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Con le sue mosse, il regime dell’eternità di Vladimir Putin ha lanciato
una sfida alle virtù politiche: cancellando il principio di successione in
Russia, attaccando l’integrazione in Europa, invadendo l’Ucraina per fermare la
creazione di nuove forme politiche. La sua più grande campagna è stata una ciberguerra
volta alla distruzione degli Stati Uniti d’America. Per ragioni che hanno a che
fare con le disuguaglianze americane, nel 2016 la Russia ha ottenuto una straordinaria
vittoria; e proprio a causa di questa vittoria, le disuguaglianze in America
sono ora diventate un problema ancora più grande.
L’ascesa di Donald Trump
può essere vista come l’attacco di quegli ‘avversari più letali del governo repubblicano’
giacché i leader russi appoggiavano apertamente e con entusiasmo la candidatura
di Trump: per tutto il 2016, le élite russe dissero, con il sorriso sulle
labbra, che ‘Trump è il nostro presidente’. Dmitrij Kiselëv, l’uomo di punta
del mondo dei media russi, si rallegrò per il fatto che ‘sta sorgendo una nuova
stella: Trump’. Gli eurasiatisti la vedevano allo stesso modo: Aleksandr Dugin postò
un video intitolato Abbiamo fiducia in Trump ed esortò gli americani a ‘votare per Trump’. Aleksej
Puškov, presidente della commissione affari internazionali della camera bassa
del parlamento russo, espresse la speranza generale che ‘Trump possa far
deragliare la locomotiva dell’Occidente’.
Alcuni russi cercarono di avvertire gli americani del pericolo:
Andrej Kozyrev, un ex ministro degli Esteri, spiegò che Putin ‘si rende conto
che Trump calpesterà la democrazia americana e danneggerà – o addirittura
distruggerà – l’America, che rappresenta un pilastro della stabilità e una
grande forza in grado di contenerlo’. La macchina dei media russi era al lavoro
al servizio di Trump. Come avrebbe in seguito spiegato un giornalista russo, ‘ci
vennero date delle istruzioni molto chiare: mostrare Donald Trump sotto una luce
positiva e la sua avversaria, Hillary Clinton, in modo negativo’.
Il sito di propaganda russo Sputnik usò l’hashtag #crookedhillary (‘Hillary
disonesta’) su Twitter – un gesto di rispetto e sostegno verso Trump, visto che
l’espressione era sua – e associò la Clinton alla guerra nucleare. Trump
comparve su RT per lamentarsi che i media statunitensi fossero bugiardi, una
performance che si coniugava perfettamente con lo spirito della rete televisiva
russa: la sua intera ragion d’essere, infatti, era quella di svelare la singola
verità che tutti nascondevano, e ora aveva trovato un americano che diceva la stessa
cosa.
A novembre, quando Trump vinse le presidenziali, venne applaudito dal
parlamento russo e telefonò subito a Putin per ricevere le sue congratulazioni.
Quella domenica, nel suo programma serale Vesti nedeli, Kiselëv salutò
Trump come il ritorno della virilità in politica, fantasticando davanti ai suoi
telespettatori su come il neopresidente soddisfacesse le bionde, inclusa
Hillary Clinton. Era compiaciuto del fatto che ‘le parole “democrazia” e “diritti
umani” non sono nel vocabolario di Trump’. Descrivendo un incontro fra il neopresidente
e Obama, Kiselëv disse che quest’ultimo ‘agitava le braccia, come se fosse
nella giungla’. In seguito, commentando la cerimonia di insediamento di Trump, dichiarò
che Michelle Obama sembrava la domestica.
Le politiche dell’eternità sono piene di fantasmagoria, di bot e
troll, di fantasmi, zombie, anime morte e altri esseri irreali che accompagnano
al potere un personaggio da fiction. ‘Donald Trump, uomo d’affari di successo’
non era una persona: era una fantasia nata in quello strano clima dove la
corrente discendente della politica dell’eternità americana, il suo capitalismo
senza restrizioni, si incontrava con i fumi ascendenti della politica
dell’eternità russa, il suo autoritarismo cleptocratico. La Russia ha fatto salire
‘una sua creatura’ alla presidenza degli Stati Uniti. Trump era la carica
esplosiva di una ciberarma progettata per creare caos e debolezza, come in
effetti ha fatto.
La scalata di Trump allo Studio Ovale prevedeva tre stadi, ognuno dei
quali dipendeva dalla vulnerabilità americana e richiedeva la cooperazione
americana. In primo luogo, i russi dovevano trasformare un imprenditore
immobiliare fallito in un beneficiario dei loro capitali. In secondo luogo,
questo imprenditore fallito doveva essere rappresentato, sulla televisione americana,
come un uomo d’affari di successo. Infine, la Russia sarebbe intervenuta per
sostenere con forza il personaggio romanzesco ‘Donald Trump, uomo d’affari di successo’
nelle elezioni presidenziali del 2016.
In tutta questa messinscena, i russi sapevano che cosa era reale e
che cosa era una finzione. Sapevano chi era realmente Trump: non l’‘uomo
d’affari di gran successo’ dei suoi tweet, ma un perdente americano diventato uno
strumento in mano ai russi. Nonostante ciò che potevano sognare gli americani,
a Mosca nessuna personalità importante credeva che Trump fosse un potente
magnate. Erano stati i soldi russi a salvarlo dal destino che, in genere,
attende chiunque abbia alle spalle una scia di fallimenti come la sua. Da un punto di vista
americano, la Trump Tower è un
vistoso edificio sulla Fifth Avenue, a New York City; da un punto di vista
russo, è un luogo invitante per il crimine internazionale.
I gangster russi iniziarono a riciclare denaro sporco comprando e vendendo
appartamenti nella Trump Tower negli anni Novanta. Il più famigerato criminale
russo, a lungo ricercato dall’FBI, risiedeva lì. Alcuni russi vennero arrestati
perché gestivano un giro di scommesse dall’appartamento sotto quello di Trump.
Nella Trump World Tower, costruita fra il 1999 e il 2001 nell’East Side di
Manhattan, vicino alla sede delle Nazioni Unite, un terzo dei lussuosi
appartamenti erano stati comprati da persone o enti provenienti dall’ex Unione Sovietica.
Un uomo indagato dal dipartimento del Tesoro per riciclaggio di denaro sporco
viveva nella Trump World Tower proprio sotto Kellyanne Conway, che sarebbe diventata
l’addetta stampa per la campagna di Trump. Settecento unità immobiliari di proprietà
di Trump nel Sud della Florida vennero acquistate da società di comodo, e due
uomini legati a quelle società furono condannati per aver gestito un giro di
scommesse e di riciclaggio dalla Trump Tower.
Forse Trump era del tutto ignaro di ciò che stava accadendo nelle
sue proprietà.
Verso la fine degli anni Novanta, Trump era considerato un
debitore non solvibile e un bancarottiere. Doveva intorno ai quattro miliardi
di dollari a più di settanta banche; di questi, circa ottocento milioni erano personalmente
garantiti. Non aveva mai mostrato alcuna volontà o capacità di ripagare tali
debiti. Dopo la sua bancarotta del 2004, nessuna banca americana era disposta a
prestargli del denaro; l’unica che lo fece fu la Deutsche Bank, la cui pittoresca storia di scandali veniva a smentire
il suo nome così compassato. È interessante notare che, tra il 2011 e il 2015,
la Deutsche Bank riciclò circa dieci miliardi
di dollari per conto di clienti russi; ed è altrettanto interessante notare
come Trump non abbia poi ripagato i suoi debiti con questo istituto.
Un oligarca russo comprò da Trump una casa pagandola cinquantacinque
milioni di dollari più di quanto fosse costata al magnate. L’acquirente, Dmitrij
Rybolovlev, non mostrò mai nessun interesse per quella proprietà e non andò mai
a viverci, ma in seguito, quando Trump si mise a correre per la presidenza,
comparve in diversi posti dove stava facendo campagna. L’attività ufficiale di
Trump, l’imprenditoria immobiliare, era diventata una copertura russa. Avendo
capito che i complessi residenziali potevano essere usati per riciclare denaro,
i russi usarono il nome di Trump per costruire altri edifici. Come disse Donald
Trump Jr. nel 2008, ‘i russi rappresentano una sezione trasversale sproporzionata
in molte delle nostre attività. Dalla Russia vediamo arrivare un sacco di soldi’.
Le offerte russe erano difficili da rifiutare: per Trump
significavano milioni di dollari versati in anticipo, una quota dei profitti e
il proprio nome su un edificio, il tutto senza richiedere alcun investimento. Questi
termini andavano bene per entrambe le parti. Nel 2006, alcuni cittadini dell’ex
Unione Sovietica finanziarono la costruzione di Trump SoHo e diedero a Trump il
18% dei profitti, anche se lui non aveva tirato fuori neppure un centesimo. Nel
caso di Felix Sater, gli appartamenti servivano per il riciclaggio del denaro
sporco.
Sater, un americano nato in Russia, lavorava come consulente
anziano della Trump Organization da un ufficio nella Trump Tower due piani sotto
quello di Trump. Quest’ultimo dipendeva dal denaro russo che Sater faceva
arrivare attraverso un ente noto come il ‘Bayrock Group’, combinando l’acquisto
di appartamenti (mediante società di comodo) da parte di persone provenienti
dal mondo postsovietico. Dal 2007, Sater e il ‘Bayrock Group’ stavano aiutando Trump
in tutto il mondo, cooperando in almeno quattro progetti; alcuni di questi
fallirono, ma Trump riuscì comunque a guadagnarci.
La Russia non è un Paese ricco, ma la sua ricchezza è concentrata
in poche mani; per questo motivo, tra i russi è pratica comune far sì che qualcuno
si ritrovi in debito nei loro confronti fornendogli denaro senza difficoltà e
specificando soltanto in seguito il loro prezzo.
Come candidato alla presidenza, Trump infranse una tradizione pluridecennale
non pubblicando la propria dichiarazione dei redditi, presumibilmente perché
avrebbe messo in luce la sua profonda dipendenza dai capitali russi. Anche dopo
aver annunciato la propria candidatura, nel giugno del 2015, Trump continuò a
fare affari senza rischi con i russi. Nell’ottobre del 2015, in prossimità di
un dibattito per la nomination del candidato repubblicano, firmò una lettera d’intenti
per far costruire a Mosca una torre e darle il proprio nome; in quella
occasione, dichiarò su Twitter che ‘Putin ama Donald Trump’. Non si arrivò mai a
un accordo definitivo, forse perché ciò avrebbe reso un po’ troppo evidenti le
fonti russe dell’apparente successo di Trump proprio mentre la sua campagna
stava prendendo slancio.
Il personaggio romanzesco ‘Donald Trump, uomo d’affari di successo’
aveva cose più importanti da fare. Per citare le parole scritte da Felix Sater
nel novembre del 2015: ‘Il nostro ragazzo può diventare presidente degli Stati
Uniti e noi possiamo fare in modo che ciò accada’. Nel 2016, proprio quando Trump
aveva bisogno di soldi per la campagna, le sue proprietà divennero molto
popolari fra le società di comodo: nei sei mesi tra la nomination repubblicana
e la sua vittoria alle presidenziali, circa il 70% delle unità immobiliari
vendute nei suoi edifici furono acquistate non da esseri umani ma da limited liability companies.
Il ‘ragazzo’ della Russia esisteva nella mente del pubblico
americano grazie a un celebre programma televisivo, The Apprentice, dove Trump
impersonava un magnate con il potere di assumere e licenziare a suo piacimento.
Il ruolo gli veniva naturale, forse perché fingere di essere una persona del
genere era già il suo lavoro quotidiano. Nello show, il mondo era una spietata oligarchia
dove il futuro di un individuo dipendeva dai capricci di un singolo uomo. Il
punto saliente di ogni episodio era quello in cui Trump faceva il doloroso
annuncio: ‘Sei licenziato!’.
Quando decise di correre per la presidenza, Trump lo fece sulla
premessa che il mondo fosse davvero così: che un personaggio da fiction con una
ricchezza altrettanto fittizia, che non si cura della legge, disprezza le istituzioni
ed è privo di comprensione umana, possa governare il popolo provocando sofferenza.
Nei dibattiti per la nomination, Trump sbaragliò i suoi rivali repubblicani
grazie ai suoi anni di pratica come personaggio da fiction in televisione. Trump
usava i media per trasmettere l’irrealtà, e lo faceva da tempo.
Nel 2010, RT aiutò i teorici della cospirazione americani a diffondere
la falsa idea che il presidente Barack Obama non fosse nato negli Stati Uniti.
Questa invenzione, studiata per far leva sulla debolezza degli americani razzisti
che volevano scacciare con l’immaginazione il loro presidente eletto, invitava
tali persone a vivere in una realtà alternativa. Nel 2011, Trump divenne il
portavoce di quella campagna basata sulla fantasia. Aveva un palco per farlo solo
perché gli americani lo associavano all’uomo d’affari di successo che aveva
impersonato in televisione, un ruolo che a sua volta era stato possibile perché
i russi lo avevano salvato con i loro finanziamenti; una finzione fondata su
una finzione, a sua volta basata su una finzione.
Dal punto di vista russo, Trump era un fallito che era stato
salvato e che ora poteva essere usato per portare devastazione nella realtà americana.
La relazione fra Trump e i russi andò in scena a Mosca in occasione del
concorso di Miss Universo del 2013, quando Trump si pavoneggiò di fronte a
Putin nella speranza che il presidente russo diventasse il suo ‘migliore amico’.
I partner russi di Trump sapevano che aveva bisogno di soldi, e lo pagarono 20
milioni di dollari anche se il lavoro di organizzazione del concorso era stato
fatto da loro. Gli permisero di recitare la sua parte dell’americano ricco e
potente. In un video musicale filmato per quella occasione, a Trump venne consentito
di dire ‘Sei licenziato!’ a una giovane pop star di successo, il figlio
dell’uomo che aveva di fatto gestito il concorso.
Lasciar vincere Trump significava metterlo in una posizione di
completa dipendenza. Quella di Trump come vincitore era una finzione che avrebbe fatto perdere
il suo Paese. La polizia segreta sovietica – che, con il tempo, prese il nome
di Ceka, GPU, NKVD, KGB e infine, nella Russia post-sovietica, di FSB – brillava
in un particolare tipo di operazione nota come misure attive. Il lavoro dello
spionaggio consiste nel vedere e comprendere, quello del controspionaggio nel
far sì che per gli altri vedere e comprendere risultino difficili. Le misure
attive, come l’operazione intrapresa per conto del personaggio da fiction ‘Donald
Trump, uomo d’affari di successo’, hanno lo scopo di indurre il nemico a
dirigere le proprie forze contro le sue stesse debolezze.
(T. Snyder, La paura e la ragione)
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