Precedente capitolo:
Il volo di Jonathan (12)
Prosegue in:
Il volo di Jonathan (14)
... Già cresciuta, compreso quell’Adamo dalla povera favella e la sua
donna, sono al piano da basso del condominio, il peccato ho loro per sempre
donato, e loro mi hanno per questo affidato le chiavi del loro piccolo
‘appartamento’. Se non fosse nel ricordo del peccato consumato non potrei
curare ed amministrare ogni sacrificio sudato. Quando io ero a questo piano
edilizio ancorato, tu ancora strisciavi e porgevi un frutto, ancora, se ben
ricordo, non volavi, strisciavi quale immonda schifezza nella Rima a me poco
gradita, ha sollevato una bufera terrena da me sapientemente e fruttuosamente
gestita. Così nuova moneta ho coniato, altrimenti gli uomini da te creati da
cosa trarrebbero terreno nutrimento? Dall’aria e il Pensiero del tuo Dio? Per
questo ci son io! Materia di ogni Spirito!
Qualcuno ti ha pregato e venerato all’ombra di uno stesso deserto, al confine
di una Parola, il tuo Dio ti conduce per tutte le vite da me raccolte ed ornate
su un rigo, troppo piccole ed immonde per essere studiate, troppo piccole per
essere interpretate su un Frammento su di un rigo su di un Papiro, quando il
vento ti è nemico e la voce barcolla non sazio nel ventre della materia che non
perdona compagna della misera tua ora!
Hai inventato la neve, ed io ho edificato e costruito ugual desiderio,
lo nutro e coltivo, a te poi regalo il pianto antico racchiuso entro una giara
quale sfida al desiderio dell’uomo che governa e divora: vola anche lui su di
un legno, a te regalo ugual legno su alto nel monte, Teschio del pensiero tuo
così mal concepito. Vuoi volare solo tu in questo desiderio antico? La mia
legge è custode di ogni sogno da te partorito, per questo io lo governo nella
salita e discesa del tuo Paradiso, e non condannarmi con la difficile ed
ingannevole Parola, vogliamo negare il privilegio ad ogni uomo della sua
piacevole ora? non fu Tommaso l’atleta che raccolse l’Eresia tua?
Non vedi? Ammira! Si sentono come Dio, e pregano il tuo eterno
martirio, tu che vuoi confinarli senza legge ed edificio per una terra senza
girone e bellezza a contemplare una serpe che striscia, una volpe che ruba, un
lupo che divora il mio gregge che produce e lavora. Ed ancor peggio, un albero
che narra la sua Storia, cacciagione della
mensa condito con il fuoco della mia ‘ora’ elementi della materia per
cui condanni la Terra qui nella blasfemia narrata. La neve fu solo una lacrima
della tua mente, io ho saputo coltivare e dare a lei il giusto nutrimento e
gradimento.
Per te sarebbe stata solo una bella ‘simmetria’, ogni fiocco diverso e
un quadro del tuo Dio, che inutile costruzione che inutile Eresia, il marmo
compongo, la chiesa e il Tempio io dipingo, il tuo invisibile disegno elemento di un Creato nato da un nero
Principio, quale perfezione di morte
dipinta e nel freddo scolpita, su una croce ho confinato ‘la vita prima della
vita’, affinché il Sacrifico venga pregato e la luce illumini il materiale
creato. Nel Battesimo ho costruito la dottrina, ed anche se l’acqua per te ha
un diverso significato, ogni pargolo di questo Creato deve avere l’immunità di
quanto da te Pensato!”.
Odo la tua voce nel Vento fermo della terrena mattina, avverto la paura
antica del cacciatore della segreta ed antica Prima Dottrina, per quanto da me
tutto Pensato e Creato, un diverso Dio comanda la materia e la luce della vita,
un diverso Dio indica la via, io solo un enigma diviso fra un’onda ed una
particella invisibile alla vista.
L’acqua è principio di vita, tu quale elemento che governi la Natura
sappi che l’acqua è principio della Parola nata, ed io così compio il ciclo ad
ogni stagione della materia da te narrata. Se così non fosse non potrei volare
e ricordare delle tante e troppe guerre che conoscono solo martirio privazione
ed inganno, in quanto, anche se
strisciavo ed ora volo, il mondo che prego e di cui mi feci ingegno per
essere da te governato nella materia di questo strano Creato, è privo di quella
violenza e inganno destino della legge e parola del profeta da te inviato.
L’istinto della mia eterna Natura è privo del concetto e Pensiero scritto nella
tortura. Quella io l’ho provata e provo ogni giorno anche nella morte di quelle
creature che vedo affogate nel mare profondo, anche in quei tuoi figli periti
nell’acqua di un tuo principio non condiviso.
Osserva la Natura, ho regalato loro una Rima e la Neve con l’antica
simmetria ha imbiancato la Chiesa della mia poesia. Quale opera meravigliosa,
quale pittura sublime, non v’è quadro più bello in questo dire. Guarda la
bestia che mi fa compagnia, non v’è anima più gentile da condurre per ugual
via. Guarda coloro che popolano il cielo d’inverno e d’estate, non v’è suono
più bello e soave.
Io ho dovuto patire il sacrifico e umiliato dal tuo volo da ognuno
condiviso: chi uno sputo chi una offesa, chi un inganno comandata al portiere
che invade ogni Rima poco gradita al condominio della tua costruzione così ben
concepita. Ma la vita e il Pensiero Primo che per sempre dominano la via e
nella materia crocefissa, non conoscono tortura o violenza alcuna, lascio a te
questo mondo poco gradito io sono figlio di un altro Dio.
Straniero alla tua poesia, Straniero alla ricchezza tua, e se la
povertà e l’umiliazione saranno il calvario dell’eterna mia vita, benvenuto
vento che predichi la vita, visibile e pregato da ogni navigante che gode dei
favori della tua materiale fortuna a
buon porto condurrai la sua terrena venuta, di questo ne sono più che certo, di
questo ne sono più che lieto. Ma io sono un povero Jonathan Straniero alla
ricchezza, striscio volo arrampico su per una cima come un Cristo impazzito e
braccato dal suo popolo come un male antico, muoio ad ogni stagione e poi
risorgo alla primavera e perdo la testa come un quadro dipinto e nell’impressione
scolpito, di questo io ne sono più che certo, la luce illumina ciò che è
visibile alla materia, la morte sarà compagna della mia ora, io a te dono il
quadro della mia onda impazzita al museo della comune via…
Lasciami narrare ora il martirio nella miniatura di questo breve
sacrificio perché io non conosco violenza, la Natura non conosce tortura, per
questo quando la vedo che striscia nella sua piccola dimora, il secolare gesto
debbo narrare all’ombra dell’infame peccato consumato!)
…. Lo ammette tranquillamente anche Giorgio Rochat, 56 anni, docente di
storia contemporanea all’Università di Torino e presidente della Società di
studi valdesi. Questa metafora del valdese-pellerossa ricorre come un basso
continuo nel nostro incontro a Torre Pellice, il capoluogo montano dei valdesi,
che per la vivacità intellettuale, già Edmondo De Amicis aveva ribattezzato ‘la
piccola Ginevra’. Né stupisce il nobilotto protagonista maschile
dell’appassionante romanzo storico ambientato in queste valli a fine Seicento
dalla scrittrice Marina Jarre, ‘Ascanio e Margherita’, appena posa gli occhi su
boschi e spuntoni di roccia, veda proprio quegli indiani irochesi dal trofeo di
penne, di cui narravano i primi pionieri d’America, appostati con arco e frecce
sempre in agguato.
L’analogia con gli indiani si
fonda su diversi aspetti. Sulla fiera resistenza. Sulla perfetta conoscenza del
territorio. Sui metodi di guerriglia. Sull’irriducibilità. Sulla condizione di
rifugiati a casa propria. E non solo quassù, in quello che fu il verde ducato
di Savoia, il Canada italiano. Anche giù in Calabria, verso la secca Arizona.
Dove gli abitanti di villaggi come Guardia Piemontese, Montalto, San Sisto dei
Valdesi e Vaccarizzo nel 1561 vennero stanati dalle truppe del vicerè di
Napoli, chiamate dal grande inquisitore (il domenicano Michele Ghislieri,
futuro papa, nonché santo, Pio V, a tal proposito puoi leggere…) con l’aiuto
degli stessi cani mastini che gli spagnoli avevano addestrato in America latina
per la caccia agli indios.
Sono pagine di orrori e di macelli, di tagli di frutteti, di
conversioni estorte sul filo della spada, di raffinate… TORTURE… nelle segrete,
di avviamento degli uomini più robusti sulle galere di Spagna, di rapimenti di
ragazze destinate alla schiavitù sessuale, di roghi umani che ricordano il
martirio dei primi cristiani, di macabre esposizioni di cadaveri squartati
lungo le strade tra Cosenza e Morano. La faccia di quella ‘ecclesia maligna’,
insomma, che per difendere il lucroso monopolio del sacro chiudeva entrambi gli
occhi davanti alle atrocità del suo braccio secolare.
(Io ho volato sopra quelle Terre, io ho raccolto ed udito il pianto di
quel creato, non puoi qui negare il male arrecato, il peccato, il vero peccato
accompagnato all’inganno di questo Creato ed ancora consumato al Tempo ciclico
del tuo palato. Io dimoravo in una cella gabbia dell’Intelletto inquisito e
braccato, calunniato dallo Stato del tuo araldo, volavo ieri come ora, ed un
tuo servo mi ruba(va) la Parola, la distribuisce alla ‘parabola’ di una falsa
via. La Storia hai inquisito, il canto e la Rima di chi morto bruciato, ed
ancor oggi distribuisci stesso intento, la Storia non vuoi ricordare, cacciando
la ragione dell’Intelletto confusa e rivenduta per pazzia al porto della
giustizia. Poi, come quelle anime affogate, anche io sono....
Nessun commento:
Posta un commento