmetrica prospettiva non più
rispecchiano un ordine stratigrafico affine all’apparente rinascimento dell’Opera
soggiogata e costretta dall’uomo, che seppur costruisce quantunque ignora ogni
fondamentale regola da cui nata la vera grammatica non più umana, ma inerente
alla Storia da cui sorta l’Arte dell’Architettura, ed in cui l’umanità, o il
primo mattone della stessa, posto all’angolo dell’ultimo e non più ‘primo’
frammentato Secondo da cui l’Universo d’una invisibile grammatica genera, con
il suggerimento di un Architetto, la propria rinnegata Opera, ultimo Secondo -
secondo - le coordinate del vero Tempo in cui la Luce di una più splendida
Icona si compone e dissolve nell’Arte evolutiva rinnegata nella grammatica interpretativa
del Verbo, ed in cui la Grammatica edificatoria ne rinnega la frammentata Idea,
o meglio, ne dissolve il vero senso nel paradosso della dottrina costretta in
un Tempio.
Guarda osserva e in ultimo medita l’occhio umano e
vi scorgerai la sua Anima, vi scorgi, infatti, luce e prospettiva ben
differente dalla Natura da cui sorta l’abisso della bestia specchio dell’intero
Universo senza fondo in cui leggere il vero dominio a cui ogni Anima si
ricongiunge all’Infinito suo Primo Dio.
In quell’occhio, dirai, non c’è né Dio Legge o Grammatica
divina; non c’è Nulla; e quindi va sottoposto all’arbitrio del giudizio umano e
al senso interpretativo della dottrina del secondo dio pregato, quando osserverai
e assoggetterai alla gravità della materia e del tempo l’insano dogma del Verbo
mal interpretato!
In Verità e per il vero, l’occhio umano per chi
osserva da un lontano remoto Universo appare come una verde Terra nata all’ultimo
SECONDO DEL VOSTRO DIO COSI’ MALMENTE E DOVOTAMENTE
PREGATO; il Primo invece, nero e senso fondo
che osserva osservato al di fuori della prospettiva dimensionale in cui
edificata la materia anela alla vera Luce del giorno, appare come l’Abisso d’un
Universo freddo e senza grammatica alcuna; il suo Fiume, la sua Natura muore e
si ricompone nella bontà di ogni giorno, tu te ne fai cibo e sfami la tua
ingorda natura pensandolo privo di Parola Pensiero Idea, mentre ti sazi della
sua Natura; sì! morirai nel fuoco dell’inferno per ogni abominio edificato; sì!
affogherai in un mare pietrificato ove seppur navigato come un Tempo, lo stesso
ti sarà nemico in nome del dio pregato in cui edifichi impropriamente il tuo
miserevole dominio, in cui preghi un diavolo pensandolo dio.
(Secondo e non primo Giamblico
curatore del Testo)