ISPIRATO DAI CORRIERI DEL CIELO
Prosegue con il
Servizio di Recapito
Nessun uomo che non possa vivere nella sua casa su
ruote, cucinare, mangiare e dormirci dentro, sopra o sotto di essa, può dire di
essere tagliato per una vita da zingaro. Ma per fare questo è necessario che la
propria dimora temporanea sia ben organizzata: un perfetto multum in parvo,
una domus in minima. I principali difetti delle roulotte di vecchia data sono la mancanza
di spazio – due adulti di corporatura normale difficilmente possono muoversi
senza calpestarsi i piedi – l’afa generale, il calore proveniente dal cielo o
dalla stufa, o probabilmente da entrambi, e un movimento estremamente
sgradevole durante il viaggio. Quest’ultimo è causato dalla mancanza di buone
molle e da errori nella costruzione generale.

‘L’uomo che è a capo di una roulotte’, dice lo
scrittore, gode di quella perfetta libertà che è negata al turista, i cui
movimenti sono regolati dall’orario. Può andare dove vuole, fermarsi quando
vuole, andare a letto all’ora che più gli aggrada, o alzarsi o restare a
fantasticare, sapendo che non c’è un treno da prendere né un cameriere da
consultare. Se il quartiere non è adatto a chi abita in roulotte, non deve far
altro che attaccare i cavalli e trasferirsi in un alloggio più adatto. La porta
del suo albergo è sempre aperta. Non c’è nessun conto da pagare né nessuno da ‘ricordare’;
e, se l’alloggio è limitato, l’inquilino non può lamentarsi delle spese.
In una roulotte si ha tutta la privacy di una
residenza privata, con la comodità di poterla spostare con una facilità negata
al colono occidentale, che sposta la sua ‘baracca’ dal ‘lotto’ che ha affittato
a quello più lontano che ha acquistato.
Nel furgone potrebbe esserci, per quanto ne possa
scoprire il passante, una biblioteca e un salotto insieme, oppure una camera da
letto e una sala da pranzo insieme, anche se, poiché i pionieri di questo modo
di viaggiare dormono sotto la tenda, possiamo presumere che trovino l’alloggio
all’interno un po’ soffocante.
Ora, questo suona molto bene, ma nella seduta
attuale ho i miei dubbi che la vita di uno zingaro, perfino di uno zingaro
gentiluomo, possa essere davvero così indipendente e solare come le frasi la
dipingono.
Per esempio, andare dove vuole?
Non ci sono forse certe leggi della strada che
proibiscono ai carovanieri di fermarsi per un periodo più lungo di quello
necessario per abbeverare e dare da mangiare a un cavallo o per guardarsi i
piedi?
Di notte, poi, potrebbe avvistare un delizioso e
appartato parco, magari con solo uno stormo di oche gorgoglianti e un cavallo
da tiro vecchio, ed essere tentato di fermarsi e salirci sopra, ma non potrebbe
forse un poliziotto in servizio avvicinarsi tranquillamente e ordinargli di
mettersi in marcia e ‘muoversi’?
Di nuovo, se il vicinato non è adatto, allora il
capocarovan può certamente andare altrove, se i cavalli non sono troppo stanchi
o zoppi.
Certo, all’interno di una roulotte c’è tutta la
privacy che si possa desiderare; ma subito fuori, soprattutto se parcheggiata
in un’area verde di un villaggio, può esserci parecchio rumore.
Per quanto riguarda andare a letto e alzarsi quando
vuole, il proprietario di una roulotte è padrone di sé stesso, a meno che non
scelga di portare con sé le idee e le usanze di una vita troppo civilizzata nel
cuore della campagna verdeggiante e di tenere un sacco di compagnia.
Credo che uno zingaro gentiluomo dovrebbe avere un
po’ dell’eremita. Se non ama la natura, la quiete e la solitudine, non è adatto
alla vita in roulotte, a meno che, in effetti, non voglia trasformare ogni
giorno in un giorno di festa e l’intero viaggio in un susseguirsi di piacevoli
emozioni – in altre parole, una farsa.
Tuttavia, al momento ho l’impressione che il tipo
di vita che confido di condurre per molti mesi a venire potrebbe essere seguito
da centinaia di persone che amano un’esistenza tranquilla e in un certo senso
romantica, e in particolar modo da coloro la cui salute ha bisogno di essere
rafforzata, essendo scesa al di sotto della media a causa del troppo lavoro,
delle troppe preoccupazioni o dell'eccessiva ricerca del piacere, nel modo
sconsiderato in cui è di moda cercarlo.
Solo che per ora non posso dire nulla sulla base
dell’esperienza diretta. Devo proseguire, e il lettore deve continuare a
leggere, prima che l’enigma sia risolto con reciproca soddisfazione.
‘Un cavallo, un cavallo, il mio
regno per un cavallo!’
Un giorno d’estate, mentre attraversavo il
romantico paesino di Great Marlow a bordo di un calesse trainato da pony, mi
imbattei improvvisamente in una fila di roulotte ferme sul ciglio della strada.
Proprio mentre mi avvicinavo, si accesero alcuni sbalzi d’aria, e la vista
insolita, con il frastuono e le urla selvagge, spaventò il mio cavallo. Si
scartò e fece un tentativo piuttosto sconsiderato ma molto determinato di
entrare in una bottega di tessuti. Questo causò danni al calesse tali da
costringermi a fermarmi un'ora o due per le riparazioni.
In ogni caso darei un’occhiata alle roulotte.
Ce n’era uno molto grazioso, e vedendomi ammirarlo,
il proprietario, che era lì presente, mi chiese gentilmente se volevo dare un’occhiata
all’interno. Lo ringraziai e lo seguii su per le scale. Si rivelò un’ottima
cosa, ma all’interno lo spazio era limitato, a causa della straordinaria
ampiezza del letto e delle dimensioni della stufa.
Chiesi comunque l’indirizzo del costruttore e gli
scrissi per un preventivo. Questo mi fu inviato, ma la calligrafia e la dizione
con cui era scritto non mi suscitarono alcun brivido di piacere. Ecco una
frase: ‘Se posso costruirti un carro che ti trasporterà ovunque con un cavallo
per cento sterline, ho costruito una moltitudine di bei carri per gli zingari e
posso indicarti molti esempi’.
Beh, certo, non è necessario che un costruttore di
roulotte sia uno studioso di testi classici, ma in questa lettera c’era una
triste mancanza di romanticismo; la parola stessa ‘carro’ non era di per sé
poetica. Perché quell’uomo non poteva dire ‘roulotte’?
Ho deciso di consultare un mio caro vecchio amico
che se ne intende, per esempio C.A. Wheeler (il brillante autore di ‘Sportascrapiana’).
Perché, rispose, non sei andato direttamente alla
Bristol Waggon Company? Loro avrebbero fatto tutto altrettanto bene, in ogni
caso, e avrebbero costruito la roulotte
che desideravo seguendo i miei disegni.
Fu un buon consiglio.
Così presi qualche foglio di carta protocollo e
feci qualche schizzo approssimativo, e ci pensai e progettai per una o due
notti, e così il Wanderer prese vita, sulla carta.
Ora che la roulotte è stata costruita e allestita,
è così ampiamente ammirata da amici e visitatori che potrei essere perdonato se
credessi che una sua breve descrizione potrebbe risultare interessante per il
lettore medio.
Per prima cosa facciamo un giro intorno ad essa e
osserviamone l’esterno.
Basta uno sguardo (vedi illustrazione) per capire
che il Saloon Caravan ‘Wanderer’ non è affatto di piccole dimensioni. Da prua a
poppa, senza timoni né timone, misura quasi sei piedi, la sua altezza da terra
è di circa tre metri e mezzo e la sua larghezza interna di quasi due metri.
Ora risuona il bosco forte e lungo,
La distanza assume una tonalità più
amabile,
E immersa in quel blu vivo
L’allodola diventa un canto cieco.
Ora danzano le luci sui prati e sulle
praterie,
I greggi sono più bianchi giù per la
valle,
E più lattiginosa ogni vela
lattiginosa,
Su un fiume sinuoso o sul mare
lontano.
Tennyson
Doveva essere la nostra prima uscita, il nostro
viaggio di prova, ‘al miglio misurato’, come lo chiamano i marinai. Non tanto
una prova, tuttavia, per la carovana in sé, quanto per un certo cavallo che le
sarebbe stato attaccato; e, considerando il peso della nostra casa sulle ruote,
ritenevo quantomeno improbabile che un solo cavallo sarebbe stato sufficiente a
svolgere il lavoro.
Il cavallo in questo caso era una cavalla.
…Una splendida e possente cavalla da tiro, di
colore baia scura, con testa piccola, collo forte, armonioso e arcuato, spalle
robuste e un corpo abbastanza lungo da non sembrare tozzo. La sua coda, lunga
circa due metri, era stata appositamente intrecciata e tirata su per l’occasione.
Matilda, come veniva chiamata, non aveva mai fatto
altro che arare prima, a meno che non si trattasse di una visita occasionale
alla stazione ferroviaria con un carico di grano o fieno. Ma sembrava
tranquilla e capì la situazione a colpo d’occhio, compresa la carovana e il suo
padrone. Ci mettemmo in marcia e, dopo tutte le manovre che sarebbero bastate
per far partire un piroscafo P. & O. da un molo di Southampton, scavalcammo
il cancello e ci mettemmo in viaggio.
Per quanto riguarda le provviste, il Wanderer era
ampiamente rifornito. Avevamo cibo per il giorno e a sufficienza per una
settimana, dato che mia moglie era stata la maggiordoma e la responsabile del
catering per l’occasione. I miei compagni di viaggio erano i due membri più
anziani della mia famiglia: Inez (7 anni) e Lovat (10 anni), i cui abiti estivi
e la cui giovane bellezza li rendevano piuttosto allegri. Oltre a loro, avevo
Hurricane Bob, il mio campione di Terranova, che sembrava non capire nulla di
tutto ciò.

All’inizio, la cavalla procedeva molto lentamente,
e anche molto solennemente – a passo d’aratro, in effetti – e il fattore le
camminava sobriamente al collo. Un paio di energici colpi di frusta leggera
migliorarono notevolmente le cose, e da quel momento in poi ci fu la ‘Marcia
Morta di Saul’ nei successivi progressi. Matilda si appassionò al suo lavoro;
nitrì allegramente e persino prese una specie di trotto ondeggiante, che, a
dire il vero, non era né trotto né passo lento, solo che ci portava sul terreno
a quattro nodi all'ora, e per pietà feci alzare e sedere il fattore – che, tra
l’altro, indossava i vestiti della domenica.
La mattina era molto luminosa e soleggiata, la
strada dura e in buone condizioni, ma polverosa. Quest’ultima era certamente
una conseguenza del nostro piacere, ma d’altronde gli zingari non hanno vita
facile in questo mondo più di chiunque altro. Il vento era dalla nostra parte,
ed era un po’ incerto, sia per forza che per direzione, cambiando leggermente
direzione ogni tanto, per poi tornare presto alla normalità. Ma un gruppo
selezionato di giovani mulinelli si era liberato dalla loro tana, e questo non
accresceva certo la nostra gioia.
Matilda aveva un bel coraggio, solo che
probabilmente le era sembrato un solco eccessivamente lungo, e alla fine di due
miglia decise improvvisamente di procedere di sua spontanea volontà. Questa
determinazione da parte di Matilda provocò una deviazione dalla linea retta,
che per poco non fece finire le nostre ruote anteriori nel fosso, e provocò
anche una flagellazione ammonitrice per la stessa Matilda.
Non avevamo percorso nemmeno tre miglia, il sudore
le colava lungo le zampe e le serpeggiava sugli zoccoli, così ci fermammo per
lasciarla respirare. Il giorno era giovane, era tutto davanti a noi, ed è, o
dovrebbe essere, nella natura stessa di ogni zingaro – dilettante o
professionista – non curarsi del tempo, possedere tutta l’apatia di un
olandese, tutta la sonnolenta indipendenza di una tartaruga da giardino.
I bambini implorarono una torta e Inez volle sapere
cosa faceva ridere così tanto il cavallo.
Poteva benissimo porsi questa domanda, perché
Matilda nitrì quasi durante tutto il tragitto.
‘Ma papà’,
…disse Inie,
‘il cavallo ride di tutto; ride degli alberi, ride
dei fiori e degli stagni. Ride di ogni cavallo che incontra; rideva delle
mucche che brucavano la ginestra e delle oche nel prato, e ora ride di quel
vecchio cavallo con gli zoccoli anteriori legati insieme. A cosa servono gli
zoccoli anteriori del vecchio cavallo, papà?’
‘Per impedirgli di scappare, tesoro’.
‘E perché continua a ridere questo cavallo?’
‘Beh, è così
orgoglioso, sai, di essere aggiogato a una carovana così bella,
che non può fare a meno di ridere. Vuole attirare l’attenzione di ogni creatura
che vede. Lo sognerà sicuramente stanotte, e se si sveglierà prima del mattino,
riderà di nuovo’.
‘Oh!’
…disse Inie, e continuò a mangiare la sua torta al
ribes pensierosa.
I suoi capelli, la sua stazza, la sua
bocca, le sue orecchie,
mostravano che non era uno dei cani
di Scozia.
Burns.
Mentre leggo queste memorie della mia vita da
zingaro, sarei più che felice se i miei lettori potessero in una certa misura
pensare come me e provare ciò che ho provato io.
In un capitolo precedente ho delineato il profilo
del Wanderer; ora lasciatemi dare un breve resoconto dei suoi occupanti di
giorno. Dico di giorno perché il mio cocchiere non dorme nella roulotte, ma si
riposa nella sua locanda, dovunque siano i cavalli. Senza dubbio, però, quando
saremo lontani, nelle regioni più selvagge delle Highlands scozzesi, se mai
avremo la fortuna di arrivarci sani e salvi, John G, il mio onesto Jehu, dovrà
a volte avvolgersi nelle sue coperte da cavallo e dormire sul coupé. E abbiamo
così tante tende e così tanta tela di ricambio che sarà abbastanza facile
fargli una coperta per difenderlo dalla rugiada che cade.
Avendo menzionato John G, forse è giusto che gli
dia la preferenza, persino rispetto all’uragano Bob, e che dica prima una
parola su di lui.
Quando ho pubblicato un annuncio per un cocchiere
sul Reading Mercury, non mi sono mancate le risposte. Tra queste, ce n’era una
di un certo Maggiore B, che raccomandava John. Lo descriveva in modo eccellente
per la sua tranquillità, fermezza e sobrietà, aggiungendo che, una volta
terminato il rapporto con lui, sarebbe stato felice di riprendere il suo posto.
Questa era praticamente un’offerta in prestito per me e, avendo un debole per
il servizio della Regina, mandai subito a chiamare John G.
Quando John tornò a Mapledurham quella mattina, era
impegnato. Se John avesse saputo parlare latino, avrebbe potuto dire:
“Veni, vidi, vici”.
Ma, nonostante tutte le sue buone qualità, John non
sa parlare latino.
Naturalmente, la cosa che più mi interessava era
sapere se il mio cocchiere fosse moderato o meno, e glielo chiesi.
‘Mi piace un goccio di birra’,
fu la risposta di John,
‘ma so quando ne ho abbastanza’.
Io e John abbiamo circa la stessa età, ovvero siamo
entrambi nati sotto il regno di Sua Maestà. John, come me, è un uomo sposato
con dei bambini, di cui è orgoglioso e affezionato.
Io e John abbiamo un’altra cosa in comune.
Siamo entrambi gente di campagna e quindi entrambi
amiamo la natura. Non credo ci sia un arbusto o un albero in giro che non sia
un vecchio amico, o un uccello o una creatura selvatica in un prato, in una
brughiera o in un bosco di cui non conosciamo il nome e le abitudini. Se
vediamo qualcosa di strano in un albero o ne incontriamo uno che ci sembra un
po’ strano, fermiamo subito i cavalli e non proseguiamo finché non abbiamo
risolto l’enigma arboreo.
John è molto tranquillo ed educato e conosce
perfettamente il suo posto.
Infine, è affezionato ai suoi cavalli, si preoccupa
molto di pulirli bene e di curare i loro zoccoli e i loro pastorali e, se la
sella gli fa anche solo un po’ male in un punto particolare, non è contento
finché non ha alleviato la pressione.
Il prossimo sulla lista del nostro equipaggio
completo è: Alfredo Foley.
Foley ha raggiunto la veneranda età di vent’anni e
lo conosco da otto anni. Per dirla in un linguaggio ampio ma espressivo, Foley
è semplicemente ‘un ragazzo di casa’. Ha svolto per me molti lavoretti a casa
come bibliotecario, impiegato e giardiniere, e avendo espresso il desiderio di
seguire le mie sorti in questo mio lungo viaggio da zingaro, l’ho portato con
me. Sia John che lui hanno firmato regolarmente articoli, in perfetto stile
marinaro, per tutta la crociera; e io intendo essere un buon capitano per
entrambi.
Dato che Foley a casa si trova in condizioni di
vita piuttosto buone e ha una madre gentile e religiosa, è inutile dire molto
sul suo carattere. Potrei affidargli un’infinità di oro, se ne avessi. Ma ecco
una prova ancora più grande della mia fiducia nella sua integrità: posso
affidargli l’uragano Bob, e l’uragano Bob per me è più di tanto oro fino.
A bordo del Wanderer, Foley ricopre il ruolo di mio
primo tenente e segretario; a questo ruolo unisce i compiti di cameriere e
cuoco, ruolo in cui a volte lo assisto io stesso. È anche il mio battistrada –
su un triciclo – e spesso il mio agente in anticipo. Nel complesso è un bravo
ragazzo. Non credo che flirti mai con le cameriere ai bar delle locande del
villaggio quando compriamo la nostra modesta birra o ci prendiamo il nostro
ginger ale. E sono certo che legge il Libro e recita le sue preghiere ogni sera
della sua vita.
Questo per quanto riguarda l’equipaggio del
Wanderer.
….Ora tocca al bestiame, i miei compagni.
Ho già detto qualcosa sui miei cavalli, Fiordaliso
e Fiore di pero. Ora sappiamo di più sui loro caratteri individuali. Niente al
mondo, allora, avrebbe potuto infastidire o far arrabbiare Fiordaliso. Che si
tratti di colline o di valli, su strade sconnesse o lisce, al passo o al
trotto, procedeva con la testa per aria, dritto avanti e indietro, senza badare
a nulla, semplicemente facendo il suo dovere. C’è molta più grazia e poesia nel
movimento di Fior di Pisello. Muove la testa e la scuote, e agita la coda, con
un’aria fiera come una gallina con un solo pulcino. Se viene toccata con la
frusta, mordicchia subito la testa di Fiordaliso, come a dire:
‘Dai, non puoi, pigrone? Ecco, mi sto facendo
toccare con la frusta, tutto per colpa tua. Non stai facendo la tua parte, e lo
sai’.
Ma Fiordaliso non risponde mai. Fior di Pisello è
un perfetto esempio del sesso a cui appartiene. È gelosa di Fiordaliso, finge
di non piacergli. Spesso lo prenderebbe a calci se potesse, ma se lo portassero
fuori dalla stalla e lei se ne andasse, nitrirebbe quasi fino a far crollare la
casa. Se si trova in un campo con il Fiordaliso, lei immagina costantemente che
lui stia prendendo tutti i migliori appezzamenti di erba e trifoglio e continua
a tormentarlo e a rincorrerlo da un posto all’altro.
Ma il soddisfatto Fiordaliso non reagisce. Perché
il suo motto è ‘Non preoccuparti’.
“La vita non è vivere, ma stare bene.”
Questo passo, e in effetti l’intera
appendice, possono essere considerati né più né meno che delle scuse per il mio
modo preferito di trascorrere le mie gite estive.
Ora, senza dubbio, migliaia di persone seguirebbero
volentieri il mio esempio e diventerebbero per una parte dell’anno zingari,
signore o signori, se circostanze su cui non hanno alcun controllo non
innalzassero barriere insormontabili tra loro e la realizzazione dei loro
desideri.
Per costoro non posso che esprimere il mio
dispiacere.
D’altra parte, so che ci sono molte persone che
hanno a disposizione tempo libero e mezzi, persone che forse si annoiano con
tutti i normali modi di viaggiare per piacere; persone, forse, che soffrono di
debolezza nervosa, di indigestione e di quella malattia dei tempi moderni che
chiamiamo noia, che così spesso precede una rottura totale e una rapida marcia
verso la tomba. È a beneficio di queste persone che scrivo la mia appendice; è
a loro che la dedico con tutto il cuore.
Forse c’è chi, dopo aver letto fin qui, potrebbe
dire a se stesso:
‘Mi sento stanco e annoiato dalle preoccupazioni
del solito modo di viaggiare quotidiano, correndo in soffocanti carrozze
ferroviarie, alloggiando in alberghi affollati, abitando in banali città di
mare, seguendo la scia di altri viaggiatori in Scozia o nel continente,
mangiando e bevendo troppo; mi sento stanco di balli, concerti, teatro e case,
stanco degli scandali, stanco dello spettacolo scintillante e dell’insincerità
professionale della società, e penso davvero di non stare bene per niente. E se
la noia, come dicono i dottori, conduce alla tomba, comincio a pensare di
starci andando abbastanza veloce.
Mi chiedo se mi sto davvero ammalando, o
invecchiando, o qualcosa del genere; e se un cambiamento completo mi farebbe
bene?’
Risponderei così:
‘Forse ti stai ammalando, o stai invecchiando, o
entrambe le cose contemporaneamente, perché ricorda che l’età non si misura in
anni, e niente invecchia prima della noia e della noia. Ma se avete dubbi sullo
stato della vostra salute, e visto che la noia non indebolisce un organo più di
un altro, ma che i suoi effetti negativi si manifestano con un deterioramento
di ogni organo e parte del corpo e dei tessuti contemporaneamente, consideriamo
per un momento cosa sia realmente la salute.
Credo sia stato Emerson a dire: ‘Datemi la salute e
un giorno e renderò ridicolo lo sfarzo degli imperatori’.
C’è molta verità in questa frase.
Per dirla con le mie parole: se un giovane, o anche
uno di mezza età, trascorre una giornata in campagna, con la fresca brezza del
cielo che gli accarezza la fronte, con le allodole che fremono di canto nella
luce splendente del sole e tutta la natura che gioisce, vi dico che se un tale
individuo, non essendo storpio, riesce a passare non oltre un cancello a cinque
sbarre senza la voglia di scavalcarlo, non può essere in buona salute.
Questa scala è adatta a te per misurare la tua
salute?
Anzi, per essere più serio, lasciatemi citare le
parole di quel principe degli scrittori medici, il compianto Sir Thomas Watson
Bart:
La salute è rappresentata dalla condizione naturale
o standard del corpo vivente. Non è facile esprimere tale condizione in poche
parole, né è necessario. Il mio desiderio è di essere comprensibile piuttosto
che scolastico, e mi troverei in difficoltà tanto quanto voi se tentassi di
stabilire una definizione rigorosa e scientifica di cosa si intenda con il
termine ‘salute’.
È sufficiente, ai fini del nostro scopo, dire che
implica libertà dal dolore e dalla malattia; libertà anche da tutti quei
cambiamenti nella struttura naturale del corpo che mettono in pericolo la vita
o impediscono il facile ed efficace esercizio delle funzioni vitali. È chiaro
che la salute non implica una condizione fissa e immutabile del corpo. Il
livello di salute varia da persona a persona, a seconda dell’età, del sesso e
della costituzione originaria; e persino nella stessa persona, di settimana in
settimana o di giorno in giorno, entro certi limiti può variare e oscillare. Né
la salute implica necessariamente l’integrità di tutti gli organi corporei. Non
è incompatibile con alterazioni gravi e permanenti, né con la perdita di parti
non vitali, come un braccio, una gamba o un occhio.

Se riusciamo a formare e fissare nella nostra mente
una chiara concezione dello stato di salute , avremo poche difficoltà a
comprendere cosa si intenda per malattia, che consiste in una qualche
deviazione da quello stato: una sensazione di disagio o innaturale di cui il
paziente è consapevole; un qualche imbarazzo funzionale, percepibile da lui
stesso o da altri; o qualche condizione pericolosa ma nascosta di cui può non
essere consapevole ; un modo, in breve, di essere, o di agire, o di sentire
diverso da quelli che sono propri della salute’.
La medicina può forse ristabilire la salute di
coloro che sono minacciati da una rottura, i cui nervi sono scossi, le cui
forze sono in calo da tempo, quando a chi soffre sembra – per citare le belle
parole del Predicatore – che siano già giunti giorni in cui non si prova più
alcun piacere; quando si ha la sensazione che la luce del sole, della luna e
delle stelle si sia oscurata, che il cordone d’argento si sia allentato, la
ciotola d’oro si sia rotta e l’anfora si sia rotta alla fontana?
No, no, no!
Mille volte no.
Medicina, tonico o altro, non ha mai, da solo,
curato, né potuto curare, il male mortale chiamato noia. Tu vuoi novità di
vita, vuoi perfetta obbedienza per un certo periodo alle regole dell’igiene e,
soprattutto, esercizio fisico.
Ora, non intendo dire, nemmeno per un attimo, che
il caravanning sia la migliore forma di esercizio fisico che si possa avere.
Scegliete il vostro genere, quello che più vi piace. Ma, nonostante tutto, l’esperienza
mi porta a sostenere che nessuna vita separa un uomo più di quanto lo sia
quella dello zingaro gentiluomo, né gli offre maggiori possibilità di
rigenerazione, nella forma più completa.
Prendiamo il mio caso come esempio.
Sono quello che si dice un uomo smilzo, sebbene
pesi più di quarantacinque chili e sia alto un metro e ottantacinque. Sono
smilzo, ma quando sto bene sono magro e robusto come un arabo. La scorsa
stagione invernale ho avuto un lavoro insolitamente rigido. Nel mio viaggio in
carovana di 2100 chilometri avevo sicuramente accumulato una riserva di salute
che mi è stata utile fino a quasi aprile, e ho lavorato più alla letteratura
del solito. Ma alla fine ho cominciato a sentirmi stanco e a perdere peso. Ho
continuato a sgobbare come un uomo per poter partire per il mio secondo grande
viaggio, da cui sono appena tornato, dopo aver percorso più di mille miglia.
Bene!
Sono partito, e poiché ho imboccato un percorso più
collinare, il viaggio è stato più faticoso per tutti noi. Ci siamo pesati tutti
prima di partire; sei settimane dopo ci siamo pesati di nuovo; il mio cocchiere
era aumentato di un chilo e mezzo, il mio cameriere di tre, mentre io, che ero
stato il più stanco dei tre, avevo messo su due chili. E non era tutto; il mio
cuore si sentiva più leggero di quanto non lo fosse stato da anni, e cantavo
tutto il giorno. Sebbene non sia un giovane, non sono certo un vecchio, ma
prima di partire, mentre ancora mi affaticavo con il duro lavoro sul legno
opaco della scrivania, avevo novantacinque anni, almeno a pensarci; prima di
essere in viaggio per sei settimane non mi sentivo nemmeno un quarantenne, o
qualcosa di simile.
Le prime due settimane di vita in una grande
roulotte come il Wanderer sono un po’ sconvolgenti; persino il mio cocchiere se
ne è accorto. Il ronzio costante delle ruote del carro e i sobbalzi – perché
anche con le migliori molle un carro da due tonnellate sobbalza – scuotono l’organismo.
È come vivere in un mulino; ma dopo ci si indurisce e non si cambierebbe il
proprio modus vivendi per la vita in un palazzo reale.
Ora, non mi sognerei mai di offendere la
comprensione dei miei lettori presumendo che non conoscano le semplici regole
igieniche che conducono a una lunga vita, a una salute perfetta e a una serena
felicità. Oggigiorno, difficilmente uno scolaretto sedicenne le conosce a
memoria; ma, sfortunatamente, se non le rispettiamo con una regolarità che alla
fine diventi un’abitudine, tendiamo a dimenticarle; ed è così facile cadere in
cattive condizioni di salute, ma non altrettanto facile rimettersi in sesto.
Permettetemi di elencare semplicemente, a titolo di
promemoria, alcune delle comuni regole per il mantenimento della salute.
Vedremo poi fino a che punto sia possibile applicarle in un cambiamento di vita
così radicale come quello di uno zingaro dilettante, che vive, mangia e dorme
nella sua roulotte e, a volte, in una certa misura, si trova a vivere in
condizioni precarie.
Le seguenti osservazioni, tratte da uno dei miei
libri sul ciclismo, sono molto pertinenti all’argomento che sto trattando e, a
mio avviso, il fatto stesso che io lo scriva dimostrerà che sono disposto ad
ascoltare entrambi i lati della questione, perché so che al mondo ci sono
persone che preferiscono la vita del moscone azzurro, veloce e allegra, a
quella che considerano un’esistenza lenta, seppur salutare. (‘Salute su ruote’,
Messrs Iliffe and Co, 98 Fleet Street, Londra).
Le buone abitudini, affermo, possono essere formate
tanto quanto quelle cattive; non è così facile, te lo concedo, ma una volta
formate, o imposte per un certo periodo, diventano anch’esse una sorta di
seconda natura.
Alcune osservazioni dell’autore di ‘Elia’
continuano a risuonarmi in testa mentre scrivo, e non posso fare a meno di
scriverle, sebbene in un certo senso contrastino con la mia dottrina di
riforma. ‘Cosa?’, dice il gentile autore, ‘ho guadagnato con la salute? Un
torpore intollerabile. Cosa con le prime ore del mattino e i pasti moderati? Un
vuoto totale’.
Mi chiedo, tuttavia, se Charles Lamb, dopo tanti
anni trascorsi nella Londra dei suoi tempi, avesse ancora molto fegato. Se così
fosse, probabilmente era molto nodoso (cirrosi) e pezzato piuttosto che di un
sano color cioccolato.
Ora, mi dispiacerebbe davvero se lasciassi che i
miei lettori deducessero che, dopo una vita spensierata fino all’età di,
diciamo, quaranta, quarantacinque o cinquanta anni, una decisa riforma delle
abitudini ringiovanirà un uomo al punto che diventerà sano e forte come sarebbe
potuto essere se avesse trascorso i suoi giorni in modo più razionale; non si
può avere la botte piena e la moglie ubriaca, ma meglio tardi che mai; si può,
con cura, salvare il pezzetto di torta che gli è rimasto, invece di gettarlo ai
cani e dargli la caccia.
Ogni malattia grave, per quanto bene la si superi,
riduce la durata dei nostri giorni: quanto più devono farlo vent’anni o più di
una vita frenetica? Con la nostra ‘costituzione da cavallo’, possiamo anche
superare tutto con la vita, ma lascerà il segno, se non esteriormente,
interiormente.
Sono perfettamente disposto a far sì che il lettore
conosca sia i pro che i contro dell’argomentazione, e sarò pronto a giudicare
le affermazioni che ho appena fatto, chiamando personalmente testimoni che
potrebbero sembrare confutarle.
Il primo a prendere la scatola è il tuo uomo
spensierato, scettico e spensierato, il tuo individuo che vive alla giornata e
si preoccupa del domani, che afferma di godersi davvero la vita e di poter
indicare innumerevoli conoscenti che vanno al passo molto più velocemente di
lui ma che, nonostante ciò, godono di perfetta salute e hanno buone probabilità
di vivere ‘finché una mosca non li abbatte’.
(G. Stables)