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Il Caos Primordiale: ovvero Triperuno (76)
L’ex prete romano Lorenzo Davidico, che nella sua carriera di scrittore
di cose devote, predicatore, e soprattutto di intrigante frequentatore di
ambienti cardinalizi, si trovò a svolgere molte parti in commedia: prima di
tutto, quella di confessore abilitato a raccogliere e riconciliare eretici
pentiti; e, in conseguenza di ciò, quella di padrone di una rete di
informazioni segrete, disposto a metterle in mano all’Inquisizione; infine,
quella di inquisito egli stesso, costretto a ‘giostrare con la inquisizione’
per difendere la propria vita e con essa la sua (dubbia) reputazione accumulato
a forza di denuncie e ricatti. Inquisito e spia dell’Inquisizione, confessore
di eretici ed eretico, maestro di devozione implicato in strategie poliziesche
dei poteri romani: la condizione di Lorenzo Davidico, seppur singolarissima, è
indicativa degli aspetti (per altro immutati..) torbidi e intricati che la realtà
di quei tempi di lotta senza quartiere poteva assumere.
Ma il suo caso non dovette essere isolato.
Il rapido corso delle cose, nel giro di un decennio, poteva trasformare
i simpatizzanti delle nuove idee in testimoni d’accusa e perfino in delatori:
moralità, solidarietà ma anche sacramenti e istituzioni non venivano
risparmiati. La confessione sacramentale veniva vista come uno strumento
fra gli altri per mettere alle strette eretici. Il clima che emerge dai
documenti inquisitoriali di quegli anni è di incertezza, paura. La stagione
liturgica del ‘perdono’ si rovescia nel suo contrario, con
uno scatenamento di denunzie e di processi. Un popolo cristiano che
discute e si interroga sul significato e sul valore della confessione è
costretto a piegarsi a pratiche complesse e preoccupanti, da cui dipende non
più solo la liberazione della propria coscienza ma la sicurezza della vita e
della libertà personale.
Un esempio storico dei fatti sopra detti.
Un esempio storico dei fatti sopra detti.
I teatini furono l’orecchio prediletto dell’inquisizione romana anche a
Venezia, dove però la loro funzione di spie,
prediletti nonché ‘giovani aguzzini’ in mano all’inquisizione, fu
regolarizzata da una specifica investitura da parte dell’inquisitore fra Felice
Peretti (il quale tra l’altro prometteva loro ‘beni confiscati’ da parte
dell’inquisizione ai poveri eretici…).
Un esempio storico: il 25 settembre del 1558, il ‘muschiario’ Giovan
Giacomo Millani oppose la sua firma a una lunga abiura (tra l’altro firma
retrodatata…) rilasciata nelle mani del suo confessore, il teatino don Giovan
Davide Paolo, in quanto ‘sodelegato dal reverendo monsignor inquisitore di
Venetia… a potere ricevere l’abiuratione in scritto di quelli che vengono a
penitenza havendo hauto opinione heretici per il passato’. Qualcuno doveva
avergli spiegato che quella era la via per mettersi al sicuro da ogni
persecuzione futura. I suoi errori ereticali erano lontani nel tempo:
risalivano a circa quattordici anni prima, e poi si ripeterono alcuni anni
dopo, e consistevano nella lettura, oltre che di ‘libri lutherani’, anche di
rime di taluni trovatori provenzali, che nel Tempo in cui scriviamo, sono ed
erano vietate dalla inquisizione. Vi erano presenti anche le prediche di
Bernardino Ochino, il ‘Pasquino in estasi’, il ‘Beneficio di Cristo’, ed alcune
opere di Pietro Autier, ‘Frammenti in Rima, e ‘Lo Straniero’; insomma la biblioteca
della riforma italiana accompagnata dall’eresia, braccata nel regno italico
dalla censura dell’indice.
Il Giovan Giacomo si era molto ‘dilettato’ di quelle letture e
ricordava in particolare di aver accolto con piena convinzione l’idea che la
confessione fosse un’invenzione dei preti e dei frati e di averne ragionato
‘con molti gioveni’. Storie lontane e cancellate: anzi, più volte cancellate.
Giovan Giacomo era già stato assolto in via ordinaria confessandosi (e pagando
tributi…) e comunicando ogni anno a Pasqua: per soprammercato era stato ‘asolto
dalla heresia al tempo de’ perdoni et brusato i libri’. Ma nel clima di ‘caccia
all’eretico’ di que(sti)gli anni l’inquietudine si era ridestata e ora Giovan
Giacomo desiderava cancellare definitivamente (anche per assicurare la sua
anima ‘terrena’ al Paradiso celeste delle eterne indulgenze) ‘per più sicureza
della conscientia et salute mia’.
Le coscienze erano inquiete e insicure anche perché non era chiaro
quale fosse il tribunale abilitato a cancellare la colpa dell’eresia.
L’insicurezza era stata governata dalle autorità ecclesiastiche in direzione di
un confessore speciale e che aveva il compito di scrivere per esteso il
contenuto della confessione (a mo’ di testamento…) in materia di colpe d’eresia.
Un altro caso storico…
A Siena l’orefice Angelo di Lorenzo, detto ‘il Riccio’, denunziò nel
1569 un lavorante della sua bottega, un certo Vivaldo, fiammingo di origine:
non lo fece in confessione ma prima di confessarsi. La denunzia fu
presentata il 10 febbraio: tempo di quaresima e di confessioni. La
sottoscrissero insieme il Riccio e un suo lavorante, Michele
Greco. All’inquisitore raccontarono che erano andati a confessarsi e
avevano detto al confessore di conoscere ‘uno che poco teme Idio et mancho
osserva le cose della Chiesa’; il confessore non li aveva voluti assolvere ‘se
non vengano a rivelarlo al Santissimo Officio’. Una storia lineare, a
stare a questo racconto: una perfetta messa in esecuzione del disegno concepito
da quel ‘santissimo Officio’. Ma le cose erano andate diversamente, come poi il
Riccio raccontò al tribunale quando fu chiamato a confermare la Denunzia.