CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 24 luglio 2012

LA CROCIATA (idiota & infinita) DI SIMON DE MONTFORT















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....Il tema dell'Iliade è anche quello di un frammento epico composto nel medioevo
in lingua d'Oc, e che costituisce la seconda parte del testo noto come 'Chanson de
la croisade contre les Albigeois'.
Tolosa ne è il centro, come Troia è il centro dell'Iliade.
Certo, un paragone tra i due poemi è inimmaginabile per la lingua, la versificazione,
lo stile, il genio poetico; eppure, nel poema di Tolosa, l'autentico accento epico si
fa sentire, e non sono rare le note strazianti.
Composto durante la lotta, prima che fosse noto l'esito, da un sostenitore della città
minacciata, tali circostanze lo privano della meravigliosa poesia che avvolge l'Iliade,
ma ne fanno un documento di grande valore. L'autenticità della testimonianza,
confermata dal confronto con altri racconti contemporanei, è garantita dall'abbon-
danza e minuzia dei dettagli, ma soprattutto dall'accento, da quella mescolanza di pas-
sione e imparzialità che crea il tono delle grandi opere. La civiltà di cui narra il poema
non ha lasciato altre tracce oltre al poema stesso, a qualche canto di trovatori, a rari
testi sui catari, e a qualche splendida chiesa.

Il resto è scomparso; possiamo solo tentare d'intuire cosa fu questa civiltà uccisa dalle armi, di cui le armi hanno distrutto le opere. Con dati tanto scarni, si può sperare di ritrovarne lo spirito; e anche se il poema ne dà una raffigurazione idealizzata, è per noi una buona guida; poiché è lo spirito stesso di una civiltà che si esprime nelle raffigurazioni dei suoi poeti.
Simon de Montfort e i suoi vescovi parlano tre o quattro volte degli eretici; alcuni vescovi, alla pre- senza del papa, accusano il conte di Tolosa e di Foix di favorirli, e il conte di Foix se ne difende: i difensori di Tolosa e il poeta stesso, a ogni vittoria, si felicitano di essere sostenuti da Dio, dal Cristo, dal Figlio della Vergine, dalla Trinità.
Ma invano si cercherebbero altre allusioni a controversie religiose; silenzio che, in un poema così vivo, in cui palpita tutta una città, può essere spiegato.
Solo ammettendo l'assenza pressoché totale di dissensi religiosi nella città e tra i suoi
difensori.
I disastri che si abbatteranno su questo paese avrebbero potuto spingere la popolazione
o a prendersela con i catari, perché causa della sua sventura, e a perseguitarli, o a far
propria la loro dottrina in odio all'invasore e a considerare i cattolici come traditori.
Apparentemente non si verificò né l'una né l'altra reazione.
Ed è cosa straordinaria.
Che si voglia lodare, biasimare o scusare gli uomini del medioevo, oggi si vede volentieri
nell'intolleranza una fatalità della loro epoca; come se per i tempi e i luoghi esistessero
delle fatalità. Ogni civiltà, come ogni uomo, ha a sua disposizione la totalità delle nozioni
morali, e sceglie. Se il padre di san Luigi, come è narrato nel poema, credette di servire
Dio autorizzando freddamente il massacro di un'intera città dopo che questa si era arresa,
è perché aveva scelto così; suo nipote doveva più tardi scegliere allo stesso modo, e
così lo stesso san Luigi, lui che considerava il ferro come un buon mezzo, in mano ai laici,
per regolare le controversie.

Avrebbero potuto scegliere altrimenti, e la prova ne è che le città del Mezzogiorno, nel XII secolo, scelsero altrimenti.
Se vinse l'intolleranza, fu solo perché le spade
di quelli che avevano l'intolleranza furono vittoriose.
Si trattò di una decisione puramente militare.
Contrariamente a un pregiudizio molto diffuso, una decisione puramente militare può influire sul corso dei pensieri per molti secoli, su vasti spazi; poiché l'impero della forza è grande.
L'Europa non ha mai più ritrovato allo stesso livello la libertà spirituale perduta per effetto di questa guerra.
Infatti nel XVIII e XIX secolo soltanto le forme più grossolane della forza furono eliminate dalla lotta delle idee; la tolleranza allora in auge finì col contribuire alla costituzione di partiti cristallizzati e sostituì alle costrizioni materiali le barriere spirituali.
Ma il poema di Tolosa ci mostra, con il silenzio stesso mantenuto al riguardo, quanto il paese d'Oc, nel XII secolo, fosse lontano da ogni lotta di idee.
Le idee non vi si scontravano, esse vi circolavano in un ambiente in certo qual modo
continuo. E' questa l'atmosfera propizia all'intelligenza; le idee non sono fatte per lottare.
Neppure la violenza della sventura riuscì a fomentare una lotta di idee in questo paese;
cattolici e catari, lungi dal costituire gruppi distinti, erano a tal punto integrati che lo shock
di un terrore inaudito non poté separarli. Ma le armi straniere imposero la costrizione, e
la concezione della libertà spirituale che allora morì non resuscitò più.
Se c'è un luogo del globo terrestre dove un simile grado di libertà possa essere prezioso
e fecondo, questo è il contorno del Mediterraneo. A chi osserva la carta geografica, il
Mediterraneo sembra destinato a costituire un crogiolo per la fusione di tradizioni venu-
te dai paesi nordici e dall'Oriente; questo ruolo forse lo svolse prima dei tempi storici,
ma pienamente l'ha svolto solo una volta nella storia, e ne risultò una civiltà il cui fulgore
costituisce ancora oggi, o poco ci manca, la nostra unica luce, cioè la civiltà greca.
Questo miracolo durò qualche secolo e non si ripeté più.





















Ventidue secoli fa' le armi romane uccisero la Grecia, e il loro dominio condannò alla
sterilità il bacino mediterraneo; la vita spirituale si rifugiò in Siria, in Giudea, infine in
Persia. Dopo la caduta dell'Impero romano, le invasioni dal Nord e dall'Oriente, pur
portando una nuova vita, impedirono per qualche tempo la formazione di una civiltà.
In seguito la preoccupazione dominante dell'ortodossia religiosa ostacolò le relazioni
spirituali tra l'Occidente e l'Oriente.





















In seguito tale preoccupazione scomparve, il Mediterraneo diventò semplicemente la
strada su cui le armi e le macchine dell'Europa andarono a distruggere le civiltà e le
tradizioni dell'Oriente. L'avvenire del Mediterraneo giace sulle ginocchia degli dèi.
Eppure nel corso di questi ventidue secoli è nata una civiltà mediterranea che avrebbe
forse potuto con il tempo costituire un secondo miracolo, che forse avrebbe raggiunto
un grado di libertà spirituale e di fecondità altrettanto elevato di quello della Grecia
antica, se non la si fosse uccisa.
Dopo il X secolo, la sicurezza e la stabilità erano diventate sufficienti per lo sviluppo
di una civiltà; lo straordinario mescolarsi di popoli dopo la caduta dell'Impero romano
poteva infine portare i suoi frutti.





















Ma da nessun'altra parte questo poteva avvenire con la stessa intensità che nel paese
d'Oc, dove il genio mediterraneo sembra essersi allora concentrato. I fattori d'intolle-
ranza determinati in Italia dalla presenza del papa, in Spagna dalla guerra ininterrotta
contro i Mori, qui non avevano l'eguale; le ricchezze spirituali vi affluivano da ogni
parte senza ostacoli. L'influenza araba penetrava facilmente in paesi strettamente le-
gati all'Aragona; per un prodigio inesplicabile il genio della Persia mise radice in questa
terra e vi favorì proprio nello stesso periodo in cui sembra essere penetrato fino in
Cina.





















E forse non è tutto; così a Saint-Sernin, a Tolosa, è dato vedere teste scolpite che e-
vocano l'Egitto. I legami di questa civiltà risalivano lontano nel tempo come nello spa-
zio. Questi uomini furono probabilmente gli ultimi i quali l'antichità era ancora cosa
viva. Per quanto si sappia poco dei catari, sembra chiaro che essi furono in qualche
modo eredi del pensiero platonico, delle dottrine iniziatiche e dei Misteri di quella
civiltà preromanica che abbracciava il Mediterraneo e il Vicino Oriente; e, che sia per
caso o no, la loro dottrina ricorda per certi tratti il buddismo, e la filosofia di Pitagora
e Platone.
Uccisi loro, tutto questo diventò semplicemente materia di erudizione.
Quali frutti ha portato una civiltà tanto ricca di elementi diversi?
E quali avrebbe potuto portarne?
L'ignoriamo; l'albero è stato tagliato.
Con la peggiore crociata, con la peggiore calunnia, con la peggiore intolleranza....
(Simone Weil, I Catari e la civiltà mediterranea)










        



domenica 22 luglio 2012

AL DIO SCONOSCIUTO


















- Avevo un cane,
diceva.
- 'Il suo nome era Camille. Mi sembrava che fosse il più bel nome del mondo.
Conoscevo un bambino che si chiamava Camille e il nome le si adattava.
Aveva la pelle morbida come le camelie, così diedi il suo nome al mio cane,
e lei ne fu molto arrabbiata'.
Elisabeth raccontava di Tarpey che uccise un vagabondo e fu impiccato al
ramo di un albero e parlava dell'arcigna e magra guardiana del faro di Point
Joe. A Joseph piaceva sentire quella voce dolce, e di solito non ascoltava le
parole, ma le prendeva la mano e la esplorava con i polpastrelli delle sue dita.
Talvolta ella cercava di ragionare per liberarlo dalla paura.





















- 'Non preoccuparti per la pioggia. Verrà. Anche se quest'anno non ci sarà
molta acqua, ce ne sarà l'anno venturo. Conosco questo paese, caro'.
- 'Ma occorrerebbe tanta acqua. Non ci sarà più tempo se non comincia
presto. Sarà troppo tardi'.
Una sera ella disse:
- 'Ora mi piacerebbe cavalcare di nuovo. Rama dice che non mi farebbe più
male. Vuoi fare un giro con me, caro?'.
- Certo,
rispose lui.
- Comincia un po' per volta. Allora non ti farà male.


























- Mi piacerebbe andare con te ai pini. L'odore dei pini mi farebbe piacere.
Egli la guardò lentamente.
- 'Anch'io avevo pensato di andarci. C'è una sorgente nel boschetto e vorrei
vedere se si è rasciugata come tutte le altre'.
I suoi occhi si animarono mentre pensava alla radura tra i pini.
La roccia era tanto verde quando l'aveva vista l'ultima volta.
- Quella dev'essere una sorgente profonda. Non so come potrebbe asciugarsi,
disse.
- Oh, io ho altre ragioni per volerci andare,
ella disse ridendo.






















- 'Credo di averti detto qualcosa in proposito. Mentre aspettavo il bambino ho
ingannato Thomas un giorno e sono andato lassù, tra i pini. E sono arrivata a
quel luogo, nel centro, dov'è la grande roccia, e la sorgente'.
- 'Certo,
disse,
- il mio stato fu causa di quel ch'è avvenuto. Ero in uno stato d'ipersensibilità'.
Sollevò lo sguardo e vide che Joseph la guardava con intensità.
- Sì?
disse.
- Raccontami.


























- 'Certo, come ti dissi, era la mia condizione. Quando aspettavo il bambino, le
piccole cose s'ingigantivano. Non ho trovato il sentiero per entrare.
Mi feci strada tra la boscaglia e poi arrivai alla radura.
C'era una quiete, Joseph, una quiete qual io non ho visto mai.
Sedetti davanti alla roccia perché quel luogo mi pareva impregnato di pace.
Pareva che mi desse ciò di cui avevo più bisogno'.





















Parlandone ritrovò quel sentimento.
Si spinse i capelli dietro agli orecchi e i suoi occhi distanti fra loro, guardarono
in lontananza.
- 'E la roccia mi piaceva; è difficile spiegare.
Amavo la roccia più di te e del bambino e di me stessa.
E questo è più difficile da esprimere: mentre ero lì seduta io stessa divenni la
roccia. Il torrentello scorreva da me ed io ero la roccia, e la roccia era... non so....
la roccia era la cosa più forte e più cara del mondo'.
























Si guardò nervosamente intorno.
Le sue dita si agitarono sulla gonna.
Il fatto che aveva voluto raccontare per scherzo la vinceva, ritornando in lei.
Joseph prese la sua mano nervosa e ne tenne ferme le dita.
- Raccontami,
insistette con dolcezza.
- 'Ecco, devo esserci stata parecchio, perché il sole fece del cammino, ma
a me parve un momento solo. E poi il sentimento del luogo cambiò.
C'entrò qualcosa di malvagio'.
Ricordando, la sua voce divenne roca.
- 'Qualcosa di maligno era nella radura, e voleva distruggermi.
Fuggii.


























Credevo che mi inseguisse, quella grande roccia appiattata, e quando ne fui
lontana pregai.
Oh, pregai a lungo'.
Gli occhi chiari di Joseph indagavano.
- Perché vuoi ritornarci?
chiese.
- Dunque non capisci?
ella rispose impaziente.
- 'Tutto dipendeva dalla mia condizione. Ma l'ho sognata tante volte e mi ritorna
spesso in mente.
Ora che sto di nuovo bene, voglio ritornarci e rendermi conto che è solo una
vecchia roccia coperta di borraccina, in una radura.































Allora non la sognerò più.
Allora non mi minaccerà più.
Voglio toccarla.
Voglio insultarla perché m'ha fatto paura'.
Si liberò dalla stretta di Joseph e si fregò le dita per toglierne l'indolenzimento.
- M'hai fatto male alla mano caro. Anche tu sei spaventato di quel luogo?
- No,
disse lui.
- Non sono spaventato. Ti ci condurrò.
Divenne silenzioso, chiedendosi se le avrebbe raccontato i discorsi di Juanito
sulle donne indiane incinte che andavano a sedersi davanti alla roccia, e sui
vecchi che vivevano nella foresta.
- Potrebbe spaventarsene,
pensò.
- E' meglio che si liberi di questa paura.....
(J. Steinbeck, Al Dio sconosciuto)











mercoledì 18 luglio 2012

DA NORIMBERGA A VENEZIA 3








































Precedenti capitoli:

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Di Verona, Schaseck, il cavaliere che dà il resoconto del viaggio di Lev z
Rozmitalu, aveva descritto l'Arena, che prende per il palazzo di Teodori-
co, abbandonato e in rovina; di giorno vi stanno 'faeminae nobiles' (in
realtà prostitute) che di notte sono scacciate dagli spettri.
Al centro dell'anfiteatro il boemo vede una forca, riservata, gli dicono, al-
le esecuzioni di malfattori locali, cui viene così risparmiata la vergogna di
essere impiccati insieme a stranieri.
A Padova, Mantegna (gli affreschi nella cappella degli Ovetari agli Eremi-
tani) e Donatello: sulle immagini del paesaggio italiano che riempivano gli
occhi curiosi del giovane artista di Norimberga, si venivano sovrapponen-
do le figurazioni intense, sconvolgenti della nuova maniera italiana di fare
arte.
L'università, da sempre di grande prestigio, richiamava molti stranieri; ci
andavano anche i giovani di Norimberga; da poco ne era tornato l'uma-
nista Willibald Pirkheimer, amico di Durer.
In questa città si prendeva la barca per scendere la Brenta; così fece
Philippe de Commynes, in missione diplomatica presso la Signoria negli
stessi mesi in cui era a Venezia il norimberghese.


























'A la Chafasine' (Fusina), scrive il francese, si lascia il battello col quale
si è arrivati da Padova lungo il fiume e ci si mette in piccole barchette,
ben pulite, rivestite di 'tappisserie' e con tappeti di velluto per sedersi:
sono le gondole con cui percorrere le acque calme della laguna, color
di perla all'imbrunire.
In nessuna città al mondo, forse, si ha l'impressione di potersi riportare
nel passato quanto a Venezia. Sulle sue isole labili, nell'autunno del
1494, doge Agostino Barbarigo, la città in effetti non aveva configura-
zione molto diversa dall'attuale; quella sua architettura, che pare una
cagiante coagulazione di colore tra acque e cielo, dispiegava già tutto
il proprio fascino.
Nei particolari risalterebbero più differenze di quante immediatamente
pensabili; nell'immagine attuale della città ha infatti parte proponderan-
te il gusto classicistico del rinnovamento cinquecentesco, prima artefi-
ce il fiorentino Iacopo Sansovino.


















La basilica di San Marco era quasi interamente quella che vediamo,
ma intorno alla grande piazza - il Petrarca che l'aveva vista col pavi-
mento di mattoni si era chiesto 'se la terra ne abbia un'altra simile' -
non v'era quasi nulla in quel che si vede ora: gli stessi portici continui
delle Procuratie vecchie, la parte più antica della cornice architettoni-
ca, non erano proprio quelli attuali, cui si pose mano, ricostruendoli,
al principio del '500; il campanile, che non aveva la cuspide, era alli-
neato all'ospedale di Pietro Orseolo, non più esistente.
Sulle facciate del Palazzo Ducale il sole illuminava il prezioso tessu-
to delle losanghe bianche e rosa sopra i loggiati di pietra d'Istria, già
chiaroscurata del salino, ma sul lato verso la Piazzetta non c'era an-
cora il grande finestrone centrale.


























Quando dal campanile la 'trottiera' chiamava a consiglio, i patrizi en-
travano dalla Porta della Carta, come oggi passano i visitatori, ma
vedevano la facciata sul cortile dell'ala verso il Rio di Palazzo e la
Scala dei Giganti entrambe in costruzione, dopo l'incendio del 1483.
Dirigeva i lavori il veronese Antonio Rizzo, che aveva già scolpito
l'Eva e l'Adamo dell'Arco Foscari, ma che tra poco (1498), accu-
sato di peculato per 12.000 scudi, sarebbe scappato a Cesena.
Nella immensa sala Maggior Consiglio, i patrizi alzavano gli occhi
non la vorticoso 'Paradiso' del Tintoretto, ma a quello tutto angeli
aureolati dell'affresco del padovano Guariento.
Sul Canal Grande c'era gran movimento di imbarcazioni e un solo
ponte, quello di Rialto, che era di legno, coperto e con la parte di
mezzo levatoia.
La descrizione di Philippe de Commynes è entusiasta: 'la grant
rue, qui 'ilz appellent le Canal grant', è molto larga; vi passano le
galee e accanto alle case si vedono navi di oltre 400 botti; 'è la
più bella strada che credo vi sia in tutto il mondo'......
(L. Camusso, Guida ai viaggi nell'Europa del 1492)




....Sotto il velame.....

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2012/07/17/appunti-eretici-di-viaggio.html










martedì 17 luglio 2012

UNA CONVERSAZIONE





































Agliè mi invitò a visitare un posto dove si faceva ancora una batida come
sanno fare solo uomini senza età.
Uscimmo, in pochi passi, dalla civiltà di Carmen Miranda, e mi ritrovai in
un luogo oscuro, dove alcuni nativi fumavano un tabacco grasso come una
salsiccia, arrotolato in gomene da vecchio marinaio.
Si manipolavano le gomene coi polpastrelli, se ne ottenevano foglie larghe
e trasparenti, e si arrotolavano in cartine di paglia oleosa. Occorreva riac-
cendere sovente, ma si capiva che cosa fosse il tabacco, quando lo scoprì
sir Walter Raleigh.
Gli raccontai della mia avventura pomeridiana.
- 'Anche i Rosa-Croce, ora? Il suo desiderio di sapere è insaziabile, amico
mio. Ma non presti orecchio a quei folli. Parlano tutti di documenti inoppu-
gnabili, ma nessuno li ha mai mostrati.
Quel Bramanti lo conosco. Abita a Milano, salvo che gira il mondo a dif-
fondere il suo verbo. E' innocuo, ma crede ancora a Kiesewetter.
Legioni di rosicruciani si appoggiano a quella pagina del Theatrum Chemi-
cum. Ma se va a consultarlo - e modestamente fa parte della mia piccola
biblioteca milanese - la citazione non c'è'.




















- Un buffone, il signor Kiesewetter.
- 'Citatissimo. E' che anche gli occultisti ottocenteschi sono stati vittime del-
lo spirito del positivismo: una cosa è vera solo se la si può provare.
Veda il dibattito sul 'Corpus Hermeticum'.
Quando fu introdotto in Europa nel Quattrocento, Pico della Mirandola,
Ficino e tante altre persone di grande saggezza, videro la verità: esso dove-
va essere opera di una sapienza antichissima, anteriore agli egizi, anteriore
allo stesso Mosè, perché vi si trovavano già delle idee che dopo sarebbero
state enunciate da Platone e da Gesù'.
- 'Come dopo? Sono gli stessi argomenti di Bramanti su Dante massone.
Se il 'Corpus' ripete le idee di Platone e di Gesù significa che è stato scritto
dopo di loro!'



















- 'Vede? Anche lei. E infatti questo fu l'argomento dei filologi moderni, che
vi aggiunsero anche fumose analisi linguistiche per mostrare che il 'Corpus'
era stato scritto tra il secondo e il terzo secolo della nostra èra.
Come dire che Cassandra era nata dopo Omero perché già sapeva che
Troia sarebbe stata distrutta.
E' illusione moderna credere che il tempo sia una successione lineare e orien-
tata che va da A verso B.
Può anche andare da B verso A, e l'effetto produce la causa....
Che cosa vuol dire venire prima e venire dopo?
Quella sua bellissima Amparo viene prima o dopo i suoi confusi antenati?
E' troppo splendida - se permette un giudizio spassionato a chi potrebbe es-
sere suo padre.
Dunque viene prima.
Essa è l'origine misteriosa di ciò che ha contribuito a crearla'.
- Ma a questo punto.....
























- 'E' il concetto di 'questo punto' che è sbagliato. I punti sono posti dalla
scienza dopo Parmenide, per stabilire da dove a dove qualcosa si muove.
Nulla si muove, e c'è un punto solo, il punto da cui si generano in uno stes-
so istante tutti gli altri punti.
L'ingenuità degli occultisti ottocenteschi, e di quelli del nostro tempo, è di
dimostrare la verità della verità coi metodi della menzogna scientifica.
Non bisogna ragionare la logica del tempo, ma secondo la logica della
Tradizione.
Tutti i tempi si simboleggiano tra loro, e dunque il Tempio invisibile dei Ro-
sa-Croce esiste ed è esistito in ogni tempo, indipendentemente dai flussi
della storia, della vostra storia.
Il tempo della rivelazione ultima non è il tempo degli orologi.
I suoi legami si stabiliscono nel tempo della 'storia sottile' dove i prima e i
dopo della scienza contano assai poco'.
- Ma insomma tutti quelli che sostengono l'eternità dei Rosa-Croce....

























- 'Buffoni scientisti perché cercano di provare quello che si deve invece
sapere, senza dimostrazione.
Crede che i fedeli che vedremo domani sera sappiano o siano in grado di
dimostrare tutto quello che gli ha detto Kardec?
Sanno perché sono disposti a sapere.
Se tutti avessimo conservato questa sensibilità al segreto, saremmo abba-
cinati di rivelazioni.
Non è necessario volere, basta essere disposti'.

- Ma insomma, e mi scusi se sono banale. I Rosa-Croce esistono o no?

- Che cosa significa esistere?
- Faccia lei.
- 'La grande Fraternità Bianca, li chiama Rosa-Croce, li chiami cavalleria
spirituale di cui i Templari sono incarnazione occasionale, è una corte di
saggi, pochi, pochissimi eletti, che viaggia attraverso la storia dell'umanità
per preservare un nucleo di sapienza eterna.
La storia non si sviluppa a caso.
Essa è opera dei Signori del Mondo, a cui nulla sfugge.
Naturalmente i Signori del Mondo si difendono attraverso il segreto.
E quindi ogni qual volta troverà qualcuno che si dice Signore, o Rosa-Cro-
ce, o Templare, costui mentirà.
Essi vanno cercati altrove'.
- Ma allora questa storia continua all'infinito?
- E' così. Ed è l'astuzia dei Signori.
- Ma che cosa vogliono che la gente sappia?
- Che c'è un segreto. Altrimenti perché vivere, se tutto fosse così come
appare?
- E qual'è il segreto?
- 'Quello che le religioni rivelate non hanno saputo dire.
Il segreto sta oltre'.
(U. Eco, Il pendolo di Foucault)



Prosegue in:

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2011/01/22/bamiyan.html &

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2011/01/28/pensiero-filosofico.html













domenica 15 luglio 2012

LA BESTEMMIA






































Sotto il velame......

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2012/07/16/il-falso.html &

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2012/07/16/con-il-vero.html







La consuetudine dell'intarmento tradiscono anche un altro ragruppamento:
quello di tutte le categorie della profanazione......
Accade d'incontrare sui registri una nota come questa:
'Uno degli uomini più furiosi e senza alcuna religione, che non va mai alla
messa e non assolve alcun dovere cristiano, che bestemmia e impreca al
santo nome di Dio, dicendo che non esiste, e che se ne esistesse uno, lo
assalirebbe con la spada in pugno'.
Un tempo simili furori avrebbero trascinato con sé tutti i rischi della bes-
temmia e anche i prestigi della profanazione; avrebbero acquistato signi-
ficato e gravità sull'orizzonte del sacro.
Per lungo tempo la parola, nel suo uso e nel suo abuso, era rimasta trop-
po legata ai veti religiosi perché una violenza di questo genere non fosse
vicinissima al sacrilegio. E fino alla metà del XVI secolo le violenze della
parola e del gesto dipendono ancora dalle vecchie pene religiose: berli-
na, gogna, incisione delle labbra praticata col ferro rovente, poi asporta-
zione della lingua, e infine, in caso di nuova recidiva, il rogo (non a caso
ho scelto alcuni passi, del mio libro - Storia di un Eretico - in connes-
sione al presente post, perché ho verificato di persona che queste abi-
tudini non sono per nulla mutate. Sono semplicemente trasmutate con
abile opera 'alchemica' da una cultura ad una 'apparente nuova'.
Si badi bene, per i volenterosi signori di casta, politici, trafficanti, e
molti altri, di cui non mi dilungo negli innumerevoli nomi: che tal....
costume che loro comandano e colgono come il delizioso frutto dell'u-
nico e solo sapere, quali pennivendoli del regime, in associazione or
con uno or con l'altro, a cui al regime, che pur contrastano, per lo
popolo che si beve il loro eterno intrallazzo....a loro porta e dona
solo eterno sollazzo; cotal regime (dicevo) è la pagnotta e lo princi-
pio di ogni loro caciotta rubata al povero pastore, che per loro in-
gordigia, se l'è ben meritata (ma lo vil digiuno lo accompagna, per
ogni parola blasfema et eretica sempre avversa alla loro 'Pietra');
anche se poi, d'incanto l'abito di scena ha mutato il lineamento,
forse solo per dir loro: 'così se posso vi faccio ancor più contenti....
nei vostri tristi e vili interventi....'.
Caro direttore, ma pur sempre padrone, della bella Repubblica di cui
vai fiero. Or se pensi che tal costumi son ben mutati, nella bella Roma
dove i tuoi fascisti, inquisitori, ed altre triste rime se ne vanno indistur-
bati nei loro inganni, accompagnati a molti altri, per questo bello pae-
se, se pensi questo, dicevo, ti sbagli proprio caro direttore che campi
sempre sul volgo della piazza urlante che appiccia l'eterno foco dell'-
inquisitore e lo suo 'novo padrone', che strilla impreca come quella
bestia che poveretta è la più fiera, se pur lo foco e la sua nebbia, il
popolo accecca....e lo popolo in tanta 'nebbia' mai sapria distingue-
re la vera bestia dalla solita..... carneficina.....che diventa eterna ....
polpetta, per lo popolo che va sempre di fretta....   
 Proprio come è sempre stato, e se la rima, o il libro, o altro accadi-
mento dello tuo eterno privilegio, un poco disturbano l'eterno tuo
decoro, allora le tristi fatti qui ed in altri luoghi narrati, son la tua
caciotta e l'eterna tua pagnotta, non portar rancore se nella tua
'camera oscura' vedrai lo specchio ed il riflesso dell'eterna tua ....
tortura....)























La Riforma e le lotte religiose hanno indubbiamente reso la bestemmia
un fatto relativo; la linea della profanazione non è più una frontiera asso-
luta.
Sotto il regno di Enrico IV non sono previste che ammende imprecisate,
in seguito 'punizioni esemplari e straordinarie'. Ma la Controriforma e i
nuovi rigori religiosi ottengono un ritorno alle punizioni tradizionali, 'se-
condo l'enormità delle parole proferite'.
Tra il 1617 e il 1649 ci furono 34 esecuzioni capitali a causa della bes-
temmia. Ma ecco il paradosso: senza che la severità delle leggi si rilassi
in alcun modo, dal 1653 al 1661 ci sono soltanto 14 condanne pubbliche,
sette delle quali sono seguite da esecuzioni capitali.
A poco a poco anche queste spariranno. Ma non è la severità delle leggi
che ha diminuito la frequenza della colpa: le case d'internamento fino al
termine del XVIII secolo, sono piene di 'bestemmiatori' e di tutti coloro
che hanno fatto atto di profanazione.
La bestemmia non è scomparsa: essa ha ricevuto, al di fuori delle leggi
e malgrado esse, un nuovo statuto nel quale si trova spogliata di tutti i
suoi rischi. E' diventata un affare di disordine: una stravaganza della
parola, che sta a mezza strada tra la confusione dello spirito e l'empie-
tà del cuore.
































E' il grande equivoco del mondo desacralizzato nel quale la violenza
può essere decifrata altrettanto bene, e senza contraddizione, nei ter-
mini dell'insensato o in quelli dell'irreligiosità.
Tra la follia ed empietà la differenza è impercettibile, o in ogni modo
può essere stabilita un'equivalenza pratica che giustifichi l'internamento.
Ecco un rapporto presentato a D'Argenson intorno a Saint-Lazare,
a proposito di un ricoverato che si lamenta più volte di essere rinchiu-
so mentre non è 'né stravagante né insensato'; a questo i guardiani o-
biettano che 'egli non vuole inginocchiarsi nei momenti più solenni del-
la messa....Infine accetta, per quanto gli è possibile, di riservare una
parte della sua cena del giovedì per il venerdì, e quest'ultimo tratto
fa abbastanza capire che, se non è stravagante, è sulla strada di dive-
nire empio'.
Così si delinea tutta una regione ambigua, che il sacro ha appena ab-
bandonato a se stessa, ma che non è stata ancora investita dai con-
cetti medici e delle forme dell'analisi positivista (ben presto lo sarà),
una regione un po' indifferenziata, dove regnano l'empietà, l'irreligio-
sità, il disordine della ragione e del cuore.
Non si tratta né della profanazione né del patologico, ma di un do-
minio alle loro frontiere, i cui significati, pur essendo reversibili, si
trovano sempre esposti all'eventualità di una condanna etica.
Questo dominio, per concludere, è a metà strada fra il sacro e il
morboso, è interamente dominato da un rifiuto etico fondamentale,
è quello della sragione classica. Essa riacquista, così, non solo tut-
te le forme esluse della sessualità, ma anche tutte le violenze contro
il sacro che hanno perduto la forma rigorosa delle profanazioni; es-
sa designa, dunque, un nuovo sistema di opzioni nella morale ses-
suale e insieme nuovi limiti nei veti religiosi.
(M. Foucault, Storia della Follia)


Prosegue in:


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venerdì 13 luglio 2012

O MORTE DELLA VITA PRIVATRICE



















































O morte della vita privatrice,
o di ben guastatrice,
dinanzi a cui porrò di te lamento?
Altrui non sento ch'al divin fattore,
perché tu, d'ogni età divoratrice,
se' fatta imperatrice,
che non temi nè fuoco, acqua nè vento,
non ci vale argomento al tuo valore:
tuttor ti piace eleggere il migliore
e  'l più degno d'onore.

Morte, sempre dai miseri chiamata,
e da' ricchi schifata come vile
troppo se  'n tua potenza signorile,
non provvedenza umile,
quando ci togli un uom fresco e giulivo,
o ultimo accidente destruttivo.

O morte nata di mercè contrara,
o passione amara,
sottil ti credo porre mia questione
contra falsa ragion de la tu' avra;
perchè tu fatta nel mondo vicara
ci vien senza ripara
nel die giudicio avrai quel guiderdone
che a la stagione converrà ch'io scovra.
Oi, com'avrai in te la legge povra!
Ben sai chi morte adovra
simil deve ricever per giustizia,
poi tua malizia sarà refrenata
ed a orribile morte giudicata;
come se' costumata
in farla sostenere ai corpi umani,
per mia vendetta ivi porrò le mani.

O morte, fiume di lacrime e pianto
o nemica di canto,
desidero visibili che ci vegni,
perchè sostegni sì crudel martire?
Perchè di tanto arbitrio hai preso manto
e contra tutti ha 'l guanto?
Ben par nel tu' pensier che sempre regni
poi ci disegni lo mortal partire.
Tu non ti puoi, maligna, qui covrire
nè da ciascun disdire,
chè non trovasi più di te possente:
fu Cristo onnipotente a la sua morte
che prese Adamo ed ispezzò le porte
incalzandoti forte:
allora ti spogliò de la virtute
ed a lo  'nferno tolse ogni salute.

O morte, patimento d'amistate,
o senza pietate,
di ben matrigna ed albergo del male!
Già non ti cale a cui spegni la vita,
perchè tu, fonte d'ogni crudeltate,
madre di vanitate,
se' fatta arciera e di noi fa' segnale,
di colpo micidial sì se' fornita.
O come tua possanza fia finita
trovando poc'aita
quando fia data la crudel sentenza
di tua fallenza dal Signor superno!
Poi fia tuo loco in foco sempiterno:
lì sarai state a verno
là dove hai messo papi e 'mperadori
re e prelati ed altri gran signori.

O morte oscura di laida sembianza,
o nave di turbanza
che ciò ch'è vita congiunge e notrica,
nulla ti par fatica scieverare,
perchè radice d'ogni sconsolanza
prendi tanta baldanza:
d'ogni uom se' fatta pessima nemica,
nova doglia ed antica fai creare,
pianto e dolor tutto fai generare;
ond'io ti vo' blasmare,
chè quando un uom prende diletto e posa
di sua novella sposa in questo mondo
breve tempo lo fai viver giocando,
chè tu lo tiri a fondo,
poi non ne mostri ragione, ma usaggio
d'onde riman doglioso vedovaggio.

Morte, sed io t'avessi fatta offesa
o nel mio dir ripresa,
non mi t'inchino a piè mercè chiamando;
chè disdegnando non chero perdono.
Io so ch'i' non avrò ver te difesa,
però non fo contesa,
ma la tua lingua non tace, mal parlando
di te e rimproverando cotal dono.

Morte, tu vedi quanto e quale io sono
che con teco ragiono,
ma tu mi fai più muta parlatura
che non fa la pintura a la parete.
Oh, come di distruggerti ho gran sete!
che già veggio la rete
che tu acconci per voler coprire,
cui troverai o vegghiare o dormire!

Canzon gira' ne a que' che sono in vita,
di gentil core e di gran nobilitate;
di' che mantengan lor prosperitate
e sempre si rimembrin de la morte,
in contrastarla forte,
e di' che se visibil la vedranno
ne faccian la vendetta che dovranno.


(La prosa completa in: http://www.interbooks.eu/poesia/duecento/lapogianni/ballatecanzoni.html)






Prosegue in:

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domenica 8 luglio 2012

IL DRAGO















































Precedenti capitoli:

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http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2011/10/23/un-uomo-3.html &

http://paginedistoria.myblog.it/archive/2011/10/23/un-uomo-4.html











Dopo l'incidente..... o l'omicidio.....
la magistratura del Potere non tenne alcun conto della perizia fatta dagli
esperti italiani e dalla quale risultava, inequivocabile, che eri stato colpi-
to dalla Peugeot con una manovra di testa coda, così...per ammazzarti.
Non tenne conto e anzi liquidò con notevole fretta la storia di un certo
Giorgio Leonardos, pregiudicato di Salonicco, secondo la quale la not-
te fra il 16 e il 17 aprile, in piazza Omonia ad Atene, s'erano incontrati
quattro membri del gruppo fascista Aracni, Ragno, il medesimo di cui
m'avevi parlato dopo la lettura dei documenti....
Non tenne conto di tutte le volte che tentarono di bloccare tutti gli ar-
chivi, oggi moderni sistemi informatici.......



















Non tenne conto di quel Basilio Kaselas, medico, estremista di destra,
e i suoi strani inquilini. Agente della CIA a Salonicco, poi quello di
Antonio Mikalopulos, altro pregiudicato di Salonicco, già coinvolto nel
un precedente assassinio del deputato Lambrakis, nonché proprietario
di una Bmw rossa.
Nella sua testimonianza al giudice istruttore, Leonardos ne disse di co-
se.
Sottolineò perfino che qualche giorno dopo la tua morte Kaselas s'era
trasferito a Londra, a quel tempo rifugio di molti fascisti. Consegnò
perfino una delle rivoltelle a gas che i picchiatori dell'Aracni usavano
per stordire le loro vittime.
Appunto la rivoltella made in West Germany, numero di matricola
158789.





















...Eppure alcuni giornalisti avevano ben accertato che Leonardos non
era poi tanto pazzo, come volevano farlo credere: l'Aracni esisteva dav-
vero, a Londra Kaselas c'era andato davvero, e passando da Monaco
di Baviera dove aveva incontrato Sdrakas, l'ex ministro fuggito dalla
frontiera di Ezvonis con Kurkulakos.
E così, mentre accadevano altre cose leggiadre, mentre il giudice Giu-
velos diventava l'apostolo del coraggio e della democrazia e della liber-
tà divulgando gli archivi che t'aveva proibito di pubblicare, naturalmente
gli archivi che non toccavano il drago o i compari del drago, nessun ac-
cenno al memoriale da lui inviato a Ghizikis, nessun accenno alla scheda
col numero 23; mentre il drago restava ministro della Difesa, indisturba-
to e indisturbabile, invulnerabile; mentre il tuo partito si rifaceva una ver-
ginità espellendo Tsatsos, cioè accogliendo post mortem la tua richiesta;
mentre Papandreu adottava il tuo cadavere come si adotta un orfanello


























indifeso e lo sbandierava come un cencio in comizi mentre i tuoi amici
e compagni finivano in blocco con lui in cambio d'una bella poltroncina
in Parlamento; mentre i fascisti picchiavano Fazis con furia selvaggia
rompendogli il cranio e la memoria (i loro metodi....); mentre anch'io
venivo minacciata con lettere e telefonate, prova a scrivere-certe-cose-
e-vedrai, stampa il-tuo-libro-e-vedrai-te-li-manderemo-fin-sotto-casa.
Mentre il popolo accettava questo, di nuovo, subiva questo, di nuovo,
cieco e sordo e zitto, anche quando ti minacciavano sotto casa per tut-
ta la notte, piegato di nuovo all'obbedienza o alla convenienza o all'im-
potenza; mentre nessuno osava dire assassini tutti, a destra a sinistra
al centro, lo avete ammazzato tutti insieme, lerci assassini che vivete
sugli alibi dell'Ordine e della Legge, della Moderazione e dell'Equilibrio,
della Giustizia e della Libertà.





Il Potere vinse ancora una volta.
L'eterno Potere che non muore mai, che cade solo per risorgere, che
si beffa dell'altrui libertà, che può tutto, e ....diverso solo nella tinta.
Lo vedi si veste ora di nero ora di rosso....
Ma tu lo avevi ben capito che sarebbe finita a quel modo e, se mai a-
vesti un dubbio, esso svanì nell'attimo in cui tirasti il respiro profondo
che ti succhiava dall'altra parte del tunnel: nel pozzo dove vengono
puntualmente gettati coloro che vorrebbero cambiare il mondo, abbat-
tere la Montagna, dare voce e dignità al gregge che bela dentro il suo
fiume di lana.
I solitari incompresi.
I poeti!
Gli eredi delle fiabe insensate ma senza le quali la vita non avrebbe alcun
senso, e battersi sapendo di perdere sarebbe pura follia. Tuttavia per
un giorno quel giorno che conta, che riscatta, che viene magari quando
non si spera più, e venendo lascia nell'aria un microscopico seme da cui
sboccerà un fiore, lo capì anche il gregge che bela pensando di urlare,
...dentro il suo fiume di lana......
Li vedi Alekos sono ancora lì, spiare pensando di vedere....o di posse-
dere il mondo.....
(O. Fallaci, Un Uomo)











venerdì 6 luglio 2012

UCCIDERE CANTANDO (2)














































Da un articolo:

http://www.repubblica.it/esteri/2012/07/06/news/pilota_apache_spara_razzo_e_canta-38660920/?ref=HREC1-6

Precedenti capitoli:

Uccidere cantando... &

Not now John









-'FANTASTICO! Lo sopporta benissimo, brava!
In nove secondi siamo scesi da tremila metri a duecento metri,
abbiamo fatto 6g, e li hai sopportati!'.
- Grazie, capitano.
- La vista va bene? Ha perso la vista?
- No, capitano.
- La prossima volta contragga i muscoli dello stomaco, ed anche le
braccia, con forza. E pigi quel bottone, lì a destra. E' ossigeno puro.
- Sì, capitano.























Del napalm sganciato, neanche una parola.
- E' andata bene, capitano?
- Sicuro, ha centrato come una bambina ubbidiente. Vede quel fumo
nero laggiù? Ora tocca a Martell.
Anche Martell s'è buttato in picchiata, un punto d'azzurro dentro l'az-
zurro, ha sganciato la bomba.
Anche la bomba di Martell è caduta dove doveva cadere, il fumo nero
s'è alzato. E Martell è tornato a volare lassù, un punto azzurro dentro
l'azzurro, una farfalla incosciente.





























Dimmi, Nguyen Van Sam, cosa sentisti a vedere tutti quei morti?
Sentii, ecco, mi sentii come penso si debba sentire un pilota america-
no dopo aver sganciato una bomba. La differenza è che lui vola via
e non vede quello che ha fatto. Chi mi aveva detto, anni fa, la mede-
sima cosa? Ah, sì un astronauta, Wally Schirra. Quel giorno a Cape
Kennedy mentre raccontava della Corea.
- Noi piloti si ammazza senza sporcarci le mani, senza sporcarci gli
occhi, senza sporcarci nulla.
Nulla?





























-Attenti, ci ributtiamo,
ha detto Andy.
- Ora sgancio dalla mia parte.
E c'è stata una seconda volta. E poi una terza volta. E poi una quarta
e una quinta e una sesta. Ogni volta da tremila metri a duecento metri
in nove secondi, con la sensazione di non rialzarci più e arrivare e fare
un gran buco e restarci, con la sofferenza di metterci in salvo per esser
schiacciati dal cielo, acceccati dal cielo.
La seconda volta ho avuto paura.
Mi sono accorta che i vietcong sparavano e avrei voluto fuggire: ma
dove. Per terra scappi, ti nascondi, dentro un aereo invece sei in trap-
pola come in nessun altro luogo.
La terza volta ero rassegnata e mi preoccupavo soltanto di non perde-
re l'attimo in cui Andy sganciava la bomba: di nuovo dalla mia parte.
Non l'ho perso, ho seguito tutto.





























Lui ha pigiato il bottone e la bomba s'è come scossa in un brivido, poi
s'è staccata lieve ed è rimasta lì, sospesa, poi s'è piegata in avanti e ci
ha accompagnato finché non ci siamo impennati all'insù.
La quarta, la quinta, la sesta volta c'ero ormai abituata.
Potevo osservar lo spettacolo con una certa freddezza, e lo spettacolo
era composto da figurine che fuggivan dai bunker, dai recinti coi sacchi
di sabbia, agitando le braccia per liberarsi dalle fiamme, e uno affogava
dentro le fiamme.
Mentirei se dicessi che provavo senso di colpa, o pietà.





























Ero troppo occupata ad augurarmi che Andy facesse quel che sapeva
fare, uccidere per non essere ucciso: non avevo tempo di pianger su loro.
Né voglia.
Solo a tremila metri d'altezza, quando sapevo d'esser salva, e guardavo
Martell che si tuffava, avvertivo una specie di bucatura. Però impercet-
tibile, neanche una bucatura di spillo.
E lo spillo non era la mia buona coscienza, era intellettualistica volontà
di coscienza.
- CAPITANO, ABBIAMO FINITO?
- OH, NO! ORA SCENDIAMO AD OCCUPARCI DELLA LORO
MITRAGLIA.....LA VEDE?
(O. Fallaci, Niente e così sia)









giovedì 5 luglio 2012

IL REGIME E LA PROPAGANDA




































Una informazione poco 'propagandata':

http://www.antoniodipietro.it/2012/07/230-miliardi-di-armamenti-mentre-si-taglia-la-sanita

Prosegue in:

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/07/14/noi-ascoltavamo-django.html









La 'propaganda' di Mussolini è parte integrante della sua politica estera.
Ed ebbe gran successo finché i disastri militari del 1940-43 svelarono il
suo bluff. E anche dopo quei disastri, il bluff continuò a dominare molti
spiriti.
La politica inglese e americana verso l'Italia del 1940 in poi non si capi-
sce se non si prendono in considerazione gli effetti psicologici della ven-
tennale spettacolosa 'propaganda' mussoliniana.
(Merito anche e soprattutto di taluni giornali foraggiati dal 'regime', che
nella parvenza di una nobile 'genetica' democratica, nascondono in seno
loro i peggiori istinti di 'romana' memoria fascista.)
Per conseguenza una rassegna della politica estera di Mussolini non gli
renderebbe giustizia, se non tenesse conto delle sue attività nel campo
della 'propaganda all'estero'.
Mussolini disse una volta che 'non gl'importava un fico secco di quanto
si diceva e si stampava su di lui all'estero'.
In realtà s'interessava avidamente di quanto pubblicavano su di lui e su-
gli affari italiani anche i meno importanti giornali provinciali della Patago-
nia, e tormentava gli ambasciatori e i consoli (triste figure, burattini di
nero vestiti), che non intervenivano immediatamente a contraddire qual-
siasi affermazione potesse sollevare anche il minimo dubbio sulla sua
infallibilità.





























L'ambasciatore italiano a Washington, De Martino, finì con l'avere 'gli
stessi rapporti col Dipartimento di Stato che una zanzara ha col malato
di malaria'.
I consoli potevano fare più degli Ambasciatori, essendo in grado di te-
nersi a contatto personale con i giornali della loro zona, comprenderne
i bisogni, distribuire decorazioni e fare gli opportuni pagamenti.
Giornalisti francesi e svizzeri si potevano acquistare a poco prezzo.
(Anche perché proprio lì i propagandisti.....)
Degli inglesi un umorista scrisse che grazie al cielo non è possibile né
comprarli né traviarli, ma non ce n'è bisogno, dato quello di cui sono
capaci senza essere comprati.
Quanto agli americani, un uomo come William Randolph Hearst non a-
veva bisogno di denaro per diventare uno dei più attivi tra gli ammirato-
ri di Mussolini.
In qualunque parte del mondo si commettesse un delitto, W. R. Hearst
e i suoi mercenari si precipitavano a salutarne l'autore quale salvatore
del genere umano.
Mussolini era uno di questi salvatori.





























Neppure fu necessario denaro per comperare il 'New York Times'.
Decorazioni e adulazioni servirono allo scopo. L'amministratore del
'New York Times' fu decorato da Mussolini nel 1931. L''esperto' in
questioni italiane, mr. W. Littlefield, fu fatto cavaliere nel 1931 per a-
ver composto una poesia in gloria del fascismo, poesia che Mussolini
stesso si degnò di tradurre in italiano, e nel 1932 fu promosso al rango
di commendatore quale 'grande amico dell'Italia e ammiratore del Go-
verno fascista'.
E avrebbe potuto mrs. Anne O'Hare McCormik nutrire altri sentimenti
che di ammirazione per Mussolini quando era ricevuta in Italia come la
regina Saba in visita dal re Salomone?
Non fa meraviglia quindi se anche il 'New York Times' abbia messo il
massimo zelo nell'ammannire le notizie italiane in armonia con l'interpre-
tazione fascista; metterle in prima pagina, quando facevano onore a
Mussolini; sopprimerle o seppellirle dove nessuno le avrebbe trovate,
se erano tali da fare cattiva impressione; adornarle con titoli che qualche
volta dicevano il contrario della notizia interna; neutralizzare l'effetto di
un'informazione con un'altra; in breve mettere al servizio del Duce italia-
no tutte le manipolazioni, con cui i giornali 'educano' il loro pubblico.
Con la Germania nazista fece molto .....ma molto di più.....
La conquista del 'New York Times' ebbe un grande valore per Musso-
lini. Mentre la stampa di Hearst avvelenava l'animo delle classi meno
colte, ciò che sapevano delle questioni italiane uomini quali il dottor N.
M. Butler, presidente di Columbia University e gli altri personaggi ame-
ricani di alto fusto, proveniva quasi esclusivamente dal 'New York Ti-
mes'.



















Occorsero alcuni anni a Mussolini per irreggimentare tutti i corrispon-
denti di giornali stranieri. Ancora il 23 febbraio 1925 questi ebbero il
coraggio di votare un ordine del giorno per protestare essere 'intollera-
bile che i corrispondenti stranieri dovessero essere oggetto di sistematici
attacchi di carattere violento e tendenzioso'.
Reclamavano 'il diritto dei corrispondenti stranieri di attingere le loro in-
formazioni alle fonti più svariate senza essere accusati di partecipare a
una lotta politica, dalla quale erano e intendevano restare semplici spet-
tatori'. E minacciarono 'che se l'attuale stato di cose continuava, l'Asso-
ciazione della stampa estera avrebbe deferito la questione alle associa-
zioni consorelle, in vista di un'azione comune'.
Un po' alla volta la situazione mutò.
Quelli che mandavano ai loro giornali notizie 'parziali' o 'inesatte', erano
trattati in modo tale da render loro impossibile ogni lavoro. Il 1° luglio
1926 Grandi, allora Sottosegretario agli esteri, fece la seguente dichiara-
zione ai giornalisti stranieri:
'Io respingo l'accusa che il fascismo eserciti un severo controllo sull'atti-
vità e sui telegrammi dei corrispondenti stranieri. I telegrammi vengono
attentamente esaminati con la frequente conseguenza di un ritardo nella
trasmissione. Ma la trasmissione non viene rifiutata'.
La verità era che i telegrammi, che andavano a genio ai fascisti, erano
trasmessi subito; la trasmissione degli altri non era 'rifiutata', ma 'ritarda-
ta' di uno o due giorni. Quindi giungevano a destinazione dopo che era
stata fatta circolare la versione fascista, e la versione non fascista, essen-
do ormai invecchiata, non aveva più interesse di novità.
Questo fatto era noto a tutti i giornalisti, in Italia e fuori.
Un esempio di informazione non pervenuta o 'ritardata' .....

http://www.antoniodipietro.it/2012/07/230-miliardi-di-armamenti-mentre-si-taglia-la-sanita

(Gaetano Salvemini)