CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 5 giugno 2023

UNDICESIMA EDIZIONE AGGIORNATA & RIVEDUTA (purtroppo) DEL DIZIONARIO UNIVERSALE DEL BIPENSIERO (3)

 









Precedenti capitoli 


circa il Pensiero (2/1)










IL BIPENSIERO

 

                    


 

Winston lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e inspirò piano….

 

La mente gli scivolò nel mondo labirintico del bipensiero:

 

Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullavano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale proprio nell’atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l’unico garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Soprattutto per applicare il medesimo procedimento al procedimento stesso.




Era questa la sottigliezza estrema: essere pienamente consapevoli nell’indurre l’inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che avevate posto in atto. Anche la sola comprensione della parola ‘bipensiero’ ne implicava l’utilizzazione.

 

Il passato, rifletté, non era stato solo modificato, era stato distrutto completamente. E difatti, com’era possibile fissare perfino i fatti più evidenti quando ne esisteva traccia solo nella propria memoria?

 

…Cercò di ricordare in quale anno aveva sentito parlare per la prima volta del Grande Fratello.




 …Doveva essere successo durante gli anni Sessanta, ma esserne certi era impossibile! Nelle cronache del Partito, ovviamente, il Grande Fratello figurava come il leader e il guardiano della Rivoluzione fin dai suoi primordi. A poco a poco le sue imprese erano state sempre più spostate indietro nel tempo ed erano ormai ascritte ai favolosi anni Trenta e Quaranta quando i capitalisti, coi loro strani cappelli a cilindro, ancora percorrevano le strade di Londra in macchinoni folgoranti e solo da loro dipendeva il meschino concetto di Tutto…

 

‘Proprio la persona che cercavo’,

 

…disse una voce alle spalle di Winston…




Winston si voltò: era il suo amico Syme che lavorava al Reparto Ricerche. Forse ‘amico’ non era la parola giusta. Oggi non c’erano amici, ma solo camerati o compagni. Era però vero che la compagnia di alcuni di questi ‘compagni/camerati’ era più piacevole di altre.

 

Syme era un filologo, specialista in neolingua. Faceva parte, in effetti, di un’enorme squadra di esperti che al momento erano impegnati nella messa a punto dell’Undicesima Edizione del Dizionario della Neolingua. Era un ometto esile, dalla corporatura più piccola di quella di Winston, con capelli neri e grandi occhi sporgenti, pieni di malinconia e arguzia, che tutte le volte in cui vi rivolgeva la parola sembravano passare in rassegna ogni singolo lineamento del vostro volto.

 

‘Come va il dizionario?’,

 

…chiese Winston alzando la voce per vincere il rumore.




 ‘Procede lentamente’,

 

…rispose Syme!

 

‘Adesso sono agli aggettivi. E’ un argomento affascinante’…

 

A sentir nominare la neolingua, il volto gli si era illuminato all’istante. Spinse da parte la gavetta, prese il pezzo di pane in una delle sue mani delicate e il formaggio nell’altra, poi si chinò in avanti verso Winston, in modo da non essere costretto a gridare…

 

‘L’UNDICESIMA Edizione è quella definitiva’,

 

…disse!




Stiamo dando alla lingua la sua forma finale, quella che avrà quando sarà l’unica ad essere usata (tu, Winston, pensò senza però dirlo, giacché il sospetto facente parte del pane qual solo companatico della nuova cultura: dovresti pur saperlo, dovresti ben sapere come nella cancellazione della Memoria e del Pensiero ogni Rima o altro linguaggio circa la sostanza della Vita venga costantemente monitorato, i nostri fidati segugi, cani ben addestrati, sono la linfa del futuro Verbo…); quando avremo finito, la gente come te dovrà impararla da capo.

 

Tu credi, immagino, che il nostro compito principale consista nell’inventare nuove parole.

 

Neanche per Idea!

 

Noi le Parole e con esse Idea Pensiero e Dio… le distruggiamo, a dozzine, a centinaia.




Giorno per giorno (nell’apparenza di creare un linguaggio universale), stiamo progressivamente riducendo il linguaggio all’osso (come era all’inizio dei Tempi da quando l’Uomo Alto e quello Basso….).

 

L’UNDICESIMA Edizione conterrà solo parole che non diventeranno obsolete prima del 2050. E’ qualcosa di bello, la distruzione delle Parole! Naturalmente, c’è una strage di Verbi e Aggettivi, ma non mancano centinaia e centinaia di nomi di cui si può fare tranquillamente a meno. E non mi riferisco solo ai Sinonimi (che sono sempre anonimi, ridacchiò con se stesso), sto parlando anche dei Contrari (Contrari a tutto e tutti così abbiamo imparato a manipolare falsi Eretici!).




Che bisogno c’è di una Parola che è solo l’opposto di un’altra? Ogni Parola già contiene in se stessa il suo opposto (come l’odierna Vita). Prendiamo “buono”, per esempio. Se hai a disposizione una parola come “buono”, che bisogno c’è di avere anche “cattivo”? “Sbuono” andrà altrettanto bene, anzi meglio, perché a differenza dell’altra, costituisce l’opposto esatto di “buono”.

 

Ancora se desideri un’eccezione più forte di “buono”, che senso hanno tutte quelle varianti vaghe e inutili che poi danno origine ad incresciose Poesie e Rime o altri inutili Pensieri! Basta solo dire “acplusbuono” il che è più facile da digitare ed insieme digerire non ti pare Winston!?




Alla fine del processo tutti i significati connessi a Parole come bontà e cattiveria saranno coperti da appena sei parole o, se ci pensi bene, da una Parola Sola come un Unico Dio.

 

Non è splendido Winston!?

 

Non hai ancora afferrato l’intera impalcatura su cui poggia il nostro infallibile meccanismo la Neolingua Universale e tanti a controllarne il corretto svolgimento ed intendimento dell’Unico Vero Concetto!?

 

Non è meraviglioso tutto ciò Winston!?




Pensa ai nostri ragazzi pronti a sfondare ‘finestre’ case e crani a martellale e poi udire solo l’Unica Verità della Neolingua all’etera distribuita e comandata! Provo i piaceri d’un Tempo passato…

 

Non capisci che lo scopo principale di cui abbisogna la nostra Società del vero e sano Commercio e a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d’azione del Pensiero?

 

Senti ora proprio qui vicino il fracasso dei nostri Fratelli al lavoro: stanno iniziando ad applicare il Vero Unico Dizionario, un po’ di scasso e qualche martellata ad un diverso Pensiero è pur necessaria al Progresso!




Alla fine renderemo lo PSICOREATO letteralmente impossibile, perché non ci saranno Parole con cui poterlo esprimere, è il fine della connessione al Grande Mondo Vegetale al Formicaio Universale! Ogni concetto di cui si possa aver bisogno sarà espresso da una sola breve parola digitata e dalla parabola del Grande fratello controllata e tele-trasmessa!

 

E il cui significato, bada bene, Winston sarà stato rigidamente definito e conformato per il nostro Tempo così distribuito digitalizzato ed a reti unificato.

 

Nell’Undicesima Edizione saremmo già abbastanza vicini al raggiungimento del Karma assoluto, ma il processo continuerà per lunghi anni, anche dopo la morte tua e mia. Ad ogni nuovo anno, una diminuzione nel numero di Pensieri e Parole e una contrazione corrispondente della conoscenza e con essa d’ogni singola coscienza rimossa. Provo l’orgasmo vero del Potere! Alla fine la Rivoluzione trionferà quando la lingua avrà raggiunto la perfezione assoluta (logicamente ci vorrà qualche anno per gli Eretici…).




Pensa Winston, tutta la letteratura del passato sarà distrutta, nessuna Poesia, nessuna Rima, nessun’Arte per questa ed ogni Via! Solo qualche degno e scelto ‘pittogramma’ lungo i viali d’accesso del Popolo… Tutti i Poeti d’un tempo semplicemente mutati in qualcosa di diverso e trasformati nell’esatto opposto, pensa come un Cristo divenire Giuda e Giuda chiedere la clemenza di Cristo.

 

Questo il vero e sano progresso…

 

Anche la letteratura del Partito cambierà, anche i suoi slogan cambieranno. Si potrà mai avere uno slogan come “La libertà è schiavitù”, quando il concetto stesso di libertà sarà stato abolito? Sarà diverso anche tutto ciò che si accompagna all’attività del Pensiero da noi costantemente aggiornato e monitorato. In effetti il Pensiero così come uno strano tempo non esisterà più, almeno non come lo intendiamo ora.

 

ORTODOSSIA VUOL DIRE NON PENSARE, NON AVER BISOGNO DI PENSARE… Ed odi i nostri segugi al lavoro per l’Undicesima Edizione del Dizionario Universale… Che meraviglia che Intelletto che Pace e Libertà in quel boato…

 

(G. Orwell, 1984)








MI VEDETE QUI PER LA CENTESIMA VOLTA

 










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L'Eretico fuggito (1/3)


Prosegue con il...:


Pensiero (2) 









IL PENSIERO

 

 

 

Per entrare in una condizione di solitudine l’uomo ha bisogno di allontanarsi tanto dalla propria stanza che dalla società. Mentre leggo e scrivo non sono in solitudine, anche se non c’è nessuno con me. Ma se un uomo vuole davvero stare solo, guardi la Natura.

 

La Natura non indossa mai un’apparenza mediocre.

 

E l’uomo più sapiente non riesce a estorcerne il segreto, né perde la sua curiosità quand’anche ne abbia scoperto tutta la perfezione. La natura non diventa mai un trastullo per uno spirito saggio. I fiori, gli animali, le montagne riflettono la saggezza della sua ora migliore, così come hanno deliziato la semplicità della sua infanzia.

 

Quando parliamo di Natura in questo modo, abbiamo in mente un sentimento preciso, benché estremamente poetico. Intendiamo l’unità dell’impressione prodotta dai molteplici oggetti naturali. È questo ciò che distingue il legname del taglialegna dall’albero del poeta. L’incantevole paesaggio che ho visto questa mattina è senza dubbio costituito da venti o trenta fattorie.




Miller possiede questo campo, Locke quell’altro e Manning il bosco più in là. Nessuno di loro, però, possiede il Paesaggio. 

(Emerson)

 

‘È abitato da una strana persona’,

 

…signor pastore, 

 

riprese dopo una pausa.

 

‘Sono da sei mesi in questo villaggio e ancora non ho osato rivolgervi domande su di lei e sono costretto a farmi violenza per parlarvene oggi. Avevo incominciato col dolermi vivamente nel vedere che l’inverno aveva interrotto il mio viaggio e che ero costretto a soggiornare qui, ma da due mesi si sono di giorno in giorno rinsaldate le catene che mi legano a Jarvis e temo di finire qui i miei giorni. Sapete come ho incontrato Séraphîta, che impressione mi fecero il suo sguardo e la sua voce, come infine fui ammesso presso di lei che non vuol ricevere nessuno. Sin dal primo giorno tornai qui per chiedervi notizie su quella misteriosa creatura.

 

….Allora ebbe inizio quella serie di incantesimi...’.

 

‘Di incantesimi!’,




…esclamò il pastore, scuotendo la cenere della sua pipa in un comune piatto colmo di sabbia che gli serviva da sputacchiera.

 

‘Ma gli incantesimi esistono?’.

 

‘Voi che state leggendo così coscienziosamente il libro degli Incantesimi di Jean Wier comprenderete certo la spiegazione che posso darvi delle mie sensazioni’,

 

…riprese subito Wilfrid.

 

…Se si studia attentamente la Natura nelle sue grandi rivoluzioni come nelle sue più piccole opere, non si può non riconoscere l’impossibilità di un incantesimo, dando a questo termine il suo vero significato. L’uomo non crea forze, impiega la sola che esiste e che tutte le riassume, il movimento, soffio incomprensibile del sovrano costruttore dei mondi.




 Le specie sono troppo ben separate perché la mano umana possa confonderle e il solo miracolo di cui essa era capace si è compiuto nella combinazione di due sostanze reciprocamente nemiche.

 

E la polvere è comunque germana della folgore!

 

Quanto a far sorgere una creazione, e di colpo?

 

Ogni creazione richiede tempo e il tempo non procede né arretra sotto le dita. Così, fuori di noi, la Natura plastica obbedisce a leggi di cui la mano umana non invertirà mai l’ordine e l’esercizio. Ma dopo aver così tenuto conto della Materia, sarebbe irragionevole non riconoscere in noi l’esistenza di un mostruoso potere i cui effetti sono a tal punto incommensurabili che le generazioni conosciute non li hanno ancora perfettamente classificati.

 

Non vi parlo della facoltà di astrazione, di costringere la Natura a rinchiudersi nel Verbo, atto titanico sul quale la gente comune non riflette più di quanto non rifletta sul movimento, ma che ha portato i teosofi indiani a spiegare la creazione con un verbo al quale hanno dato la potenza inversa.




La più piccola porzione del loro nutrimento, un chicco di riso da cui nasce una creazione, e in cui questa creazione alternativamente si riassume, offriva loro una così pura immagine del verbo creatore e del verbo astraente da rendere molto semplice applicare questo sistema alla formazione dei mondi.

 

La maggior parte degli uomini doveva accontentarsi del chicco di riso seminato nel primo versetto di tutte le Genesi. Dicendo che il verbo era in Dio, san Giovanni, non ha fatto che complicare la difficoltà. Ma la granitura, la germinazione e la fioritura delle nostre idee è poca cosa se paragoniamo questa proprietà, condivisa fra molti uomini, alla facoltà affatto individuale di comunicare a essa forze più o meno attive mediante non so quale concentrazione, di elevarla a una terza, a una nona, a una ventisettesima potenza, perché in tal modo faccia preso sulle masse e ottenga risultati magici, condensando gli effetti della Natura.




Ora, io chiamo incantesimi quelle immense azioni che si svolgono tra due membrane sul tessuto del nostro cervello. Nella Natura inesplorata del Mondo Spirituale esistono certi esseri armati di queste facoltà inaudite, paragonabili alla terribile potenza che possiedono i gas nel mondo fisico e che si combinano con altri esseri, li penetrano come causa attiva, producono in loro sortilegi contro i quali quei poveri iloti sono indifesi: li incantano, li dominano, li riducono a un orribile vassallaggio e fanno pesare sopra di loro le magnificenze e lo scettro di una Natura superiore, agendo ora alla maniera della torpedine che elettrizza e intorpidisce il pescatore…

 

…Ora come una dose di fosforo che esalta la vita o ne accelera la proiezione…

 

…Ora come l’oppio che addormenta la Natura corporea, libera lo spirito dai suoi vincoli, lo lascia volteggiare sopra il mondo, glielo mostra attraverso un prisma, estraendone per lui il nutrimento che preferisce…

 

…Ora infine come la catalessi che annulla tutte le facoltà a beneficio di un’unica visione.




I miracoli, gli incantesimi, le magie, i sortilegi, insomma gli atti chiamati sovrannaturali, non sono possibili né possono spiegarsi altro che con il dispotismo con cui uno Spirito ci costringe a subire gli effetti di un’ottica misteriosa che dilata, riduce, esalta la creazione, la muove in noi a suo piacimento, la sfigura o l’abbellisce ai nostri occhi, ci trasporta in cielo o ci piomba nell’inferno, i due termini con cui si esprimono l‘estremo piacere e l’estremo dolore.

 

Questi fenomeni sono in noi e non al di fuori.

 

L’essere che noi chiamiamo Séraphîta mi sembra uno di quei rari e terribili Dèmoni cui è dato di afferrare gli uomini, di incalzare la Natura e farsi partecipi dell’occulta potenza di Dio.




 Il corso dei suoi incantesimi è iniziato in me con il silenzio che mi veniva imposto. Ogni volta che osavo pensare di volervi interrogare a suo riguardo, mi sembrava di essere in procinto di rivelare un segreto di cui dovevo essere l’incorruttibile custode; ogni volta che ho voluto interrogarvi un sigillo ardente mi si è posato sulle labbra ed ero il ministro involontario di quella misteriosa proibizione.

 

Mi vedete qui per la centesima volta, prostrato, distrutto, per essere stato a giocare con il mondo allucinatorio che porta in sé quella fanciulla, dolce e fragile per voi due, ma maga implacabile per me.

 

Sì, essa è per me come una maga che porta nella mano destra un apparecchio invisibile per agitare il globo e nella sinistra la folgore per dissolvere tutto a suo piacimento. Insomma, non riesco più a guardare la sua fronte; è di una luminosità insopportabile.

 

Da qualche giorno ormai rasento in modo troppo maldestro gli abissi della follia per tacere.




Colgo quindi il momento in cui ho il coraggio di resistere a quel mostro che mi trascina presso di sé senza chiedermi se posso seguire il suo volo.

 

Chi è dunque?

 

L’avete vista giovane?

 

È nata mai?

 

Ha avuto dei genitori?

 

È generata dal connubio fra il ghiaccio e il sole? Ella raggela e infiamma, si mostra e si ritrae come una verità gelosa, mi attira e mi respinge, mi dà ora la vita ora la morte, la amo e la odio. Non posso più vivere così, voglio essere completamente in cielo o completamente nell’inferno”… 

(Balzac)




 Molti anni fa vidi, tra il sonno e la veglia, una donna d’incredibile bellezza che lanciava una freccia nel cielo e, da quando mi son chiesto per la prima volta il suo significato, ho riflettuto molto sulla differenza tra il movimento sinuoso della Natura e la linea retta che Balzac in Séraphita chiama il ‘Segno dell’Uomo’ ma è meglio definibile come il segno del santo o del saggio.

 

Ritengo che noi poeti e artisti, non potendo far lanci oltre il tangibile, dobbiamo passare dal desiderio alla stanchezza per poi riprendere a desiderare, e vivere soltanto per l’attimo in cui la visione perviene alla nostra stanchezza come un lampo tremendo, nell’umiltà delle bestie.




Non dubito che quei cerchi ondeggianti, quegli archi sinuosi, nella vita di un uomo come in quella di un’epoca, siano matematici e che qualcuno a questo mondo o al di là di esso abbia previsto e appuntato sul calendario l’arco di vita di un Cristo, di un Buddha, di un Napoleone: che ogni movimento, nella sensibilità o nel pensiero, grazie alla chiarezza e alla fiducia crescenti prepari al buio il suo giustiziere. Noi cerchiamo la realtà con l’operato lento e faticoso della nostra debolezza e siamo sbaragliati dall’illimitato e dall’imprevedibile.

 

Solo quando siamo santi o saggi e rinunciamo alla stessa esperienza ci è dato, secondo l’immaginario della Cabala cristiana, abbandonare il lampo improvviso e il sentiero del serpente per diventare l’arciere che punta la freccia al centro del sole.

 

Un poeta, quando invecchia, si chiederà se non può conservare la sua maschera e la sua visione senza nuove amarezze, nuove delusioni. Potrebbe se volesse, sapendo quanto debole è il vigore una volta passata la giovinezza, imitare Landor, il quale visse amando e odiando, ridicolo e indomito, fino a tardissima età, perdendo tutto tranne il favore delle sue Muse?




Memoria, che è la Madre delle Muse,

 

Mi lasciò; loro restano, mi scuotono

 

La spalla e mi esortano a cantare.

 

Magari penserà: ora che ho trovato maschera e visione perché dovrei soffrire ancora?

 

E forse comprerà una vecchia casetta dove, come Ariosto, potrà lavorare il giardino e pensare che nel ritorno degli uccelli e delle foglie, o del sole e della luna, e nel volo serale dei corvi scoprirà ritmo e disegno come quelli del sonno, e così non svegliarsi mai dalla visione.

 

Allora si ricorderà di Wordsworth che avvizzisce nei suoi ottant’anni, onorato e svampito, e salirà in uno stambugio dove troverà, dimenticata lì dalla gioventù, una crosta amara.




So molto più di quanto avrei potuto mai sapere se nella vita ultraterrena non avessi imparato a tener conto di quello che, là come qua, è rudimentale e sconnesso; né ho rinvenuto nei medium del Connacht e di Soho qualcosa che non trovi riscontro e qualche delucidazione in Henry More, il quale in vita era chiamato l’uomo più santo sulla faccia della terra.

 

Tutte le anime hanno un veicolo o corpo e, nell’affermare questo con More e i platonici, si evitano quelle scuole astratte che invocano l’autorità di una Chiesa o di un’istituzione e ci si ritrova con la grande poesia e con la superstizione, cioè a dire con la poesia popolare, in un mondo ameno e pericoloso.

 

La bellezza a dire il vero non è che la vita corporea in una condizione ideale. Il veicolo dell’anima umana un tempo si chiamava spiriti animali e Henry More riporta questa citazione da Ippocrate:

 

‘La mente dell’uomo ... non si nutre di cibi e bevande dal ventre bensì di una sostanza chiara e luminosa che scaturisce separandosi dal sangue’.




Questi spiriti animali riempiono ogni parte del corpo e costituiscono il corpo aereo, come l’hanno chiamato certi scrittori del Seicento.

 

L’anima ha un potere plastico e dopo il decesso o anche in vita, dovesse il veicolo lasciare per qualche tempo il corpo, è in grado con un atto d’immaginazione di dargli forma a piacimento anche se, più diversa dal solito la forma, maggiore sarà lo sforzo.

 

Per i vivi come per i morti la purezza e l’abbondanza degli spiriti animali sono una forza primaria. L’anima può ricavarne un’apparizione rivestita come in vita e renderla visibile mostrandola all’occhio della mente o introducendo nella sua sostanza talune particelle estratte dal corpo di un medium finché non è visibile e tangibile come qualsiasi altro oggetto.


(PROSEGUE...)








domenica 4 giugno 2023

UN PAZZO NASCOSTO NEL FOLTO DEL BOSCO (3)

 




















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Prosegue in...

















In nome del doblone...















(1) Ora non mi si chieda chi è quell’uomo nascosto nel folto del bosco.
Ora non mi si domandi, ad ogni ora del giorno e della notte, io che son solo un umile albergatore, chi è quell’uomo che abbiamo scorto nascosto nel folto bosco.
Non mi si domandi, miei cari viandanti, chi è quel libro mal rilegato con la copertina a brandelli, ed ogni parola fuggita ad ogni retta comprensione celata e nascosta come fosse la prima verità udita. Oppure una pazzia, nascosta nella grande grammatica ricca e composta di questa nostra umile storia.
Non mi si chieda, ricca signora, ora che nel suo letto riposa, incantata fra l’alba ed un tramonto di una cornice sacra come il libro che tengo quale prestigioso ornamento su ogni scrittoio, a chi per il vero appartiene quel grido.




(2) Io gentil signora la lascio in compagnia del sacro libro forse per ricordarle che il suo Dio è anche il mio, forse per rassicurarla da ogni diverso principio o parola nascosta o rima segreta, che all’improvviso assale come una prima paura… e diviene nube improvvisa.
Ad una corda appesa e vicino ad una fossa profonda, ed in compagnia di una valanga improvvisa come fosse il grido di un lupo che precipita ogni viandante curioso in un letto di fiume, dove un giorno qualcuno narrò, di averlo visto bere ‘rimato’ nel dialogo segreto con uno strano poeta.
Gentil donzella, qui son secoli che dimorano i fantasmi, e poi se all’alba di ogni mattina qualcuno illumina la sua fede assopita, il fiume lei vedrà rallentare il grande ed immane fragore, e l’ululato del lupo le sembrerà più cupo, più risoluto.
Io che son approdato da una riva fin su questa cima, l’ho visto parecchie volte, ma mai l’ho braccato e cacciato da questa vallata… e da questa poesia a lei così umilmente narrata.




(3) Signor curato, lei che è il più preoccupato, le posso dar mia eterna certezza che giù nel villaggio, là dove dimora una Chiesa, spesso si son riuniti non certo per una preghiera, ma bensì per organizzare… uno strano torneo della morte, e nel grande trambusto, mi perdoni la ‘discreta eresia’, io da qui, dalla mia biblioteca, non seppi distinguere… da chi morto già era.
Forse, caro professore, lei custode e padrone di ogni mente, lei che ben sa distinguere fra la vita e la morte, la mia Eresia potrà apparirle una immonda pazzia.
Io che dopo fui chiamato fin sulla cima da un Dio assorto e distratto, come una pietra del grande Creato e mi persi per quella vetta mentre cercavo le ossa di tanti frammenti di libri strappati e forse anche divorati. Ecco perché la mia strana visione mi fa riflettere sul concetto di vita, certo non so se da quelle ossa potrà rinascere nuova vita, come è solito lei dire della morta materia.




(4) Caro poeta, forse è vero, lì dimorano per far compagnia ad un lupo affamato ed una strana ombra: a tutti loro fu concessa non certo la cima, ma il piacere dell’eterna strofa nominata vita. Come tanti alberi muti e dritti, senza il dono della parola, senza la cortesia della rima, solo una pagina di una grande strofa nascosta… e giammai vista all’alba d’una mattina.




(5) Caro pittore, lei che dimora nel mio albergo con la speranza di catturare il vento, e ad ogni stagione si stupisce dell’eterna mia giovinezza,  per soldo le offro il mio bel volto, caro pittore non si è mai accorto che ciò che rapisce le sue incantate ore, le ruba anche colore e poi guida il pennello… ma è solo il contorno di un diverso quadro, una pagina non vista di un altro e diverso… Creato.
Non posso continuare su questo impervio sentiero, perché…, cari signori, vi dicevo, in compagnia del vostro Bacco o Dioniso preferito qui ora servito: io solo posso raccogliere quelle ceneri come fossero tanti frammenti, a loro rimane una bella preghiera ed il becchino poi li cala in una fossa profonda con sopra una lapide per ricordare quanto sia dura la caccia antica…, contro un lupo e la Prima Rima… della vita. 

Proprio lì… in quella grande Chiesa.




(6) Gentil donzella, non mi si domandi se l’uomo che lei ha visto è divenuto lupo, è una leggenda che si racconta ad ogni pupo. Forse la storia è un po’ diversa da come viene narrata. Io non so chi sia il vero lupo, né se nascosto sotto a quella cima vi è un pazzo dentro una grotta.




(7) Di pazzi ne abbiamo contati tanti, mi ricordo, cara signora, che tempo fa’, anche il generale volle godere di questo bel posto, forse solo per dimenticare la pazzia nominata vita. Per il vero, spesso lo vedevo sul grande terrazzo, quello che confina con la biblioteca, mentre cercava con lo sguardo la sua nuova preghiera. Di lui so, che vinse ogni guerra, fu come un profeta di chiesa, e spesso lo vedevo, povero vecchio, seduto dietro una finestra, come udisse una voce o il canto della terra.
Si narra che quando il curato della vallata e l’intero borgo, chiese la forza della sua sciabola non meno dell’affilata baionetta, lui abbia risposto con un sorriso… canticchiando uno strano motivo.
Era la voce di un’antico antenato, negro per giunta, a lui aveva donato il sorriso e il suo campo (acquisito…), l’intera ricchezza d’una guerra. Il prete con grande disappunto mi prese in disparte, e come l’uomo che recita la sua confessione, mi disse che il generale era ubriaco e pazzo… nel suo strano dire…, nella sua strana visione.




(8) Caro professore, io che son oste a tutte le ore, di pazzi ne ho visti con il sole fra i denti e gli occhi assenti, recitare la loro rima e mangiare una povera minestra e poi bestemmiare lo stesso Dio…, da lei pregato in Chiesa.
Pazzo non era quel generale, anche se spesso vedeva degli strani movimenti in fila composta, piantata fra gli alberi ordinare vendette e terrore fra servo e padrone. Guardava quell’impervia via come fosse una guerra combattuta una lontana mattina, gli occhi persi e bagnati come due ruscelli a fissare alberi e rami di un pittore, come fossero tante anime di cui udiva la voce.
Piani segreti, poi all’improvviso sguainava la sciabola quasi fosse un sorriso, e lo sentivo gridare: ‘Alla carica… il nemico è lì… vicino al bosco, alla carica soldati’…., con il bicchiere fra le mai!
Ma in realtà lo sapevo scorgere gli operai della prima centrale elettrica, montavano una grossa turbina come fosse la pala di un mulino, dove il prode si scagliava nel suo strano delirio.




(9) Caro ingegnere, lei che disegna e calcola la terra ed ogni lampada ora ammira di luce inondare la grande vallata, lei che sconfisse il generale con un sorriso per poi con disprezzo parlarne come fosse il padrone della Terra conquistata, di quel pazzo si è nutrito nel disegno nascosto. E per suo ‘genio’ perderà ragione ed esercito, perché il fuoco catturò un giorno e l’elemento divise in mezzo ad un esperimento.
L’arma segreta, potente più di quella povera baionetta, migliaia di uomini seppellirà per ciò che diverrà nostro dolore…, di un generale e il suo inutile  discorso.
La sua guerra segreta.
Caro ingegnere, anche se non abbiamo diritto e onore alla parola cancellata dagli scaffali della storia, è certo che la sua prosa seppellirà ogni visione: alberi e boschi torrenti e strani animali, perché farà brillare fra le mani del  futuro regnante il ‘nuovo sole’ del domani, avremo uno strano tramonto senza più il suo vero contorno…, e un dittatore a rubarci lo spirito dopo aver la vita per sempre sconfitto. 
Con lei, signor ingegnere, retto e astemio ad ogni furiosa parola, con lei… dicevo, non ho condiviso il ‘discorso’… perché un pazzo sapevo di avere nel mio umile dialogo albergato.
Pensi ingegnere, una volta ebbi pure a pensione un negro e sua moglie, fui quasi cacciato dal villaggio per questa mia Eresia, e mi ricordo di lei che si recò… giù nel borgo per conferire la sua nuova disciplina con il Sindaco, vecchio ‘archivista’ della biblioteca.




(10) La loro conversazione rimase segreta, si sa per certo che quell’uomo potente più di un petroliere e la sua strana ‘compagna’, risposero che la manodopera per ogni fatica fosse comandata ai neri, bestie da soma senza pietà per altra o diversa predica. Questo lui ordinò, affinché i lavori della centrale e poi la futura diga non colino dalla fatica di bianco vestita, e nei registri della grande biblioteca si prenda nota dell’artefice della… Storia così equamente divisa e concepita e il Sindaco immediatamente ordinò l’assemblea riunita.
Il Sindaco, diligente archivista, conservò il suo nome negli annali del borgo, poi chiese udienza al prete, e nella sacrestia ci fu una riunione segreta. Se solo il generale avesse intuito che la sua guerra non era finita, non gli avrei offerto la mia dimora segreta.
Cara signora, io sono un umile oste, e se lei insiste sul pazzo intravisto nel bosco, cosa posso dirle per contraddire la sorte che scrive la sua rima?
Posso dirle che il generale, all’alba di una mattina, dopo una lunga chiacchierata vidi scomparire proprio vicino alla cima di un impetuoso ruscello, parlava con uno specchio d’acqua, poi all’improvviso si alzò una nebbia strana e lui dialogava come si comanda ad un esercito invisibile la sua strategia: la battaglia che avrebbe per sempre liberato l’uomo dall’inganno della schiavitù di stato.




(11) Certo, professore, non possiamo narrarlo come retto nella mente, il grande eroe che combatte ancora la sua guerra al ritmo di uno strano suono: un tamburo che spesso si ode anche in pieno giorno, più forte delle campane di quella Chiesa che segna le ore.
Di tanto in tanto nel pieno della notte gli fa compagnia l’ululato di un lupo, e lui sembra uno strano sciamano che ha rubato la bella divisa ad un soldato. La giovane coppia di sposi, che così lo videro, come fosse un indiano travestito, mi ordinarono subito da bere…, dopo le loro abituali preghiere, perché coloni e timorati di Dio. Poi chiesero udienza al giudice, quello che dimora nella grande casa proprio in fondo alla vallata.
Gli narrarono l’incontro strano, di come un individuo parlava con il fiume e invocava gli spiriti con uno vecchio tamburo, mai avrebbero pensato che un tempo fu nobile e decorato soldato ora taciuto. Mai avrebbero intuito che in lui dimorava una grande guerriero, un pazzo videro in fondo ad un sentiero.
Lo spirito di certo non scorsero, recitarono a memoria solo una strana litania della storia, la chiamano preghiera ora, e ogni cosa preserva dalla sfortuna di un demone precipitato nella loro nuova avventura, coloni senza paura.
Loro son giovani e padroni della terra, migrati un giorno come quel fiero soldato, arrivarono all’alba di una mattina da una nave con una grande stiva, dalla loro sacra e potente terra da una nobile dinastia così ben concepita. In mano una Bibbia con dentro una promessa antica come facile ricchezza senza l’ingombro di una strana eresia. La promessa di fondare il bene là dove regna una diversa certezza, la certezza di governare la terra là dove regna ogni indigeno pagano ed anche selvaggio… l’ordine è cosa divina, non è certo un rito strano ufficiato da un pazzo nominato sciamano….




(12) Con il tempo hanno conquistato rubato e confiscato la terra, questa la sola certezza del vecchio soldato con una antica e nobile coscienza, come ogni Re che vuol obbedire alla legge divina, come un sovrano fors’anche umile e povero soldato… che tiene il potere stretto nella sua mano. 
Certo signora, deve essere Sacerdote e Sovrano, oltre che strano Sciamano.
Per chi conosce la storia, il vecchio generale è solo custode e guerriero dell’invisibile potere della Terra, per questo ha combattuto la sua strana e antica guerra contro la gente… della stessa sua dinastia, forse per dimostrare che il valore non risiede e alberga… in chi uccide un innocente.




(13) Caro ingegnere, è quasi l’ora di cena, si è cambiato di abito per l’umile pasto in questo albergo riparo da ogni bufera, vuol godersi a lume di candela il magnifico quadro della vallata, dominato da una grande montagna che osserva ogni nostra preghiera.
Al tramonto tutto si tinge di rosso, il ghiacciaio assume colori strani come un cielo antico che dipinge la sua tela. A quell’ora della sera il ghiaccio sembra raccontare la sua grande fatica: io che lo vidi tanto tempo fa’ ebbi l’impressione di scorgere una lunga barba contorno di un vecchio affaticato, come fosse stato un grande soldato ad ornarla con il suo miracolo.
Vallata benedetta da un Dio… all’alba di una strana mattina.




(14) Certo professore, ora che porto il suo posacenere per il rito del prezioso sigaro, lei vede altro in quel volto invecchiato che appare privo della sua barba e stanco, con solo un povero ruscello che scende dalla fronte come fosse sudore e una cascata come una lacrima.
Ciò che illumina oggi la vista è niente rispetto al principio di questo bel paradiso, forse sarà il fumo fitto del suo respiro che trasuda sapere ad appannare la meraviglia su quella grande cima.
Certo lei vede ben altro, ricchezza e saggezza in ogni strato di Terra, ogni contorno ha la sua storia, la geologia è come la psicologia di un paziente stanco ed avvolto nel suo prezioso sudario. La scienza della Terra scorge invisibile ricchezza là dove in noi alberga una diversa pretesa.
Io con una pietra, professore, ora che non mi vede, perché assorto nella dotta conversazione di corte, io… con le pietre…, le dicevo, ci conversavo fin dal mattino quando decisi di conquistarne la cima, ne trovai una che valeva una fortuna. Un fossile antico, mi spiegò il prete, della stessa forma del grande Universo, e dopo essere sceso dalla sua vetta questo sasso mi narrò la lunga storia privato della croce di antica memoria
Così per lui volli costruire questo rifugio, questo albergo, per tutte le creature, perché la pietra mi svelò una storia strana… una Terra per sempre perseguitata. Si comanda per essa non un prete, ma un uomo che alberga nel mezzo della foresta di questo Universo nascosto, così da poter udire ogni storia mai svelata dalla sua scienza strana.
Udire spiriti e Démoni e ogni elemento raccontare angosce e nuove sciagure, ed un saggio uomo raccogliere il testamento così pianto su un Libro Grande con l’eresia parabola antica di ugual Dio morto su un Teschio, narrare il miracolo invisibile ad ogni uomo, Dio Straniero a questa vita. Scritto e narrato nel miracolo di ogni momento per chi sa vedere la vera luce del giorno, per questo la pietra scalata una mattina fece di me una guida ed oste di una grande Eresia.