CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 1 settembre 2019

COSA E' LA PEDAGOGIA?


















Prosegue in:

Cosa è la pedagogia (2)













La storia di un ruscello, anche di quello che nasce e si perde fra il muschio, è la storia dell’Infinito…
Quelle goccioline che scintillano hanno attraversato il granito, il calcare e l’argilla; sono state neve sulla fredda montagna, molecola di vapore di una nuvola, bianca schiuma sulla cresta delle onde; il sole, nel suo corso giornaliero, le ha fatte risplendere dei più vividi riflessi; la pallida luce della luna le ha cosparse di vaghe iridescenze; il fulmine le ha trasformate in idrogeno e ossigeno, e poi con un nuovo impatto ha fatto scorrere come acqua quegli elementi primordiali. Tutti gli agenti dell’atmosfera e dello spazio, tutte le forze cosmiche hanno lavorato insieme per modificare continuamente l’aspetto e la posizione dell’impercettibile  gocciolina.
Anch’essa è un mondo, come gli astri che ruotano nei cieli, e la sua orbita si sviluppa di ciclo in ciclo in un movimento senza sosta. Ma il nostro sguardo non è abbastanza ampio da abbracciare nel suo insieme il circuito della goccia e ci limitiamo a seguirla nei suoi giri e nei suoi salti, da quando appare nella sorgente fino a quando si mescola con l’acqua del grande fiume o dell’oceano. Deboli come siamo, cerchiamo di misurare la Natura secondo le nostre capacità; ogni suo fenomeno si riduce per noi alla quantità ridotta di impressioni che abbiamo provato.




Che cos’è il ruscello, se non l’angolino grazioso in cui abbiamo visto l’acqua scorrere all’ombra degli alberi, in cui abbiamo visto oscillare l'erba flessuosa e fremere giunchi degli isolotti?
La sponda fiorita su cui ci piaceva stenderci al sole sognando la libertà il sentiero sinuoso che costeggia la corrente e che seguivamo a passi lenti osservando il filo dell'acqua, l’angolo di roccia da cui la massa compatta si tuffa in una cascata e si infrange in schiuma, la sorgente gorgogliante: nel nostro ricordo, più o meno, il ruscello è tutto qui.
Il resto si perde in una nebbia indistinta.
La sorgente soprattutto, il punto in cui il rivolo d’acqua, fin allora nascosto, improvvisamente appare: ecco il luogo affascinante verso il quale ci sentiamo irresistibilmente attratti. Che la sorgente sembri dormire nel prato come una semplice pozza fra i giunchi, che gorgogli nella sabbia giocando con le pagliuzze di quarzo o di mica che salgono, scendono e rimbalzano in un vortice ininterrotto, che sgorghi modestamente fra le due pietre, all’ombra discreta dei grandi alberi, oppure che zampilli rumorosamente da una fessura della roccia: come non sentirsi affascinati da questa acqua che, appena sfuggita all’oscurità, riflette così allegramente la luce?
Se anche noi godiamo del quadro incantevole della sorgente, ci è facile capire perché gli arabi, gli spagnoli, i montanari dei Pirenei e tanti altri di ogni razza e clima che abbiamo visto nelle sorgenti degli ‘occhi’ attraverso i quali esseri rinchiusi nel buio delle rocce vengono per un attimo a contemplare il verde e lo spazio.




Da sempre la trasparenza della sorgente è stata simbolo della purezza morale; nella poesia di tutti i popoli l’innocenza è paragonata allo sguardo terso delle fonti, e il ricordo di questa immagine, trasmesso da un secolo all’altro, è diventato per noi un’ulteriore attrattiva. Verosimilmente quell’acqua poi si sporcherà; passerà su detriti di roccia e su vegetali in putrefazione; stempererà terre fangose e si caricherà dei rifiuti impuri lasciati dagli animali e dagli uomini; ma qui, nella sua conca di pietra o nella sua culla di giunchi, è così pura, così luminosa, che sembra aria condensata: solo i riflessi cangianti della superficie, gli improvvisi gorgoglii, i cerchi concentrici delle increspature, i contorni indecisi e fluttuanti dei ciottoli sommersi rivelano che questo fluido così limpido è acqua, così come lo sono i grandi fiumi melmosi. Se ci chiniamo sulla fonte, scoprendo i nostri volti stanchi e spesso incattiviti che si riflettono in quest’acqua così limpida, non possiamo far a meno di ripetere istintivamente, anche senza averlo mai imparato, il vecchio canto che i parsi insegnavano ai loro figli:

  Avvicinati al fiore, ma non spezzarlo!
 Guarda e dì sommessamente: Ah, se fossi così bello!
 Nella sorgente cristallina non lanciare una pietra!
 Guarda e pensa sommessamente:Ah, se fossi così puro!

A migliaia e migliaia i ‘pastori dei popoli’, perfidi o pieni di buone intenzioni che siano, si sono armati della frusta e dello scettro o, più abili, hanno ripetuto per secoli e secoli formule di obbedienza per rendere docili le volontà e stupide le menti; ma per fortuna tutti questi signori, che volevano asservire gli altri uomini con il terrore, l’ignoranza o lo spietato meccanismo dell’abitudine, non sono riusciti a creare un mondo a loro immagine, non sono stati capaci di trasformare la Natura in un grande giardino di mandarini cinesi, con alberi torturati a forma di mostri e di nani, vasche geometriche e grotte artificiali all’ultima moda.
La Terra, con la grandiosità dei suoi orizzonti, la freschezza dei suoi boschi, la trasparenza delle sue sorgenti, è rimasta la grande educatrice e ha continuato a richiamare le nazioni all'armonia e alla ricerca della libertà.
Una montagna che mostra nevi e ghiacciai in pieno cielo al di sopra delle nuvole, una grande foresta in cui rimbomba il vento, un ruscello che scorre fra i prati, spesso hanno fatto più degli eserciti per la salvezza del popolo. Ora spetta a tutti gli uomini che amano la poesia e la scienza, a tutti coloro che vogliono lavorare per la felicità umana, togliere il (cupo e triste) sortilegio lanciato contro le sorgenti dai preti ignoranti del Medioevo...
(Elisée Reclus, Storia di un ruscello)




Ciò che sorprende da questo geografo e sotto certi aspetti primo Ecologo non sono solo le sue parole, che suscitano indubbio amore e antico rispetto cui tanto abbisogniamo in questo Secolo ove la volgarità regna  incontrastata padrona di ogni Poesia nei secoli creata da una Natura sovrana.
Vita dettata da una ‘Parabola al canone ripetuta’, o peggio, da un politico recitata, il quale, come secolare ‘copione’ impone per ogni piazza e vicolo della sua venuta il teatrino cui affida la Giostra o Torneo ai pupi comandata, non previene il male seminato ma ne fa concime del piatto saporito quale  illustre ben voluto ed onesto ciarlatano all’Economia asservito, quale primo principio riverito. In ragione di un falso motivo di Stato in quanto mal nutrito e gestito: chi nei Secondi cresciuto pensa risolvere il male seminato in ragione di un minuto, quanto evoluto e perduto in secoli e millenni di Memoria distrutta, giammai da una clima impazzito ma da un principio barattato per Economia all’industria anarchica motore di vita. 
Non avendo per il vero capito la misura e statura della Natura, la quale impone i valori che fondano moneta alle eterne ragioni della vita in tutti i principi abortiti confusi e barattati, in quanto sappiamo bene la stratigrafia della Patria così poco amata, se pur bella e Pia, troppo spesso confusa ed ubriaca da falsi e corrotti motivi. 

















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