CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 5 giugno 2023

MI VEDETE QUI PER LA CENTESIMA VOLTA

 










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L'Eretico fuggito (1/3)


Prosegue con il...:


Pensiero (2) 









IL PENSIERO

 

 

 

Per entrare in una condizione di solitudine l’uomo ha bisogno di allontanarsi tanto dalla propria stanza che dalla società. Mentre leggo e scrivo non sono in solitudine, anche se non c’è nessuno con me. Ma se un uomo vuole davvero stare solo, guardi la Natura.

 

La Natura non indossa mai un’apparenza mediocre.

 

E l’uomo più sapiente non riesce a estorcerne il segreto, né perde la sua curiosità quand’anche ne abbia scoperto tutta la perfezione. La natura non diventa mai un trastullo per uno spirito saggio. I fiori, gli animali, le montagne riflettono la saggezza della sua ora migliore, così come hanno deliziato la semplicità della sua infanzia.

 

Quando parliamo di Natura in questo modo, abbiamo in mente un sentimento preciso, benché estremamente poetico. Intendiamo l’unità dell’impressione prodotta dai molteplici oggetti naturali. È questo ciò che distingue il legname del taglialegna dall’albero del poeta. L’incantevole paesaggio che ho visto questa mattina è senza dubbio costituito da venti o trenta fattorie.




Miller possiede questo campo, Locke quell’altro e Manning il bosco più in là. Nessuno di loro, però, possiede il Paesaggio. 

(Emerson)

 

‘È abitato da una strana persona’,

 

…signor pastore, 

 

riprese dopo una pausa.

 

‘Sono da sei mesi in questo villaggio e ancora non ho osato rivolgervi domande su di lei e sono costretto a farmi violenza per parlarvene oggi. Avevo incominciato col dolermi vivamente nel vedere che l’inverno aveva interrotto il mio viaggio e che ero costretto a soggiornare qui, ma da due mesi si sono di giorno in giorno rinsaldate le catene che mi legano a Jarvis e temo di finire qui i miei giorni. Sapete come ho incontrato Séraphîta, che impressione mi fecero il suo sguardo e la sua voce, come infine fui ammesso presso di lei che non vuol ricevere nessuno. Sin dal primo giorno tornai qui per chiedervi notizie su quella misteriosa creatura.

 

….Allora ebbe inizio quella serie di incantesimi...’.

 

‘Di incantesimi!’,




…esclamò il pastore, scuotendo la cenere della sua pipa in un comune piatto colmo di sabbia che gli serviva da sputacchiera.

 

‘Ma gli incantesimi esistono?’.

 

‘Voi che state leggendo così coscienziosamente il libro degli Incantesimi di Jean Wier comprenderete certo la spiegazione che posso darvi delle mie sensazioni’,

 

…riprese subito Wilfrid.

 

…Se si studia attentamente la Natura nelle sue grandi rivoluzioni come nelle sue più piccole opere, non si può non riconoscere l’impossibilità di un incantesimo, dando a questo termine il suo vero significato. L’uomo non crea forze, impiega la sola che esiste e che tutte le riassume, il movimento, soffio incomprensibile del sovrano costruttore dei mondi.




 Le specie sono troppo ben separate perché la mano umana possa confonderle e il solo miracolo di cui essa era capace si è compiuto nella combinazione di due sostanze reciprocamente nemiche.

 

E la polvere è comunque germana della folgore!

 

Quanto a far sorgere una creazione, e di colpo?

 

Ogni creazione richiede tempo e il tempo non procede né arretra sotto le dita. Così, fuori di noi, la Natura plastica obbedisce a leggi di cui la mano umana non invertirà mai l’ordine e l’esercizio. Ma dopo aver così tenuto conto della Materia, sarebbe irragionevole non riconoscere in noi l’esistenza di un mostruoso potere i cui effetti sono a tal punto incommensurabili che le generazioni conosciute non li hanno ancora perfettamente classificati.

 

Non vi parlo della facoltà di astrazione, di costringere la Natura a rinchiudersi nel Verbo, atto titanico sul quale la gente comune non riflette più di quanto non rifletta sul movimento, ma che ha portato i teosofi indiani a spiegare la creazione con un verbo al quale hanno dato la potenza inversa.




La più piccola porzione del loro nutrimento, un chicco di riso da cui nasce una creazione, e in cui questa creazione alternativamente si riassume, offriva loro una così pura immagine del verbo creatore e del verbo astraente da rendere molto semplice applicare questo sistema alla formazione dei mondi.

 

La maggior parte degli uomini doveva accontentarsi del chicco di riso seminato nel primo versetto di tutte le Genesi. Dicendo che il verbo era in Dio, san Giovanni, non ha fatto che complicare la difficoltà. Ma la granitura, la germinazione e la fioritura delle nostre idee è poca cosa se paragoniamo questa proprietà, condivisa fra molti uomini, alla facoltà affatto individuale di comunicare a essa forze più o meno attive mediante non so quale concentrazione, di elevarla a una terza, a una nona, a una ventisettesima potenza, perché in tal modo faccia preso sulle masse e ottenga risultati magici, condensando gli effetti della Natura.




Ora, io chiamo incantesimi quelle immense azioni che si svolgono tra due membrane sul tessuto del nostro cervello. Nella Natura inesplorata del Mondo Spirituale esistono certi esseri armati di queste facoltà inaudite, paragonabili alla terribile potenza che possiedono i gas nel mondo fisico e che si combinano con altri esseri, li penetrano come causa attiva, producono in loro sortilegi contro i quali quei poveri iloti sono indifesi: li incantano, li dominano, li riducono a un orribile vassallaggio e fanno pesare sopra di loro le magnificenze e lo scettro di una Natura superiore, agendo ora alla maniera della torpedine che elettrizza e intorpidisce il pescatore…

 

…Ora come una dose di fosforo che esalta la vita o ne accelera la proiezione…

 

…Ora come l’oppio che addormenta la Natura corporea, libera lo spirito dai suoi vincoli, lo lascia volteggiare sopra il mondo, glielo mostra attraverso un prisma, estraendone per lui il nutrimento che preferisce…

 

…Ora infine come la catalessi che annulla tutte le facoltà a beneficio di un’unica visione.




I miracoli, gli incantesimi, le magie, i sortilegi, insomma gli atti chiamati sovrannaturali, non sono possibili né possono spiegarsi altro che con il dispotismo con cui uno Spirito ci costringe a subire gli effetti di un’ottica misteriosa che dilata, riduce, esalta la creazione, la muove in noi a suo piacimento, la sfigura o l’abbellisce ai nostri occhi, ci trasporta in cielo o ci piomba nell’inferno, i due termini con cui si esprimono l‘estremo piacere e l’estremo dolore.

 

Questi fenomeni sono in noi e non al di fuori.

 

L’essere che noi chiamiamo Séraphîta mi sembra uno di quei rari e terribili Dèmoni cui è dato di afferrare gli uomini, di incalzare la Natura e farsi partecipi dell’occulta potenza di Dio.




 Il corso dei suoi incantesimi è iniziato in me con il silenzio che mi veniva imposto. Ogni volta che osavo pensare di volervi interrogare a suo riguardo, mi sembrava di essere in procinto di rivelare un segreto di cui dovevo essere l’incorruttibile custode; ogni volta che ho voluto interrogarvi un sigillo ardente mi si è posato sulle labbra ed ero il ministro involontario di quella misteriosa proibizione.

 

Mi vedete qui per la centesima volta, prostrato, distrutto, per essere stato a giocare con il mondo allucinatorio che porta in sé quella fanciulla, dolce e fragile per voi due, ma maga implacabile per me.

 

Sì, essa è per me come una maga che porta nella mano destra un apparecchio invisibile per agitare il globo e nella sinistra la folgore per dissolvere tutto a suo piacimento. Insomma, non riesco più a guardare la sua fronte; è di una luminosità insopportabile.

 

Da qualche giorno ormai rasento in modo troppo maldestro gli abissi della follia per tacere.




Colgo quindi il momento in cui ho il coraggio di resistere a quel mostro che mi trascina presso di sé senza chiedermi se posso seguire il suo volo.

 

Chi è dunque?

 

L’avete vista giovane?

 

È nata mai?

 

Ha avuto dei genitori?

 

È generata dal connubio fra il ghiaccio e il sole? Ella raggela e infiamma, si mostra e si ritrae come una verità gelosa, mi attira e mi respinge, mi dà ora la vita ora la morte, la amo e la odio. Non posso più vivere così, voglio essere completamente in cielo o completamente nell’inferno”… 

(Balzac)




 Molti anni fa vidi, tra il sonno e la veglia, una donna d’incredibile bellezza che lanciava una freccia nel cielo e, da quando mi son chiesto per la prima volta il suo significato, ho riflettuto molto sulla differenza tra il movimento sinuoso della Natura e la linea retta che Balzac in Séraphita chiama il ‘Segno dell’Uomo’ ma è meglio definibile come il segno del santo o del saggio.

 

Ritengo che noi poeti e artisti, non potendo far lanci oltre il tangibile, dobbiamo passare dal desiderio alla stanchezza per poi riprendere a desiderare, e vivere soltanto per l’attimo in cui la visione perviene alla nostra stanchezza come un lampo tremendo, nell’umiltà delle bestie.




Non dubito che quei cerchi ondeggianti, quegli archi sinuosi, nella vita di un uomo come in quella di un’epoca, siano matematici e che qualcuno a questo mondo o al di là di esso abbia previsto e appuntato sul calendario l’arco di vita di un Cristo, di un Buddha, di un Napoleone: che ogni movimento, nella sensibilità o nel pensiero, grazie alla chiarezza e alla fiducia crescenti prepari al buio il suo giustiziere. Noi cerchiamo la realtà con l’operato lento e faticoso della nostra debolezza e siamo sbaragliati dall’illimitato e dall’imprevedibile.

 

Solo quando siamo santi o saggi e rinunciamo alla stessa esperienza ci è dato, secondo l’immaginario della Cabala cristiana, abbandonare il lampo improvviso e il sentiero del serpente per diventare l’arciere che punta la freccia al centro del sole.

 

Un poeta, quando invecchia, si chiederà se non può conservare la sua maschera e la sua visione senza nuove amarezze, nuove delusioni. Potrebbe se volesse, sapendo quanto debole è il vigore una volta passata la giovinezza, imitare Landor, il quale visse amando e odiando, ridicolo e indomito, fino a tardissima età, perdendo tutto tranne il favore delle sue Muse?




Memoria, che è la Madre delle Muse,

 

Mi lasciò; loro restano, mi scuotono

 

La spalla e mi esortano a cantare.

 

Magari penserà: ora che ho trovato maschera e visione perché dovrei soffrire ancora?

 

E forse comprerà una vecchia casetta dove, come Ariosto, potrà lavorare il giardino e pensare che nel ritorno degli uccelli e delle foglie, o del sole e della luna, e nel volo serale dei corvi scoprirà ritmo e disegno come quelli del sonno, e così non svegliarsi mai dalla visione.

 

Allora si ricorderà di Wordsworth che avvizzisce nei suoi ottant’anni, onorato e svampito, e salirà in uno stambugio dove troverà, dimenticata lì dalla gioventù, una crosta amara.




So molto più di quanto avrei potuto mai sapere se nella vita ultraterrena non avessi imparato a tener conto di quello che, là come qua, è rudimentale e sconnesso; né ho rinvenuto nei medium del Connacht e di Soho qualcosa che non trovi riscontro e qualche delucidazione in Henry More, il quale in vita era chiamato l’uomo più santo sulla faccia della terra.

 

Tutte le anime hanno un veicolo o corpo e, nell’affermare questo con More e i platonici, si evitano quelle scuole astratte che invocano l’autorità di una Chiesa o di un’istituzione e ci si ritrova con la grande poesia e con la superstizione, cioè a dire con la poesia popolare, in un mondo ameno e pericoloso.

 

La bellezza a dire il vero non è che la vita corporea in una condizione ideale. Il veicolo dell’anima umana un tempo si chiamava spiriti animali e Henry More riporta questa citazione da Ippocrate:

 

‘La mente dell’uomo ... non si nutre di cibi e bevande dal ventre bensì di una sostanza chiara e luminosa che scaturisce separandosi dal sangue’.




Questi spiriti animali riempiono ogni parte del corpo e costituiscono il corpo aereo, come l’hanno chiamato certi scrittori del Seicento.

 

L’anima ha un potere plastico e dopo il decesso o anche in vita, dovesse il veicolo lasciare per qualche tempo il corpo, è in grado con un atto d’immaginazione di dargli forma a piacimento anche se, più diversa dal solito la forma, maggiore sarà lo sforzo.

 

Per i vivi come per i morti la purezza e l’abbondanza degli spiriti animali sono una forza primaria. L’anima può ricavarne un’apparizione rivestita come in vita e renderla visibile mostrandola all’occhio della mente o introducendo nella sua sostanza talune particelle estratte dal corpo di un medium finché non è visibile e tangibile come qualsiasi altro oggetto.


(PROSEGUE...)








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