CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 24 settembre 2019

LA DANZA DEGLI SPETTRI (6)



















Precedenti capitoli:

Viaggiatori d'altri tempi (5/1)

Prosegue con il clamoroso....














Annuncio della candidatura alla... (7) &
























Presentazione dei futuri Ministri (8)   &  (9)













Thoreau partì per il Canada il 25 settembre del 1850, insieme all’amico William Ellery Channing e ad altri millecinquecento viaggiatori statunitensi, e tornò il 3 ottobre, poco più di una settimana dopo. Un viaggio sicuramente breve…

Allo sguardo del viaggiatore, si unisce poi quello del lettore, perché Thoreau scopre queste terre non solo attraverso i suoi occhi, ma anche attraverso quelli dei viaggiatori, esploratori, geografi, conquistatori e scienziati che lo hanno preceduto. I testi sul Canada presenti nella biblioteca personale di Thoreau, così come quelli che consultò nella biblioteca di Harvard al suo ritorno, popolano queste pagine non come semplici citazioni di circostanza, ma come vere e proprie guide che permettono al lettore di scoprire i due viaggi di Thoreau: quello compiuto fisicamente, insieme al gruppo di millecinquecento yankee di cui faceva parte, e quello compiuto con la mente, al ritorno, in tutte le letture dedicate al Canada, che portano Christie a dire che “fu subito dopo il suo ritorno da questo viaggio del 1850 che cominciò realmente il suo intenso viaggio in Canada”.




“Alcuni sostengono che il New England sia un’isola, che confina a nord con il fiume Canada (il cui nome deriva da Monsieur Cane)”. Ed ancor prima, nel ‘New English Canaan’ di Thomas Morton, pubblicato nel 1632, si legge, a pagina 97: “Dal lato nord di questo lago [Ontario] proviene il famoso fiume del Canada, che deve il proprio nome a Monsieur de Cane, il nobile francese che per primo fondò una colonia francese in America”.

…Avvicinandoci al Lago Champlain cominciammo a scorgere le montagne dello Stato di New York…




Per onor di quella Logica Spirituale di cui imbevuti tutti i miei scritti, dovrei ora rivolgermi alla grande Mela, ma preferisco proseguire per il Maine abdicando al Grande Teatro l’Opera Incompiuta una misera mela selvatica ammirata nella propria selvaggia bellezza sino all'accampamento della dovuta Riserva…

Però alla Mela qui colta riservo un po’ di Storia:




A partire dal XVII secolo, i coloni olandesi e inglesi riempirono in modo sistematico il territorio con la loro gente e i beni che avevano prodotto a partire dalle abbondanti risorse naturali del Nordamerica. Una crescita demografica sostenuta intorno al 3% annuo raddoppiava la popolazione ogni quarto di secolo, di fatto il tasso di crescita massimo per una popolazione umana in condizioni ottimali.

Al tempo stesso la costruzione di fattorie da parte dei coloni in un ambiente dal suolo fertile e dal clima temperato e ricco di legna, acqua e ferro produsse una crescita economica impressionante per un tipo di società preindustriale. Per la metà del XVIII secolo, c’era un numero crescente di bianchi poveri e un quinto della popolazione era costituito da schiavi africani, ma la maggior parte degli americani godeva di uno standard di vita più alto dei contadini, degli operai e dei mendicanti d’Europa.

Per gli standard europei, i comuni cittadini bianchi delle colonie nordamericane erano ben nutriti, ben vestiti e bene alloggiati.

Questo successo economico era dovuto soprattutto a spese dei nativi.




Malattie epidemiche introdotte in Europa e verso le quali le popolazioni native non avevano difese immunitarie ridussero gli indiani lungo le coste atlantiche ad un decimo del loro numero originario. Gli invasori trassero vantaggio anche dalle loro armi più avanzate, dalla divisione degli indiani in molti gruppi etnici o tribù diversi e spesso ostili, dalla loro crescente dipendenza dagli strumenti di metallo e dalle stoffe fabbricate dagli europei.

Entro il 1790 le tribù indiane erano state uccise o deportate a ovest al di là degli Appalachi o confinate in piccole riserve circondate, sovrastate numericamente e dominate dagli coloni. Nel quattro decenni successivi i coloni degli Stati Uniti superarono le montagne ed espropriarono gli indiani che vivevano nelle valli dell’Ohio e del Mississippi e lungo le sponde meridionali dei Grandi laghi.

Nello stato di New York questo processo di espansione degli insediamenti americani e di restrizione del territorio occupato dagli indiani era stato relativamente lento fino alla metà del XVIII secolo. I cittadini olandesi avevano per primi occupato la valle dell’Hudson all’inizio del XVII secolo. Dopo la conquista inglese del 1664 lo stato di New York divenne una delle colonie etnicamente più diversificate dell’impero britannico poiché tedeschi, inglesi, scozzesi-irlandesi e schiavi africani si unirono agli olandesi.




Comunque, fino agli sessanta del Settecento, ci furono pochissimi insediamenti di bianchi oltre alla valle dell’Hudson perché le terre verso occidente fino al lago Erie appartenevano alle sei tribù della confederazione irochese, l’abilità militare e diplomatica e la posizione strategica degli Irochesi tra i britannici e i loro avversari francesi in Canada indussero i funzionari dello stato di New York a trattare quegli indiani con prudenza e rispetto, frenando l’invasione delle loro terre da parte dei coloni.

Intorno alla metà del XVIII secolo, il potere degli Irochesi declinò, ed intorno agli anni Ottanta del secolo, venne meno del tutto. Dopo la conquista britannica francese nel 1760, gli Irochesi persero quasi completamente il loro importante ruolo diplomatico di mediatori. Durante gli anni Sessanta e i primi anni Sessanta del Settecento dovettero fare i conti con i vasti nuovi insediamenti nella parte settentrionale e centrale dello stato di New York, in quanto i funzionari provinciali imperiali smisero di tenere a freno e, anzi, spesso incoraggiarono speculatori terrieri e i coloni.

Durante la Guerra d’Indipendenza americana la maggior parte degli Irochesi cercò di recuperare la propria posizione schierandosi con l’impero britannico e gli americani lealisti nella guerra civile contro la maggioranza americana ribelle. Le forze congiunte Irochesi, britanniche e lealiste causarono distruzioni tra i coloni e li costrinsero ad abbandonare di fatto i nuovi insediamenti a ovest di Schenectady. Ma per gli indiani le sofferenze furono ancor più gravi, soprattutto nel 1779 quando le truppe americane del generale Sullivan distrussero la maggior parte dei loro villaggi.





Abbandonati dai loro alleati britannici nel 1783, le tribù Irochesi dovettero accettare le condizioni espressamente imposte dai loro avversari in una serie di trattati che entro il 1800 le privarono di quasi tutti i loro territori.

Colonia dallo sviluppo lento, New York divenne lo stato più dinamico della repubblica americana da poco indipendente. Durante i quattro decenni successivi fino alla guerra del 1783, migliaia di yankee si spostarono in massa dall’affollato New England verso la parte settentrionale dello stato di New York per sostituirsi agli Irochesi e sovrastare numericamente la popolazione residente ed etnicamente eterogenea di New York che, in ragione soprattutto di questa invasione quadruplicò, passando da 340.120 abitanti nel 1790 a 1.372.812 nel 1820. Nel 1790 lo stato di New York era il quinto della nazione per popolazione, dopo la Virginia, Massachusetts, Pennsylvania e Carolina del Nord.

Per il 1820 quello di New York era diventato lo stato più popoloso della nazione, nonché il leader nell’investimento di capitali in manifatture e attività bancarie e nei traffici commerciali. Gli yankee operarono in tempi rapidi enormi cambiamenti nel paesaggio, abbattendo foreste e producendo grandi quantità di granturco, grano, segale, carne di maiale e di manzo, e lana. La nuova, dirompente espansione territoriale e demografica superò in velocità ed ampiezza l’esperienza di tutte le generazioni americane precedenti.




Partito da Concord mercoledì mattina, 25 sett, per Quebec. Andata e ritorno 7 $. Costretto a lasciare Montreal per ritornare venerdì 4 ottobre. Oltre Fitchburg nuovo paesaggio. […]

Mentre ti avvicini al lago Champlain, inizi a vedere le montagne di New York. La prima vista sul lago a Vergennes è impressionante, e ravviva una associazione psicologica giacché si trova lì così piccolo (non appare in quella proporzione alla larghezza dello stato che fa sulla mappa), ma magnificamente tranquillo, come una foto del Lago dei Quattro Cantoni a Lucerna.

…A Burlington corri verso un pontile e prosegui salendo a bordo di un battello a vapore, duecentotrentadue miglia da Boston. Abbiamo lasciato Concord venti minuti prima le otto del mattino, ed erano a Burlington circa le sei di notte, ma troppo tardi per vedere il lago. Abbiamo la nostra prima bella vista sul lago all’alba, poco prima di raggiungere Plattsburg, e ho visto catene montuose blu in lontananza…

Ho chiesto ai selvaggi se quei luoghi erano abitati. Hanno risposto che lo erano e che erano irochesi, e quello in quei luoghi c’erano bellissime vallate e pianure fertili nel mais con cui si sfamavano assieme ad una infinità di altri frutti.




Avevamo ancora un panorama distante dietro di noi di due o tre montagne blu nel Vermont e New York. Verso le nove del pomeriggio abbiamo raggiunto San Giovanni, una vecchia frontiera posta trecentosei miglia da Boston, e ventiquattro da Montreal. Ora l’abbiamo scoperto eravamo in un paese straniero, in una stazione di frontiera di un’altra nazione. Questo edificio era una struttura simile a un fienile, sembra che fosse il lavoro degli abitanti del villaggio messi insieme, come una casa di tronchi in un nuovo insediamento. La mia attenzione è stata catturato dalla doppia pubblicità in francese e inglese…

…Oggi ho udito cantare un solitario… l’unico che abbia udito da tanto tempo. Sembrava uno scoiattolo o un uccellino, limpido ed acuto – me lo immaginavo come un pettirosso dalla sera che cantasse in questo crepuscolo dell’anno. Una vena davvero bella e poetica per un cantore così piccolo.

…Dietro casa Dennis, ho trovato tre ottime punte di freccia, la loro stagione è cominciata qualche tempo fa, quando i contadini seminavano la loro segale d’inverno penso che le raccoglieremo ancora…  












sabato 21 settembre 2019

MIA AMATA TI SCRIVO (3)












































Precedenti capitoli...

Con Nonna (Giuseppina)...

...Non prima però...


Prosegue in mare...
























...Con un Galeone... (4)  &

















Con viaggiatori d'altri tempi (5)













Mia amata ti pongo questa mia!

Abbi fiducia giacché lasciata la nonna con la miglior giacca non ancora camicia con forza giungerò al tuo capez…

…Scusa, altare…

Donde ti scrivo regna sordo e primitivo amore di oscure selve non ancora evaporate al muto ululato di…

…Animali danzanti che mangiano Alberi.




È Stagione di semina!

Cavalli fuori-strada ancor non cavallette corrono per ogni campo con solo il ‘calcio’ dell’ultimo fischio… di…

Il treno deraglia alla prima curva solo perché andava lento e vien di fretta…

…Bob mi dice che è festa pagana su nel Montana non può perdere l’impiego!




Ogni tanto un Dinosauro solca il limpido Cielo.

Le Stelle dimorano alla de-riva.

La Stalla brucia eretico tormento.

Lo Stallone nero con la bianca puledra rimano una canzone antica.

Rambo parla con Madonna!




Il Boss li accompagna in Banca.

Non hanno più una Lira…

…L’Harpa svizzera li tien stretti alla Cima!

La Parabola porta scritto ed inciso solo il tuo nome!

La Terra trema e suda.

Grilli e cavallette dal Texas fino alla Mela promettono nuovo raccolto.




Invadono la Terra debbo chiudere Persiana…

…La cameriera del desiderio d’ognuno…

Nell’ultimo tram inseguito solo e senza biglietto!

Mi promette col ventre che ci sarà solo amore e poesia!

Nuda come l’oscura hora della Prima Poesia quando il cielo - nero come il nettare - alto eleva la Rima d’ogni Terra…




Indossa un merlettato stile sado-maso ma io baratto il Kaftano-Afgano giacché solo e te ho giurato eterno amore mai consumato…

Mi sono consumato solo al nudo tuo Pensiero…

Presto ti sposo!

Un gruppo di Rumeni esegue la mia Eliade preferita balla attorno al fuoco in cerca del…capro non più capricorno…

Intanto qualcuno ci vede ed osserva...

O mia diletta!





La scherzosa mitologia degli accampamenti di boscaioli nel Wisconsin e nel Minnesota comprende singolari creature, alle quali, sicuramente, nessuno ha mai creduto.

L’Hidebehìnd sta sempre di dietro. Per quanti giri un uomo faccia, quello gli sta sempre alle spalle, e per questo nessuno l’ha visto mai, sebbene abbia ucciso e divorato molti legnaioli.

Il Roperite, animale di piccola statura, ha un becco simile a una corda, e se ne serve per accalappiare anche i conigli più veloci.

Il Teakettler si chiama così perché fa un rumore come l’acqua che bolle nel pentolino del tè; caccia fumo dalla bocca, cammina all’indietro, ed è stato visto pochissime volte.




L’Axehandle Hound ha testa a forma d’ascia, corpo a forma di manico d’ascia, zampe rattrappite, e si nutre esclusivamente di manici d’ascia.

Fra i pesci di questa regione ci sono le Upland Trouts, che nidificano negli alberi, volano benissimo e hanno paura dell’acqua.

Esiste inoltre il Goofang, che nuota all’indietro perché non gli vada l’acqua negli occhi, ed ‘è delle stesse precise dimensioni del pesce ruota, ma molto più grande’.

Né va dimenticato il Goofus Bird, uccello che costruisce il nido a rovescio e vola all’indietro, perché non gli importa del posto dove va, ma di quello dove stava.




Il Gìllygaloo, che faceva il nido nelle scarpate laterali della famosa Pyramid Forty, deponeva uova quadrate, perché non rotolassero e si perdessero.

I legnaioli cuocevano queste uova e le usavano come dadi.

Il Pinnacle Grouse aveva un’ala sola, che gli permetteva di volare in una sola direzione, per cui faceva infinitamente il giro d’una stessa montagna conica.

Il colore delle piume variava secondo le stagioni e secondo la condizione dell’osservatore.   

(ma sappi che io e lui… J. L. Borges… taccio e più qui non dico!)

(P.S. Causa maltempo presto sarò da te. Mia diletta!)











giovedì 19 settembre 2019

MIA NONNA GIUSEPPINA



































(Dedicata a mio padre Grumello del Monte -Bg- 1924-Sett 2014)














‘Ragazzo mio’,

…disse una voce alle mie spalle.

Io mi volsi ed era la nonna Giuseppina.

Da anni e annorum – perché mi lasciò quando io ero ancora ragazzo nonna Giuseppina ogni tanto si fa viva e, per un bel pezzo, io non sono riuscito a capire come ciò potesse accadere ma poi, fatto più maturo, lo scopersi.

Ogni tanto uno sente il bisogno di rifugiarsi nella propria fanciullezza, e nonna Giuseppina è legata indissolubilmente alla mia fanciullezza. Risalendo il corso della mia vita, in riva all’esiguo specchio d’acqua limpida dal quale parte, trovo nonna Giuseppina. Una vecchietta antica, da libro di lettura di tempi lontani, con le ossa minute, il fazzoletto annodato sotto il mento, la sottana nera col corpetto accollato, ed il sottile fuscello di gaggia.

‘Ragazzo mio’…




…Si siede lentamente su un ciocco di Pioppo ancora radicato in riva all’acqua. È Giugno: l’erba è verde, grassa e fresca e, subito là dalla siepe che mi sta di fronte, dall’altra parte del laghetto, si distende un campo di frumento. Vedo le spighe che incominciano a diventare bionde, attraverso un ampio varco aperto nella siepe. Tutti gli anni, quando il grano matura, io ritorno lì perché per me, uomo di campagna, l’anno si svolge secondo il ciclo del pane e finisce quando le spighe cadono.

È il mio anno sentimentale che muore in bellezza, sotto il sole forte e chiaro e in un trionfo di spighe d’oro e di papaveri rossi. Allora io porto i baffi del vecchio Giovannino a specchiarsi nel laghetto vicino alla fonte. Nell’acqua limpida galleggia ancora l’immagine del Giovannino senza baffi e, quando riesco a stanarla, posso il confronto e vedere se gli anni e gli uomini mi hanno molto cambiato.

‘Ragazzo mio’,

….nonna Giuseppina continua a guardarmi e non le sfugge nulla.




Non porta occhiali, nonna Giuseppina, nessuno le rovinò gli occhi costringendola a scrivere e leggere quando i suoi occhi dovevano soltanto guardare il sillabario della Natura. Imparò a leggere quando il suo nipotino, che studiava da professore, sentì il bisogno di aver qualcuno, in casa, che l’aiutasse a ripassare le lezioni. Ma allora i suoi occhi erano forti e non ne risentirono mai. Imparò a leggere, ma si rifiutò di imparare a scrivere.

‘Non serve’,

…disse al nipotino!

Nonna Giuseppina era saggia e l’unico grave errore lo commise soltanto dopo che il suo nipotino, oramai noto accreditato emerito professore, si fu sposato. Il professore era simpatico, di parlantina facile e socievole e persuasiva. Sentiva il fascinoso imperativo del progresso meccanico. Fu, nel paese, uno dei pionieri dell’illuminazione a petrolio e possedeva oltre una macchina stupenda che andava con medesimo combustibile anche una calligrafia stupenda.

‘Dovreste imparare a scrivere’,

…disse un giorno il professore e non più nipote, a Giuseppina.




‘Scrivere che cosa?,

…domandò nonna Giuseppina.

‘Qualsiasi cosa’.

‘Non c’è nessun bisogno di scrivere quello che si può dire anche dalla finestra’,

…stabilì!

‘È umiliante che voi non sappiate scrivere nemmeno il vostro nome’,

…insistette l’uomo…

‘e dobbiate firmare con una croce. La vostra croce è uguale alla croce di tutti gli analfabeti, mentre voi siete diversa siete la nonna di un noto emerito Professore. Ciò non è giusto!’




‘La mia croce ha una gamba col rampino ed è fasciata, ed è diversa da tutte le altre croci che incontri’.

‘È sempre una croce fasciata o meno, e quando volete firmare qualcosa, occorrono sempre due testimoni che autentichino la vostra croce. Così i vostri affari diventano di dominio pubblico’.

Nonna Giuseppina dimenticò l’antica saggezza ed imparò a scrivere il proprio nome e cognome (Giuseppina Motta come da archivio comunale e parrocchiale) e, siccome l’uomo sentiva, oltre al fascinoso imperativo del progresso elettronico, quello non meno fascinoso economico-commerciale, nonna Giuseppina si lasciò convincere in un secondo tempo a tracciare la propria firma in calce alle cambiali emesse (ma anche pagate) dal nipote.




Così pensando tutte le volte che mi ritrovo in riva al laghetto con nonna Giuseppina, mi pare di riagganciarmi ad un altro secolo e ad un passato che, secondo l’anagrafe, non potrebbe appartenermi.

Scoppiata la Guerra, io rimasi solo con la nonna Giuseppina, poiché mio padre doveva mettersi in grigioverde e mia madre faceva la maestra in un lontano paese di campagna. Non sono mai riuscito a disobbedire a nonna Giuseppina. Quando incominciai a sentire il fascino della strada, dimenticando a volte d’avere una casa, succedeva che a un bel momento compariva nonna Giuseppina. Veniva giù dalla nostra soffitta del quarto piano lentamente, perché camminava già a fatica. Si faceva sul portone con le mani nascoste dietro la schiena e mi chiamava con un breve sibilo che soltanto io potevo udire. Io sapevo benissimo che in una di quelle mani impugnavano, oltre il crocefisso, anche un bastoncello cavato fuori da una fascina.




Allora io abbandonavo tutto e correvo verso il portone, regolandomi in modo da darle tutto il tempo che le occorreva per togliere la mano da dietro la schiena per colpirmi sulle gambe col rametto che stringeva in pugno e che non riuscì mai a farmi male alla gamba perché colpendo leggermente quella sana non feriva quella malata o fratturata. Ambedue abbiamo ossa deboli!

Successe infatti che quando ero ragazzo malgarbato nonna Giuseppina cadde e si ruppe un polso e dovette tenerlo ingessato Dio sa quanto, quando guarì io per la gioia l’afferrai per il polso che pensavo curato e quello si ruppe e fratturò di nuovo.

Non pianse e la vidi piangere una sola volta, questo sì lo ricordo, quando un maledetto gatto nero le divorò una passeretta che allevava, magra e spelacchiata che però lei curò facendola divenire sana e robusta. Dio solo sa come riuscì a farla divenire forte al contrario della sua fragilità. La teneva sulla sua spalla sinistra e lei veniva a beccare le briciole di pane dalla sua mano.




Li sentivo parlare e discutere assieme tutto il giorno e ciò al Professore non piaceva. Non ho saputo mai cosa si dicessero, il fatto è che si capivano perfettamente. Ricordo ancora il grido d’angoscia che lanciò nonna Giuseppina il giorno in cui il gatto del professore le sbranò l’uccellino…

Se esistesse uno psicanalista vero che riuscisse a farmi sdraiare e rilassare su un divano e a prendere sul serio le sue domande, sono certo che il valentuomo scoprirebbe che, all’origine dei miei più grossi guai fisici e spirituali, c’è un gatto nero!

‘Io’,

…dissi a nonna Giuseppina…,

‘vorrei farti un monumento, ma non si è trovato più niente, nemmeno una traccia’.

‘Non pensare a queste malinconie’.




‘Io parlo spesso di te ai miei figli, ma chi sa cosa pagherei perché ti potessero vedere anche un solo minuto mentre preghi dietro a quella finestra con il tuo amico…’.

Mi pare di vedere ondeggiare qualcosa sullo specchio dell’acqua, e mi protesi verso il laghetto in cerca di nonna Giuseppina e la sua diletta. Vidi il mio viso nell’acqua. Lentamente l’ombra ondeggiare illuminarsi e scorgere il profilo di un Signore che un po’ assomigliava a mia nonna, parlava anche lui con un amico sconosciuto dalla mattina alla sera. Non ho capito bene di cosa discutessero.

Ed ora quando arrivo allo stesso specchio d’acqua vedo Giovannino bambino in cerca di more e mirtilli con gli occhi che fissano i miei nascosto dietro un fungo. Le immagini si sovrappongono come una scala a chiocciola che lenta sale verso il cielo…

Poi uno sparo!

Qualcosa di innaturale!

Quando mi giro non vedo né Giovannino né Giuseppina col fazzoletto in capo, al margine del campo di grano…

(da Guareschi ispirato)