CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 28 luglio 2022

ALLA 'GROTTA' DEI COSACCHI

 





















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tratti da una diversa grotta.... 


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il Generale 






& con l'Italia russa





 

 

 

Harbin (460.000 abitanti) è nata nel 1896, quando il Governo di Pietroburgo, che tendeva ad espandersi in Asia, obbligò la Cina ad accordare il diritto di costruire una ferrovia in Manciuria. Il Trattato, imposto con le baionette al decrepito Impero dei Figli del Cielo, riconosceva alla Russia anche la concessione di una ‘larga striscia di terreno’ sulle due rive del fiume Sùngari per costruirvi una città, destinata agli impiegati ed operai ferroviari ed alle loro famiglie.

 

L’anno medesimo il Governo russo fondava la famosa ‘Chinese Eastern Rail-way’ che doveva rappresentare una parte così importante sul teatro politico  dell’Estremo Oriente. I lavori della strada ferrata furono iniziati con molta pompa. La Russia degli Czar vedeva grande. Il piano ferroviario prevedeva la valorizzazione agricola di intere province e la costruzione di una ‘capitale’ per la quale la Cina dovette accordare la concessione di 44 milioni di metri quadrati di terreno. Nel pensiero del Governo di Pietroburgo la nuova città doveva essere una affermazione della potenza russa in Asia, contro il Giappone allora appena nascente ma già aggressivo, e contro l’Inghilterra, allora rivale tradizionale ed implacabile.

 

I giornali russi parlavano addirittura di una ‘nuova Mosca d’Oriente’. Lo Stato, l’aristocrazia di Pietroburgo e gli ebrei fornirono i capitali. Migliaia di russi migrarono verso il nuovo Eden asiatico che apriva le sue porte dorate e vi portarono il loro amore del fasto, la loro sete di piaceri, il caratteristico slancio slavo per tutto ciò che è nuovo. Alla posa della prima pietra di Harbin la Corte imperiale mandò un Granduca. Gli Czar non immaginavano certamente che con quella cerimonia la Russia collocava anche la prima pietra della guerra russo-giapponese e, per concatenazione, della Rivoluzione bolscevica del 1917.

 

Nel 1900 Harbin era in piena crescenza.




La Cina fu obbligata ad accordare una nuova concessione di 33 milioni di metri quadrati. Tre anni dopo, anche questi erano insufficienti a contenere la nuova città che aveva già 150.000 abitanti ed il Governo di Pechino cedeva altri 56 milioni di metri quadrati. Alla vigilia della guerra russo-giapponese la Concessione russa di Harbin aveva una estensione di ben 134 milioni di metri quadrati ed una popolazione bianca di 200.000 persone. Un giornale del tempo scriveva:

 

‘Al ritmo di un aumento di 5.000 abitanti all’anno marciamo irresistibilmente verso una Harbin di un milione di abitanti! Abbiamo alle spalle tutta la forza propulsiva della Santa Madre Russia! Abbiamo su di noi la benedizione del Piccolo Padre, lo Czar’.

 

La disfatta russa del 1904 frenò lo sviluppo impetuoso della ‘Nuova Mosca’ ed i voli asiatici dell’aquila dei Romanof. Da base ‘offensiva’ di una espansione politica, militare ed economica che pareva travolgente, Harbin diventava la base ‘difensiva’ di una espansione imperiale che aveva avuto le ali troncate sugli sfortunati campi di battaglia di Mukden e di Port Arthur e nelle acque di Tsuscima. Lo sviluppo di Harbin si fermò. La città però si raffinò, si abbellì, investì nel lusso e nelle eleganze gli abbondanti capitali che ritraeva dai lucrosi traffici fluviali sul Sùngari e sull’Amur, dal taglio delle foreste manciuriane, dallo sfruttamento delle miniere d’oro, dai pingui commerci delle lane e delle pellicce con la Mongolia e con la Cina.




La Chiesa ortodossa tenne ad erigervi basiliche festose che fossero una specie di proiezione di Santa Sofia verso le immensità dell’Asia. Su questa città fortunata e gioiosa si abbatté come un ciclone la rivoluzione bolscevica del 1917. In un primo momento la rivoluzione risparmiò Harbin. L’assenza di un proletariato slavo locale evitò che la rivoluzione scoppiasse sul posto e vi insanguinasse le strade.

 

Quando Mosca era già a ferro e fuoco, Harbin conservava intatte le sue pasticcerie. A Harbin cercarono, anzi, rifugio tutti i ricchi che riuscivano a scappare dalla Siberia, portandovi i denari che avevano potuto salvare, i gioielli, le loro pellicce di zibellino e di ermellino, le loro abitudini di prodigalità e di lusso, i racconti drammatici delle loro peripezie, il loro odio per la rivoluzione, la loro certezza in un rapido ritorno dello Czar sul trono di Tutte le Russie. Si accolsero ad Harbin anche gli ufficiali di tutte le guarnigioni di Siberia che si erano rivoltate contro il Governo e vi si adunarono quei battaglioni cosacchi che, sopraffatti militarmene dalla eruzione popolare, rimanevano spiritualmente fedeli all’Imperatore ed alla bandiera.

 

....Harbin visse mesi intensamente drammatici, tra la febbre rivoluzionaria, le passioni politiche ed i dolori familiari, in mezzo ad una confusione straordinaria di strati sociali e di stati d’animo. Le strade rigurgitavano di principesse, di dame d’alta borghesia, di ufficiali della Guardia, di nomi illustri e di pellicce che rappresentavano le più grandi casate aristocratiche e plutocratiche della Russia.

 

La città formicolava di uniformi, di sciabole, di spalline.




Nell’angolo di un caffeuccio russo, dinanzi a quattro bottiglie di birra giapponese, un vecchio cencioso che però incastra ancora con gesto signorile nell’orbita rugosa un monocolo di stile – ultimo avanzo di una esistenza ricca finita nel fango di tutte le miserie – mi ha rievocato quel periodo teatrale della storia di Harbin. Era il resoconto di una storia recente che è tuttavia lontanissimo. Ad ascoltare il suo linguaggio pieno di nomi finiti, di cose morte, di situazioni scomparse, di pensieri svaniti nel grande cimitero delle idee superate, sembrava di vivere paradossalmente in un altro tempo.

 

Dal 1918 al 1921 Harbin diventa la capitale della Russia Bianca. Nel 1923 tutti i piani, tutte le chiacchiere e tutti gli eroismi della Russia bianca sono finiti in un lago di sangue, di lacrime e di  retorica… Così per consolarmi e congedarmi con dignità da questa grande città della ferrovia e dell’industria e del commercio sguscio furtivo, rasente i muri e le bottegucce male chiarite, con la strana sensazione di essere colpevole di una mancanza grave, con l’impressione fisica di sentirmi da un momento all’altro sulle spalle l’artiglio della POLIZIA e d’essere tradotto in guardine buie verso una sfilata di interrogatori e torture… cinesi…

 

Ed è proprio l’ingresso di un bagno cinese che mi tenta….

 

Lo stabilimento di Han-Kong con annessa lavanderia è di prim’ordine…

 

- Vuole una russa di pelle bianca?

 

– Bianca! Bianca!

 

- Bianca come la neve. Bianca come il latte. Bianca come la giada bianca.

 

– ….E’ di grande famiglia… Una principessa… una principessa cosacca…




Venti minuti dopo la ‘principessa di giada bianca’ batte con le nocche alla porticina della stanzetta. Han-Kong incassa per la fornitura cinque dollari della Banca della Manciu-Kuò e se ne va soddisfatto, dignitosissimo, correttissimo…  La donna è alta, bionda, bianca come la giada bianca, ruvida soldatesca. Avrà trent’anni. Si chiama Olga.

 

Olga Mikhailova.

 

Parla inglese….

 

Puzza d’aglio e di vodka.

 

Sorride.

 

Arrossisce un po’.

 

Si sfagotta dai suoi cenci e dalle sue pellicce miserabili. Che buon odore di acqua e di sapone! Lei non ha un bagno in casa sua. Permetterei che facesse un bagno? E’ piuttosto brutta Olga Mikhailovna, con un fondo di antica bellezza giovanile rimasto fra pelle e pelle sul volto avvizzito da una esistenza di battaglia e di miseria.

 

Puzza di vodka e zoppica, Olga….

 

Ha un viso tormentato ed aspro, la carnagione ruvida, staffilata dal freddo, flagellata dal vento, cotta dall’intemperie. Si spoglia. Scopre una biancheria sudicia, povera, tutta consumata e rammendata. E’ l’immagine viva della misera, un povero avanzo della Grande Russia, un coccio della Rivoluzione giocata in troppi cortili di ambasciate decrepite, un vago tentativo della Guerra civile, ordinata dai suoi nuovi protettori. Un batuffolo umano della gigantesca crisi dell’Asia….




Dai cenci luridi esce un corpo ancora giovane che deve essere stato all’inizio bellissimo, sformato ora un po’, ha difficoltà a  tenersi in piedi e barcolla, resti di una vita di miserabili bagordi nella quale qualcuno ignoto le ha macerato il destino. Vizzi e cascanti sono i piccoli seni, gonfio il ventre, tutte peste di lividi le gambe dal ginocchio in giù, mal conciate le braccia dal gomito rozzo alle dita ordinarie, ma le giunture fini, la curva ben modellata delle spalle, i fianchi falcati, l’incavatura sinuosa del dorso, la rotondità dolce delle cosce e dell’avambraccio, rivelano un esemplare umano di razza.

 

Nuda, con solamente gli stivali, si scioglie i lunghi capelli biondi e resta un po’ così a parlare, coprendosi con le mani il basso ventre con un istintivo gesto di pudore che sopravvive ai colpi del destino ed all’abbrutimento della vodka. Nella stanzetta cinese, tutta fradicia d’acqua e di saponata, intrisa del vapore delle emanazioni del bagno bollente, quel nudo femminile bastonato dall’esistenza, aureolato dalla traboccante capigliatura d’oro a riflessi fulvi, eretto sugli alti stivalacci di pelo di lupo, inzaccherati, ha una linea scultorea ed una intonazione drammatica.

 

La femmina non tenta di accarezzare.

 

Deve sapersi brutta.

 

Non cerca di baciare.




Deve sapere che puzza d’aglio e di alcole. E’ un po’ ubriaca e un po’ scossa da quell’insolito incontro con un bianco, ammorbidita dal tepore umido dell’ambiente, Olga Mikhailovna deve sentire una specie di indeterminata gratitudine verso lo sconosciuto il cui capriccio le procura l’insolito ed  inaspettato conforto di un luogo tiepido mentre fuori fa tanto freddo, d’un bagno caldo, d’un ritorno alla pulizia, d’un tè bollente, d’una conversazione gentile venata d’intimità…

 

A vederla così, nuda, fra l’oro dei capelli bellissimi e quel sedere ancora in forma, si è colpiti dal contrasto che esiste fra il colore rossiccio del volto, del collo, d’un angolo di petto, dei polsi, delle mani, di tutte le parti del suo corpo che sono abitualmente a contatto dell’atmosfera e della quotidiana vita vissuta, e, viceversa, la lattea magnificenza del resto della carne che i cenci luridi proteggono normalmente dal contatto con l’esterno. Poi Olga entra nella vasca, con la sua nudità assoluta…. si ode  un rantolo di piacere, forse l’acqua calda….

 

Olga Mikhailovna è cosacca…




E’ una cosacca autentica dell’Ussuri. Suo padre faceva parte d’uno squadrone cosacco dell’atamano Semionof ed è morto nei dintorni di Urga, al servizio del barone Unzern-Stenberg, durante la mirabolante avventura mongolica del barone baltico alla quale, bambina, ha partecipato di accampamento in accampamento, di battaglia in battaglia, di eccidio in eccidio, di infamia in infamia…

 

Appiccicata alla gonna della madre che è poi morta in un bosco sull’Amur, e lei ha continuato da sola la sua procellosa vita…. zingaresca, nel turbine della guerra civile, nel tragico caos degli sconvolgimenti della Manciuria, ora a fianco di un cosacco ora di un altro, amante successivamente accarezzata ed abbandonata, preda di questo e di quello, vivendo di baci e di cipolle… e di aglio, di schiaffi…. e di vodka, su e giù per i boschi e per i villaggi, da Urga a Harbin, trastullo dei bianchi e di gialli, di mongoli e dice anche di inglesi, a volte innamorata da una carezza calda sotto una coltre pidocchiosa, altre volte forzata con brutalità all’amplesso dalla violenza d’un vincitore sopra un letto di foglie nell’asprezza del bosco, sempre lì lì per morire di fame o di stenti, sempre salvata da un bruscolo di fortuna appoggiato nel bel mezzo delle sue cosce ardenti….

 

Ora Olga Mikhailovna si gira di spalle e mi mostra il suo bel  di dietro, mentre geme nella tinozza calda… corpo ardente d’amore… e inizia il suo racconto…

 

 …Alle due di notte il colonnello Kracenski mi conduce in una taverna dell’Artilleriskaia.

 

Piove a dirotto.


(Prosegue....)








 

mercoledì 13 luglio 2022

LA CAVERNA DEGLI...

 





















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circa il Pensiero vivente 


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gli antichi...

 

 




 

Nel mio intimo ero molto più interessato alla Caverna degli Antichi che una spedizione di alti Lama aveva scoperto e che conteneva riserve favolose di sapere e di manufatti di un’età in cui la Terra era molto giovane.

 

Conoscendo bene la mia Guida, sapevo che era inutile aspettarsi il racconto fino a quando non fosse pronta, e non era ancora giunto il momento. Sopra le nostre teste le stelle brillavano con tutta la loro gloria che non veniva offuscata dall’aria rarefatta e pura del Tibet. Nei Templi e nei Monasteri buddhisti le luci si spegnevano a una a una. Da lontano, attraverso l’aria notturna, giungeva il guaito lamentoso di un cane cui rispondevano, abbaiando, i cani del Villaggio di Shö, sotto di noi. La notte era calma, perfino placida, e nessuna nuvola copriva la faccia della luna appena sorta. Le bandiere delle Preghiere pendevano, fiacche e senza vita, dai pali. Il suono debole di una Ruota delle Preghiere giungeva da qualche angolo remoto mentre un monaco devoto, imbevuto di superstizione e inconsapevole della Realtà, faceva girare la Ruota nella vana speranza di guadagnarsi il favore degli Dei.

 

Il Lama, la mia Guida, sorrise sentendo quel suono, e disse:

 

‘A ognuno secondo la sua fede, a ognuno secondo il suo bisogno. Gli orpelli del cerimoniale religioso sono un sollievo per molti, non dovremmo condannare coloro che non hanno ancora percorso abbastanza la Via e che non sono ancora capaci di reggersi senza grucce. Ti parlerò, Lobsang, della natura dell’Uomo’.




Mi sentivo molto vicino a quell’Uomo, l’unico che mi avesse mai dimostrato considerazione e amore. Ascoltai attentamente per giustificare la sua fiducia in me. Almeno, è così che iniziai, ma presto trovai l’argomento affascinante e allora ascoltai con un’impazienza malcelata.

 

‘Il mondo intero è fatto di vibrazioni. Perfino i poderosi monti dell’Himalaya,

 

…disse il Lama,

 

‘non sono che una massa di particelle sospese in cui nessuna particella può toccare l’altra. Il mondo, l’Universo, consiste di piccolissime particelle di materia attorno alle quali vorticano altre particelle di materia. Come il nostro Sole con i suoi mondi che gli rotano intorno sempre alla stessa distanza l’uno dall’altro, senza mai toccarsi, così tutto ciò che esiste è composto di mondi vorticanti’.

 

Si fermò e mi osservò, chiedendosi forse se tutto questo fosse troppo difficile per me, ma lo capivo benissimo.

 

Continuò:

 

‘Gli spiriti che noi chiaroveggenti vediamo nel Tempio sono persone, persone vive, che hanno lasciato questo mondo e sono entrate in uno stato per cui le loro molecole sono tanto distanziate le une dalle altre che possono passare attraverso il muro più spesso senza toccarne una singola molecola’.




‘Onorevole Maestro’,

 

dissi,

 

‘perché avvertiamo un formicolio quando uno ‘spirito’ ci sfiora?’.

 

‘Ogni molecola, ogni piccolo sistema di ‘sole e pianeta’ è circondato da una carica elettrica, non il tipo di elettricità generata dall’Uomo per mezzo di macchine, ma un tipo più raffinato. L’elettricità che vediamo scintillare nel cielo in certe notti. Come la Terra ha l’Aurora Boreale che risplende ai Poli, così la più piccola particella di materia ha la sua ‘Aurora Boreale’. Uno ‘spettro’ che si avvicina troppo a noi trasmette una lieve scossa alla nostra aura, ed è per questo che avvertiamo il formicolio’.

 

Attorno a noi la notte era tranquilla, neanche un soffio d’aria turbava la quiete; regnava un silenzio che si può conoscere solo in paesi come il Tibet.

 

‘L’aura, allora, che vediamo, è una carica elettrica?’,

 

chiesi.

 

‘Sì!’,

 

rispose la mia Guida, il Lama Mingyar Dondup.




‘Fuori dal Tibet, in paesi dove fili che trasportano la corrente elettrica ad alto voltaggio attraversano la terra, gli ingegneri elettrotecnici osservano e riconoscono un effetto ‘corona’. Questo ‘effetto corona’ consiste in una corona o aura di luce azzurrina che sembra circondare i fili. Si vede soprattutto nelle notti buie e con la foschia, ma naturalmente esiste sempre per coloro che possono vedere’.

 

Mi guardò pensoso:

 

‘Quando andrai a Chungking a studiare medicina, userai uno strumento che segna le onde elettriche del cervello. Tutta la Vita, tutto ciò che esiste, è elettricità e vibrazione’.

 

‘Ora sì che sono perplesso!’,

 

risposi,

 

‘come può la Vita essere vibrazione ed elettricità? Posso capire una cosa, ma entrambe, no’.

 

‘Ma mio caro Lobsang!’,

 

rise il Lama,

 

‘non vi può essere elettricità senza vibrazione, senza movimento! È il movimento che genera l’elettricità, perciò le due cose sono intimamente collegate’.

 

Notò la mia espressione perplessa e con il suo potere telepatico lesse nel mio pensiero.

 

‘No!’,

 

disse,




‘non una vibrazione qualsiasi! Lascia che te lo spieghi in questo modo; immagina un’enorme tastiera di musica che si estenda da qui all’infinito. La vibrazione che noi consideriamo solida sarà rappresentata da una nota su quella tastiera. La nota seguente potrebbe rappresentare il suono e l’altra rappresenterà la vista. I sentimenti, le sensazioni, gli scopi che non riusciamo a capire durante la permanenza su questa Terra saranno rappresentati da altre note. Un cane può udire delle note alte che un essere umano non può udire, e un essere umano può udire delle note basse che un cane non può udire. Si potrebbero dire delle parole in tonalità alte che un cane riuscirebbe a captare senza che un essere umano ne sia a conoscenza. Nello stesso modo, delle personalità del cosiddetto mondo dello Spirito possono comunicare con persone ancora su questa Terra quando possiedono il dono speciale della chiaraudienza’.

 

Il Lama si fermò e rise leggermente:

 

‘Ti sto facendo tardare, e tu vuoi andare a letto, Lobsang, ma sarai libero domani mattina per ricuperare’.

 

Fece un cenno verso l’alto, verso le stelle che luccicavano con tale splendore nell’aria limpidissima.

 

‘Da quando ho visitato la Caverna degli Antichi e ho avuto modo di provare gli strumenti meravigliosi che vi si trovano, strumenti conservati intatti dai tempi dell’Atlantide, mi sono spesso divertito con un capriccio della fantasia. Mi piace immaginare due creature senzienti, più piccole perfino del virus più piccolo. La loro forma non ha importanza, bisogna concedere loro solo l’intelligenza e il possesso di ottimi strumenti. Immaginale in uno spazio aperto nel loro mondo infinitesimale (come noi adesso!)’.




Che notte bellissima!’,

 

esclamò Ay, fissando intensamente il cielo.

 

‘Sì’,

 

…rispose Beh,

 

‘fa pensare al senso della Vita, a cosa siamo, a dove stiamo andando?’.

 

Ay meditò, guardando le stelle infinitamente sparse nei cieli.

 

‘Mondi senza limiti, milioni, miliardi di mondi. Mi chiedo quanti di essi siano abitati?’.

 

‘Sciocchezze! Sacrilegio! Ridicolo!’,

 

…balbettò Beh,

 

‘tu sai che non c’è vita tranne che su questo nostro mondo. Non ci dicono i Preti che siamo fatti a immagine di Dio? E come può esserci altra vita che non sia esattamente uguale alla nostra’…

 

‘no, è impossibile, stai perdendo i sensi!’

 

…Ay borbottò, di cattivo umore, allontanandosi,

 

 ‘Potrebbero sbagliarsi, sai, potrebbero sbagliarsi!’ 

 

Il Lama Mingyar Dondup mi sorrise e disse,




‘Ho perfino un seguito per questa storia! Eccolo’:

 

‘In un lontano laboratorio, due scienziati stavano lavorando a una scienza che noi non riusciamo neanche a concepire, con dei microscopi fantasticamente potenti. Uno di essi era rannicchiato su uno sgabello con gli occhi incollati al meraviglioso microscopio. Improvvisamente sussultò, spinse indietro la sedia, grattando rumorosamente il pavimento. ‘Guarda, Chan!’, gridò al suo Assistente, ‘Vieni a vedere questo!’. Chan si alzò, andò verso il suo Superiore, tanto eccitato, e si sedette davanti al microscopio. ‘Ho un milionesimo di grano di solfuro di piombo su questo vetrino’, disse il Superiore, ‘dai uno sguardo!’. Chan regolò il microscopio e fischiò per la sorpresa improvvisa. ‘Santo Cielo!’ esclamò, ‘è proprio come se si osservasse l’Universo con un telescopio. Sole ardente, pianeti orbitanti…!’. Il Superiore parlò meditabondo: ‘Mi chiedo se riusciremo a ottenere un ingrandimento tale da poter arrivare a vedere un mondo singolo — mi chiedo se c’è vita laggiù!’. ‘Sciocchezze!’, disse Chan bruscamente, ‘certamente non c’è vita senziente. Non può esserci; non ci dicono i Preti che siamo fatti a Immagine di Dio, come può esserci Vita intelligente laggiù?’.

 

Sopra le nostre teste, le stelle rotavano nel loro corso, infinito, eterno. Sorridendo, il Lama Mingyar Dondup cercò nella sua veste e ne estrasse una scatola di fiammiferi, un tesoro che veniva fin dalla lontana India. Lentamente ne tirò fuori un fiammifero e lo tenne davanti a sé.

 

‘Ti farò vedere la Creazione, Lobsang!’,

 

…disse allegramente.




Con mossa calcolata ne strofinò la testa sulla superficie ruvida della scatola, e avendola accesa, tenne in alto la scheggia ardente. Poi la spense!

 

‘Creazione e dissoluzione’,

 

disse.

 

‘La testa fiammeggiante del fiammifero ha emesso migliaia di particelle ognuna delle quali, esplodendo, si è allontanata dalle compagne. Ognuna costituiva un mondo a sé, il tutto, un Universo. E l’Universo è morto quando la fiamma è stata spenta. Puoi dire che non vi fosse vita su quei mondi?’.

 

Lo guardai dubbiosamente, senza sapere cosa dire.

 

‘Se si trattasse di mondi, Lobsang, e ci fosse vita su di essi, per quella Vita, i mondi sono durati milioni di anni. E noi, siamo solo un fiammifero acceso? Noi viviamo qui, con le nostre gioie e i dolori — soprattutto dolori! — pensando che questo mondo non abbia fine? Pensaci, e continueremo a parlarne domani’.

 

Si alzò e sparì dalla mia vista.

 

Attraversai il tetto inciampando, tastando ciecamente nel buio per trovare l’estremità della scala che portava giù. Le nostre scale sono diverse da quelle usate nel mondo occidentale: sono fatte di pali con tacche. Trovai la prima tacca, la seconda, la terza, poi scivolai nel punto in cui qualcuno aveva fatto cadere del burro da una lampada. Caddi con un gran fracasso, atterrando in fondo alla scala in un mucchio aggrovigliato; vidi più ‘stelle’ di quante ce ne fossero nel cielo e suscitai molte proteste da parte dei monaci che dormivano *. 

 


 

[* BASTONE DEI DEMONI SCONGIURI DEGLI SPIRITI MALIGNI Ottimi, e efficacia sperimentata e mirabile, dei quali la conoscenza spetta propriamente al Sacerdote. In parte dedotti dalla vita di S. Ubaldo Vescovo e Confessore Canonico Regolare Lateranense e in parte sperimentati dall’Autore nella Chiesa di detto Santo. Con una singolare istruzione sull’espulsione dei maligni spiriti. Autore R.P.D. Carlo Oliviero da Vicenza, Predicatore e Cittadino di Gubbio, Canonico Regolare del Salvatore Lateranense, dell’Ordine di S. Agostino e professore nell’arte Esorcistica.  Selezione dal Baculus Daemonum: Del modo di riconoscere gli indemoniati (l’esorcista) potrà riconoscere la presenza d’uno spirito (maligno) quando sentirà la vittima parlare o conoscere ciò che è stato detto in altro luogo, o sapere cose che non avrebbe potuto sapere, come ad esempio nel caso di cose lontane ed occulte. Riconoscerà con più probabilità (l’indemoniamento) quando vedrà tremare sotto la sua mano la persona, quasi fosse colpita, quando pronuncia le sacre parole, o fare torsioni; (esprimere) dolori, movimenti o furori insoliti e subitanei, o inorridire e detestare le cose divine, come i Sacramenti e massimamente (quello) dell’Eucarestia, della Confessione e i nomi dei Santi e le Orazioni divine. Vedrà inoltre gli indemoniati piangere senza sapere perché stanno piangendo. Rispondere a quelli che lo interrogano con ira, indignazione e aggressività contraria alle normali consuetudini. 




Non parlare, essendovi costretto. Stringere i denti e rifiutarsi di mangiare. Dire molte cose, ma non riconoscere che la minima parte di ciò che ha voluto esprimere. Rimanere come privo di sensi. Percuotere coi pugni, lacerarsi le vesti e strapparsi i capelli. Essere invaso da terrore improvviso, e all’improvviso il terrore sparisce. Imitare il verso di diversi animali. Far stridere i denti e mostrare segni di cane rabbioso. Protendersi sui precipizi. Dagli indemoniati inoltre sono percepite o udite varie cose sovrannaturali. Sente attraverso il corpo uno scorrere di formiche, un saltare di rane, un serpeggiare di vipere, pesci che nuotano, mosche che volano. Sotto la mano consacrata imposta loro sul capo, o durante la sacra lettura, avvertono un senso di freddo o di calore intensissimi, o di peso. Gridano se imponi loro sul capo e sul corpo certe reliquie di Santi, anche se lo fai di nascosto, e dicono di toglierle perché puzzano, o pesano, o si slanciano rabbiosi contro il ministro o contro i presenti. Hanno in odio ogni cosa spirituale, fuggono al cospetto del sacerdote e particolarmente dell’esorcista. Non vogliono entrare in Chiesa e, se entrano, scappano, o provano fastidio delle corone e dei libri spirituali, e non vogliono guardare né baciare gli oggetti benedetti e le immagini dei Santi; le gettano via e ci sputano sopra. Quando leggi gli Evangeli, gli Esorcismi, la Passione di Cristo e simili, gli indemoniati si prostrano turbati e compiono altre azioni disordinate. Manifestano le cose segrete, interpretano le cose difficili, parlano in latino pur essendo ignoranti e così via. Si ricordi tuttavia che questi sintomi possono manifestarsi anche nell’affatturato (maleficiato). 

   



Ben presto, tuttavia, la mappa dell’Asia centrale si disse per lungo tempo infestata e patria dei Dèmoni, iniziò a cambiare.

 

Non solo la macchina da guerra zarista stava inghiottendo a uno a uno i canati intorno a Samarcanda e a Khiva, ma un po’ alla volta anche l’India britannica si andava espandendo a nord verso il Tibet.

 

A ben vedere, le finalità strategiche dell’Inghilterra erano relativamente innocenti - creare una serie di stati cuscinetto, un cordone sanitario - tra le ricchezze dell’India ed eventuali problemi provenienti dal Nord. Ma è difficile immaginare che la pensassero così i tibetani, i quali, quando si resero conto di cosa stava accadendo tutto intorno a loro, iniziarono a sentirsi seriamente minacciati da questi nuovi grandi potentati asiatici.

 

I cinesi non erano affatto in grado di aiutarli contro le formidabili armi moderne dei nuovi arrivati, come avevano fatto contro i gurkha, armati in modo primitivo. I tibetani capirono che da allora in poi avrebbero dovuto occuparsi da sé di proteggere le proprie frontiere. Le autorità di Lhasa misero in guardia i funzionari locali: gli stranieri non esitavano a ricorrere a ogni sorta di inganno.




Si insinuavano in un paese sul quale avevano messo gli occhi, provocavano disordini contro le autorità locali, e poi lo annettevano.

 

Per ciò detto nell’odierno svolgimento della continuata immutata Storia priva di qualsivoglia Memoria verifichiamo, da recenti esperimenti effettuati - documentati non meno che perseguitati per la Verità in essi contenuta - confermare suddetta pratica rinnovata ai canoni della medesima Storia; da taluni nominata trionfo della Scienza in nome e per conto dell’inarrestabile progresso; la quale non si consolida solo entro la materiale geografia composta di bottini e tesori trafugati al Sacro: oro e fuochi, petrolio e ricchezza; bensì tende ad estendersi e consolidarsi, prolungandosi - quale agghiacciante morbo - annettere fagocitare il vasto esteso geografico infinito terreno concernente Anima Spirto e Dio.




Se pensiamo in uso dall’allora ed odierna politica cinese, in verità e per il vero, ci accorgiamo ben consolidata con i più moderni mezzi in uso di allora come l’odierno èvo; sicché il costante monito dell’esperienza tibetana ci serve oltre che da esempio, anche ed altresì qual fattore di comprovata proprietà nella capacità matematica - della progressione  numerica - di svolgere e adempiere costante incisione scritta nella materia quando si parla d’immateriale; cioè: se Dio e al meglio chi interpreta il Suo Pensiero riflesso in Terra, viene non solo offeso, ma violato nei più elementari Elementi che hanno principiato e continuano a contraddistinguere l’Evoluzione; cosa possiamo e dobbiamo meditare e riflettere circa questi eterni viaggiatori fra Terre e Confini numerati e contati nei Secoli d’impropria ‘materia’ far conto di se medesimi in ciò che non gli appartiene, sospesi nell’orbita del Tutto mascherati di apparente ‘evoluto Intelletto’ comporre la Storia?

 

Preferiamo l’oblio del Nulla affine all’Elemento senza Parola alcuna!

 

Comporre e scomporre improprio Tempo violando ogni Stagione e Pensiero perseguitando l’altrui continuamente profanato e vilipeso oltre i confini del Sacro; i quali ci fanno meditare tutte quelle simmetriche Terre e Nature conquistate e colonizzate non men che profanate nella genetica del Sacro connesso con l’Anima Mundi della Terra.




Lasciamo ai nuovi profanatori di tombe - maghi di falsi proclami in cerca di Terra e Pensiero vivo - come sangue fresco e non più oro, profanare tesori e cultura, i quali già descritti nella pandemica oscena delirante e più certa demoniaca possessione avversa ad ogni più naturale perseguitata condizione, credendosi ed eleggendosi padroni del Tempo e della Materia così di nuovo scomposta e creata.

 

La degenerazione ‘morale e intellettuale’ riflessa nella disgregazione sociale il solo  motivo della corrotta Storia, soldo araldo e delirio! L’avversione alla Natura e Dio li unisce nella sfida nominata Economia guidare ed inabissare ogni domani, ogni Natura, ogni Alba e tramonto, ogni cosa Viva! Sicché e per concludere la breve parentesi in onore della Teologia dell’antica Dottrina, della Filosofia… e non solo del numero, ciò che pensiamo una pratica dismessa in realtà ancora ben consolidata. Tutto ciò appartiene alla dissoluzione e dissacrazione quale caratteristica dell’uomo detto umano ed ove, mi ripeto, ogni degrado della materia ne convalida e certifica l’improprio istinto giammai evoluto, non meno la grande capacità di avvelenare l’intera Terra.]

 

(Giuliano Lazzari; Un mondo perduto)


(Prosegue....)