CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 13 aprile 2025

IL RACCONTO DELLA DOMENICA, ovvero, SATANA E' TRA NOI!

 







Prosegue con Dio...






(Le fotografie provengono dal Parco di Greccio dimora d'un rifugio di S. Francesco...)

Marco è l’evangelista che più degli altri rende il concetto di demònio con l’espressione ‘spirito impuro’, che nell’ AT compare unicamente in un passo del profeta Zaccaria. Essere impuro o immondo è la condizione che ostacola la comunicazione con Dio, il tutto puro. Tutti i fenomeni relativi alla nascita, alla morte, alla vita sessuale rendono l’uomo impuro. Lo spirito è una forza esterna all’uomo. Se questi lo accetta, il suo influsso agisce nella sua interiorità. Quando questa forza procede da Dio viene definita santa (Spirito santo), quando proviene da elementi contrari a Dio è ritenuta una forza impura.




Mentre l’accoglienza dello Spirito santo trasporta l’uomo nella sfera del divino (vita), lo spirito impuro rende incapace l’uomo di entrare nella sfera divina e lo inchioda in quella della morte. La differenza tra l’uomo posseduto da uno spirito impuro e l’indemoniato sta nel fatto che, mentre il primo manifesta questa sua condizione solo in particolari circostanze lo stato dell’indemoniato è evidente, continuo e conosciuto dalla gente.

 

Nei vangeli si parla inoltre dei ‘sette spiriti peggiori’:

 

‘Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo, ma non ne trova. Allora dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. E, tornato, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed entrano ad abitarvi; e l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima’.




Questi ‘sette spiriti peggiori’, associati allo spirito impuro, rappresentano nel Testamento di Ruben i sette vizi, chiamati gli ‘spiriti dell’errore’:

 

‘Il primo è lo spirito dell’impudicizia. Il secondo è lo spirito di ingordigia. Il terzo è lo spirito di contesa. Il quarto è lo spirito di compiacenza. Il quinto è lo spirito di superbia. Il sesto è lo spirito di menzogna. Il settimo è lo spirito di ingiustizia. A tutti questi è legato lo spirito del sonno, che è spirito di inganno e di immaginazione’.

 

Infine nel NT viene nominato cinque volte lo ‘spirito cattivo’.




Nella Bibbia è assente la leggenda di Lucifero, il bellissimo angelo caduto a causa del suo orgoglio e della sua superbia e degradato per sempre a orrendo diavolo. È in un testo apocrifo dei primi secoli del cristianesimo, il Libro dei segreti di Enoc, che affiora l’idea di un peccato di orgoglio da parte di un arcangelo (ancora anonimo) il terzo giorno della creazione:

 

‘Ma uno dell’ordine degli arcangeli, allontanandosi con la schiera ai suoi ordini, concepì un pensiero impossibile: collocare il suo trono al di sopra delle nubi che stanno sopra la terra per poter così eguagliarsi con la mia forza. Io allora lo scagliai dall’alto insieme ai suoi angeli e lui rimase volando nell’aria sopra l’abisso’.




Nella Vita latina di Adamo e Eva questo arcangelo prende il nome Satana, lui stesso narra la sua caduta che però non precede, ma segue la creazione di Adamo:

 

‘Il diavolo tra le lacrime replicò: Adamo, tutta la mia ostilità invidia e dolore provengono da te, perché per colpa tua fui espulso dalla mia gloria e separato dallo splendore che avevo in mezzo agli angeli; per tua colpa fui gettato a terra... Il giorno in cui tu fosti creato mi portarono alla presenza di Dio... quando Michele ti trasse e volle che ti adorassimo davanti a Dio e Dio disse: Ecco che ho fatto Adamo a nostra immagine e somiglianza. Allora uscì Michele convocò a tutti gli angeli e disse: “Adorate l’immagine del Signore Dio”. Io risposi: “No, non vedo perché devo adorare Adamo”. E siccome Michele mi forzava ad adorarti gli risposi: “Perché mi obbliga? Non voglio adorare uno inferiore a me perché io sono la prima di ogni creatura e prima che lui fosse fatto io già ero stato creato”. Lui deve adorare a me e non il contrario. All’udire questo il resto degli angeli che stavano con me si rifiutarono di adorarti. Michele insistette: “Adora l’immagine di Dio”. Io replicai: “Se ti infuri con me io porrò il mio trono al di sopra degli astri del cielo e sarò somigliante all’Altissimo”. Il Signore Dio si indignò contro di me e ordinò che mi cacciassero dal cielo e dalla mia gloria con i miei angeli. Di questa maniera fummo espulsi per tua colpa dalle nostre dimore e gettati in terra’.




L’origine della leggenda di Lucifero nasce nei primi tempi del cristianesimo dalla fusione di due testi distinti dell’AT: la satira contro Nabucodònosor (o Nabonide) re di Babilonia, da parte del profeta Isaia, e quella contro Et-Baal II re di Tiro, da parte di Ezechiele.

 

Il primo autore cristiano al quale si deve l’identificazione chiara del diavolo con Lucifero nella Chiesa di lingua greca è Origene. Nei suoi scritti egli unisce la satira di Isaia contro il re di Babilonia (ls 14,1 2- 1 3) con quella di Ezechiele contro il principe di Tiro, (Ez 28, 1-19) e fa dei due personaggi uno solo: Lucifero, l’angelo decaduto:




‘Riteniamo perciò che tali parole siano dette da un angelo cui era toccato l’ufficio di provvedere alla gente di Tiro e di prendersi cura anche delle loro anime; “Si vede chiaramente anche in questo passo che è caduto dal cielo colui che prima era Lucifero e sorgeva al mattino. Se infatti, come alcuni credono, egli era natura di tenebre, come avrebbe potuto esser detto Lucifero... Così anche questo una volta era luce, prima che prevaricasse e cadesse in questo luogo e la sua gloria si tramutasse in polvere, ciò che è proprio degli empi - come dice anche il profeta - per cui fu chiamato anche principe di questo mondo, cioè di questa dimora terrena. Infatti egli esercita il dominio su quanti hanno seguito la sua malvagità, poiché tutto questo mondo (per mondo qui indico la terra) è in potere del maligno, cioè di questo apostata”. Che costui sia apostata dice anche il Signore in Giobbe: “Prenderai con l’amo il dragone apostata”: è certo che per dragone s’intende il diavolo” Is’.




Nell’AT la ‘stella del mattino’, che una tradizione riteneva essere stata la prima creazione di Dio (Sal 110,3), è un titolo adoperato per simboleggiare lo splendore morale di ‘Simone, figlio di Onia, sommo sacerdote’, paragonato alla ‘stella del mattino in mezzo alle nubi’ (Sir 50, 1-6).

 

Il nome Lucifero quale ‘portatore di luce’, fu nei primi secoli cristiani un titolo di Gesù, e nel NT la ‘stella del mattino’ è una delle immagini del Signore, che nel libro dell’Apocalisse Gesù applica a se stesso: ‘lo, Gesù sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino’ (Ap 22, 16; 2,28).

 

Nell’Exultet, il gioioso canto della notte pasquale, la liturgia latina celebra Cristo quale Lucifer matutinus... Lucifer qui nescit occasum (Lo trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto: Cristo, tuo Figlio).




Al primo incontro con gli scribi, Gesù era stato ritenuto da costoro un bestemmiatore e pertanto meritevole della pena di morte. Gesù inoltre aveva aggravato la sua situazione trasgredendo pubblicamente in una sinagoga il comandamento più importante, quello del riposo in giorno di Sabato; ora sia i pii farisei, sia i dissoluti erodiani, decidono di ammazzarlo (‘i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire’, Mc 3,6) quindi Gesù deve fuggire dalla Giudea e salire in Galilea.

 

Di fronte al completo rifiuto delle autorità religiose (scribi), spirituali (farisei) e civili (erodiani), Gesù decide di rompere con l’istituzione religiosa d’Israele e di costituire un nuovo popolo capace di essere fedele alle promesse di Dio. Come il vecchio Israele era composto dalle dodici tribù, così il nuovo costituito da Gesù viene rappresentato idealmente dai dodici, che Gesù chiamò a sé: ‘Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni’ (Mc 3, 1 3- 15).




La rottura con l’istituzione religiosa viene considerata una follia da parte del clan familiare di Gesù, che decide di andare a catturare il loro parente ritenuto ormai completamente fuori di testa: ‘Entrò in una casa e si radunò di nuovo una folla, così che non potevano neppure mangiare il pane. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a catturarlo; poiché dicevano: ‘È fuori di sé!’ (Mc 3, 20-21).

 

Per descrivere l’azione dei parenti di Gesù, l’evangelista adopera il verbo catturare, lo stesso usato per l’imprigionamento di Giovanni Battista da parte di Erode e per la cattura di Gesù da parte delle autorità religiose Marco descrive i familiari di Gesù come coloro che si tengono fuori:

 

‘Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta la folla, e gli dissero: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano” ’. (Mc 3,31-32).




I parenti si escludono dalla cerchia del Messia e per questo arrivano a pensare che Gesù sia fuori di senno. Quanti stanno fuori non possono percepire la realtà di Gesù, riservata a quelli che stanno assieme a lui:

 

‘A voi è stato dato il mistero del regno di Dio, a quelli che sono fuori invece tutto viene detto con parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano’ (Mc 4, 11- 12).

 

L’atteggiamento della famiglia che ritiene Gesù fuori di testa trova conferma nello scetticismo degli abitanti di Nazaret, per i quali Gesù ‘era motivo di scandalo’ (Mc 6,3), e nel vangelo di Giovanni, dove si afferma che:

 

‘neppure i suoi fratelli credevano in lui’ (Gv 7,5).




L’incomprensione e l’ostilità dei familiari, nonché lo scetticismo dei propri compaesani, causano a Gesù l’amara constatazione che ‘un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua’ (Mc 6,4).

 

Il tentativo da parte della madre e dei fratelli di Gesù di catturarlo, terminerà con la rottura di Gesù con la sua famiglia: ‘chi è mia madre ? chi sono i miei fratelli?’ (Mc 3,33).

 

Ma ciò che da parte dei familiari viene ritenuto una pazzia verrà giudicato una possessione demoniaca da parte degli scribi.

 

3,22 ‘E gli scribi, quelli ·che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: “Ha Beelzebùl, e per mezzo del capo dei demòni scaccia i demòni” ’.




Il distacco di Gesù dall’istituzione religiosa provoca allarme a Gerusalemme, sede del tempio. Il caso di Gesù non è quello di un profeta isolato che facilmente può essere tenuto sotto controllo, ma di un pericoloso fenomeno di massa che attira folle considerevoli (Mc 3, 7-8, l).

 

Contro Gesù scende in campo direttamente il Sinedrio, inviando una delegazione ufficiale composta dai suoi membri più autorevoli, gli scribi di Gerusalemme. Costoro scendono da Gerusalemme non per accertare dei fatti e verificare le accuse, ma per emettere una sentenza tesa a screditare definitivamente Gesù, che denunciano come stregone e quindi passibile della pena di morte (Dt 18 ,1 0- 14).




Infatti gli scribi, non potendo negare la straordinarietà dei segni compiuti da Gesù, decidono di disconoscere l’opera di Dio nelle sue azioni. Non potendo misconoscere l’attività liberatoria di Gesù, che tutti ormai toccano con mano, non resta loro che infamare la sua persona e così squalificare il suo operato.

 

La diffamazione contro Gesù è stata curata nei minimi particolari. Tra le centinaia di demòni nei quali il popolo credeva, gli scribi scelgono il più popolare e nello stesso tempo il più temuto dalla gente: Beelzebùl, nome che nella letteratura giudaica non viene mai attribuito al satana.

 

Beelzebùl è una forma dispregiativa di Baal Zebub. Questo nome, composto da Baal [Signore], e Zebub [mosche] (‘Signore delle mosche’), è quello di una divinità filistea protettrice delle malattie, delle quali le mosche erano veicolo. Le mosche, che s’affollavano sia sulle carogne, sia sugli animali sacrificati a Dio nel tempio di Gerusalemme, erano infatti considerate dei demòni.




Poiché a questa divinità pagana si rivolgevano anche gli israeliti per ottenere la guarigione, i farisei deformarono il suo nome in Zebul, che significa letame (‘Signore del letame dei cani’).  Mentre Baal-Zebub proteggeva dalle mosche, Baal-Zebul, il ‘Signore del letame dei cani’, le attirava, essendo il letamaio luogo impuro per eccellenza, dimora delle mosche.

 

La scelta del nome del demònio da parte degli scribi è intenzionale. Essi invitano il popolo a stare alla larga da Gesù perché, anche se apparentemente libera e guarisce le persone, in realtà lui opera in virtù di un demònio che, quale ‘Signore del letame’, è causa prima delle infezioni e delle malattie. Pertanto non è vero che Gesù libera le persone, anzi le rende ancora più vittime del demònio, in quanto i suoi poteri gli vengono dal ‘capo dei demòni’.




L’argomentazione degli scribi poggia sulla credenza popolare, ancora diffusa nei primi tempi del cristianesimo, che le infermità fossero causate dai demòni, i quali provocano le malattie per poi guarire l’individuo e farsi da questo adorare come suoi salvatori, ‘mettendo fine alla malattia della quale essi stessi sono la causa’.

 

Mentre gli scribi che diffamano Gesù non hanno osato affrontarlo apertamente, Gesù li convoca, dimostrando la propria superiorità nei loro confronti e l’assurdità della loro denuncia: ‘se i satani si mettono in guerra tra di loro, vuoi dire che il potere del satana è finito’.

 

È questa la prima volta che nel vangelo di Marco il termine satana appare in bocca a Gesù assieme al riferimento a un regno che è la sfera di dominio del satana.

 

In analogia e in contrapposizione con quanto Gesù ha insegnato sul regno di Dio, possono essere comprese le caratteristiche del regno del satana. Se condizione di ammissione al regno di Dio sono la conversione, la scelta degli ultimi, e la rinuncia all’accumulo delle ricchezze, al regno del satana appartengono coloro che nella società, civile e religiosa, dominano gli altri e spadroneggiano attraverso le leve del potere e il fascino del denaro, o, aggiungiamo noi poveri frati minori, con altri mezzi più moderni affini al pensiero di Satana, affinché ogni abominio possa trionfare in motivo e sragione del male! 

(A. Maggi)






sabato 12 aprile 2025

HERNANDEZ ALLA PROVA DEL '9' (2)

 

















Precedenti capitoli


circa un Naturalista


Prosegue nel giardino 


delle delizie (6)


(raccomandato agli 


ingordi & golosi!)


Prosegue ancora??!


con l'Articolo... 


al completo! [3]


N.B. A TUTTI COLORO CHE NAVIGANO IN BUONA FEDE

SI FA PRESENTE CHE IL PERSONAGGIO ASSOCIATO AL

MIO NOME CON RICERCA GOOGLE: GIULIANO LAZZARI

NON E' NE' L'AUTORE DEI LIBRI PRESENTI IN CUI COMPARE

L'ICONA,  NE' DEI PRESENTI E SUCCESSIVI... POST; 

PRESUMO CHE L'ERRORE DEBBA ATTRIBUIRSI ALL'I.A.

O, AD ALTRA INSANA DIVERSA FORMA INTERPRETATIVA  FRA

IL VERO AUTORE E UN SOSIA IN ODORE DI OMONIMIA.

SE COSI' NON FOSSE ME NE DISPIACE NON TANTO PER

L'AUTORE E IL PROFESSORE UNIVERSITARIO INDEBITAMENTE

ASSOCCIATO; SEMMAI AD UNA DIVERSA E PIU' FITTA E ANCOR PIU'

STRANA TRAMA DI CUI L'I.A., NEL BARATRO DELLA PROPRIA

DEFICENZA, PECCA E PECCHERA' ANCORA IN DIFETTO INTELLETTIVO! 


GIULIANO LAZZARI







Alla prova del ‘9’ e delineandone la vicenda e non solo storica di Hernandez (il naturalista), come leggeremo e di cui ne interpretiamo gli aspetti evolutivi circa la sua ed altrui ‘interconnessa’ biografia, specchio di medesima aspetti da lui approfonditi nella emerita ricerca circa il proprio e altrui Ecosistema (circa la sovranità non contraccambiata di Madre Natura), ma non altrettanto e - paradossalmente - approfondito e correttamente interpretato, fra l’oggetto e il soggetto osservato (e l’interferenza) alla Luce della dovuta Conoscenza. 

 

La quale per sua elevata nobile Natura - seppur ostacolata - l’attraversa,  ci accorgiamo come medesimi motivi della disfatta dinnanzi alla non approfondita analisi storica da parte dell’Hagen, periscano nell’oscuro ripiano di medesima Storia (ben conservata), sancita oltre che dalla mancata sofferta pubblicazione, per eccessivo oneroso dispendio di costi in materia, anche e innanzitutto, per causa (non altrettanto esplicitata per interesse di ugual ‘materia’ che l’attraversa e non più ostacolata) d’una vera e propria seppur celata messa all’indice motivo che andremo ad analizzare, andando così a finalizzare la matematica prova del ‘9’ circa l’umana natura.




Ovvero, ancor oggi, la Storia, sotto certi aspetti (fors’anche ed ancor meglio: per ogni suo aspetto) la medesima, riguardo alla sofferta sofferente Natura comprensiva degli Indios in offerta, convalidare l’immobilità del Tempo…

 

[del quale l’immobile distinto humano rivela l’altrettanta cecità con il dono della vista, d’un ugual identico dotto stupore, oltre la piuma o l’antico pittogramma, anche di ciò che seppur non ‘fermo’ (a differenza d’una pianta che non sia una sempre più ampia geografia), ma bensì in costante ‘moto’ o perenne ‘viaggio’, muta colore e ne sbiadisce il miope affumicato infermo oculo: hora raffreddato e infreddolito, hora accaldato e sudato, posto nell’altrettanta immobile differenza di Stato, fra colui che infermo oppure in costante moto evolutivo, circa le Ragioni del differente progresso sancito in medesimo Tempo o contrattempo, e non solo confrontate come rilevate con l’indiano; e di cui affermiamo prendendone ‘atto’, correre inferme con sempre maggior profitto, prossime al moribondo negato destino… 




Da qui le più sane Dottrine, odierne e passate uguali per il costante avvenire d’una prematura fine, fra ciò che immobile, come un prezioso raffinato sopramobile e controsoffitto ben dipinto come dalla Natura ispirato spirata dopo l’ultima posa o messa in scena; e cosa muove il reciproco intendimento colto dalla violentata vilipesa Maestà e Bellezza, stuprata per ogni immobile Storia non ancora detta, conferire il calendario d’un più reale Giudizio in merito circa l’attraversato medesimo Tempo… Posto ad ugual oblio e Indice di cui la più nota prova del ‘9’ conferire la Verità per sempre, non solo mortificata, bensì negata per ogni grado di mutato immobile cambiamento, da cui alternate correnti (navigate come sorvolate con grandioso intelletto ad uso esclusivo umano) sancirne il divieto assoluto di classificarne ogni specie ancor in vita conferirne la linfa, di cui l’huomo contraccambierà con il puro e più prezioso umano veleno sancito dal divieto assolutistico di narrarlo… ],




 …così come delineata (in un  precedente post) riguardo alla ‘summa’ evolutiva, la quale non concorda ed evolve simmetrica alla Storia.

 

Ossia, i due rami della presunta crescita evolutiva da cui la ‘summa’ dell’Intelletto (o ‘intellettiva’ di cui Cima e Foglia come ogni bestia al suo riparo, esclusa per ovvi meriti della più proficua dottrina) ‘humano’ (o disumano) differiscono e si dividono.

 

Ovvero il più noto Uno pregato a cui ognuno, Nessuno escluso, subordinato alle successive delegate (come indiscusse e dicono, infallibili: non qui la sede per disquisire sul dono dell’infallibilità…giacché hora perfezionata dalla nuova gnostica e più vigile parabola...) ramificate rappresentanze del potere terreno (dato dalla ‘summa’ del divino con il sovrano).

 

Successivamente e paradossalmente, ‘opposto e contrario’ alla propria scoperta o catalogazione donde deriva ‘cura’ (quindi ogni benefico beneficio) e non solo dell’Intelletto detto, dedotto ed evoluto dall’Universale catalogata spirale e Ragione apportata all’altrui ‘volontà’ e ‘atto’ di ugual (o differente) ‘finalità’ (sancita dalla vita esposta alla luce di Dio, o materiale con-causa affine alla crescita) data dal beneficio (di cui e per cui la Natura ne sancisce il potere assolutistico).




Di questi casi e non solo nell’odierna come trapassata Amazzonia, ma anche in più vicine o lontane Regioni e non solo europee, ne abbonda l’odierna Storia di cui difetta ugual Ragione posta nell’oblio della pur sempre edificata come celebrata Memoria, conferire la prova del ‘9’ da noi dedotta. Alla prova dei fatti, o cambiando l’ordine ‘pittografico’ per come e non solo la matematica si formalizza e convalida, in merito alla conoscenza circa  alternati personaggi posti - nel più o nel meno - come edificati nello zero assolutistico, ricomposti o esiliati nelle dovute parentesi; l’equazione non muta o difetta la ‘summa’ dell’impropria natura costantemente posta alla verifica della prova (dei fatti o misfatti detti).




Abbiamo riprova, infatti, circa i dati catalogati e raccolti (per l’intero pianeta nel beneficio d’ogni popolo che l’affolla non più consapevole dell’Ecosistema ed ogni reciproco rapporto ed equilibrio per cosa sia l’essere ed abitare la propria come l’altrui Terra) oggi come ieri, per come le osservazioni e non solo scientifiche, vengono negate e poste, o meglio abdicate, al giudizio universale d’un diverso mito (e non solo economico); quindi giudizio - e non solo storico - di cui la ‘materia’ fagocita la vera e più sana storia evolutiva; quindi un falso mito al servizio d’una impropria e non più simmetrica crescita, non più nel beneficio della universale spirale quale altrettanto simmetrica conoscenza, ma nell’oblio dell’oscuro destino d’un perenne dominio scritto nella finalità demoniaca!




Da cui tutti i motivi del corpo nella dovuta istintiva presa di Coscienza, posseduto dal ‘perenne male’ nel calvario della vita tende a correggerne l’impropria crescita. ‘Male’ inteso non solo in senso fisico-psicologico, bensì ‘male’ proprio dell’umana natura, di cui ed altrettanto paradossalmente, l’Indios come l’Eretico (per ogni libro posto all’indice), assommati nella prematura morte mentre aspirano a tutte le rimosse Ragioni in Vita, sancita dall’ambita ed ugual mèta evolutiva, in merito ad ugual negato e più sano progresso posto all’indice della misurata civiltà…

 

La quale ieri come oggi difetta nel premeditato calcolo sancito dalla valore conferito dalla presunta ricchezza, e non certo dalla ‘summa’ del bene e del sapere di cui la Natura ispira protegge ed evolve così come ne cura ogni morbo terreno.

 

Codesta ‘equazione’, o meglio ‘enunciato’ ampiamente esposto, conferma, nella vicenda dell’Hernandez e il prezioso suo Tomo, il difetto di cui l’humano semenza ed essenza del male, peggio di qualsiasi morbo di cui ogni erbario tende a curarne il progressivo peggioramento storico; e del quale, seppure gli impareggiabili sforzi, neppure la filosofia assommata alla scienza - come la teologia - sono riusciti a risolverne la ‘questio’ per ogni secolare disputa.




E seppure agli occhi distratti  di dotti sapienti e ricchi villani -  la storica vicenda di Hernandez può apparire qual preziosa e più ‘invidiata’ Opera rilegata e fornita da buon pretesto per successive affermazioni in merito alla ricavata Conoscenza posta all’Indice evolutivo, per ogni Ramo dello stesso ove la mela mostra l’intera sua bellezza e la serpe la dipinge a dovere; l’ugual Giardino difetta nell’immobile Tempo posto alle strane condizioni di un medesimo Dio ricavato dall’altrui frutto altrettanto proibito, seppur consumato con estremo ingordo appetito; ed in cui la ciclicità ci fornisce conferma, e non più destino (come l’Hagen trascura di rilevare...), della parabola sancita nell’Indice come nel libero arbitrio, di cui ogni Impero preferisce porre, in medesima vigilata Biblioteca prossima ad ugual oblio e comune destino, di chi ha preferito - ed ancor preferisce - un diverso diritto scritto nella perseguitata, ed in ultimo, rimossa Verità, dei comuni medesimi valori di uguaglianza in cui la Natura ne stabilisce la simmetrica evoluzione da cui l’‘humano’ deriva, o almeno dovrebbe.

 

Almeno che non sia partorito da una macchina in difetto di Natura e sano Intelletto!




In Verità e per il vero, la ‘summa’ della conoscenza dedotta dal Giardino divenuto Foresta, da cui ogni preziosa specie catalogata conferita dall’altrettanto ‘summa’ evolutiva di milioni di anni, approdata all’unicità (beneficio per l’intero pianeta) di un intero Ecosistema (naturale e sociale), estinta e regredita in medesimo rogo di cui l’intricata vicenda economica data da una errata interpretazione della simmetrica Storia ne sancisce una differente età evolutiva.

 

Ossia l’Indios qual frutto di in reciproco rapporto (così come ogni Ecosistema fonda la sua caratteristica evolutiva in merito alla vita) con la sua amata divinizzata Natura e il Sacro Quetzal, periranno (e non solo di malsana virulenta malattia) di morte prematura, per divenire schiavi o trofei da circo di una differente età evolutiva scritta e sancita nell’assoluta differenza, regredita seppur conservata nonché enumerata, come eccelsa dotta ambita civiltà.




In eccesso & difetto, d’una malsana Compagnia che nei secoli, inarrestabile, maturerà l’opera d’ogni eletto o votato ‘sovrano’ posto al ramo evolutivo della presunta civiltà, qual araldo della stirpe nel conio della falsa moneta, per condurre all’estinzione come al rogo di ogni viva natura la ‘mela proibita’.

 

Dacché ne deduciamo e prendiamo ‘atto’, circa ogni ruolo attribuibile allo ‘scrivano’, dato che Cortes iniziò in tal modo l’eccelsa sua ed altrui professione coniata nella volontà della ricchezza, confermare i ‘pittografici’ meriti d’una più evoluta - seppur incivile - estinta opera senza scrittura, d’un popolo assommato alla Natura, e non il solo, perito negli esclusivi meriti evolutivi della civiltà  dell’Intelletto conferita tanto dal Verbo come dalla dotta parola, per ogni strumento litico in attesa di torchio & stampa per ogni più solida pianta geografica ben coniata, che non sia compromessa dalla maggiore ricchezza d’ogni frutto proibito alla corte di Lucifero!




E per quanto si affannano ad esiliare questa ed ogni Opera, con lo stesso mezzo conferito dal prezioso torchio e strumento (con il duplice intento evolutivo fine della conoscenza o tortura e tormento della stessa) in cui la stessa civiltà assume il proprio compiaciuto merito ogni volta che si specchia su ugual drammatico e tragico palcoscenico, escludendo o assolvendo, la propria esclusiva responsabilità per ogni difetto (e non solo di fabbricazione) sancito nel regressivo corrotto degenerato stato evolutivo assommato all’‘intellettivo’, circa la corretta interpretazione dell’Intelletto qual sana funzione storica posta al servigio della conoscenza, così come al servizio della civiltà, di cui l’uomo bramando ricchezza ne smarrisce il codice genetico:

 

la cosiddetta prova del ‘9’ ne conferirà l’assoluta certezza dell’immobilità di medesima Storia!

 

Cotal enunciato (alla prova detta) scritto senza offesa alcuna rivolta all’artificioso artifizio di cui ogni uomo aprendone la natura nega il proprio ed altrui stato evolutivo, oltre al clima dell’intero pianeta.




Affermano infatti, un po’ avviliti seppur soddisfatti e compiaciuti (da Bergamo fino a Brescia infatti, non possiamo negare i natali dell’imperatore e del fido suo inquisitore), circa il ‘pil’ sopraggiunto in pieno stato d’incoscienza (giacché l’evaso cerca sempre il proprio stato) circa il grado ottenuto al rogo della nuova scienza ecologica: mutato & cambiato, seppur lo strumento cambierà (definitivamente!) ogni Stato dal Fiume alla Cima (comprensiva e al saldo della Foresta seppur immobile e moribonda ad un polmone d’acciaio), sino alla più elevata nordica cabina con vista, in nome e per conto d’un più elevato Sapere posto in discesa libera, hora e per sempre conquistato al saldo assolutistico d’ugual materia intellettiva, al conio & torchio di medesima moneta.

 

Infatti con ugual merito di storico giudizio (conferito da ogni ‘quotidiano scrivano’ al servigio & soldo dello sterco dell’innominata Compagnia), pongono l’intero sapere all’oblio della conservata prematura morte di cui possiamo goderne il merito della vista iper-connessa.

 

Mentre la Foresta della Compagnia brucia.

 

La prova del ‘9’ conferma la nostra seppur più limitata scienza…  

(Giuliano)







HERNANDEZ IL NATURALISTA

 









Precedenti capitoli circa 


quello strano sorriso 


non men del destino


per sfogliare ancora 


il suo libro 


Prosegue con Hernandez 


alla prova del "9" (2)






Hernandez nacque fra il 1515 e il 1520, dei suoi inizi sappiamo poco, doveva esser uomo di meriti se arrivò ad essere medico del Re. Prima di diventarlo tradusse in spagnolo la ‘Storia naturale di Plinio’, corredandola di note e osservazioni erudite. Plinio influenzò profondamente gli erboristi rinascimentali, soprattutto i tedeschi, che furono i primi ad occuparsi della materia. Otto Brunfels, un certosino convertitosi al laturanesimo, pubblicò nel 1532 un erbario illustrato da Hans Weidltz, il quale era il medesimo che aveva ritratto Hernan Cortes e i suoi indiani nel 1526.




Le illustrazioni dell’erbario risultarono così migliori del testo, tanto che questi erbari così ben illustrati, raggiunsero la Spagna e influenzarono Francisco Hernandez, che, come egli stesso scrive,

 

‘Venne preso dall’irrefrenabile desiderio di visitare il Nuovo Mondo per osservare le mirabili cose in esso contenute’.




Finalmente, il Re diede il consenso, dettò le sue ‘Istruzioni’, e accettò di finanziare di tasca propria l’intera spedizione. Filippo II si trovava allora invischiato in una quantità di guerre, le quali gli avevano fatto accumulare, o avevano fatto accumulare allo stato, soprattutto verso l’estero, l’enorme debito di 37 milioni di ducati. Ma sebbene la Spagna fosse sull’orlo della banca rotta, egli trovò il tempo di assicurare il suo patronato al viaggio di Hernandez, ad esso egli si interessò personalmente durante i cinque anni degli studi, come è provato dal carteggio fra lui e Hernandez rinvenuto negli Archivos de Indias di Siviglia.




Hernandez, che aveva ormai passato i cinquant’anni, si trovò a dover affrontare i disagi del clima e dell’altitudine; disagi dei quali non sapremmo nulla, se egli non avesse scritto diciotto e più lettere al Re, alcune delle quali pubblicate nel 1842.

 

Acquistati cavalli e muli, ancora rari e costosi in Messico, e trovati e selezionati dagli assistenti che scovassero a loro volta artisti indigeni capaci di illustrare le raccolte, Hernadez riuscì ad individuare, in due anni, 800 nuove piante, che fece illustrare tutte a colori. Dovendone indicare il luogo di provenienza, si procurò i servigi del topografo e geografo Francisco Dominguez.




Gli artisti indigeni, comunque, erano buoni osservatori, abili a cogliere la pianta nelle sue caratteristiche generali ed a notarne ogni particolare. Uno di questi era Martin de la Cruz, che, attingendo le proprie conoscenze delle erbe medicinali dai ‘vecchi delle tribù’ che ne serbavano il ricordo non meno della conoscenza, aveva composto un erbario azteco col titolo ‘The Aztec Herbal of 1552’, e edito da William Gates nel 1939.




 Nel 1572Hernandez scriveva al Re di aver completato tre volumi in folio grande di tavole di piante, e aggiungeva di avere fatto disegnare  anche ‘aves pregrinas ignotas’, uccelli esotici sconosciuti. La spedizione percorse il Messico in lungo ed in largo per cinque anni, ne divise il regno vegetale azteco in due grandi gruppi naturali, quello del legno e quello delle erbe, quindi suddivise piante e alberi in quattro grandi classi a seconda degli usi.

 

Hernandez, inoltre, ebbe cura di registrare, sulla base di informazioni ottenute dagli interpreti aztechi, le proprietà medicinali delle singole piante. Ai nostro occhi, il valore del tesoro da lui raccolto sta nell’aver messo a profitto le conoscenze dei collaboratori indigeni, e raccogliendone le informazioni non si astenne al grande riconoscimento che da loro dipendeva e che gli attribuì a pieno titolo. Hernandez riempì 16 volumi in folioe nel 1576, sesto anno della spedizione, egli si ritirò definitivamente a Città del Messico allo scopo di attendere alla stesura finale dell’opera in vista della progettata pubblicazione.




Questa, purtroppo, incontrò numerosi insormontabili ostacoli. Prima l’ostilità di altri medici spagnoli delle province, poi il mancato sostegno finanziario da parte di Filippo II, e dopo cinque anni, non prima di aver completato l’opera in sedici volumi con l’aiuto del figlio, ripartì per la Spagna. Ma giunto a Madrid, Hernandez ebbe una nuova e più tremenda delusione, la grande opera, qual tesoro di etnobotanica, di geografia e di informazioni mediche, non andava pubblicata, bensì solamente inviata alla biblioteca dell’Escorial!

 

Hernandez vedeva così sepolti i suoi preziosissimi manoscritti!

 

Egli si era proposto ed era riuscito a terminare ciò che i suoi predecessori non avevano saputo maturare, ossia di dare un panorama naturalistico del Nuovo Mondo; e seppur l’aveva dato, ora gli si negava la pubblicazione della grande immensa opera. Hernandez non resse a questa sofferenza attribuibile all’altrui ingorda ignoranza data dalla ‘summa’ dell’invidia sancita dai limitati naturalisti di corte i cui scribi o scrivani, senza alcuna vera conoscenza ottenuta sul ‘campo’, ne limitarono la pubblicazione offuscandone la conoscenza con il pretesto di fornire la propria.

 

E con la salute minata dalle fatiche delle esplorazioni morì ad un anno dal rimpatrio.




Qualche anno più tardi, quasi per una beffa del destino, la sua opera tornava a destare l’attenzione di Filippo II, il quale prese la decisione di pubblicarla, sia pure in forma compendiata: egli ne affidò l’incarico a Nardo Antonio Recchi, cui ordinò di ‘scegliere le parti più utili del manoscritto’Recchi intese, per ‘più utili e importanti’, le parti contenenti informazioni mediche. E dopo aver compendiato l’opera di Hernandez e averla preparata per la stampa, Recchi morì.




L’intera opera passò al nipote, il quale la propose all’attenzione di un grande mecenate delle lettere, il principe Federico Cesi, duca d’Acquasparta, patrono della scienza e fondatore dell’Accademia dei Lincei. Acquistata l’opera a caro prezzo, il principe affidò ad alcuni artisti l’incarico di setacciare gli archivi alla ricerca di altre illustrazioni relative al manoscritto di Hernandez, ed il principe scrisse un epilogo in forma di saggio, Theatri Naturalis Phytosophicae Tabulae, e fu pronta alla stampa nel 1628.

 

E il principe avrebbe senza dubbio sostenuto il costo della pubblicazione, se ancora una volta, il male e la morte non fossero intervenuti ad impedirla. Così l’Accademia dei Lincei si trovò sì il ‘sacro legato’ della pubblicazione dell’opera di Hernandez, ma non i soldi per realizzarla. Finalmente, un socio esterno dell’Accademia, Francesco Stelluti, riuscì ad ottenere il denaro necessario dall’ambasciatore spagnolo don Alfonso Turiano, e nel 1649, ciò che rimaneva del grande tesoro di Hernandez, con la preziosa collaborazione dei suoi indigeni, primi naturalisti delle Americhe, veniva finalmente stampata a Roma in un volume di 950 pagine, Thesaurus theatri naturalis.




In esso tra infiniti altri figuravano il disegno e la descrizione hernandeziani del quetzal, che appariva col suo nome azteco di quetzaltoloct, ma l’illustrazione risultò tanto scadente, che da lì a non molti anni, un autorevole studioso vi si sarebbe riferito come quella di un uccello ritenuto favoloso.

 

Il questzal, insomma, usciva dalla scena delle scienze europee subito dopo esservi entrato! 

(V.V. Hagen)