CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 24 aprile 2015

IL VOLO DI JONATHAN (13)









































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Il volo di Jonathan (12)

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Il volo di Jonathan (14)














... Già cresciuta, compreso quell’Adamo dalla povera favella e la sua donna, sono al piano da basso del condominio, il peccato ho loro per sempre donato, e loro mi hanno per questo affidato le chiavi del loro piccolo ‘appartamento’. Se non fosse nel ricordo del peccato consumato non potrei curare ed amministrare ogni sacrificio sudato. Quando io ero a questo piano edilizio ancorato, tu ancora strisciavi e porgevi un frutto, ancora, se ben ricordo, non volavi, strisciavi quale immonda schifezza nella Rima a me poco gradita, ha sollevato una bufera terrena da me sapientemente e fruttuosamente gestita. Così nuova moneta ho coniato, altrimenti gli uomini da te creati da cosa trarrebbero terreno nutrimento? Dall’aria e il Pensiero del tuo Dio? Per questo ci son io! Materia di ogni Spirito!  Qualcuno ti ha pregato e venerato all’ombra di uno stesso deserto, al confine di una Parola, il tuo Dio ti conduce per tutte le vite da me raccolte ed ornate su un rigo, troppo piccole ed immonde per essere studiate, troppo piccole per essere interpretate su un Frammento su di un rigo su di un Papiro, quando il vento ti è nemico e la voce barcolla non sazio nel ventre della materia che non perdona compagna della misera tua ora!




Hai inventato la neve, ed io ho edificato e costruito ugual desiderio, lo nutro e coltivo, a te poi regalo il pianto antico racchiuso entro una giara quale sfida al desiderio dell’uomo che governa e divora: vola anche lui su di un legno, a te regalo ugual legno su alto nel monte, Teschio del pensiero tuo così mal concepito. Vuoi volare solo tu in questo desiderio antico? La mia legge è custode di ogni sogno da te partorito, per questo io lo governo nella salita e discesa del tuo Paradiso, e non condannarmi con la difficile ed ingannevole Parola, vogliamo negare il privilegio ad ogni uomo della sua piacevole ora? non fu Tommaso l’atleta che raccolse l’Eresia tua?
Non vedi? Ammira! Si sentono come Dio, e pregano il tuo eterno martirio, tu che vuoi confinarli senza legge ed edificio per una terra senza girone e bellezza a contemplare una serpe che striscia, una volpe che ruba, un lupo che divora il mio gregge che produce e lavora. Ed ancor peggio, un albero che narra la sua Storia, cacciagione della  mensa condito con il fuoco della mia ‘ora’ elementi della materia per cui condanni la Terra qui nella blasfemia narrata. La neve fu solo una lacrima della tua mente, io ho saputo coltivare e dare a lei il giusto nutrimento e gradimento.




Per te sarebbe stata solo una bella ‘simmetria’, ogni fiocco diverso e un quadro del tuo Dio, che inutile costruzione che inutile Eresia, il marmo compongo, la chiesa e il Tempio io dipingo, il tuo invisibile disegno  elemento di un Creato nato da un nero Principio, quale  perfezione di morte dipinta e nel freddo scolpita, su una croce ho confinato ‘la vita prima della vita’, affinché il Sacrifico venga pregato e la luce illumini il materiale creato. Nel Battesimo ho costruito la dottrina, ed anche se l’acqua per te ha un diverso significato, ogni pargolo di questo Creato deve avere l’immunità di quanto da te Pensato!”.
Odo la tua voce nel Vento fermo della terrena mattina, avverto la paura antica del cacciatore della segreta ed antica Prima Dottrina, per quanto da me tutto Pensato e Creato, un diverso Dio comanda la materia e la luce della vita, un diverso Dio indica la via, io solo un enigma diviso fra un’onda ed una particella invisibile alla vista.
L’acqua è principio di vita, tu quale elemento che governi la Natura sappi che l’acqua è principio della Parola nata, ed io così compio il ciclo ad ogni stagione della materia da te narrata. Se così non fosse non potrei volare e ricordare delle tante e troppe guerre che conoscono solo martirio privazione ed inganno, in quanto, anche se  strisciavo ed ora volo, il mondo che prego e di cui mi feci ingegno per essere da te governato nella materia di questo strano Creato, è privo di quella violenza e inganno destino della legge e parola del profeta da te inviato. L’istinto della mia eterna Natura è privo del concetto e Pensiero scritto nella tortura. Quella io l’ho provata e provo ogni giorno anche nella morte di quelle creature che vedo affogate nel mare profondo, anche in quei tuoi figli periti nell’acqua di un tuo principio non condiviso.




Osserva la Natura, ho regalato loro una Rima e la Neve con l’antica simmetria ha imbiancato la Chiesa della mia poesia. Quale opera meravigliosa, quale pittura sublime, non v’è quadro più bello in questo dire. Guarda la bestia che mi fa compagnia, non v’è anima più gentile da condurre per ugual via. Guarda coloro che popolano il cielo d’inverno e d’estate, non v’è suono più bello e soave.
Io ho dovuto patire il sacrifico e umiliato dal tuo volo da ognuno condiviso: chi uno sputo chi una offesa, chi un inganno comandata al portiere che invade ogni Rima poco gradita al condominio della tua costruzione così ben concepita. Ma la vita e il Pensiero Primo che per sempre dominano la via e nella materia crocefissa, non conoscono tortura o violenza alcuna, lascio a te questo mondo poco gradito io sono figlio di un altro Dio.
Straniero alla tua poesia, Straniero alla ricchezza tua, e se la povertà e l’umiliazione saranno il calvario dell’eterna mia vita, benvenuto vento che predichi la vita, visibile e pregato da ogni navigante che gode dei favori della tua  materiale fortuna a buon porto condurrai la sua terrena venuta, di questo ne sono più che certo, di questo ne sono più che lieto. Ma io sono un povero Jonathan Straniero alla ricchezza, striscio volo arrampico su per una cima come un Cristo impazzito e braccato dal suo popolo come un male antico, muoio ad ogni stagione e poi risorgo alla primavera e perdo la testa come un quadro dipinto e nell’impressione scolpito, di questo io ne sono più che certo, la luce illumina ciò che è visibile alla materia, la morte sarà compagna della mia ora, io a te dono il quadro della mia onda impazzita al museo della comune via…
Lasciami narrare ora il martirio nella miniatura di questo breve sacrificio perché io non conosco violenza, la Natura non conosce tortura, per questo quando la vedo che striscia nella sua piccola dimora, il secolare gesto debbo narrare all’ombra dell’infame peccato consumato!)




…. Lo ammette tranquillamente anche Giorgio Rochat, 56 anni, docente di storia contemporanea all’Università di Torino e presidente della Società di studi valdesi. Questa metafora del valdese-pellerossa ricorre come un basso continuo nel nostro incontro a Torre Pellice, il capoluogo montano dei valdesi, che per la vivacità intellettuale, già Edmondo De Amicis aveva ribattezzato ‘la piccola Ginevra’. Né stupisce il nobilotto protagonista maschile dell’appassionante romanzo storico ambientato in queste valli a fine Seicento dalla scrittrice Marina Jarre, ‘Ascanio e Margherita’, appena posa gli occhi su boschi e spuntoni di roccia, veda proprio quegli indiani irochesi dal trofeo di penne, di cui narravano i primi pionieri d’America, appostati con arco e frecce sempre in agguato.
L’analogia con gli indiani  si fonda su diversi aspetti. Sulla fiera resistenza. Sulla perfetta conoscenza del territorio. Sui metodi di guerriglia. Sull’irriducibilità. Sulla condizione di rifugiati a casa propria. E non solo quassù, in quello che fu il verde ducato di Savoia, il Canada italiano. Anche giù in Calabria, verso la secca Arizona. Dove gli abitanti di villaggi come Guardia Piemontese, Montalto, San Sisto dei Valdesi e Vaccarizzo nel 1561 vennero stanati dalle truppe del vicerè di Napoli, chiamate dal grande inquisitore (il domenicano Michele Ghislieri, futuro papa, nonché santo, Pio V, a tal proposito puoi leggere…) con l’aiuto degli stessi cani mastini che gli spagnoli avevano addestrato in America latina per la caccia agli indios.
Sono pagine di orrori e di macelli, di tagli di frutteti, di conversioni estorte sul filo della spada, di raffinate… TORTURE… nelle segrete, di avviamento degli uomini più robusti sulle galere di Spagna, di rapimenti di ragazze destinate alla schiavitù sessuale, di roghi umani che ricordano il martirio dei primi cristiani, di macabre esposizioni di cadaveri squartati lungo le strade tra Cosenza e Morano. La faccia di quella ‘ecclesia maligna’, insomma, che per difendere il lucroso monopolio del sacro chiudeva entrambi gli occhi davanti alle atrocità del suo braccio secolare. 




(Io ho volato sopra quelle Terre, io ho raccolto ed udito il pianto di quel creato, non puoi qui negare il male arrecato, il peccato, il vero peccato accompagnato all’inganno di questo Creato ed ancora consumato al Tempo ciclico del tuo palato. Io dimoravo in una cella gabbia dell’Intelletto inquisito e braccato, calunniato dallo Stato del tuo araldo, volavo ieri come ora, ed un tuo servo mi ruba(va) la Parola, la distribuisce alla ‘parabola’ di una falsa via. La Storia hai inquisito, il canto e la Rima di chi morto bruciato, ed ancor oggi distribuisci stesso intento, la Storia non vuoi ricordare, cacciando la ragione dell’Intelletto confusa e rivenduta per pazzia al porto della giustizia. Poi, come quelle anime affogate, anche io sono....
















sabato 11 aprile 2015

IL VOLO DI JONATHAN: 'con un barcone li vidi attraversare il terreno cammino' (11)








































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L'esilio di Jonathan (10)

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Il volo di Jonathan (12)














Questa è la mia preghiera, questa la mia Chiesa, qualcuno dirà al divano di un Secondo Dio che il volo desidero, perché l’amore non di Spirito nutre il suo cammino, ragion per cui traduce e spiega l’intero mondo, non con la Parola scaturita dal gene occhio della Memoria, ma studia l’anima torturata nel contesto del desiderio che sazia la sua ‘ora’: l’amore che condisce il piatto suo all’ombra del dialogo pagato e nutrito da una creatura prigioniera del suo Dèmone antico, eterna strega della Storia nel materiale e ‘carnale’ desiderio di possedere Dio, ‘confessione antica’ evoluta al divano di un nuovo peccato così nato.  Il dotto medico quanto la sua creatura nata dalla terrena natura. Il Divino è altro, Dio non conosce l’ora tua, la inganna all’orologio della tua piccola scienza.




Un angelo sceso, lontano da quella ora,  mi ha narrato una triste vicenda, ed io, per questo, continuo il volo da lui pregato per il martirio subito, potevo ornare l’altare con la nobile parola ben miniata al ‘quadro’ che illumina e accende la ‘parabola’ della vita, ed apparire affranto e amareggiato per l’atroce destino (regalato e donato) pronto a risolvere il problema cui si potrebbe decidere la mia quanto l’altrui esistenza, in questo nobile ‘corridoio’ quale museo della vita. Sì, è vero, disprezzo quel Nobile cui tutti odono e vedono la Parola del potere nel museo custodita, conto gli araldi della sua promessa, conto i denari della sua mensa, conto e misuro la recita nel vestito ben cucito e dipinto, troppo lustre per essere offeso dal negro fuori dalla porta del museo della Storia. Sono contento in questo mio volo, in questa preghiera umiliata e braccata, che ora un Angelo sceso mi narra la disavventura nata perché un Eresia ebbi a pregare per ogni vita. In quanto la vita di ciascuno sacra al confine di una nuova nascita, al confine di ogni verità antica.




Benvenuta vita cui destini la parola antica vento della mia umile ora. Sono contento di non appartenere alla schiera dei nobili eletti che officiano il quadro antico, ed ognuno nella terrena vita scruta e vede alla ‘parabola’ del ‘canone’ cui bisogna nutrire la loro ora. Ognuno crede alla falsa parola, e l’angelo sceso una mattina mi donò l’ira del vento che vuole giusta degna e Grande Notizia al confine di ciò che narriamo ‘via’, per la bestemmia vista affinché dal mare nasca e risorga nuova vita. Quel mare estraneo al loro Dio, che una mattina rubò la vita di tanti e troppi prigionieri del calvario dell’eterna via guerra mai smarrita.
Benvenuto tu che bracchi la Rima, quale volo mai smarrito, ora volo più alto e nobile di prima, beninteso per sempre cacciato da ogni nobile che orna la ricca tua via,  non desidera vedere puzzo o parola, perché mai di moda al museo della tua ‘cornice’ ben vestita nutrita e dipinta per ogni stagione della ricca vetrina commercio di vita. Bracchi e cacci come il cane che fiuta la preda, la Rima non è a te gradita, tu nobile che orni quella spoglia via, nutrita con lo scempio della vita dei frutti cattivi alla tua ora.  Per sempre scruterò quella strada smarrita e perduta al confine della fiacca mia vita, nel mezzo d’un respiro quando il passo sembra indeciso, nel mezzo d’una vegetazione morta e appassita: alberi scheletri di un’altra vita, qualcuno è già fiorito e la sua foglia donerà nuova linfa, qualcuno dona giusto respiro forse perché ha compreso la punizione cui destino il cattivo frutto cresciuto ma non certo maturo!




L’angelo nel bel mezzo del volo, vento di quella triste mattina, mi donò parola violenta come l’ala che a fatica riesce a tenere la rotta, alla Parola da lei evoluta nella tempesta cui destino la vista nell’atroce naufragio della vita. Il vento, quale elemento, certo è sacrificio per il marinaio, dai tempi antichi dell’Odissea di ciascuno al porto di codesta vita. E’ certo sacrificio per ogni Ulisse che cerca la sua difficile via, ma in fine alla sua terra condurrà il corpo stanco e fiacco, potrà aspirare alla casa ed alla  sposa abbandonata ma non certo dimenticata, per poi vedere il nemico della sua ora fuggire smarrito e rapito dal salone ove orna il quadro di un altro e sconosciuto Dio.
In quel mare, non certo a causa del mio amico vento, della Parola voglio ben dire, Angelo sceso in quest’ora, mi narrò la mensa nutrimento di quei pesci e altri esseri che traggano il pasto di nera carne affogata quella triste mattina. Pescati son tutti destinati a miglior vita, conditi fanno la tua cena ben saporita, specie se accompagnata al lieto vino, non quello della cena di Cristo, non al misero pasto dell’apostolo suo, che se pur pesca e pescava qualche pesce, una Chiesa ha ben costruito, ha ben edificato anche nella paura dell’eterna ora, quando lo videro e dissero: ‘ecco Pietro lo abbiamo ben scorto con il ‘pazzo’, con l’Eretico della parola dal Tempio fuggita’. Sì c’era anche lui con altri uomini, narrano e rimano vicende che è bene non dire o pregare, fanno miracoli qui alla ‘parabola’ e la ‘penna’ della vostra ora, non graditi agli scribi dell’eterna avventura. Perché il versetto fu’ Eretico in quell’ora, forse per questo un altro Eretico disse che non può certo essere figlio di quel Dio che l’ha ben inchiodato al Teschio del suo martirio, al Teschio della vita, ove se scruti bene vedi in fondo all’acquarello anche una selva forse un po’ smagrita, te Gioconda dell’eterna via.




In quel mare sepolti senza neppure poter navigare la vita pasto di altre Spiriti e mondi, io accolgo con quel poco che ho in mio potere, perché la mia Parola eternamente braccata dal commercio di una diversa ricchezza, io vi accolgo con questa umile preghiera: fa’ mio Dio che te prego ad ogni ora, in questa povera miniatura, che rimanga testimonianza della vostra avventura, del martirio subito; a me giunga la vostra preghiera affinché a miglior vita possa io condurre il Destino, possa io contemplare l’occhio vivo di un bambino allegro che vede il mio cammino, possa io vedere la pace fra il Suo e un altro Dio, possa io vedere l’eterno sorriso di chi mai ha potuto godere di ugual ricchezza al destino di questa vita.
Prego e volo in quest’ora, ed il vento, Dio mi è testimone, urla ed impreca per l’intera notte, un discepolo mi ha tradito, ma non per questo pongo fine alla preghiera, non per questo smetto il volo, incurante dei custodi del Tempio, parlo e prego per l’eterno sorriso cui destino ogni creatura di questo mondo, pur essendo pagato con la peggiore moneta, il popolo insulterà e braccherà il passo al calvario di questa breve vita. Ragion per cui, il tuo quanto il mio destino, comuni al porto di quel mare impazzito ed inferocito, ed il vento urla il disappunto, perché non fu sua la colpa cagione della disavventura, non fu lui motivo del disastro nel mare onda di un diverso destino. Ormai questo vento lo conoscono in tanti, non è certo cattivo, almeno che non diventi bufera o altro, ma non è certo sua la colpa, l’ha ben spiegato su un divano quando costretto da un altro scienziato perché controllato e misurato l’impeto, schizzo di un’arte Divina, alla terra così poco gradita.




Svelò le ragioni alla rosa delle sue passioni divenute feroce ‘baccano’ perché in Lui qualcosa di naturale era mutato, e non certo questioni di donne o gabbiani. In quanto la sua Natura priva dei motivi della materia cui destini l’intricato e sessuale pensiero, grazie a lui la vita può nascere, è lui che inventa e semina la Terra, è lui che regala al volo della cicogna gravida ed evoluta al divano della vita, nutrimento e diletto del suo amore smarrito, divenuto fallo e pietra di un’amore nella materia scolpito. Lo Spirito è vento, che se pur costretto al divano dello scienziato, urla e grida le ragioni degli schizzi che destina alla terrena vita. Anche se uragano o altro evento, parente con la terrena paura, è sempre voce scaturita dalla colpa di un uomo che muta l’eterna sua Natura, perché altera il ‘canale’ della vita con un programma a più alto gradimento, con una ‘parabola’ ben più gradita dove la fine è sempre certa. Dove la recita è sempre superba e meravigliosa, e gli interpreti sono così ben vestiti e mascherati o meglio ornati, che pare un vero ed illustre per quanto eterno museo. Ma tutto quel lavoro, nel museo di quella ‘vista’ ha di certo da che nutrirsi per ogni pesce che divora, per ogni uccello che spenna con la nobile certezza scritta dall’urlo del vento, lui che inventa la Parola che detta la Rima qui scritta: pesce diverrai ad ornare l’invisibile vita, ancor peggio, ‘radiolare’ dell’umile ‘crosta’ cui sazio la terrena vita, cui appendo l’arte mia antica, cacciato dal museo della (tua) vista assieme al negro che rallegra il ritmo di questa Rima, blues all’incrocio di strani e-venti cui destini l’inferno e il Diavolo da te narrato, nel ‘canone’ recitato e cantato cui affidi la ‘parabola’ della vita. Nuoterai nel mare profondo ad ornare l’acquario che arreda la sala antica rivestita solo dal tomo della vita. 















giovedì 9 aprile 2015

L'ESILIO DI JONATHAN: 'L'uomo senza Natura e Dio perseguita il volo antico' (9)
















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I fari di Jonathan (8)

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L'esilio di Jonathan (10)


























Caro portiere della nostra terrena esistenza, a te debbo qualcosa, se non fosse il meschino gesto tuo, al confine dell’Albergo della vita, il passo Eretico non avrebbe Rima. Se non fosse per la prigione cui destini i Profeti e la Natura, espressione e voce di Dio, in questo martirio non potrei volare in compagnia del Sogno Antico. Ed il ricordo invade l’onirico volo, perché la Terra ove sei custode da secoli di immonda Memoria, conservata difesa e troppo spesso ingannata, è la tortura antica di chi non conosce Dio, anzi quando incontra la sua Parola uccide inquisisce perseguita e calunnia. Questo, io che volo alto nei cieli ricordo bene, ed anche se il mio volare è fuori dal tuo meschino sguardo cui destini gli uomini di Dio, l’esilio conosce ancora il passo antico, guardiano del nostro martirio. Perché volli volare e scrivere, difendere e indagare un vento espressione di un Primo Dio, in quella Terra ove la rotta spazia per altre Rime per altre Poesie, e talvolta esce dal libro miniato e ben scritto per secoli compagno del martirio, perché a quel volo, come ebbi a dire con Pietro, mio invisibile amico, ultimo Eretico cui destini l’eterno martirio, preferimmo e preferiamo un altro ‘Pensiero’ voce di un Primo Dio. Così che Lui nella prigione del nostro Albergo, possa darci ali e Spirito del volto Eretico di Dio che vola per mari e cieli a portare Parola cui tu perseguiti da quando abbiamo Memoria. Perché Memoria non hai conservato nell’ornamento ben dipinto, nell’abito ben cucito, altrimenti giammai assisteremmo al gesto servo di uno strano Dio e di materia vestito. E dalla terrena tua ‘faccenda’ attraversare in poche ore il mare ‘creare’ la terra (e con essa la Primavera di cui Dio narra il terreno martirio nell’inverno della tua Storia, zolla calpestata ed umiliata nell’evoluzione del pensiero troppo distante da Dio per poterlo misurare alla vista del passo antico moderno ciclope senza Dio) ed arrivare in questa Geografia che non conosce prigione, al confine di una pagina, al confine di una Vita. Nella grotta ho tracciato la Memoria, nella grotta ho narrato la storia in compagnia di un lupo e il desiderio di un volo lontano dal tuo meschino esempio accompagnato dall’occhio Polifemo uno e cieco nell’inganno della tua vista che spazia controlla ruba ed umilia, Portiere dell’Albergo di una Gnosi antica… Ed alla Geografia aggiungo la Storia, perché il gabbiano per sempre vola, lo ricordo quando alto nei secoli di un lontano martirio, sentinella e pensiero del mio cammino, vide due uomini che fuggivano, vide due ali che volavano pur camminando a fil di Terra, rogo cui destini la Parola. Sono uomini che hanno attraversato Geografie e Terre che non si possono vedere; hanno attraversato Pensieri e Venti che non si possono scorgere; hanno volato per luoghi che non si possono misurare; hanno attraversato vite che è difficile narrare nell’Albergo del tuo misero passo e pasto, cacciatore o inquisitore di Stato. L’abito non è mutato nel gesto antico. Jonathan ricorda quando ebbe ad udire il passo e la voce nel silenzio scritto di chi fuggito, ricordò anche lui l’eterno martirio, quando forse al posto delle ali di questo eterno Pensiero che vola, aveva due gambe che con dolore fuggivano dalle urla di un popolo che divora ogni verità barattata per altro, al confino del tuo pensiero di uomini senza Dio, pur pregando il suo terreno martirio nell’Inverno del suo Spirito, scritto nel Tempo della stagione di un Primo Dio….. Cerchio di un Tempo giammai pregato nel Creato del miracolo ben celato al falso gesto di un altro Dio, occhio Polifemo alla grotta del ricco pasto mensa di un falso Dio materia del tuo spirito. Sono volato fra le pagine di un tuo libro fra le righe di un tuo scritto, custode dell’arte e con essa della Memoria, custode della Parola, ma con l’Eretico dubbio, Polifemo e Dio, che vi fosse una diversa Rima o Poesia prima di quel Dio. Con l’eterno dubbio scritto nel volo eterno di un diverso Spirito, cenere cui destini la Parola bruciata al rogo di codesto martirio, nel momento in cui desideri tacitare la verità di questo Tempo, passo chino fuga dalla tua ‘ora’ ben ornata e descritta mentre Dio muore al Tempo di questa breve ‘lettera’, mentre Dio fugge in compagnia di un lupo ed insegue il Tempo tuo, uomo senza Natura e Dio!)





L’avvio di questa ‘ricerca’ nasce da due constatazioni: la produzione e l’illustrazione dei manoscritti giuridici (canonici) in Provenza e nella Francia meridionale tra XIII e XIV secolo non sono state ancora oggetto di uno studio approfondito e tali attività non possono essere studiate come un fenomeno circoscritto e isolato; è necessario al contrario considerarle come il felice esito di un processo originale e creativo fondato sugli spostamenti, gli scambi e l’interazione di ‘artifices’ – sovente di differente provenienza o di differente formazione – sulla circolazione di opere, committenti, modelli (scrittori e iconografici), sulla condivisione, infine, di saperi comuni nell’arco geografico mediterraneo, compreso la….




(‘Ora ricordo il borgo, ora ricordo il luogo’, Jonathan rimembra e mira il volo di un altro secolo al calvario del comune cammino, Jonathan vede un borgo e lo stesso Eretico accompagnato a Pietro, nella geografia di chi vuol custodire memoria alla povera vita di Cristo, pastore alla comune mensa nel diario antico. Non è delirio nominato sovente dal tuo Dio, ma Intelletto e Genio di un Primo volo scritto alla comune memoria di ugual libro. Troppo povero per essere capito, troppo ignorante per essere dal volgo recitato nella ricca strofa del latino ben vestito, cui disciplina la vita senza neppure essere compresa, cacciatore dell’Eterno cammino…. Cui illumini un diverso libro miniato all’evoluzione del tuo Dio…., perché ti vedo croce dell’eterno martirio… e assisto il tuo passo perché conosco bene la tua voce e il gesto nella volontà di questa eterna ‘ora’)







Nel mese di… dell’anno 1905 mi trovavo a Boltana e decisi di andare a dare un’occhiata al canon di Anisclo, il giorno 17 mi misi in cammino….
Don Felipe Lorenz, il curato di Vio, mi incantò per la simpatia con cui mi accolse nella sua casa. La mattina dopo vidi che mi aveva ceduto la sua stessa camera. Cenavamo nel vestibolo e Joaquina, la domestica nata a Ceresuela, ottima cuoca, preparava deliziose meringhe con il bianco d’uovo. La sera si bevevo tè, oppure un’infusione di una pianta particolare dei terreni rocciosi. Più tardi, uscivamo a prendere aria.
La cima del Sastral sporgeva dietro la chiesa. E mentre io scrivevo, le galline becchettavano vicino ai miei piedi. Il curato passeggiava leggendo il ‘breviario miniato’ (di cui ti accennavo nell’Infinito Tempo di codesto volo fuori dal comune e ‘giuridico’ tempo del Dio letto con devoto sapere strofa della comune ‘ora’. Ora incarnata nel labirinto ermetico di questa eterna vita che vola alta nella Rima di una diversa Poesia, ma recita ‘giuridica parola’ perché così è la Storia) e, poiché era il tempo della mietitura, dalla valle arrivavano le grida dei contadini che si chiamavano dalle terrazze coltivate.







Il giorno seguente, don Manuel volle a tutti i costi prestarmi il suo miglior mulo e mi diede una lettera di presentazione, ed all’improvviso un’aquila planò alta nel cielo! Al di là di una croce posta su una colonna esagonale sorge il villaggio di Mediano, circondato da poveri orti. In piazza, sull’architrave di una porta, ho letto una data scolpita: 1659. La mia guida mi condusse in cima ad un terrapieno che forma il belvedere per tutta la valle dell’Entremon. Una torre in rovina si eleva a ovest sulla cresta del faraglione, come una candela consumata. Al di là di un boschetto, scopro una specie di nicchia dove il rio Aso forma una pozza dalla quale si può bere con la mano, facendo attenzione a non intorbidire la sua trasparenza…. Ritorniamo per ugual cammino e attraversiamo con qualche difficoltà il rio Bellos sotto l’eremo di San Urbez per poi rientrare a Vio’ per il sentiero del mulino di Aso (ed un nuovo fugace per quanto veloce ricordo come quell’aquila vista all’improvviso: in quell’Eremo un Tempo vi ho dimorato, un Tempo troppo antico per essere conservato nella memoria di questo Creato. Ho scritto miniato pregato e volato in altro luogo per essere raccontato dal tuo Dio colmo di peccato, mentre volgo lo sguardo smarrito dalla cella al panorama di questa geografia racchiusa in un libro. Miniata tutta entro un rigo, contenuta in una lettera troppo stretta per il Primo Dio, troppo breve per la vita narrata…, ma l’‘ora’ si fa Storia ed io continuo l’opera, anche se il dubbio invade la geografia tutta contenuta nel Secondo di un Tempo senza gloria, tutta raccolta all’ombra della candela che illumina la scura parete, cui dimorai da principio… Frammento di un Secondo volo senza confino alla legge cui fiacco la vista, di cui consumo la vita, aquila o  gabbiano regredito all’Eterna Ora… di questa breve storia…).







Ai nostri occhi apparve allora una superba conca scavata in un circo di ripidi pendii; al fondo si aggruppavano le costruzioni minute e delicate di un villaggio, come in un plastico in rilievo. Alla sua sinistra, alcune terrazze coltivate disposte trasversalmente al pendio di una valletta concava parevano una scala di Ciclopi. Il colore generale del villaggio era rossiccio, interrotto dal bianco di alcune facciate; tutto contribuiva ad aumentare lo splendore del campanile; una antica torre.
Ci addentrammo nel desfiladero de las Cambras per un sentiero che piegava a sinistra poco dopo la fontanella chiamata Fuente del Cuello. Mentre mi guardavo attorno con il binocolo, scoprii una nuova grotta che, come appresi al mio ritorno a Vio’, dovrebbe chiamarsi Caverna del Guerriero; all’ingresso, si è accolti da una stalagmite a forma di essere umano… (come un punto esclamativo in fondo alla pagina che illustrai, che miniai, che pregai, nel dubbio di quella vita, nel ricordo di questa passeggiata, diario scolpito con ugual amor di Dio, con identico desiderio…: vedere e pregare il vero volto prima del loro Dio…. E la candela consumata che illumina il ricordo, come un sogno già sognato e mai morto nella genesi di questo segreto Creato scritto nel gene della geografia della Memoria, ridesta la vita passata come un fiume e mai assopita, conservata in una caverna e al buio di una cella rimembrata e su una parete scolpita… Anima scesa e dalla materia rapita e tradita!)






L’ora sesta forse la nona bussano alla porta ed il punto esclamativo, geografia dell’Eterna Vita debbo ornare, ‘ora’ divenuto croce su cui traccio l’invisibile sentiero alla comune via, e l’opera debbo continuare con l’occhio chino alla pagina ed il volo di un desiderio che per nulla si è smarrito alla Luce di Dio….





… Non si deve, infatti, sottovalutare, anche nell’ambito della produzione e dell’illustrazione libraria di argomento giuridico (in un’epoca nella quale il libro era un bene prezioso ma anche un valore di scambio), l’effetto culturale provocato nel Midi della Francia fra il XII e XIV secolo dall’intensa circolazione di uomini e di opere nell’area geografica del Mediterraneo occidentale, circolazione motivata in gran parte da ragioni commerciali, politiche, devozionali e culturali. Nel Midi occitano e provenzale, le università, spesso specializzate nell’insegnamento del diritto canonico, hanno svolto certamente, nel XIII  e nel XIV secolo, un ruolo rilevante nell’incremento della produzione e della decorazione di manoscritti giuridici e così pure della loro circolazione e diffusione.
E occorre anche considerare in questo contesto l’importante funzione dei mediatori che dovettero avere, fra il XIII e XIV secolo, i manoscritti del Midi francese negli scambi, sicuramente importanti, tra il vivido crogiolo artistico dei loro territori d’origine con i Pirenei…






(Qualcuno mi vede, qualcuno dalla terrena esistenza mi vede e mi avvista. “Cosa ci fa un gabbiano per questi luoghi? Come questo volare e sfrecciare per alte vette da un Primo Mare nutrito può illuminare la nostra ‘lotta’ per codesta terra ove il mio desiderio di caccia, millenario istinto, mai si è smarrito? Come sfreccia alto ed imperturbabile, se solo potessi, al fuoco del mio banchetto gusterai le sue ali saporite, scruterei le viscere saporite, perché da qualche parte o in altro luogo ho già discusso il tuo volo a noi poco gradito. Forse ti allontanammo dalla comunità e destinammo a te il nostro martirio, fuggisti con una lancia e un poco di umano calore ben custodito: arcane parole, arcani misteri di cui mai facemmo tesoro al popolo da noi nutrito, e destinammo al rogo il tuo Pensiero giammai gradito. Musiche strane e arcane, ermetiche, si combinavano in frasi fra loro incatenate da ugual accenti di cui provavamo incomprensione e smarrimento, perché diverse dal normale parlare e ciarlare. Si componevano in ‘accordi’ come i venti discesi da cui proviene il tuo volo....

(Prosegue....)
















martedì 7 aprile 2015

I FARI DI JONATHAN (7)






































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I sentieri di Jonathan (6)

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I fari di Jonathan (8)













‘Sì quello fotografato sulla piattaforma sono (ero io alla data dell’articolo…) io’, dice Théodore Malgorn, 33 anni, celibe, professione guardiano del faro.
‘Ero a La Jument, in quel dicembre dell’89, quando ci fu la più terribile tempesta degli ultimi anni. Il faro oscillava e ad ogni cavallone, sembrava che dovesse staccarsi dal basamento. E sul più bello, sento il rumore di un elicottero e penso: chi è quell’incosciente che va in giro in elicottero con questo tempo? Così, fra un’onda e un’altra, apro la porta ed esco sulla balconata per dare un’occhiata in giro. Doveva essere proprio Natale, o la vigilia’.
Quel Natale del 1989 Théodore Malgorn se lo ricorderà di certo per tutta la vita. I temporali erano cominciati alla metà di dicembre e proseguirono fino alla fine di gennaio, causando gravissimi danni su tutta la costa della Bretagna. E al faro di La Jument, il più esposto al largo dell’isola di Ouessant, quell’inverno il tempo fu ancora più brutto del solito. Le onde arrivavano fino alla lanterna, quasi 50 metri sopra il livello del mare calmo, e sfasciavano tutto.




‘I vetri delle finestre sono andati in frantumi’, ricorda Malgorn, ‘e l’acqua correva dappertutto, ma la lanterna è rimasta accesa’. E già, questa è la prima preoccupazione del guardiano del faro: che non si spenga il fanale, il principale riferimento per chi sta lottando in mare contro la furia degli elementi.
‘Per chi è in mare, vedere quella luce in una notte buia è come per un uomo vedere Dio’, dice il capitano nel famoso libro di Jules Verne, ‘Un faro in capo al mondo’. Eppure anche oggi se oggi si chiamano ‘elettromeccanici’ e non più ‘guardiani del faro’, ed anche se è stata abrogata la disposizione che vietava loro di abbandonare la cupola della lanterna durante il turno di osservazione (il ‘quarto’, in gergo marinaro, che può durare 6 oppure 12 ore), questi marinai senza nave sono ancora protagonisti del romanzo cominciato nel 280 avanti Cristo, quando l’architetto Sostrato di Cnido edificò sull’isoletta di Pharos, davanti ad Alessandria, in Egitto, una torre dove tenere acceso notte e giorno un fuoco, ‘per la salvezza dei naviganti’.
Per conoscere tutti i segreti del mare e capire dal colore della schiuma e dal volo dei gabbiani quando si alzerà la nebbia oppure si scatenerà la tempesta, non occorre avere traversato gli oceani in lungo o in largo: basta essere stati guardiani di un faro, gli occhi incollati ad un panorama che non cambia mai, eppure non è mai lo stesso. Una settimana al faro, scandita dai quarti di osservazione e di riposo, poi una settimana a terra e di nuovo due settimane al faro e un’altra a terra: è la regola dei 3/5, fissata dal Service des Phares et Balises, definito da una prima legge del 15 settembre 1792, riformato da Napoleone nel 1806 e definitivamente ristrutturato nel 1824.




Tre settimane al faro e due a terra, sempre che possano avere luogo il recupero del guardiano e la sua sostituzione con il subentrante, la cosiddetta ‘relève’. ‘Durante il periodo della tempesta dell’inverno 1989/90’, ricorda Théodore, ‘era ben difficile che le ‘relèves’ avvenissero secondo i periodi programmati: per esempio, nella settimana di Natale abbiamo dovuto aspettare altri sei giorni prima che il battello potesse accostare allo scoglio di La Jument’.
Per i guardiani dei fari isolati in mare, come quello attorno a Ouessant, il momento del cambio è un altro pezzo forte del loro romanzo d’avventura. Il battello arriva dall’isola o dalla riva bretone e si avvicina fin che può alla balconata del faro. Poi da bordo viene lanciato il cavo e agganciato il va-e-vieni, una specie di seggiovia sospesa sulle onde e formata da un grosso cuscino (il ballon) sul quale si issa a cavalcioni il guardiano, tenendo saldamente fra le mani il gancio di sostegno, mentre da sotto le onde gli fanno la doccia. I marinai tirano la fune, e il ballon, con il guardiano appeso, scende lentamente verso il ponte del battello che il capitano cerca di tenere fermo lavorando di motore e timone: un esercizio di vera acrobazia che si ripete ad ogni cambio. 
‘No’, dice Jean-Jacques Bértheulé, guardiano a Kéréon, un altro dei fari di Ouessant, ‘basta farci ’abitudine. Ci sono colleghi che hanno più di 50 anni e vanno e vengono senza problemi, meglio di me che ne ho 35’. 

(Prosegue...)


















domenica 5 aprile 2015

I SENTIERI DI JONATHAN: 'Riempite la Terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente' (5)







































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I sentieri di Jonathan (4)

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I sentieri di Jonathan (6)













 ‘A quel versetto della Genesi che tanto brucia agli Ecologisti (e non solo a loro…), a quell’Adamo posto nel Giardino dell’eden custode e signore di tutte le creature e per questo ritenuto libero di dominare…..




(come quel famoso portiere d’albergo, il quale custode di ogni casa, incaricato dall’amministratore di questo eterno e limitato condominio, il quale fra l’altro si sente quasi un Dio, vuole anche controllarne ogni suo appartamento, visto che il ‘versetto’ che regola e disciplina lo stabile recita indiscusso nel Tomo della legge è così chiaramente espresso. Solo perché conosce, non la combinazione o meglio la vera serratura della vita, celata   in ogni singola esistenza, custodita in ogni piccolo o grande appartamento, ma posseduto dall’eterna presunzione ed eterno limite di superare le ‘porte’ e le soglie di ogni singola ‘anima’ per accedere a ciò che lui ritiene in dovere di possedere controllare contenere ed in ultimo comprendere: la vita! Ed anche, se l’esigenza lo richiede, manipolare, affinché l’Intelletto, espressione del Primo Dio, ne venga colpito nella paura subita. Affinché la Vita in quel luogo custodita venga uccisa sacrificata manipolata e tradita. Affinché la Verità possa essere per sempre inquisita perseguitata umiliata e torturata. Così ogni condomino, nell’attesa di salire i piani più alti della Vita, certo della verità raggiunta, custodisce con umiltà nel singolo ingegno l’essere ed appartenere al mondo, è in realtà ben tradito dal versetto del custode della vita. Il suo Intelletto sappiamo non certo appartenere alla verità raccontata, ma solo manipolata, perché il custode in oggetto è anche persona di degno e riverente rispetto, è lui l’eterno custode del Sogno, lui custode di un Dio troppo astuto per essere svelato da un Eretico ‘umiliato’ e ‘taciuto’, e se la verità potrebbe tacitare un’altra essenza Prima, il sogno sarà manipolato dall’eterno custode della vita. Se la vita parla da un ‘umiliato’ dalla loro strana dottrina, mentre un pazzo si aggira, l’inganno svelerà la soglia perché quella Vita non degna di essere narrata per verità divenuta Dottrina, ed il custode si aggira con l’anima sua inquieta verso questa Foresta di vita, lui cacciatore della vera Parola Prima e compiuta…)….




…. Manipolare, sfruttare la Natura senza alcun limite fino a distruggerla prevedendo tempi e modi di tale nefasto ed ingordo pasto…’, spiega padre Bernardo, ‘ha già risposto Giovanni Paolo II nella sua enciclica: ‘Il dominio accordato al creatore all’uomo non è infatti un potere assoluto ed illimitato, né si può parlare di libertà di usare e di abusare o disporre delle cose (ogni singola Vita riposta nel silenzio della stanza d’Albergo di codesta misera Storia antica… biblioteca della vera Memoria) come meglio aggrada’.
All’antica accusa di antropocentrismo, padre Bernardo risponde dunque capovolgendo i termini discorsivi: ‘Il problema ambientale non si risolve denigrando la superiorità dell’uomo (il quale io mi sono sempre astenuto di offendere, abbiamo sempre taciuto con onesto rispetto il custode di codesto albergo…) e riducendone in tal modo il ruolo, ma al contrario insistendo sulla sua responsabilità nei confronti della Vita di tutto il Creato (certo qui si apre una piccola ‘finestra’ di codesta umile cella in questo albergo di cui  taccio il nome, affinché l’Eretico che in me alberga come un Lupo non possa correre verso il Creatore e divorarlo come il Sole o la Luna perché il fuoco primo che lo alimenta in lei si sprigiona. Ma se è l’uomo custode e padrone, chi in realtà controlla il controllore. In quanto il suo ingegno sappiamo non del tutto retto nello scempio per sempre Creato…. nell’inganno consumato…). Soltanto così l’imperativo della salvaguardia dell’Ambiente diventa non solo una necessità sociale ma anche un comandamento morale’.
… E Francesco? (Il Primo non il Secondo… colui dall’Umiliato creato narrato e pregato. Quando la politica si impadronì del nostro piccolo Universo pregato nella povertà giammai narrata, ma raccontata come ricchezza svelata dal custode della Parola tramandata….).
La sua modernità non sta nel negare il messaggio biblico ma anzi nel vivificarlo. La sua fu una rivoluzione dall’interno, un ritrovare nelle cose, nell’acqua e nel sole, nella luna e negli uccelli, nel fuoco e nel canto delle cicale quei segni che il Dio in cui credeva aveva lasciato nel creato.
















venerdì 3 aprile 2015

I SENTIERI DI JONATHAN: 'Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la Terra; soggiogatela e dominatela sui...' (3)


















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I sogni di Jonathan (2/1)

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I sentieri di Jonathan (4)













Basta salire al Gianicolo in una giornata serena d’inverno. Oltre le cupole (e non solo quelle dei celebri edifici barocchi…) e i palazzi (condomini di potere e ….), al di là delle meraviglie e dei mille problemi di Roma, compare l’Appenino.
A sud, oltre l’Aventino e l’Eur, si scorgono le lontane cime dei Simbruini, degli Ernici, le vette tra la Ciociaria e l’Abruzzo. Tra l’altare della Patria e il Quirinale, il triangolo bianco del Velino è la vetta più alta – 2.487 metri – che è possibile avvistare dalla capitale. Più vicine sono le gobbe scure dei Lucretili, le montagne di Tivoli, così care agli erboristi del Cinque e del Seicento.
Per vedere il Gran Sasso occorre spostarsi un po’ a nord: la piramide del Corno grande compare dalla via Cassia, dalla Storta, dalle rovine di Veio. Nel panorama dal Gianicolo è un’altra cima ad imporsi allo sguardo. E’ una grande cupola innevata, sembra galleggiare sopra il Palazzo di giustizia, a Castel Sant’Angelo, al Pincio.
E’ il Terminillo, la ‘montagna di Roma’.




Gli antichi lo conoscevano bene. Sentinella delle terre dei Sabini, visibile anche per i Fallisci e gli Etruschi, comparve nell’ Eneide di Virgilio come ‘Tetricae horrentes rupes’. Nelle gole del Velino, ai suoi piedi, gli ingegneri romani avevano fatto passare la via Salaria verso Amatrice ed Antrodoco, il Piceno e l’Adriatico. Oltre mille anni dopo, San Francesco lo contemplò a lungo dai solitari conventi di Greccio, Poggio Bustone e La Foresta.
Ferdinand Gregorovius, viaggiatore e cantore del Lazio ottocentesco, scrisse di ‘valli eccezionalmente pittoresche’ percorse da ‘torrenti spumeggianti’. Enrico Abbate, segretario della sezione di Roma del Cai e autore delle prime guide dell’Appenino, descrisse una montagna ‘imponente e con creste scoscese’, capaci d’inverno di ricordare le emozioni di ‘una difficile salita alpina’.




‘Impossibile andare! Ci sono i lupi! C’è troppa neve!’, rispose nel 1882 un guardaboschi ad Abbate, che poi trovò come guide e compagni il luparo di Leonessa e i suoi figli. ‘Se il paese di Leonessa fosse in Svizzera’, commentò poi l’alpinista, ‘questi luoghi subirebbero grandi trasformazioni.  Il paese si rimodernerebbe, sorgerebbero alberghi, comode diligenze percorrerebbero ampie strade trasportando continuamente touristes’.
Difficile, sul Terminillo di oggi, non ripensare amaramente a quella profezia di 111 anni fa. Sul versante meridionale, il più noto, la ‘valorizzazione’ degli anni Cinquanta e Sessanta ha portato un’autentica alluvione di cemento sui pascoli, e qui apriamo una parentesi…




(ed ancor oggi, dopo più di vent’anni dall’articolo di Ardito, si assiste a questa secolare controversia che esamineremo più dettagliamene cercando di non opporre fratture, ma valutare sapientemente per amor primo di ‘Madre Natura’ un adeguato progetto di sviluppo compatibile con le varie esigenze turistiche già in essere, con soluzioni ‘verdi’ confacenti con le esigenze degli amanti della Natura. Dove sportivi ed appassionati di Ecologia possano convivere in armonia in un contesto che rischia l’isolamento per ‘secolari’ controversie che debbono essere superate per gli interessi a lunga scadenza a beneficio dell’Ambiente di cui mi faccio paladino, in quanto l’Economia legata all’Ambiente si è dimostrata, cifre alla mano, la soluzione vincente anche nella logica e conveniente previsione di una graduale ‘riconversione’ e adeguato indirizzo delle strutture già in essere (le quali si possono prestare quali ottime soluzioni per scopi culturali). E dove, sia gli addetti ai lavori legati al vasto mondo del turismo, sia gli appassionati della Natura con le esigenze confacenti con un territorio protetto dalla morsa asfisiante del cemento legato ai suoi ‘controversi’ e ‘limitati’ interessi, sia pastori ed allevatori che certificano una economia sdoganata dalla morsa industriale del prodotto, sia coloro che prediligono un ecosistema compatibile ed ecologicamente equilibrato con strutture in grado di accoglierlo e contenerlo in termini adeguati agli standard europei, dove qui come nei dintorni, inaspettatamente trova varie e sconosciute espressioni di oasi protette da scoprire… come altrettante manifestazioni storiche-culturali da percorrere…; possano stabilire un esempio di ‘adeguamento e tolleranza’ di interessi intesi come risorse a lunga scadenza per il territorio occupato, risorse, che come i piccoli cantoni sovente citati e da noi spesso ed inadeguatamente ‘finanziati’, sanno valutare e rendere compatibili con il territorio occupato, non mortificando l’ecosistema con il 




cemento (ed i suoi interessi e derivati) o con inutili opere che rischiano una limitatezza di intenti perché legate esclusivamente a determinati sport e strutture simmetriche ad eventi atmosferici che volente e nolenti condizioneranno ogni progetto futuro svalutando il territorio come bene primo da valorizzare e scoprire. Ma saper guardare più in là e al di sopra delle vette di cui si vuole scendere la cima. La Montagna con la ‘M’ maiuscola ed i suoi eterni scopritori camminavano e camminano sempre in ‘salita’ compreso il sottoscritto, che, quale pioniere ha trovato quelle secolari fratture crepacci e intimidazioni che interessi a breve scadenza intimano limitano e appannano, con la conseguente nebbia ‘meteorologica’ pericolosa espressione di quel clima che esula dalle variegate ed eterne quanto immutabili espressioni della Natura, e che offuscano ogni intento ‘costruttivo’ quanto ‘didattico’ legato alle risorse del territorio che rischiano di ornare un lugubre museo del futuro con la sua ‘Natura morta’ quale eterno quadro della Storia per l’incapacità degli addetti ai lavori…, o peggio, per quella corruzione di secolare e non decennale memoria che condiziona irrimediabilmente la vita economica e sociale dell’intera nazione!)…..




…. E nelle faggete di Pian de’ Valli. In alto, gli impianti salgono fino ai 2.108 metri del Termineletto. Un’inutile strada sale tra grandi sbancamenti alla Sella di Leonessa, scende al di là verso i boschi della suggestiva Vallonina. Un’altra, ripidissima e mai aperta al traffico, sfregia il versante di Micigliano, in direzione della via Salaria e del Gran Sasso. I progetti di oggi (alla data dell’articolo, ma che nella ciclicità della Storia da noi ‘gnosticamente ed ereticamente’ valutata, deve procedere ‘lineare’ e simmetrica a quella economia ecologicamente compatibile che sempre ha tracciato un percorso adeguato e fruttifero alle risorse del territorio…) includono un traforo stradale, 41 nuovi impianti (ce ne sono 18), 94 chilometri di piste da aggiungere ai 45 già esistenti, il taglio di 17.000 faggi (.. alberi che parlano ed ognuno racconta la sua Storia… leggi anche la mia Favola della Memoria…).

E’ inevitabile dire ‘Terminillo, addio’?.....




(questa infezione ‘nasale’, questo male antico, abdichiamolo ad un profumo altrettanto antico, così che dalla favola si possa scivolare in maniera graduale ad una rima saporita e ben nutrita dell’esule fuggito, e dire ed anche sperare: che il loro concime diventi un campo fiorito, che il loro sterco diventi un sentiero che non conosce martirio: sia per l’albero che narra il secolare invito, sia per il viandante che non abdichi la sua ‘religiosa’ quanto ‘filosofica’ volontà all’Eretico passo antico, in quanto Madre Natura è sola padrona e ‘terapeuta’ in questo ‘calvario’ di cui la vera Eresia è signora della nostra Parola, di cui la foglia domina la risurrezione di quella cosa morta fotosintesi di Universale Memoria; cantata dalla falsa ed ingannevole signora che si vuol incoronare eretica della contraria loggia che male interpreta questa Eresia rimata in questa piccola ora…, perché la retta Rima nasce alla resurrezione del Cristo inchiodato alla sua eterna Parola, figlio del Dio Straniero al tuo breve messaggino: il Primo eterno risorto ed invisibile al tuo piccolo schermo, il Secondo morto e sepolto in odor di cemento misto a fumo e zolfo dell’Inferno profondo….). 




La strada così prosegue a pian di Rosce, a 1.200 metri, nel dicembre del 1933. L’anno dopo raggiunge Pian de’ Valli. Del 1936 è il primo albergo, il Savoia, seguito poco dopo dal Roma. Nel 1938 si inaugura la funivia del Terminiluccio, più noto come ‘il Conetto’. Mussolini torna più volte, si fa fotografare a torso nudo sugli sci. Angelo Manaresi, presidente del Cai, scrive di ‘un capo che assale.....