CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 29 novembre 2017

LA NATURA MIA MADRE (46)










































Precedenti capitoli:

La morte degli Dèi (45)

Prosegue in:

La Natura mia madre (47) &















 .....il loro 'Verbo'... (48)














E’ ai bordi di una foresta, dove, al chiarore di una ambigua luna, raccolse qualche ghianda, che inghiottì, come una bestia. Dei secoli erano passati dal giorno; una metamorfosi era avvenuta in lei. La bella, la regina di paese non c’era più; la sua anima mutata mutava anche il suo comportamento. Era come un cinghiale su queste ghiande, o come una scimmia, accovacciata. Rimuginava pensieri per niente umani, quando sente o crede di sentire un grido di civetta, poi una selvaggia risata.

Ha paura, ma forse è la ghiandaia burlona che imita tutte le voci; sono i suoi soliti scherzi.

…La risata riprende…

…Da dove viene?

Non vede nulla!




Si direbbe che esca da una vecchia quercia.

…E la sente distintamente:

“Eccoti qua finalmente. Non sei venuta volentieri. E non saresti venuta, se non avessi toccato il fondo del tuo ultimo bisogno. Hai avuto bisogno, l’orgogliosa, di correre sotto la frusta, gridare, di chiedere pietà, di essere schernita, perduta, senza riparo, respinta da tuo marito. Dove saresti se, stasera, non avessi avuto la bontà di farti vedere: lo sai che ti stanno preparando quelli della torre?
E’ tardi, molto tardi, che vieni a me, e quando t’hanno chiamata ‘la vecchia’. Giovane, non sei stata molto buona con me, col tuo piccolo folletto che ero, così premuroso nel servirti. Tocca a te ora (se ti voglio) servirmi e baciarmi i piedi. Fosti mia dalla nascita per la tua malizia contenuta, per il tuo fascino diabolico. Ti ero amante e marito.

Il tuo t’ha chiuso la porta.

Io no!

Io non chiudo la mia.




Ti accolgo nei miei possedimenti, sulle mie libere praterie, nelle mie foreste. Che me ne viene? Non sei nelle mie mani già da tanto? Non t’ho invasa, posseduta, riempita della mia fiamma? Ho cambiato, sostituito il tuo sangue. Non c’è vena del tuo corpo in cui io non circoli quale linfa vitale. Neanche tu puoi sapere quanto mi sei sposa. Ma le nostre nozze non hanno ancora avuto tutti i crismi. Ho dei princìpi, io, degli scrupoli.

Siamo una cosa sola per sempre!”.

“Messere, nello stato in cui mi trovo, che posso dire? Oh, se l’ho sentito, fin troppo bene, che da tempo voi siete tutto il mio destino. Mi avete maliziosamente accarezzata, esaudita, arricchita, per precipitarmi a voi”.




“Sì, sono io che t’ho salvata e t’ho fatta venire qui. Io ho fatto tutto, lo hai capito. Io t’ho perduta. E perché? Perché ti voglio tutta per me. Francamente, tuo marito mi annoiava. Tu temporeggiavi, mercanteggiavi. Io sono abituato altrimenti. Tutto o niente. Ecco perché ti ho un po’ lavorata, messa in riga, ti ho cotta al punto giusto, ti ho maturata per me. Vedi come sono raffinato. Io non prendo, come si crede, le tante anime sciocche che si darebbero. Voglio anime elette, condite come si deve di furore e disperazione. Vedi, non posso negarlo, come sei oggi, mi piaci; sei molto più bella; un’anima attraente. Ah, da quando ti amo. Ma oggi ho fame di te. Farò le cose in grande. Non sono di quei mariti che fanno gli avari con la loro donna. Se non volessi che essere ricca, lo saresti all’istante. Se non volessi che essere regina, prendere il posto di Giovanna di Navarra, benché altri ci tengano, si farebbe anche questo, e il re non ci perderebbe niente in orgoglio, in malvagità. E’ più grande essere la mia donna. Ma su, dimmi cosa vuoi”.




“Messere vendicarmi di quelli del Feudo e ricambiarli con medesimo male, nient’altro”.

 “Bellissima, bellissima risposta. Come ho ragione di amarti! E’ vero, questo comprende tutto, tutta la legge e tutti i profeti. Poiché hai scelto così bene, ti sarà dato, in più tutto il resto. Avrai tutti i miei segreti. Vedrai in fondo alla terra. Il mondo verrà da te e ti metterà l’oro ai piedi. Di più, ecco il vero diamante che ti do, mia sposa, la VENDETTA. Ti conosco, vecchia volpe, conosco il tuo desiderio più nascosto. Come vi si intendono i nostri cuori. Proprio con questo ti avrò, e per sempre.

…VEDRAI LA TUA NEMICA POLVERE SOTTILE IN GINOCCHIO DAVANTI A TE, chiedere pietà e pregare, felice se ti accontentassi di farle quello che lei ha fatto a te.
Piangerà. Tu, gentile, dirai: NO, e la vedrai gridare: morte e dannazione. Allora, sarà affar mio”.

“Messere, serva vostra. Ero ingrata, lo ammetto. Voi mi avete sempre esaudita. Vi appartengo, padrone, dio mio. Non ne voglio più altri. I vostri sono piaceri soavi. Servirvi è dolcissimo”.




...INTANTO NELLE STANZE DI QUEI CASTELLI   FEUDI BEN ARROCCATI NEL SECOLARE POTERE ISTITUZIONALIZZATO….:

Quelli che ancora si possono vedere, parlano più di tutti i libri. Uomini d’arme PRONTI PER NUOVE ANGHERIE (futuri colpi di stato), paggi, valletti, ammucchiati di notte sotto un paio di bassi soffitti, di giorno immobili sui merli, sugli spalti stretti, nella noia più desolante, respirano, vivono soltanto nelle scorribande per la vallata; non più scorribande di guerra sulle terre vicine, ma di caccia, e di caccia all’uomo, intendo dire angherie senza fine, infamie alle famiglie degli UOMINI LIBERI. Il signore sapeva benissimo che una simile massa d’uomini senza donne non se ne sarebbe stata tranquilla se non scatenandola ogni tanto.
L’odiosa idea di un inferno dove Dio impiega qualche anima scellerata, le più colpevoli, per torturare le più innocenti, che lui stesso gli lascia perché si divaghino; questo bel dogma del medioevo diventava realtà in tutto e per tutto.

L’uomo avverte l’assenza di Dio.

Il piacere è l’offesa, picchiare e far piangere.




Ancora nel Diciassettesimo secolo le nobildonne ridevano a crepapelle a sentire il duca di Lorena raccontare come i suoi uomini, in villaggi tranquilli, cacciavano, tormentavano tutte le donne, e anche le vecchie e con loro tutti gli ‘uomini liberi servi di nessuno’.
Lo sfregio colpiva maggiormente, è facile crederlo, le famiglie agiate, relativamente ragguardevoli, che c’erano tra i servi; le famiglie dei servi maggiori, che già nel Dodicesimo secolo vediamo alla testa del villaggio. La nobiltà le odiava, le derideva, le desolava. Non perdonava loro la nascente dignità morale. Faceva pagare alle mogli, ai figli, l’onestà e la saggezza.

Non avevano il diritto d’essere rispettate.


I posteri faranno difficoltà a credere che, presso i popoli cristiani, la legge abbia realizzato quello cui non arrivò mai nella schiavitù antica, abbia messo per scritto come diritto l’offesa accompagnata dalla calunnia più sanguinosa capace di straziare il cuore di ogni uomo degno di questo nome… 


















sabato 25 novembre 2017

QUANDO LA DEMENZA SCENDE IN CAMPO (ovvero quando l'ingegno non conta) (43)



















Precedenti capitoli:

Lotte in Rima (42)

Prosegue in:





















...Ecco il mistero dell'immonda Eresia (ovvero come Dio "recita" la sua preghiera) (44)

"Al cinema danno ora" - dice lei - passeggiando nella nuova città mistica edificata: 

'La morte degli Dèi'.... (45) (sconto per bambini se accompagnati dagli adulti 

vietato introdurre animali...)














Prima ho esaurito i manuali dell’Inquisizione, le asinerie dei domenicani (‘Flagelli’, ‘Martelli’, ‘Formicai’, ‘Fustigazioni’, ‘Lanterne’, eccetera, sono i titoli dei loro libri).

…Poi ho letto i parlamentari, i laici che a quei monaci si sostituiscono, e pur nutrendo disprezzo per loro, quasi li eguagliano in idiozia.

Ne accennerò altrove.

Qui noto soltanto che, dal l300 al 1600, e oltre, la giustizia è identica. Eccettuata una breve parentesi nel parlamento di Parigi, sempre ed ovunque è la stessa feroce demenza.

L’ingegno non conta.

L’acuto De Lancre, magistrato bordolese del regno di Enrico Quarto, all’avanguardia in politica, quando si tratta di streghe precipita al livello di un Nider, d’uno Sprenger, degli stupidi monaci del Quattordicesimo secolo.
E’ stupefacente vedere quei tempi tanto vari, quegli uomini di culture diverse non riuscire ad andare avanti. Poi si capisce bene che gli uni e gli altri furono impediti, di più, accecati, che il veleno del loro principio li rese ubriachi e selvaggi.




Questo principio è il dogma di una radicale ingiustizia:

“Tutti perduti, per uno solo, non solo puniti, ma degni d’esserlo, GUASTI A PRIORI E CORROTTI, morti a Dio ancor prima di nascere. Il poppante è un dannato”.

Chi lo dice?

Tutti, persino Bossuet. Un importante dottore di Roma, Spina, Maestro del Santo Palazzo, formula il concetto con precisione:

“Perché Dio permette che gli innocenti muoiano? Agisce secondo giustizia. Se non morissero dei peccati commessi, morirebbero comunque per la colpa originale” (De Strigibus, pagina 9).




Questa enormità ha due conseguenze, in giustizia e in logica. Il giudice è sempre sicuro del fatto suo; chi gli compare davanti, non c’è dubbio, è colpevole, e, se si difende, ancora di più.
La giustizia non deve faticare, rompersi la testa, per distinguere il vero dal falso. Si parte sempre da un partito preso. Il logico, lo scolastico non sottopone l’anima ad analisi, rendersi conto delle sfumature che vive non è affar suo, ne ignora la complessità, i contrasti intimi e i conflitti. Non ha bisogno, come noi, di spiegarsi come possa cadere a poco a poco nel vizio. Quanto riderebbe, scuotendo la testa, di finezze e cautele così, se fosse in grado di capirle!

Quanta grazia gli darebbe allora il dondolìo delle orecchie superbe che agghindano il suo vuoto cranio! Soprattutto quando si tratta del PATTO DIABOLICO, dello spaventoso contratto dove, per il misero guadagno di un giorno, l’anima si vende al supplizio eterno, noi cercheremmo di ricostruire il cammino maledetto, la terribile successione di sventure e delitti che la sprofondarono.




Il Nostro, se ne preoccupa?

Per lui l’anima e il diavolo sono nati l’una per l’altro, tanto che alla prima tentazione, per un capriccio, una ‘voglia’, un pensiero che passa, quella non esitò a gettarsi nell’orrido estremo.
Neppure i nostri moderni hanno granché indagato la cronologia morale della stregoneria. Si soffermano troppo sui rapporti del medioevo con l’antichità. Rapporti reali, ma vaghi, di poco peso. La vecchia Maga, la Veggente la Sibilla non sono ancora la vera Strega. Le innocenti Sabasie (da Bacco Sabasio), piccolo sabba campestre che continuò nel medioevo, niente hanno a che fare con la Messa nera del Quattordicesimo secolo, la grande solenne sfida a Gesù. Queste creazioni terribili non hanno proceduto sul lungo filo della tradizione. Uscirono dall'orrore del tempo.

A quando risale la Strega e l’antico Stregone? rispondo senza esitare:

‘Ai tempi negati alla speranza’.

Alla profonda disperazione prodotta dal mondo della Chiesa. Senza esitare dichiaro: ‘La Strega è il suo delitto’. Non mi soffermo neppure un attimo sulle sue melliflue spiegazioni, che fingono di attenuare: ‘Debole, leggera era la creatura, facile alle tentazioni. La concupiscenza l’ha indotta al male’.




Come, nella miseria, nella carestia di quei tempi, come poteva quella passione traviare sino al furore diabolico?
Se la donna innamorata, abbandonata e gelosa, se la ragazza scacciata dalla matrigna o la madre picchiata dal figlio (vecchi soggetti di leggende), se hanno potuto cadere in tentazione e invocare lo spirito maligno, tutto questo non è la Strega. Che queste povere creature invochino Satana, non vuol dire che lui le accetti. Sono ancora lontane, ben lontane dall’essere pronte per lui.

Non hanno l’odio di Dio.

Per capire un po’ meglio, leggete gli odiosi registri che ci restano dell’Inquisizione, non negli estratti dl Llorente, Lamothe-Langon, eccetera, ma quel che resta degli originali di Tolosa. Leggeteli così come sono, nella loro tetra aridità, tanto spaventosa e feroce.

Bastano poche pagine, per sentirsi agghiacciare.




Vi prende un freddo crudele. La morte, la morte, la morte si avverte in ogni riga. Siete ormai nella bara, o in una piccola cella di pietra dai muri ammuffiti. I più fortunati vengono messi a morte. L’ORRORE questa parola ricorre all’infinito, come una campana d’infamia che suoni e risuoni, per desolare i morti vivi, sempre la stessa parola: MURATI NELL’ORRORE DELLA FOLLIA CHE AVANZA SPACCIATA PER RETTA SCIENZA.

Orrendo meccanismo per annientare e schiacciare, crudele torchio per spezzare l’anima. Un giro di vite dopo l’altro, strangolata, scricchiolante, schizzò dalla macchina e cadde nel mondo ignoto. Quando appare, la Strega non ha padre né madre, non ha figli, marito, né famiglia. E’ un mostro, un aerolito, non si sa da dove venga. Chi oserebbe  avvicinarla?

Dove vive?

Dove non è possibile, nei boschi di rovi, sulla landa, dove la spina, il cardo intrecciati, impediscono il passaggio. La notte, sotto qualche vecchio dolmen. Se viene scoperta, è l’orrore della gente a tenerla ancora isolata: è come circondata da un cerchio di fuoco. Tuttavia, è difficile credervi, è ancora una donna. Proprio questa tremenda vita preme e tende la sua molla di donna, l’elettricità femminile.




Eccole due facoltà: L’ILLUMINISMO DELLA FOLLIA LUCIDA che, nelle sue sfumature, è poesia, seconda vista, acume sottile, la parola ingenua e astuta, soprattutto la capacità di credere in tutte le proprie bugie. Facoltà non ignota allo stregone maschio. Con lui il nulla e il tutto avrebbe avuto inizio in nome della MADRE TERRA dall’Universo nata.

Da questo dono un altro: il potere sublime di CONCEPIRE IN SOLITUDINE, la partenogenesi che i nostri fisiologi ammettono adesso nelle femmine di parecchie specie per la fecondità del corpo, e che non è più infondata per le concezioni dello spirito. Sola, concepì e generò.

Chi?

Un altro se stessa, che le somiglia da confondersi. Figlio dell’odio, concepito d’amore. Poiché senza l’amore, non si crea nulla. Tremante, così bene si riconosce in questo bambino, si compiace talmente in quest’idolo, che immediatamente lo colloca sull’altare, gli rende onore e gli si immola, si concede vittima e viva ostia. Molto spesso lo dirà al giudice lei stessa: ‘Non temo che questo: soffrire troppo poco per lui’ (Lancre).

Conoscete l’esordio del fanciullo?

Una tremenda risata.




Non ha forse motivo di essere allegro, sulla sua libera prateria, lontano dalle segrete spagnole e dai ‘murati’ di Tolosa? Il suo ‘in pace’ è niente di meno che il mondo. Va e viene, vagabonda. Sono per lui la foresta sconfinata, la landa dai vasti orizzonti. Tutta la terra è sua, ricca nel cerchio che la circonda.

La strega gli dice con amore:

‘MIO POETA’, NARRA DELLA MIA BELLEZZA INQUISITA DA QUESTI IDIOTI LUNGO LA VIA….’

Le piace anche chiamarlo Fiorente’, ‘Boschetto’, ‘Germoglio’. Sono i luoghi preferiti dal monello. Appena visto un cespuglio, vi saltò la scuola. Meraviglia che al primo colpo la strega abbia davvero fatto un essere. Che ha tutto l’aspetto della realtà.

L’hanno visto e sentito (dichiarano unanimi forse perché non appare in mega pixel composto presiedere cotal democrazia digitata dall’uno all’altro mondo ove la parabola narra l’avventura diabolica fors’anche un po’ offuscata ma è solo il perenne fumo di medesima Memoria... corrotta e  falsata nella pubblica, nonché, più che certa appartenenza nel materiale mondo della demenza… così ben rappresentata…).




Chiunque può descriverlo.

Osservate invece l’impotenza della Chiesa. I suoi angeli sono smorti, paiono sfumati, diafani. Lo sguardo li attraversa. Anche con i demoni rubati ai rabbini, la laida legione rancorosa, eccetera, non raggiunse il realismo di terrore che voleva. Ben più che terribili, sono figure grottesche; svolazzano come pagliacci.

Tutt’altro esce satana dal ventre ardente della Strega, vivace, agguerrito ed armato. Per quanta paura faccia, bisogna convenire che, senza di lui, saremmo morti di noia. Tanti flagelli colpiscono quei tempi, ma la monotonia è ancora il più pesante. Quando si cerca di far parlare le Tre Persone tra loro, come a Milton venne la sfortunata idea, la noia arriva al sublime. Dall’una all’altra, è un SI' eterno.
Dagli angeli ai santi, il medesimoo SI'. Questi, nelle loro leggende, graziosissime all’inizio, hanno tutti un insulso odore di parenti, e l’uno con l’altro, ed ognuno con Gesù. Tutti cugini.

Dio ci guardi dal vivere in un paese dove i visi degli uomini, tutti desolatamente simili, hanno questa identità melensa di convento o sacrestia.




Invece il figlio della Strega, ragazzo in gamba, sa rispondere a tono. Risponde a Gesù. Sono sicuro che lo distrae, oppresso com’è dai suoi santi insipidi. Questi prediletti, i figli del padrone, non si scaldano troppo, contemplano e sognano; ATTENDONO attendendo, sicuri di avere un giorno la loro parte di Eletti. Quel poco di attivo che hanno è rinchiuso nel risicato cerchio dell’IMITAZIONE (questa parola è tutto il medioevo).

Lui, il maledetto folle e bastardo, la cui parte non è che la frusta, non ci pensa proprio di attendere. Va in cerca e non si ferma mai. Si dà da fare, dalla terra al cielo. E’ molto curioso, fruga, penetra, tocca, e ficca il naso dappertutto. Del ‘Consummatum est’ se ne frega, si prende gioco. Non fa che ripetere: ‘Più in là’ e ‘Avanti’. Del resto, è di bocca buona. Raccatta tutti gli scarti; il cielo getta, lui raccoglie.

Ad esempio, la Chiesa ha scartato la Natura, come impura e sospetta. Satana la prende al volo, se ne ammanta. Non solo, la coltiva e la sfrutta, ne fa fiorire arti, accettando il titolo con cui vogliono marchiarlo, PRINCIPE DEL MONDO. Avevano detto imprudenti: ‘Guai a chi ride’. Cedendo a priori a Satana una parte troppo bella, il monopolio del riso, e proclamandolo ‘divertente’. Meglio, ‘necessario’. Poiché ridere è una funzione essenziale della nostra natura.

Come trascinare la vita, senza poter ridere, almeno tra i dolori?




La Chiesa, che non vede nella vita che una prova, non si preoccupa di prolungarla. Sua medicina è la rassegnazione, l’attesa e la speranza della morte. Vasto campo per Satana. Eccolo medico, guaritore dei viventi. Meglio, consolatore; ha la compiacenza di mostrarci i nostri morti, di evocare le ombre amate.

La Chiesa scarta un’altra cosetta, la Logica, la libera Ragione.

Ghiotto boccone che l’ALTRO addenta con avidità. Aveva coniato in chiare strofe ‘in pace’ dal soffitto basso, rischiarato da una luce cieca, da una certa fessura. Si chiamava ‘la Scuola’. Ci lasciavano qualche chierico e gli dicevano: ‘Sii libero’.

Diventavano tutti dei buoni a nulla.

Trecento, quattrocento anni confermano la paralisi. Il punto di Abelardo è esattamente quello di Occam. E’ curioso che si cerchi proprio là l’origine del Rinascimento. Arrivò, ma come? per l’impresa satanica di quanti hanno sbrecciato il soffitto, per lo sforzo dei dannati che volevano vedere il cielo. E soprattutto avvenne, lontano dalla scuola e dai dotti, a saltare la scuola nei boschi, dove Satana insegnò alla Strega e al pastore.

Istruzione rischiosa al massimo, ma erano proprio i rischi ad esaltare l’amor curioso, lo sfrenato desiderio di vedere e sapere. Là iniziarono le male scienze, la farmacia proibita dei veleni, e la maledetta anatomia. Il pastore, spia delle stelle, osservando il cielo, portava là le sue colpevoli ricette, i suoi esperimenti sugli animali. La Strega sottraeva e portava dal cimitero vicino un corpo; e per la prima volta (rischiando il rogo) si poteva osservare questo miracolo di Dio ‘che scioccamente si nasconde, invece di comprenderlo’ (come ha detto così bene il Serres).




L’unico dottore ammesso là da Satana, Paracelso, vi ha notato un terzo, che penetrava alle volte nell’assemblea sinistra, portandovi la chirurgia. Era il chirurgo di quei tempi di bontà, il boia, l’uomo dalla mano ardita, capace di usare il ferro, che rompeva le ossa e sapeva aggiustarle, ammazzava e talvolta salvava, appendeva fino a un certo punto. L’università criminale della strega, del pastore, del boia, negli esperimenti loro, che furono sacrilegi, animò l’altra, costrinse la rivale a studiare. Poiché ognuno voleva vivere. Tutto è dovuto alla strega; avrebbero voltato per sempre le spalle al medico altrimenti. A forza la Chiesa subì, permise quei crimini. Dovette riconoscere che esistono veleni buoni (Grillandus). Messa con le spalle al muro, lasciò sezionare in pubblico. Nel 1306, l’italiano Mondino apre e seziona una donna; una nel 1315. Rivelazione sacra. Scoperta d’un mondo (non c’è confronto con Cristoforo Colombo). Gli sciocchi rabbrividirono, sbraitarono. E i saggi caddero in ginocchio. Con vittorie così, Satana non aveva certo paura di morire. La Chiesa da sola non sarebbe mai riuscita a distruggerlo.

I roghi fecero fiasco, ma non una certa politica.

Divisero astutamente il regno di Satana.

Contro sua figlia, la Strega & lo Stregone antico Sciamano, armarono suo figlio, il Medico. La Chiesa, che odiava profondamente, con tutto il cuore, costui, per estinguere la Strega gli assicurò lo stesso il monopolio. 

Gli stregoni certo furono dei noiosi. Ora che l’hanno spinto così in rovina, si rendono ben conto di quello che hanno fatto? Non era un attore necessario, un rotella indispensabile alla grande macchina religiosa, ormai un po’ ansimante? Ogni organismo sano è doppio, ha due facce. Come la vita. E’ un certo equilibrio tra due forze, contrarie, simmetriche, ma diseguali: quella inferiore bilancia, reagisce all’altra. La superiore si spazientisce e vuole sopprimerla. Sbaglia. Quando Colbert (1672), senza tante complimenti, licenziò Satana proibendo ai giudici di ricevere i processi di stregoneria, l’ostinato parlamento normanno, nella sua buona logica normanna, indicò i pericoli di una simile decisione.

Il Diavolo è un dogma, né più né meno, legato a tutti gli altri.

Colpire l’eterno sconfitto, non è colpire il vincitore?




Aver dubbi sulle azioni del primo porta ad averne su quelle del secondo, sui miracoli compiuti proprio per combattere il Diavolo. Le colonne del Cielo hanno le loro fondamenta nell’abisso. L’incauto che smuove queste fondamenta infernali rischia di aprire crepe nel Paradiso. Colbert non ascoltò. Aveva altro da fare. Ma il Diavolo forse sentì. E questo lo consola molto. Nei lavoretti con cui si guadagna il pane (spiritismo o tavolini che ballano), si rassegna, pensando che almeno non muore solo…
















giovedì 16 novembre 2017

...NOI DA MATTERA ANDIAMO A FOLLIGNO... (40)

















































Precedenti capitoli:

Due passeggeri a bordo.... (39)

Prosegue in:

Lotte in Rima al crocevia della via (41) &

















....una strega a bordo (42)













Salite, svelti, pur se ci si bagna:
La Nave va al paese di Cuccagna,
E non importa se ne abbiam magagna.
Non credere che siamo noi soltanto
I pazzi: il mondo si può dare vanto
Di averne come noi grandi e piccini
In ogni terra, entro tutti i confini.
Noi da Mattera andiamo a Folligno,
Da Montefiascone un vento maligno
Porta a Cuccagna, ma mai ci arriviamo:
Di navigare capaci noi siamo.
Andiamo dunque costa a costa,
Cercando un porto in cui fare sosta:
non ne troviamo, e la nave è avariata
Né mai la nostra ciurma riposata
(di tanta abbondanza derubata..).
Giorno e notte giriam senza sapere
Dove si possa infin sollievo avere,
Ché nessun vuole dar retta a saggezza.
Di gente come noi c'è gran larghezza,
E sono cortigiani e leccapiedi
Che la Nave seguire a nuoto vedi
E infin salire sulla nostra corte
E navigar tentando la lor sorte
Come noi. Senza scopo né ragione,
Eppur gravosa è la navigazione:
Chi infatti carte a consultare è stato,
Alla bussola chi ha il corso affidato,
Chi la clessidra ha pur mai capovolto?
E chi alle stelle il proprio sguardo ha volto,
Cercando l'Orsa, Boote e le Iadi,
Chi ha fatto il punto su Arturo e Pleiadi?
Tra le Simplegadi sì che siam finiti,
E della nostra Nave sugli assiti
S'avventano le rupi d'ambo i lati,
E se sono a tal punto frantumati,
Che pochi posson salvezza sperare.
La Malasorte deve attraversare
La Nave, e da ogni riva è allontanata,
Poiché Scilla, Cariddi e sciagurata
Sirte ci fanno la rotta smarrire.
Non meravigli dunque se venire
Per mar vediamo bestie stravaganti,
Come Sirene e Delfini altrettanti,
Che ci rivolgon dolci cantilene
Tali che presto sonno a noi ne viene,
Sì che allo sbarco noi più non pensiamo.
Appare allora - e vero lo crediamo -
Il Ciclope che ha l'occhio rotondo
In cui Ulisse ficcò una trave a fondo,
L'astuto, ché veder non lo potesse
E nessun altro danno gli facesse,
Oltre a muggire come il bove fa
Che al coltel del beccaio sottostà.
L'astuto fuori si fece portare
Da arieti, dentro lasciandolo urlare,
Gemendo e molte lacrime versando,
Anche se volle ucciderlo lanciando
Massi. Quell'occhio al Ciclope ricresce:
Non appena di udire gli riesce
L'esercito dei folli lo spalanca
Quanto la faccia intera, né si stanca
Un matto dietro l'altro d'inghiottire
Con quella bocca che sa bene aprire
Da quest'orecchio a quello. Gli altri matti
A lui sfuggiti, ben presto sottratti
Dal re Antifate saranno alla vita
Coi Lestrigoni che in turba infinita
Nessun matto si lasciano sfuggire,
Essendo il cibo che soglion preferire.
A ogni ora del giorno aman gustarne
La carne, e il sangue come vin trincarne.
Sarà quello il ridosso degli stolti!
  Inventò Omero questi casi molti
Perché si fosse pensosi ed attenti
Ai tanti rischi in mar sempre presenti.
E dunque egli Odisseo molto lodava,
Che ottimi consigli spesso dava,
Quando davanti a Troia combatteva
E per diec'anni interi poi correva
I mari, ritornando salvo e sano.
Allorché Circe tolse aspetto umano
Ai suoi compagni con filtri attossicati,
E in bestie tutti li volle mutati,
Fu Ulisse così saggio e così astuto
Da non gustare cibo, né bevuto
Ebbe nulla, se prima egli non sciolse
L'incantamento, ed i compagni tolse
Da schiavitù con l'erba moly detta.
L'astuto si affrancò dalla disdetta,
Così facendo, in paesi diversi;
Ma non poté dal navigare tenersi,
Per cui non sempre al sicuro rimase:
Vento contrario lo investì e gli rase
L'albero e la sua nave infine infranse,
Ed i compagni perduti egli pianse,
Solo restato, ch'erano annegati,
E con le vele e i remi sprofondati.
Ma ancora saggezza in aiuto gli venne,
Per cui nuotando alla riva pervenne
Nudo, e poté ancor molto narrare.
Ma poi gli accadde di farsi ammazzare
Dal figlio suo, quando all'uscio bussò
Di casa: sagacia più non l'aiutò.
Nessun allora riconobbe il padrone,
A parte il cane che Argo aveva nome:
Così morì, poiché rimase ignoto
A chi doveva pur essergli devoto.
  Ma voglio al nostro viaggio ritornare:
Nel fango noi la fortuna trovare
Vogliam, sì che incagliati finiremo
E in pezzi andare l'albero vedremo,
Manovre e vele, e non possiam nuotare
Nel mare in furia e l'onde superare,
E chi si crede sulla cresta giunto,
Di sprofondar nel cavo è già sul punto.
Il vento ora le gonfia ora le spiana:
La Nave mai tornerà della mattana,
Ma a picco andrà definitivamente.
Noi non abbiamo astuzia e saggia mente
La spiaggia per raggiungere nuotando,
Come Odisseo che del destin nefando
Sì tolse, dopo aver naufragio fatto,
Nudo, eppure tornando a casa ha tratto
Più di quanto perduto non avesse.
Noi sopra banchi andiam, tra rocce spesse;
Sommergono la Nave negre ondate,
Le scialuppe ci vengono trappate,
Presto sarà l'equipaggio travolto
E il capitan da morte sarà colto.
Vedi come la Nave rolla e ondeggia,
Il gorgo la risucchia come scheggia
E quanto si trovi a bordo inghiottirà.
A noi saggio consiglio mancherà,
A qual santo votarci non sappiamo
Mentre nel rischio estremo ci troviamo
Dalla procella d'essere rapiti.
Un saggio avrebbe i suoi giorni finiti
In casa, asciutto, traendo insegnamento
Da nostra sorte, stando bene attento
A non avventurarsi a cuor leggero,
Sul mar, per quanto sia bravo nocchiero
Capace di vedersela coi flutti
Come Ulisse ai suoi tempi, che pur tutti
Ci rimise i compagni, e surnuotò
Mentre la nave a picco se ne andò.
   Poiché dovran matti molti annegare,
Possa per noi la salvezza restare
La riva alla qual giungere vogliamo;
Il remo tutti nel pugno stringiamo,
E dov'è il porto teniamo presente;
Chi è sensato ci arriva facilmente:
Anche senza di lui ne resteranno,
Di matti molti, che naufragheranno!
Il più sagace è colui che sa bene
Le cose che a tutti di fare conviene
O tralasciare, e che non ha bisogno
D'istruzioni in tal senso, ché il suo sogno
E' la saggezza di magnificare;
Ed è avveduto anche chi sa ascoltare
Gli altri, quando gli mostrano il sentiero;
Ma appartiene dei matti al grande intero
Chi abbia sempre le orecchie tappate
E non vi ascolta, chiunque voi siate.
Su questa Nave egli non s'è imbarcato?
Altro legno sarà presto arrivato,
Dove lieta brigata troverà
e il 'Gaudeaumus' intonar potrà,
Oppur la 'Litania in onor dei folli'
Che vien cantata sull'aria dei polli.
Non tutti ancora imbarco troveranno,
Ma i molti accolti a picco se ne andranno.
(S. Brant, La nave dei Folli)














lunedì 13 novembre 2017

ED ALLA FINE WEST DISSE... (ovvero ruscelli d'autunno) (37)







































Precedenti capitoli:

Go West Baby & Pellegrini & Predicatori

Prosegue in:

Un passeggero a bordo (38) &











Secondo passeggero (39)

















….Il 15 novembre 2005 alcuni ex passeggeri del treno funebre di Kennedy si radunarono al Campidoglio insieme a centinaia di altre persone (ebbene ripropongo in questi tempi in cui i valori della sana ed onesta politica smarriti tale evento; valori smarriti in ogni luogo ove questa nello strano crocevia che si forma da sinistra a destra non meno del centro compresi gli strilloni del nuovo parlamento, viene esercitata senza competenza e capacità alcuna giacché la volontà del potere, e non certo del cambiamento, logora… Quindi sottraggo questo personaggio di altra statura alla politica per celebrarlo in onor della Storia…. Giacché questa priva di qualsivoglia fondamenta ed oggi eretta con i peggiori sentimenti quali nuova stratigrafica condizione su cui poter fondare retta, o peggio affermano, sana evoluzione; in verità e per il vero il treno e non certo quello odierno di cui la democrazia disconosce ogni democratico principio, quel treno dicevo.. è pur fermo e forse mai partito per edificare una.... 




...nuova Terra senza l’immancabile urlo disperato del West… assommato al quarto & quinto potere ed oggi più di ieri - pur i mezzi evoluti - difettare nel teatro cui consumare ogni nuovo quanto antico delirante spettacolo purché la ‘grande-notizia’ faccia la propria comparsa a suon di nacchera… lieta annunciare morte prematura, oppure, offrire libagioni al Faraone incoronato a furor di popolo, difettando pronostici e calcoli nella stratigrafica condizione in cui la stessa [democrazia] ancorata ad una miopia prossima alla cecità con cui si è soliti ignorare i principi della vita ed in cui l’idealismo asservito e sacrificato all’altare di una corrotta e delirante economia, [qualcuno è giunto ad ugual simmetriche conclusioni ed anche lui vinto da un voto ignorato o fors’anche…. annullato nell’eterno sonno della ragione per conto di un miglior stato] annunciare la fine prematura tanto per il nativo quanto chi pur l’ha difeso nella giustizia di un equo mondo terreno…)… non ci sono altri casi di eventi simili organizzati per festeggiare gli anniversari di presidenti…




Per cui per un attimo - e se potessi in questo… - fermiamo il tempo e sogniamo quanto in verità non ci è permesso… perché la Storia rigurgita di personaggi con fucili e pistole abbattere ogni Speranza… terrena… Ed immaginiamo che Kennedy lasci la Embassy Ballroom per una diversa strada, o sposti la testa di un centimetro nel momento in cui Sirhan (e quanti come lui…) esplodere il colpo comandato da chi assente ad ogni retto principio e con questo morale e valore consoni alla Vita…




Allora, invece di riposare in una bara di mogano nella navata della cattedrale di Saint Patrick a New York, il 7 giugno si alza prima dell’alba, ed ora, nel momento in cui scrivo e qualcuno leggerà tal solitaria commemorazione poter attingere dal suo sacrificio e come lui ed in lui edificare quanto non è stato concesso. Immaginiamo così di poter consumare una fugace colazione insieme ai delegati dello stato alla Convention nazionale, immaginate di poter proseguire con il suo Grande Spirito fino alle Niagara Falls, dove un magnifico pomeriggio di primavera o di autunno inoltrato, con il muro di acqua scrosciante alle spalle pronunciare il discorso di apertura della campagna, e non solo sua, ma di ognuno che aspira ad un mondo più nuovo e giusto, e poi volare a Long Island e, in piedi sul rimorchio di un camion nel parcheggio del Walt Whitman parlare di fronte a parecchie migliaia di volti con impressa l’ideale della Poesia travalicare ogni confine e come gli antichi ci insegnano, ispirare ogni vero e più saggio principio… e permettere ad ogni bambino futuro ‘uomo’ di poter rimembrare quel ruscello e pregare i motivi del suo e nostro Pensiero… in lui riflesso… acqua limpida di solidi principi trasparente ad ogni diversa corrente… e non addomesticata alla facile condotta che tutto inquina nel contrario di quanto costretto…




PERCHE’ C’ERA UN BAMBINO CHE USCIVA OGNI GIORNO

E il primo oggetto che osservava, in quello si
trasfondeva,
e quell’oggetto diventava parte di lui per quel giorno o
per parte del giorno,
o per molti anni o vasti cicli di anni…

I primi lillà divennero parte del bambino,
e l’erba e i convolvoli bianchi e quelli rossi, il bianco e
il rosso trifoglio, e il canto del saltimpalo….

E poi i dubbi del giorno e i dubbi della notte,
l’incuriosito se e come,
se ciò che appare è realmente in quel modo, o è solo polvere e bagliori….

Perché uomini e donne divenuti adulti e che affollano
le stesse strade che cosa sono [divenuti ora]
se non polvere e bagliori?

(W. Whitman)


PER UN BAMBINO QUESTO PENSIERO

Va intorno al monte, vai piano,
poiché il monte è lieve e silenzioso,
immaginati l’ampia valle
sull’altro lato del monte,
pensati al di là del monte
nella valle non protetta,
dove forse c’è dolore o pericolo.

Traccia un cerchio di [buoni] pensieri
intorno al lieve, silenzioso, monte
e il monte si trasforma in cristallo,
e tu vedi la valle aperta
attraverso il monte di cristallo,
e l’intera verità del monte
e della valle è tua.

Vai intorno al monte, vai cauto,
ed entra piano,
nella valle colma di pace,
dove batte il cuore del monte di cristallo.

(Nuvola Blu)

E IL CRISTALLO MI NARRA UNA VERITA’ INFINITA DALL’ALBA AL TRAMONTO  RECITANDO UGUAL PREGHIERA INCISA NEL CERCHIO DELLA VITA

Un lupo gentile
mi ha svelato un segreto;
sul mare – dall’acqua blu,
sui piccoli pesci
e i pescecani….

(Nancy Benton, 6 anni)




E come dicevo… immaginate di poter proseguire con il  Grande Spirito rimembrato fino alle Niagara Falls, dove un magnifico pomeriggio di primavera o di autunno inoltrato, un muro di acqua scrosciante di un ruscelletto divenuto torrente di folla e gente quali bagliori e lampi di luce pronunciare il discorso di apertura della campagna e di nuovo poter udire: ‘Avete sentito del voto indiano?’;… Kennedy infila poi la testa in una stanza e domanda ai giornalisti che la affollano: ‘Volete che parli degli indiani? Pensate, in una contea del South Dakota c’erano in palio 858 voti indiani. Io ne ho avuti 856, Humphrey solo 2’. Poi con un sorriso furbo aggiunge: ‘McCarthy [sì proprio lui quello della caccia alla streghe e dei lupi mannari…] non ne ha preso neanche uno (non un voto né un libro…)’.

Poi il ruscello divenire cascata nell’abisso precipitato

Perché uomini e donne divenuti adulti e che affollano
le stesse strade che cosa sono [divenuti ora]
se non polvere e bagliori?



  
I risultati della California arrivarono con lentezza, dato che per la prima volta a Los Angeles si votava utilizzando macchine che perforavano le schede elettorali, e al conteggio definitivo Kennedy ebbe quasi il 95% del voto… (se solo ora non fosse Elemento - aria fuoco vento e Terra - di questo Frammento divenuto Storia…)…




Dopo il 1968 la parola ‘speranza’ è divenuta l’equivalente oratorio di spilla con la bandiera americana appuntata alla giacca, un abbellimento retorico di rigore, corrispondente ad una vaga promessa di giorni migliori. Ma la speranza che offriva Robert Kennedy era qualcosa di specifico: che la fiducia degli americani (e con loro molte altre nazioni…) nella propria integrità e decenza morale potesse essere ripristinata e non mortificata ogni giorno. Il suo assassinio, avvenuto il 5 giugno, 82 giorni dopo l’annuncio della candidatura, non rappresentò solamente la morte di un altro Kennedy o di un giovane e promettente leader politico, ma la fine di questa speranza (coronata, o meglio potremmo dire e non certo recitare, sublimata con l’avanzare di un simmetrico vagone procedere nel verso opposto trasportare veri fantasmi affollare ugual delirante mondo politico dismesso e privato dei suoi basilari principi e diritti sacrificato all’altare di personaggi all’ombra di un  McCarthy, o ancor peggio, di un miliardario Hoover, ma forse più avvezzo ad un Hoffa sindacato di ricchi ingordi affaristi senza scrupoli e deliranti zar con i cappucci del vecchio klan affollare medesime strade per L’America detta non meno dell’Europa, ma quantunque accomunati  uniti e difettati di quella specifica distanza e consistenza nel profilo che distingue un idealismo politico dal più ‘basso consumismo’ nel poter coniare qualsivoglia moneta e con questa sana e più concreta ricchezza [penso che anche Lincoln mi darebbe ragione e assistenza] che avevano reso l’America degna del proprio ed altrui sogno recitare e auspicare un ‘mea-colpa’ ove poter di nuovo fondare una Frontiera degna di questa nome e non un muro nell’Impero conteso con una Cina divorare ciò di cui resta - visto che il tutto condito fa rima con rovina nel ghetto di ugual via…)…




Tutto ciò spiega perché l’8 giugno 1968 abbia avuto luogo la più spettacolare dimostrazione di cordoglio pubblico per un cittadino americano che non era mai stato eletto presidente, quando un convoglio funebre di 21 vagoni ferroviari, con la locomotiva pavesata a lutto, trasportò la salma di Kennedy da New York, dove si tenne il funerale, fino a Washington, ove fu sepolto. I treni che avevano trasportato le spoglie dei presidenti Abraham Lincoln e Franklin Roosevelt viaggiarono da corteo funebre, sorpassando falò, bande e folle in lacrime, e sostando per momenti di omaggio.
Invece il treno di Kennedy avrebbe dovuto procedere a velocità normale, senza mai fermarsi. Certo ci si attendeva la partecipazione della gente, ma nessuno si immaginava che in quel soffocante sabato pomeriggio due milioni di persone si sarebbero dirette verso i binari, guadando acquitrini, attraversando prati, scivolando sotto le staccionate, ammassandosi ai balconi dei caseggiati, arrampicandosi sui tetti delle fabbriche, stando in piedi nei depositi di robivecchi e nei cimiteri, sbirciando in basso da ponti, viadotti e alture; il cronista politico Theodore White, uno dei 1146 passeggeri, scrisse. ‘In ogni modo, solo quando il treno funebre che lo trasportava a Washington emerse dal tunnel sotto l’Hudson ci si rese conto davvero di che genere di uomo fosse stato e di cosa avesse rappresentato nel suo ed altrui sogno spezzato….’.
(T. Clarke, L’ultima campagna)