DEVO PARLARE ANCHE SU QUESTO ARGOMENTO?
(DA PRECEDENTI PAGINE DI STORIA...)
Prosegue...:
con una breve Introduzione
di un più profondo e serio
DEVO PARLARE ANCHE SU QUESTO ARGOMENTO?
(DA PRECEDENTI PAGINE DI STORIA...)
Prosegue...:
con una breve Introduzione
di un più profondo e serio
Precedenti capitoli circa...:
L'osso che canta (13/12)
Prosegue con il
capitolo completo... [14]
L’abisso dell’aria che circonda la stratosfera entra in unione con la terra in superficie e con le sue acque, così da essere causa apparente della loro ascesa alla vita. Prima le riscalda, e subito fa ombra, trattenendo il calore dei raggi del sole nel suo stesso corpo, ma proteggendone la forza con le sue nuvole. Riscalda e raffredda allo stesso tempo, con traffico di balsamo e gelo; sì che le bianche ghirlande sono ritirate dal campo del contadino svizzero al bagliore della roccia libica.
Dà la propria forza al mare; forma e riempie ogni cellula della sua schiuma; sostiene i precipizi, e disegna le valli delle sue onde; dà il bagliore al loro movimento sotto la notte, e il fuoco bianco alle loro pianure al sorgere del sole; alza la voce lungo le rocce, porta sopra di loro lo spruzzo degli uccelli, matite attraverso di loro le fossette di sabbie inesplorate. Ne raccoglie una parte nel cavo della sua mano: tinge, con ciò, le colline di azzurro scuro, e i loro ghiacciai di rosa morente; intarsi con quello, per zaffiro, la cupola in cui deve incastonare la nuvola; ne forma le greggi celesti: le divide, le numera, le custodisce, le porta sul suo seno, le chiama ai loro viaggi, le attende per il loro riposo; ne nutre i ruscelli che non cessano e con essi sparge la rugiada che cessa.
Fila e tesse il loro vello in un arazzo selvaggio, lo squarcia e rinnova; e svolazza e fiammeggia, e sussurra, tra i fili d’oro, fremendoli con un plettro di fuoco strano che li attraversa avanti e indietro, e in essi è racchiuso come la vita.
Ne
raccoglie una parte nel cavo della sua mano: tinge, con ciò, le colline di
azzurro scuro, e i loro ghiacciai di rosa morente; intarsi con quello, per zaffiro,
la cupola in cui deve incastonare la nuvola; ne forma le greggi celesti: le
divide, le numera, le custodisce, le porta sul suo seno, le chiama ai loro
viaggi, le attende per il loro riposo; ne nutre i ruscelli che non cessano e
con essi sparge la rugiada che cessa.
Entra
nella superficie della Terra, la soggioga e cade insieme ad essa in polvere
feconda, dalla quale si può plasmare carne; si unisce, in rugiada, alla
sostanza dell’adamante, e diventa la foglia verde del terreno arido; entra
nelle forme separate della Terra che ha temperato, comanda il flusso e riflusso
della corrente della loro vita, riempie le loro membra con la sua stessa
leggerezza, misura la loro esistenza con il suo impulso interiore, modella
sulle loro labbra le parole con cui si l’Anima può essere conosciuta da un
altro; è per loro l'udito dell'orecchio e il battito del cuore; e, trapassando,
li lascia alla pace che non sente e non si muove più.
Questa
era l’Athena delle più grandi nei tempi antichi.
E di fronte al tempio di questo Spirito del respiro, e del sangue vitale, dell’uomo e della bestia, stava, sul Monte della Giustizia, e vicino all’abisso che era infestato dalla dea Vendicatori, un altare a un Dio sconosciuto, — proclamato finalmente loro, come colui che, invero, ha dato a tutti gli uomini la vita e il respiro e tutte le cose; e pioggia dal cielo, riempiendo i loro cuori di pioggia dal cielo, riempiendo i loro cuori di cibo e gioia; un Dio che aveva fatto di un solo sangue tutte le nazioni degli uomini che abitano sulla faccia di tutta la terra, e aveva determinato i tempi della loro sorte e i confini della loro dimora.
Noi
stessi, afflitti qui nei nostri giorni angusti, sappiamo forse meno di loro, in
effetti, di che tipo di spirito siamo, o che tipo di spirito adoriamo
ignorantemente.
Abbiamo
davvero desiderato il desiderio di tutte le nazioni?
E
il Maestro che volevamo sembrare, e il Messaggero in cui credevamo di
dilettarci, confermeranno, quando verrà al suo tempio, o non troverà in mezzo
ad esso, le tavole pesanti d’oro come pane e i sedili che si comprano con il
prezzo della colomba?
O anche la nostra stessa Terra deve essere lasciata dal suo Spirito adirato, lasciata tra quelle, dove il sole vanamente dolce e la follia appassionata della tempesta, si consumano nei luoghi silenziosi della conoscenza che è passata, e delle lingue che sono cessate?
Questo solo noi possiamo discernere con certezza; questo, ogni vera luce della scienza, ogni potere misericordiosamente concesso, ogni pensiero saggiamente ristretto, ci insegnano di giorno in giorno più chiaramente che nei cieli di sopra e nella terra di sotto c’è una presenza continua e onnipotente di aiuto, e di pace, per tutti gli uomini che sanno di vivere e ricordano che muoiono.
(J.
Ruskin)
E tra quelli legati al bene della vita esisteva esattamente ‘il diritto a vivere in un ambiente non inquinato (ovvero non corrotto!)’. Per dire che l’ambiente decide la qualità della nostra vita, regolando il grado di godimento possibile (alto, basso, nullo) di alcuni beni essenziali. Tra questi sicuramente l’acqua e l’aria. Ma anche la bellezza e l’armonia della natura e del sistema ecologico in cui siamo immessi partecipano di questa qualità della vita. Tutti valori, o beni immateriali, che non concorrono a formare un ‘Pil nazionale’ tradizionalmente inteso, ma che contribuiscono a generare il grado di felicità o di benessere delle persone; che definiscono il reddito effettivo di cui queste si sentono titolari nelle proprie soggettive valutazioni dei costi e benefici generati, appunto, dalle modalità di svolgimento della loro vita.
Sembra
tutto semplice ma non lo è.
Per questo il concetto di giustizia ambientale indica una nuova linea di demarcazione tra i gruppi sociali. Non tracciata dal reddito monetario o dal potere o dal rapporto con i mezzi di produzione, bensì dalle diseguali ‘opportunità ambientali’. Una linea che divide, che crea i suoi dannati e i suoi privilegiati, scaricando sui primi costi e svantaggi che oltrepassano spesso, in termini di sostenibilità, i bassi livelli salariali e la precarietà sociale: dall’aria che uccide alla sete, dal cibo avvelenato alla ‘sottrazione del creato’, si tratti del mare o dei fiumi, delle foreste o delle terre coltivabili.
Alla
lungimirante consapevolezza circa la centralità di una politica tesa alla
sempre migliore formulazione e alla sempre migliore protezione dei diritti
dell’uomo, corrisponde la loro sistematica violazione in quasi tutti i Paesi
del mondo, nei rapporti tra un Paese e l’altro, tra una razza e l’altra, tra
potenti e deboli, tra ricchi e poveri, tra maggioranze e minoranze, tra
violenti e rassegnati. Appunto: il Paese, la razza, il potente, il ricco, la
maggioranza, il violento. E correlativamente certi Paesi e certe razze, i
deboli, i poveri, le minoranze, i rassegnati. Eccoli schierati gli uni davanti
agli altri, gli autori e le vittime dell’ingiustizia
ambientale.
E tra i potenti, ricchi, violenti emergono – non si può non sottolinearlo – i signori della criminalità organizzata (così come i loro soci in affari, ovvero i nuovi corrotti al servizio dello stato), che assommano in sé potenza, ricchezza e violenza, ovvero le risorse sociali che generano e presidiano l’ingiustizia ambientale. Nel loro caso non solo per oggettiva appartenenza di campo; ma soggettivamente, strategicamente. Si è raccontato dei rifiuti e dei traffici di veleni.
Ma che dire
delle coste deturpate, degli sfregi al paesaggio bene comune, delle autostrade
e dei grandi centri commerciali usati come immensi coperchi di sostanze
tossiche, delle ‘ricostruzioni’ scellerate dopo il terremoto irpino?
Che dire
degli amministratori locali uccisi per avere cercato di impedire la signoria
mafiosa sull’ambiente: da Marcello Torre, sindaco di Pagani, fulminato nemmeno
20 giorni dopo il sisma irpino perché si capisse chi doveva obbedire la
ricostruzione; a Renata Fonte, giovane assessore alla cultura punita a morte
per la sua battaglia in difesa del paradiso di Porto Selvaggio sulla costa
salentina; fino ad Angelo Vassallo, il ‘sindaco pescatore’ di Pollica, baluardo
contro le pressioni speculative della camorra sul Cilento?
Il fatto è che non può esservi giustizia ambientale se la giustizia sociale è in sofferenza (e corrotta). Non può esservi giustizia ambientale se la legalità è una variabile dipendente e non è mai certa. Non può esservi giustizia ambientale senza informazione libera. Non può esservi giustizia ambientale senza opinione pubblica, se è vero, come sosteneva Kelsen, che ‘una democrazia senza opinione pubblica è una contraddizione in termini’. Come si vede, il percorso verso questo tipo di giustizia deve svolgersi su più strade parallele e tra loro comunicanti.
E non è un cammino facile.
(N. Bobbio)
Ciò detto e
per quello tenuto in serbo, possa essere
di maggiore ispirazione per contrastare e testimoniare, ogni tortura offerta a
Madre Natura come ad ogni suo Elemento; infatti la corruzione evidenzia e mantiene il morbo
nel principio della deleteria dottrina della secolare affermazione con cui
altera ogni più elevato Elemento, andando ad innestarsi con termini impropri e
inadeguati, violandone e sovvertendone ogni diritto come superiore dominio,
nella violata vilipesa purezza del mutato Tempo; ovvero e ancor meglio, il dominio con cui si
nutre tutte le volte che si insidia come un corpo alieno o estraneo, andando a
modificarne quella che per secoli è l’Arte evolutiva da cui ed anche….
…Quindi ringraziamo questa corrotta artificiosa aliena natura che officia (pensando o illudendosi di dominarla), oltre la Verità negata, anche l’ispirazione sottratta al merito dell’intera cogitante Natura cogitata, giacché i veleni di cui capace l’umano progresso fraintendo l’uomo della Natura evolutiva, giammai subordinato ad un alveare o peggio formicaio umano...
[PROSEGUE CON IL CAPITOLO COMPLETO]
Precedenti capitoli
& disperate Lettere (8)
Prosegue fra...:
Lumache & Intonaci [11]
& con l'osso che canta (12/3)
[....di ciò cui rimasto... Leggiamo...]
….Chase rimase a casa per sei mesi e con l’aiuto
di uno scrittore fantasma, raccontò la storia dell’Essex in un libro intitolato
The Narrative of the More Extraordinary
and distressing Shipwreck of the Whale-Ship Essex:
(Resoconto del più straordinario e doloroso,
NAUFRAGIO DELLA BALENIERA ESSEX di Nantucket, che fu attaccata e poi distrutta
da un grande CAPODOGLIO, nell’Oceano Pacifico, con il resoconto delle
sofferenze senza confronto del capitano, e dell’equipaggio durante gli
interminabili giorni in mare aperto, negli anni di Nostro Signore 1819 – 1820,
di Owen Chase, primo Ufficiale del suddetto vascello)
Dalla metà di novembre alla metà di dicembre il vento si mantenne in direzione ovest, consentendoci di proseguire di un buon tratto, finché all’improvviso mutò corso nuovamente, frustando ogni nostra speranza.
Verso i primi giorni di dicembre mutò ancora verso
ovest, poi d’improvviso nei giorni seguenti spirò verso est mantenendosi lieve
e variabile fino al giorno.
Le nostre sofferenze sembravano giunte al termine;
in breve tempo ci attendeva una morte terribile; la fame si fece violenta e
atroce, e ci preparammo ad una rapida fine dei nostri patimenti; avevamo grandi
difficoltà di parola e di ragionamento e ci consideravamo ormai gli uomini più disgraziati
e reietti dell’intero genere umano.
Isaac Cole, un membro dell’equipaggio, sin dal
giorno prima si era accasciato sul fondo della barca, in preda alla
disperazione, attendendo, rassegnato, la morte.
Era evidente che per lui non c’erano più speranze; diceva di avere la mente ottenebrata, di essere assolutamente privo di aspettative, diceva di considerare pura follia il perdurare in una lotta contro quello che, ormai senza dubbio, pareva in nostro destino.
Lo redarguii per quanto mi consentissero le mie
scarse forze fisiche e mentali; ciò che dissi sembrò fargli un grande effetto:
compì un improvviso, immane sforzo per sollevarsi e strisciare fino al fiocco
gridando con fermezza che non avrebbe mai ceduto alla rassegnazione, che
sarebbe vissuto quanto tutti gli altri….
Ma, ahimé!
Lo sforzo non nasceva che da un delirio momentaneo
che ben presto lo abbandonò in uno stato totale abbattimento.
Quel giorno la ragione gli si sconvolse e, intorno alle nove del mattino, egli diede in pietose manifestazioni di follia: parlava in modo incoerente di tutto, invocando acqua e un panno per asciugarsi di nuovo, istupidito, sul fondo della scialuppa, chiudendo negli occhi come morto.
Intorno alle dieci, ci accorgemmo che non parlava
più; lo collocammo alla meglio su una tavola che mettemmo sui sedili della
barca, quindi, dopo averlo coperto con qualche vecchio indumento lo
abbandonammo al suo destino. Giacque in preda ad atroci sofferenze del corpo e
dell’anima, lamentandosi pietosamente fino alle quattro, quando spirò tra le
più orrende convulsioni che mai mi fu dato di vedere.
Tenemmo così la salma per l’intera notte, e il
mattino seguente i miei due compagni si apprestavano a prepararlo per il mare,
quando, dopo averci riflettuto per le lunghe ore notturne, li interrogai sulla
dolorosa possibilità di tenere il corpo come cibo!
Le nostre provviste non potevano durare più di tre giorni ed era assai poco probabile che in quell’arco di tempo trovassimo modo di salvarci, prima che la fame ci costringesse a tirare a sorte tra noi.
La proposta fu accolta dall’unanime consenso e ci
mettemmo subito al lavoro per salvaguardare il corpo dalla decomposizione…
Separammo gli arti dal tronco e spolpammo le ossa,
poi aprimmo il torace e ne estraemmo il cuore, quindi lo richiudemmo, lo
ricucimmo quanto meglio ci riuscì e lo gettammo in mare.
Iniziammo a soddisfare i nostri bisogni più immediati cibandoci del cuore, che divorammo con bramosia, quindi mangiammo alcuni brandelli di carne.
Sistemammo il resto, tagliato in sottili strisce,
sulla barca, affinché si seccasse al sole; accendemmo un fuoco e ne arrostimmo
una parte per il giorno appresso.
Questa fu la fine che riservammo al nostro
compagno di sofferenze; il doloroso ricordo di questo gesto arreca ora alla mia
mente alcune tra le idee più spiacevoli e rivoltanti che sia in grado di
concepire.
Non sapevamo, allora, chi sarebbe stato il prossimo a subire quella sorte, di morire ucciso e divorato come quel povero infelice.
Ogni sentimento umano rabbrividisce di fronte ad
un simile spettacolo. Non ho parole per esprimere il dolore delle nostre anime
in quell’atroce circostanza.
La mattina seguente, scoprimmo che la carne si
stava deteriorando e andava assumendo un colore verdastro, per quanto tutti gli
sforzi nel mangiare quel cibo, la cosa ci indusse a decidere di cuocerla
immediatamente per impedire che diventasse tanto putrida da non poter più
essere consumata: così facemmo, preservandone l’edibilità per sei o sette
giorni; in quel periodo non toccammo le provviste di pane, quello infatti non
si sarebbe deteriorato e doveva costituire il nostro mezzo di sostentamento per
gli ultimi momenti.
Intorno alle tre di quello stesso pomeriggio si levò una forte brezza da nord-ovest e avanzammo di un buon tratto, se si considera che procedevamo ormai con solo le vele: il vento si mantenne fino al 14 - 15, poi mutò corso nuovamente.
Riuscimmo a sopravvivere spartendoci con
parsimonia piccoli lembi di carne da consumare con acqua salata.
Per il 14, i nostri corpi si erano tanto ripresi
da consentirci di compiere alcuni tentativi di manovra ai remi; benché erano
settimane che manovravamo, ma una nuova manovra, un movimento, poteva
ristabilire le sorti; ci demmo il turno e riuscimmo a percorrere un buon
tratto.
Il 15 la carne era terminata, e fummo costretti a
tornare alle ultime forme di pane. Negli ultimi due giorni i nostri arti si
erano gonfiati e dolevano terribilmente. Secondo i nostri calcoli, ci trovammo
ancora a distanza di trecento miglia da terra con soli tre giorni di
razionamento alimentari, ed un’unica scialuppa.
Qualcuno, non ricordo chi, propose di mangiare
anche quella…
Furono proprio questi resoconti ad ispirare Herman Melville a scrivere il suo famoso romanzo Moby Dick. Herman Melville in seguito ipotizzò che sarebbero tutti sopravvissuti se avessero seguito la raccomandazione del Capitano Pollard di recarsi a Tahiti.
….La morale che il ‘doppio naufragio’ qui narrato
contiene è che non sembrano ormai esistere morale, comprensione, indulgenza.
Meglio, dice semplicemente che si è andata
costituendo una morale differente.
Lo ‘stato di necessità’, spesso ricollegabile a quello di ‘legittima difesa’, insegna infatti a guardare con sguardo diverso al corpo e ai beni materiali, alla ‘proprietà’. Mentre i beni materiali assurgono appunto al ruolo di legittima difesa, che concerne corpo e ricchezza, chi quei beni difende può anche uccidere, il corpo dell’altro, in ‘stato di necessità’, secondo una meccanica analoga, ma ribaltata, è degradato a merce di cui si può, si deve, per necessità, liberamente disporre, ad esempio consumandolo.
‘Ha in mano la pistola’ e sopravvive, nel racconto
di Chase, colui che detiene il controllo delle razioni dell’acqua consumabili
quotidianamente, colui che ha in mano i mezzi di sussistenza dei pochi
sopravvissuti, colui cioè che ha in mano le vite degli altri.
Sopravvive infatti chi sa accettare
l’osceno ed il mostruoso!
Sopravvive appunto chi, costretto a
‘guardare in faccia la morte’, in nome della vita anche nel dramma recitata ed
esposta come nella precedente simmetria rilevata e rivelata, la sollecita
sull’altro.
Sopravvive infine chi in nome del
più ferreo patto sociale applica rigidamente le leggi stabilite.
Nella scialuppa di Pollard si tira a sorte per decidere
chi dei quattro rimasti in vita offrirà la propria e il proprio corpo agli tre.
Tutti e quattro, quando lo stringono - sembra una vera rappresentazione
drammatica che forse neppure il dramma stesso in grado di rappresentare nel
palcoscenico della vita -, sanno che quel patto è legato al caso: ‘si tira a
sorte’.
Sopravvive, e la legge e la società che da quella legge è rappresentata lo protegge e lo assolve, chi, per necessità, uccide l’altro per vivere…
[Prosegue con i MISERI RESTI...ovviamente DELL'UMANO PASTO...]
Precedenti...:
lettere... (5/7)
Prosegue con il
Concord…..
Signor Blake,
Non ho risposto alla sua lettera prima perché sono
stato costantemente nei campi a fare rilevamenti negli ultimi tempi. È da molto
che non avevo trascorso così tanti giorni così proficuamente in senso
pecuniario; così inutilmente, mi sembra, in un senso più importante. Ho
guadagnato solo un dollaro al giorno per 76 giorni passati; infatti, per quanto
io applichi una tariffa più alta per i giorni previsti alla fine, tuttavia, ne
spendo molte più di quanto sembri.
Faccio questo anziché tenere conferenze, la cui
occasione non si è presentata per poter pagare le spese di quel libro che feci
stampare. Non solo trascorro ore di poco valore, ma settimane e mesi di poco
valore, cioè settimane che si comprano alla tariffa cui ho accennato. Non che
siano del tutto perse per me, o mi facciano sprofondare nella melanconia,
poiché anch’io, ahimè, provo spesso una conveniente soddisfazione spendendole a
quel modo – settimane al pascolo e a brucare, come i manzi e i cervi, che mi
donano sì una vitalità animale, ma creano una dura scorza intorno all’Anima e alla sfera dell’Intelletto. Eppure, se offrissero al mio
corpo un sostentamento per il solo lavoro della mia testa, ho l’impressione che
sarebbe una tentazione pericolosa.
Quanto al fatto se sia migliore quella che voi chiamate ‘la via del mondo’ (che in gran parte è la mia vita) o quella che mi si rivela, la prima è un’impostura, l’altra è verità. Io ho la più completa fiducia in quest’ultima. Non v’è altra esitazione di quella che i forti desideri avvertono nel seguire le aspirazioni. La zolla di Terra esita perché è inerte, manca di animazione. La prima è la via della morte, l’altra della vita Eterna.
Le mie ore sono ‘di poco valore nel senso che io
dubito che la via del mondo non sarebbe stata migliore’, ma sono di poco valore
nel senso che io dubito che la via del mondo, attualmente da me adottata, possa
essere peggiore.
L’intera avventura di questa nazione, che non
tende verso l’alto ma all’occasione verso l’Oregon, la California, il Giappone
ecc., è totalmente priva di interesse per me, sia che venga intrapresa a piedi
o su una ferrovia del Pacifico.
Non è illustrata da un pensiero, non è animata da un sentimento, in essa non c’è nulla per cui valga la pena sacrificarsi, o perfino togliersi i guanti, nulla per cui varrebbe la pena aprire il giornale. È qualcosa di assolutamente Pagano – un andare volutamente da filibustieri verso il paradiso per la grande via dell’Ovest.
No!
Vadano pure per la loro strada incontro al loro
manifesto destino, che di certo non è il mio. Possano i miei 76 dollari, non
importa quando li avrò, aiutarmi a prendere la direzione opposta. Li vedo
avanzare sulla loro strada tortuosa, ma on un soffio di musica giunge dalla
loro armata, solo il tintinnare di spiccioli nelle loro tasche. Preferirei
essere un cavaliere prigioniero, e lasciarmi sorpassare da tutti, piuttosto che
essere libero solamente di andare dove loro sono diretti.
Quale mèta si prefiggono oltre il Giappone?
Quali scopi più elevati hanno rispetto ai cani
della prateria?
Per quanto riguarda queste cose, non ho mutato idea di un solo iota dal Principio. Come le stelle mi guardavano quando facevo il pastore in Assiria, così mi guardano adesso che sono un abitante del New England. Più alta è la montagna sulla quale ci si trova, minore sarà il mutamento di prospettiva di anno in anno, di epoca in epoca. Oltre una certa altezza, non c’è cambiamento. Sono uno svizzero sull’orlo del ghiacciaio, con i suoi vantaggi e svantaggi il gozzo o quant’altro.
Io non ho avuto che una nascita spirituale (scusate il termine), e ora,
che piova o che nevichi, che rida o che pianga, che scenda ancor più al di
sotto del mio livello o mi si avvicini di più, che Pierce o Scott venga eletto
– non un nuovo scintillio di luce lampeggia su di me, ma di tanto in tanto,
sebbene a intervalli più lunghi, la medesima luce sorprendente e perennemente
nuova albeggia per me, con le sole variazioni che caratterizzano l’avvento
naturale del giorno, con il quale, invero, spesso essa coincide.
Su come impedire alle patate di marcire, il vostro
parere potrà cambiare di anno in anno, ma su come impedire alla vostra Anima di marcire, io non ho nulla da
imparare bensì qualcosa da mettere in pratica. Così protesto contro di loro, ma
nella mia follia io sono il mondo che condanno.
In verità molto raramente, se mi accade, ravviso il desiderio di essere quel che si dice utile ai miei simili. Qualche volta, per esempio, quando i miei pensieri, avvezzi all’attività, prendono un Sentiero battuto o cadono nel tedio, ho sognato inutilmente di fermare un cavallo che stava scappando dal suo proprietario, ma forse io desideravo che scappasse affinché potessi poi fermarlo; oppure ho sognato di sedare un incendio, ma in quel caso, ovviamente, doveva essere già bell’e divampato. Ora, a dire il vero, io non sogno affatto di rincorrere cavalli prima che scappino, o di prevenire incendi che non siano stati ancora appiccati.
Che argomento sciocco è questo, di fare il bene, invece di badare alla propria
vita, cosa che sarebbe e dovrebbe essere l’occupazione di ognuno – di fare il bene come una morta carcassa, che è
buona solo a far concime, anziché come un essere vivente – invece di
preoccuparsi di essere in pieno rigoglio e spargere fragranze e dolci sapori e
rinvigorire l’intero genere umano secondo la nostra capacità e qualità.
Di quando in quando la gente proverà a convincerti che hai fatto qualcosa spinto da quella motivazione, come se tu non ne sapessi già abbastanza. Se mai ho fatto alcun bene a qualcuno, nel senso che loro intendono, di certo si è trattato di qualcosa di eccezionale, e di insignificante se paragonato al bene o al male che faccio costantemente con l’essere quel che sono. Sarebbe come voler insegnare al ghiaccio ad assumere la forma degli specchi ustori, che talvolta si rilevano utili, e privarlo delle sue proprietà caratteristiche. Il ghiaccio che svolga meramente la funzione di uno specchio ustorio non adempie al suo dovere.
Il problema della vita diventa più complicato, in
quale misura non si può dire, a mano a mano che aumenta il nostro benessere
materiale, a prescindere se quell’ago di cui si narra fosse o no una via
d’accesso – poiché il problema non è semplicemente né principalmente quello di
trovare di che sostentare i nostri corpi, quanto di trovare di che nutrire le
nostre Anime, mediante questa o
un’altra disciplina simile: cioè coltivando la zona di pianura secondo dei
retti princìpi, vale a dire, in quest’ottica, trasformarla in una zona
d’altura.
Si avranno così molti più talenti di cui render
conto!* [1]
Se infatti realizzo molte più opere spirituali quanto più mi arricchisco in beni terreni, ne sarò meritevole al pari, e non di più, di quanto lo ero prima. Mi rendo conto che, nel mio caso, il denaro potrebbe essere di grande utilità per me, ma probabilmente non lo sarebbe, poiché l’ostacolo a ciò, vedete, è che io non faccio buon uso delle miei opportunità, e pertanto non sono preparato ad avere maggiori opportunità.
[…] Come siamo solleciti nel soddisfare la fame e
la sete del nostro corpo, come siamo pigri nel soddisfare la fame e la sete
della nostra Anima!
Invero, noi presunta-gente-pratica non possiamo
usare questa parola senza arrossire di vergogna a causa della nostra infedeltà,
avendo ridotto questa sostanza quasi ad un’ombra.
Ci sembra tanto assurdo quanto un uomo che
cominciasse a tessere un elogio del suo cane, che tale sostanza non ha. Un uomo
ordinario sarà disposto a lavorare tutti i giorni per un anno intero spalando
letame per sostentare il suo corpo, o una famiglia di corpi, ma un uomo
straordinario è chi lavorerà un giorno intero in tutto l’anno per il
sostentamento della sua Anima.
Persino i preti, cosiddetti uomini di Dio, confessano per la maggior parte di
lavorare per il sostentamento del corpo. Ma soltanto chi riesce a mantenere la
propria Anima quaggiù è un uomo
veramente pratico e intraprendete.
Non abbiamo la nostra vita eterna da guadagnarci?
E alla fine non è questa la sola scusa per
mangiare, bere, dormire, o prendere l’ombrello quando piove?
Tanto varrebbe che un uomo si dedicasse ad
allevare maiali, così come ad ingrassare i corpi, ovvero la parte puramente
terrena, dell’intera famiglia umana. Se operassimo l’esatta distinzione, ci
troveremmo quasi tutti nell’ospizio per le Anime.
[…] Vi ringrazio ancora e di nuovo per avermi
prestato attenzione; voglio dire che sono contento che mi ascoltiate e che
anche voi siete contento. Tenete fede al vostro Sogno a occhi aperti più indefinito. Anche la polvere verde sui
muri è un vegetale organizzato; l’atmosfera ha la propria Fauna e Flora che vi
fluttua; e davvero penseremo che i Sogni
sono soltanto polvere e cenere, Pensieri
che sempre si disintegrano e si sbriciolano, e non piuttosto dei Pensieri simili alla polvere che
marciano a tempo di musica verso il loro grado di eccellenza, sistemi che
cominciano a organizzarsi?
E tutto questo pensi che sia follia?!
(H.D. Thoreau; [1*] Matteo XXV, 14-30 )