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‘Sì quello fotografato sulla piattaforma sono (ero io alla data
dell’articolo…) io’, dice Théodore Malgorn, 33 anni, celibe, professione
guardiano del faro.
‘Ero a La Jument, in quel dicembre dell’89, quando ci fu la più
terribile tempesta degli ultimi anni. Il faro oscillava e ad ogni cavallone,
sembrava che dovesse staccarsi dal basamento. E sul più bello, sento il rumore
di un elicottero e penso: chi è quell’incosciente che va in giro in elicottero
con questo tempo? Così, fra un’onda e un’altra, apro la porta ed esco sulla
balconata per dare un’occhiata in giro. Doveva essere proprio Natale, o la
vigilia’.
Quel Natale del 1989 Théodore Malgorn se lo ricorderà di certo per
tutta la vita. I temporali erano cominciati alla metà di dicembre e
proseguirono fino alla fine di gennaio, causando gravissimi danni su tutta la
costa della Bretagna. E al faro di La Jument, il più esposto al largo
dell’isola di Ouessant, quell’inverno il tempo fu ancora più brutto del solito.
Le onde arrivavano fino alla lanterna, quasi 50 metri sopra il livello del mare
calmo, e sfasciavano tutto.
‘I vetri delle finestre sono andati in frantumi’, ricorda Malgorn, ‘e
l’acqua correva dappertutto, ma la lanterna è rimasta accesa’. E già, questa è
la prima preoccupazione del guardiano del faro: che non si spenga il fanale, il
principale riferimento per chi sta lottando in mare contro la furia degli
elementi.
‘Per chi è in mare, vedere quella luce in una notte buia è come per un
uomo vedere Dio’, dice il capitano nel famoso libro di Jules Verne, ‘Un faro in
capo al mondo’. Eppure anche oggi se oggi si chiamano ‘elettromeccanici’ e non
più ‘guardiani del faro’, ed anche se è stata abrogata la disposizione che
vietava loro di abbandonare la cupola della lanterna durante il turno di
osservazione (il ‘quarto’, in gergo marinaro, che può durare 6 oppure 12 ore),
questi marinai senza nave sono ancora protagonisti del romanzo cominciato nel
280 avanti Cristo, quando l’architetto Sostrato di Cnido edificò sull’isoletta
di Pharos, davanti ad Alessandria, in Egitto, una torre dove tenere acceso
notte e giorno un fuoco, ‘per la salvezza dei naviganti’.
Per conoscere tutti i segreti del mare e capire dal colore della
schiuma e dal volo dei gabbiani quando si alzerà la nebbia oppure si scatenerà
la tempesta, non occorre avere traversato gli oceani in lungo o in largo: basta
essere stati guardiani di un faro, gli occhi incollati ad un panorama che non
cambia mai, eppure non è mai lo stesso. Una settimana al faro, scandita dai
quarti di osservazione e di riposo, poi una settimana a terra e di nuovo due
settimane al faro e un’altra a terra: è la regola dei 3/5, fissata dal Service
des Phares et Balises, definito da una prima legge del 15 settembre 1792,
riformato da Napoleone nel 1806 e definitivamente ristrutturato nel 1824.
Tre settimane al faro e due a terra, sempre che possano avere luogo il
recupero del guardiano e la sua sostituzione con il subentrante, la cosiddetta
‘relève’. ‘Durante il periodo della tempesta dell’inverno 1989/90’, ricorda
Théodore, ‘era ben difficile che le ‘relèves’ avvenissero secondo i periodi
programmati: per esempio, nella settimana di Natale abbiamo dovuto aspettare
altri sei giorni prima che il battello potesse accostare allo scoglio di La Jument’.
Per i guardiani dei fari isolati in mare, come quello attorno a
Ouessant, il momento del cambio è un altro pezzo forte del loro romanzo
d’avventura. Il battello arriva dall’isola o dalla riva bretone e si avvicina
fin che può alla balconata del faro. Poi da bordo viene lanciato il cavo e
agganciato il va-e-vieni, una specie di seggiovia sospesa sulle onde e formata
da un grosso cuscino (il ballon) sul quale si issa a cavalcioni il guardiano,
tenendo saldamente fra le mani il gancio di sostegno, mentre da sotto le onde
gli fanno la doccia. I marinai tirano la fune, e il ballon, con il guardiano
appeso, scende lentamente verso il ponte del battello che il capitano cerca di
tenere fermo lavorando di motore e timone: un esercizio di vera acrobazia che si
ripete ad ogni cambio.
‘No’, dice Jean-Jacques Bértheulé, guardiano a Kéréon, un altro dei fari
di Ouessant, ‘basta farci ’abitudine. Ci sono colleghi che hanno più di 50
anni e vanno e vengono senza problemi, meglio di me che ne ho 35’.
(Prosegue...)
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