CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 31 ottobre 2018

SAN FRANCESCO FRA ERESIA E ORTODOSSIA (56)









































Precedenti capitoli:

Lettera dei F.lli Guerci alla Riserva (55)

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I tecnici della buona fede (57)

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Una vita precaria...











                                             
L’originalità di Francesco sarà soltanto nell’aver resistito alla tentazione eretica cui la maggioranza di questi ‘poveri’ ha ceduto?

Certo non mancano coloro che all’inizio del XIII secolo sono entrati nei ranghi della Chiesa: nel 1201 una comunità di Umiliati ortodossi, nel 1208 i ‘poveri cattolici’ del valdese convertito Durando di Huesca, nel 1210 un altro gruppo di Valdesi attorno a Bernardo Primo.

Ma che ne è della folla di Albigesi e, in Italia stessa, al tempo di Francesco, dei Catari che hanno un vescovo a Firenze e una scuola a Poggibonsi, dei Patari, degli Arnaldisti, dei Valdesi?




Nel 1218 a Bergamo si tiene un congresso dei Poveri lombardi, nel 1215 Milano è definita ‘fossa di eretici’, Firenze è ancora considerata nel 1227 come infestata dall’eresia. E, innanzitutto, Francesco ha veramente rischiato di cadere nell’eresia?

Bisogna distinguere le tendenze e le circostanze. Si sono avuti certamente nelle une e nelle altre elementi che avrebbero potuto condurre Francesco all’eresia. L’intransigente volontà di praticare un Vangelo integrale, spogliato di tutto l’apporto della storia posteriore della Chiesa, la diffidenza nei conforti della curia romana, la determinazione di far regnare fra i Minori una eguaglianza quasi  assoluta e la previsione del dovere di disobbedienza, la passione di spoliazione spinta fino alla manifestazione esteriore di nudità che Francesco e i suoi confratelli hanno praticato sull’esempio degli adamiti, il posto accordato ai laici, tutto ciò parve pericoloso se non sospetto alla curia romana.




Unendo i suoi sforzi a quelli dei ministri e dei padri guardiani preoccupati di tanta intransigenza, essa sottopose Francesco a pressioni, esigendo da lui se non delle abiure almeno delle rinunce che lo condussero certamente nel 1223 sull’orlo della tentazione eretica.

Egli vi resistette.

Perché?

Molto probabilmente innanzitutto perché non nutrì mai i sentimenti che, dopo di lui, condussero all’eresia una parte dei Francescani, gli spirituali. Francesco non fu né millenarista, né apocalittico. Egli non frappose mai un Vangelo Eterno, un’età d’oro mitica, tra il mondo terreno in cui viveva e l’aldilà del cristianesimo. Non fu l’angelo del sesto sigillo dell’Apocalisse cui indebitamente l’assimilarono alcuni spirituali. Le loro elucubrazioni escatologiche eretiche procedettero da Gioacchino da Fiore, non da Francesco. Ma ciò che soprattutto lo trattenne fu la determinazione fondamentale, ripetuta senza posa al di là di ogni pressione, di restare a qualunque prezzo (e sarà in effetti un caro prezzo), lui e i suoi frati, nella Chiesa.




Perché?

Indubbiamente perché non voleva spezzare quell’unità, quella comunità cui tanto teneva. Ma soprattutto a causa del suo bisogno viscerale dei sacramenti. Quasi tutte le eresie medievali sono contro i sacramenti. Ora Francesco ha, nel suo intimo, bisogno dei sacramenti e fra gli altri del primo tra essi, l’eucaristia. Per somministrare i sacramenti occorre un clero, una Chiesa. Quindi Francesco – anche se la cosa può sorprendere – è disposto a perdonare molto ai chierici in cambio di tale ministero. In un’epoca in cui gli stessi cattolici ortodossi si pongono il problema della validità dei sacramenti somministrati da preti indegni, Francesco la riconosce e la afferma senza difficoltà. Così si è potuto dire di lui che, insieme a san Domenico, pur con mezzi differenti, ha salvato la Chiesa minacciata dall’eresia e dalla decadenza. Egli ha realizzato il sogno di Innocenzo III.




Per alcuni d’altronde ciò è stato oggetto di scandalo e di deplorazione, come per il Machiavelli:

Furono sì potenti gli Ordini loro nuovi che ei sono cagione che la disonestà dei prelati e dei capi della religione non la rovini vivendo ancora poveramente ed avendo tanto credito nelle confessioni con i popoli, e nelle predicazioni ch’ei danno loro a intendere come gli è male a dir male del male e che sia bene vivere sotto l’obbedienza loro e se fanno errori lasciarli castigare da Dio; e così quelli fanno il peggio che possono perché non temono quella punizione che non veggono e non credono (Discorsi, III).




Vero è che Francesco fu uno degli alibi che la Chiesa invischiata nel secolo periodicamente ritrova. Questo Francesco, così ortodosso come si è sostenuto, e più tradizionale di quanto lo si presenti spesso, fu davvero un innovatore?

Sì, e riguardo a punti essenziali.

Prendendo e proponendo come modello il Cristo stesso e non più i suoi apostoli, egli impegnò la cristianità in un’imitazione del Dio-Uomo che ridischiuse all’umanità le più elevate ambizioni, un orizzonte infinito. Sottraendosi egli stesso alla tentazione della solitudine per introdursi in mezzo alla società vivente, nelle città e non nei deserti, nelle foreste o nelle campagne, ruppe in modo definitivo con un monachesimo della separazione dal mondo. Ponendosi come programma un ideale positivo, aperto all’amore per tutte le creature e tutta la creazione, ancorato alla gioia e non più alla tetra accidia o alla tristezza, rifiutando di essere il monaco ideale della tradizione votato al pianto, egli rivoluzionò la sensibilità medievale e cristiana e ritrovò una primitiva allegrezza subito soffocata dal cristianesimo masochista.




Schiudendo alla spiritualità cristiana la cultura laica cavalleresca dei trovatori e la cultura laica popolare del folclore paesano con i suoi animali, il suo universo naturale, il meraviglioso Francescano ha infranto le chiusure che la cultura clericale aveva imposto alla cultura tradizionale. Anche qui il ritorno alle fonti fu il segno e la prova del rinnovamento e del progresso.

Ritorno alle fonti, perché non bisogna infine dimenticare che il francescanesimo è reazionario. Al cospetto del XIII secolo, moderno, esso rappresenta la reazione non di un disadattato come Gioacchino o come Dante, ma di un uomo che vuole, di contro all’evoluzione, salvaguardare valori essenziali. In Francesco tali tendenze reazionarie possono sembrare illusorie e al tempo stesso pericolose. Nel secolo delle università, il suo rifiuto della scienza e dei libri, nel secolo in cui si coniano i primi ducati, i primi fiorini, i primi scudi d’oro il suo odio viscerale per il denaro – la regola del 1221, in spregio di ogni senso economico, afferma:

‘Non dobbiamo trovare né credere che vi sia nel denaro un’utilità maggiore che nelle pietre’

– non è una pericolosa sciocchezza?




Lo sarebbe, se Francesco avesse voluto estendere la sua regola a tutta l’umanità. Ma giustamente Francesco non intendeva affatto trasformare i suoi seguaci in un ‘ordine’, egli non desiderava che riunire un piccolo gruppo, una élite che facesse da contrappeso, mantenesse desta un’inquietudine, un fermento di fronte all’ascesa del benessere. Questo contrappunto francescano è restato un bisogno del mondo moderno, per i credenti come per i miscredenti. E come Francesco, con la sua parola e il suo esempio, l’ha predicato con un ardore, una purezza e una poesia ineguagliabile, il francescanesimo costituisce ancor oggi una ‘sancta novitas’, secondo la definizione di Tommaso da Celano, una novità santa. E il Poverello resta non solo uno dei protagonisti della storia ma una delle guide dell’umanità.

(J. Le Goff; accompagnato dalle fotografie di Serija)




  


CANTICO DI FRATE SOLE


Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et
onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se confano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le
tue creature, 5
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande
splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna
e le stelle: 10
in celu l’ài formate clarite et pretiose et
belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate
vento
et per aere et nubilo et sereno et onne
tempo,
per lo quale a le tue creature dài
sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per
sor’acqua, 15
la quale è multo utile et humile et
pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate
focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso
et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora
nostra matre terra, 20
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti
flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che
perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che ’l sosterrano in
pace, 25
ca da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora
nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò
scappare:
guai a cquelli che morrano ne le
peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le tue
sanctissime voluntati, 30
ca la morte secunda no ’l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et
rengratiate

e serviateli cum grande humilitate.












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