CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 28 novembre 2024

MENTRE MORIVO (18)

 









Precedenti morti 








Prosegue 18 anni dopo...








Ora è più larga e più chiara, ma i negozi sono scuri perché sono andati tutti a casa. I negozi sono scuri, ma le luci passano sulle vetrine quando noi passiamo. Le luci sono negli alberi intorno al municipio. Sono appollaiate negli alberi, ma il municipio è scuro. L’orologio che c’è sopra guarda da quattro parti, perché non è scuro. Neanche la luna è scura. Non molto scura.




‘Darl lui è andato a Jackson è mio fratello Darl è mio fratello. Solo che era da quella parte, luccicante sulle rotaie’. 


‘Andiamo da quella parte, Dewey Dell’

 

…dico.

 

‘Perché?’ 


…dice Dewey Dell.




Le rotaie giravano intorno nella vetrina, e lui rosso sulle rotaie. Ma lei aveva detto che lui non l’avrebbe venduto ai bambini di paese.

 

‘Ma per Natale ci sarà’

 

..dice Dewey Dell.

 

‘Devi aspettare fino a allora, quando lo riporta’.Darl è andato a Jackson. Un sacco di gente non è andata a Jackson. Darl è mio fratello. Mio fratello sta andando a Jackson.




Mentre camminiamo le luci girano, appollaiate negli alberi. È lo stesso da tutte le parti. Girano intorno al municipio e allora non si vedono. Ma si vedono nelle finestre nere dall’altra parte. Sono andati tutti a letto eccetto me e Dewey Dell.

 

‘Sta andando in treno a Jackson. Mio fratello’.

 

C’è una luce nel negozio, laggiù in fondo. Nella vetrina ci sono due grandi bicchieroni di bibita, rossa e verde. Neanche due uomini ce la farebbero a berli. Neanche due muli. Neanche due mucche. Darl Un uomo viene sulla porta. Guarda Dewey Dell.

 

‘Aspetta qui’

 

…dice Dewey Dell.




‘Perché non posso entrare?’

 

…dico.

 

‘Voglio entrare anch’io’.

 

 ‘Aspetta qui’

 

…dice lei.

 

‘Va bene’

 

…dico.




Dewey Dell entra dentro.

 

Darl è mio fratello. Darl è andato fuori di cervello.

 

Il marciapiede è più duro che sedere per terra. Lui è sulla porta aperta. Mi guarda.

 

‘Volevi qualcosa?’

 

…dice.




Ha la testa liscia. La testa di Jewel certe volte è liscia. La testa di Cash non è liscia. Darl lui è andato a Jackson mio fratello Darl Per la strada mangiava una banana.

 

‘Piuttosto, non ti piacerebbero delle banane?’

 

…ha detto Dewey Dell.

 

‘Aspetta fino a Natale. Per allora ci sarà. Allora lo vedrai. Poi compriamo delle banane. Ce ne avremo un sacco grosso così, io e Dewey Dell’.

 

Lui chiude la porta a chiave. Dewey Dell è dentro. Poi la luce si spenge.




È andato a Jackson. È andato fuori di cervello e è andato a Jackson, tutt’edue. Pa’ e Cash e Jewel e Dewey Dell e io non siamo andati fuori di cervello. Non siamo mai andati fuori di cervello. E neppure siamo andati a Jackson. Darl Sento la mucca da tanto tempo, che zoccola per la strada. Poi entra nella piazza. Attraversa la piazza, a testa bassa zoccolando. Muggisce.

 

Non c’era nulla nella piazza prima che muggisse, ma non era vuota. Ora è vuota dopo che ha muggito. Continua a andare, zoccolando. Muggisce.

 

Mio fratello è Darl. È andato a Jackson in treno. Non ha preso il treno per andare fuori di cervello. È andato fuori di cervello sul nostro carro. Darl È lì dentro da tanto tempo. E anche la mucca se n’è andata. Tanto tempo. È lì dentro da più tempo della mucca. Ma è che il tempo è vuoto più che essere tanto. Darl è mio fratello. Mio fratello.




Darl Dewey Dell viene fuori. Mi guarda.

 

‘Facciamo il giro da quella parte’

 

…dico.

 

Mi guarda. 


‘Non funzionerà’

 

…dice.




‘Quel figlio di puttana’.

 

‘Cos’è che non funzionerà, Dewey Dell?’.

 

‘Me lo sento, non funzionerà’

 

…dice lei.

 

Non sta guardando niente.

 

‘Me lo sento’.

 

‘Passiamo di là’

 

…dico.




‘Bisogna tornare all’albergo’

 

…dice lei.

 

‘È tardi. Bisogna rientrare senza far rumore’.

 

‘Non possiamo passare a vederlo lo stesso?’.

 

‘Non ti andrebbe qualche banana, piuttosto? Non ti andrebbe?’.

 

‘Va bene’.




Mio fratello è andato fuori di cervello e è anche andato a Jackson. Si è più lontani a essere a Jackson che a essere fuori di cervello.

 

‘Non funzionerà’

 

…dice Dewey Dell.

 

‘Me lo sento, non funzionerà’.

 

‘Cosa non funzionerà?’

 

…dico.




È dovuto salire sul treno per andare a Jackson. Io non sono stato sul treno, ma Darl è stato sul treno. Darl. Darl è mio fratello. Darl. Darl. È andato a Jackson.

 

L’hanno messo sul treno che i rideva, rideva andando giù per il vagone lungo, con le teste che si voltavano come tanti gufi quando passava.

 

‘Di che cosa stai ridendo?’

 

…ho detto

 

‘Sì sì sì sì sì’.

 

Darl è andato a Jackson.




Due uomini l’hanno messo sul treno. Indossavano giacche differenti, con un rigonfiamento sulla tasca posteriore destra. Avevano la nuca rasata fino all’attacco dei capelli, come se i barbieri, recenti e simultanei, avessero usato un regolo come quello di Cash.

 

‘È delle pistole che stai ridendo?’

 

…ho detto.

 

‘Perché ridi?’

 

…ho detto.

 

‘È perché detesti il suono del ridere?’.




Hanno unito due sedili così che Darl poteva star seduto vicino al finestrino a ridere. Uno gli sedeva accanto, l’altro sul sedile davanti a lui, viaggiando all’indietro. Uno dei due doveva viaggiare all’indietro perché il denaro dello stato ha una faccia per ogni dietro e un dietro per ogni faccia, e stanno viaggiando con il denaro dello stato che è l’incesto. Una moneta da cinquecentesimi ha una donna da una parte e un bisonte dall’altra; due facce e niente dietro. Non so che cosa sia.

 

Darl aveva un canocchialino che aveva comprato in Francia durante la guerra. Dentro c’erano una donna e un maiale con due dietri e niente facce. Quello lo so che cos’è.

 

‘È per questo che ridi, Darl?’.

 

‘Sì sì sì sì sì sì’.




Il carro è là in piazza, fermo, i muli immobili, le redini arrotolate intorno al montante di cassetta, il dietro del carro voltato verso il municipio. Nulla che lo distingua da cento altri carri tutt’intorno, con Jewel lì accanto, in piedi, che guarda giù per la strada come chiunque altro in paese quel giorno; e tuttavia c’è qualcosa di differente, di distintivo. Ha l’aria inconfondibile di una partenza sicura e imminente che hanno i treni, forse dovuta al fatto che Dewey Dell e Vardaman a cassetta e Cash su un pagliericcio nel cassone stanno mangiando delle banane tirandole fuori da un cartoccio.

 

‘È per questo che ridi, Darl?’.

 

Darl è nostro fratello, il nostro fratello Darl. Il nostro fratello Darl in una gabbia a Jackson dove, le mani sudice abbandonate leggere negli interstizi silenziosi, guarda fuori e schiuma.

 

‘Sì sì sì sì sì sì sì sì’.


(Faulkner)







martedì 26 novembre 2024

MENTRE MORIVO











































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‘Non è equilibrata. Per portarla che sia in equilibrio si dovrebbe…’.

‘Tira su. Accidenti a te, tira su’.

‘Ve lo dico io, non si può portarla che sia in equilibrio se non…’.

‘Tira su! Tira su, pezzo di cretino, accidenti a te e alla tua animaccia!’…..




Lui ci si piega sopra in mezzo a noi, due delle otto mani. Sul suo viso il sangue va a ondate. Fra un’ondata e l’altra la carne è verdastra, un po’ come il verde pallido torbido e uniforme del bolo di una mucca; il viso soffocato, furioso il labbro sollevato sui denti. ‘Tira su!’ dice. ‘Tira su, pezzo di deficiente, accidenti a te!’.

Dà uno strattone, sollevandola da una parte così all’improvviso che anche noi di scatto buttiamo a sollevarla per tenerla in equilibrio prima che lui la rovesci del tutto. Per un istante fa resistenza, come di propria volontà, come se dentro di essa i quattro stecchi del suo corpo si aggrappassero, se pur morti, a una sorta di pudore, come lei stessa avrebbe tentato di nascondere una veste sporca che non fossa riuscita a impedire al proprio corpo di sporcare…




Poi la cassa si libera, sollevandosi all’improvviso come se l’emaciazione del suo corpo avesse aggiunto spinta alle assi oppure come se, vedendo che la veste stava per esserle strappata di dosso, lei all’improvviso le si slanciasse dietro in un veemente rovesciamento che si fa beffe del suo stesso desiderio e del suo stesso bisogno.

Il viso di Jewel diventa completamente verde e sento i denti nel suo respiro. La portiamo giù per l’entrata a passi strascicati, i piedi duri e incerti sul pavimento, e usciamo fuori. ‘Ferma un momento, ora’ dice Pa’, lasciandolo andare. Si volta per chiudere e girare la chiave, ma Jewel non intende aspettare. ‘Avanti’ dice con quella voce soffocata. ‘Avanti’.

Scendiamo attenti gli scalini. Proseguiamo, tenendola in equilibrio come se fosse qualcosa di infinitamente prezioso, respirando attraverso i denti per tener tappate le narici. Andiamo giù per il sentiero, verso la discesa. ‘E’ meglio aspettare’ dice Cash ‘Ve lo dico io, così non è equilibrata. C’è bisogno di un altro, per quella discesa’. ‘Allora levati di torno’ dice Jewel.




Non ha nessuna intenzione di fermarsi. Cash comincia a restare indietro, zoppicando cerca di tenere il passo, respira forte; poi viene distanziato e Jewel rimane solo a reggere tutta la parte davanti, così che, inclinandosi quando il sentiero si fa ripido, la cassa comincia a scapparmi di mano e a scivolare sull’aria verso il basso come una slitta su una neve invisibile, spazio che evacua scorrevole e che conserva il senso della sua forma.

‘Aspetta, Jewel’ dico. Ma non ha nessuna intenzione di aspettare. Sta quasi correndo, adesso, e Cash è rimasto indietro. Mi sembra che l’estremità che adesso reggo da solo non abbia alcun peso, come il fuscello che scende libero correndo sulla marea furiosa della disperazione di Jewel. Non la sto nemmeno toccando quando, girandosi, lui lascia che lo sorpassi, ondeggiando, e la ferma e con lo stesso movimento la scaraventa sul cassone del carro e si volta a guardarmi, il viso soffuso di furore e di disperazione.

‘Accidenti a te. Accidenti a te’.




Stiamo andando in paese. Dewey Dell dice che non sarà stato venduto perché è di Babbo Natale e se l’è riportato via fino a Natale. Allora sarà un'altra volta dietro la vetrina, lucente d’attesa.

Pa’ e Cash scendono giù per il sentiero, ma Jewel sta andando al fienile. ‘Jewel’ dice Pa’. Jewel non si ferma. ‘Dove stai andando?’ dice Pa’. Ma Jewel non si ferma. ‘Quel cavallo tu lo lasci qui’ dice Pa’. Jewel si ferma e guarda Pa’. Gli occhi di Jewel sembrano delle palline di vetro. ‘Quel cavallo tu lo lasci qui’ dice Pa’. ‘Andiamo tutti quanti sul carro, con la mamma, come voleva lei’….

 Ma mia madre è un pesce. Vernon l’ha visto. Lui c’era.

‘La madre di Jewel è un cavallo’ ha detto Darl.

‘Allora la mia può essere un pesce, vero, Darl?’ ho detto io.

Jewel è mio fratello.

‘Allora anche la mia dovrà essere un cavallo’ ho detto.

‘Perché?’ ha detto Darl. ‘Se Pa’ è il tuo babbo, perché la tua mamma deve essere un cavallo solo perché è un cavallo quella di Jewel?’.




‘Perché?’ ho detto io. ‘Perché, Darl?’.

Darl è mio fratello.

‘Allora la tua mamma che cos’è, Darl?’ ho detto.

‘Io non ce l’ho una mamma’ ha detto Darl. ‘Perché se ce l’avessi, è era. E se è era, non può essere è…  No?’.

‘No’ ho detto io.

‘Sicché io non sono’ ha detto Darl. ‘Sono, io?’.

‘No’ ho detto.

Io sono. Darl è mio fratello.

‘Ma tu sei, Darl’ ho detto io.

‘Lo so’ ha detto Darl. ‘E’ per questo che io non sono è. Sono è troppi da figliare per una donna’.

(Prosegue....)

















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Mentre nascevo

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Mentre crescevo 














Sono stato educato oltre che, come tutti i miei coetanei, non solo da genitori e insegnanti, ma anche da potenze più alte, occulte e arcane, come la Natura, prima Madre, prima maestra, sono cresciuto sotto la sua Divina Potenza….
Tutto il visibile è espressione, tutta la Natura è immagine, è linguaggio e scrittura geroglifica, con un suo colore. Oggigiorno, pur disponendo di una scienza della Natura assai sviluppata, noi non siamo veramente preparati né educati all’autentico vedere, e in genere, nei confronti della Natura, stiamo piuttosto sul piede di guerra.
Altri tempi, forse tutti i tempi, tutte le epoche che hanno preceduto la conquista della Terra da parte della tecnica e dell’industria, hanno avuto sensibilità e comprensione per il magico linguaggio cifrato della Natura, e hanno saputo leggerlo in modo più semplice e più innocente di noi. Questa sensibilità non era affatto sentimentale, il rapporto sentimentale dell’uomo con la Natura è piuttosto recente, anzi è sorto forse dalla nostra cattiva coscienza nei confronti della Natura.




Il senso del linguaggio della Natura, il senso di piacere per la verità che la vita generatrice dovunque mostra, e lo stimolo a una qualche interpretazione di questo multiforme linguaggio, o piuttosto lo stimolo alla risposta, è antico come l’uomo. L’intuizione di una unità occulta, sacra, dietro la grande molteplicità, di una Madre primordiale dietro tutti i nati, di un creatore dietro tutte le creature, questo mirabile impulso atavico dell’uomo a tornare verso il mattino del mondo e il mistero delle origini, è stato la radice di tutte le arti, e lo è oggi come sempre.

Noi oggi sembriamo essere infinitamente lontani dalla venerazione della Natura in questo senso religioso di ricerca dell’unità del molteplice, confessiamo malvolentieri quest’infantile impulso originario, e quando qualcuno ce lo rammenta facciamo dello spirito. Ma probabilmente ci sbagliamo quando consideriamo noi e l’intera umanità di oggi priva di timore reverenziale e incapace di un’esperienza profonda della Natura. Solo che per noi attualmente è assai difficile, anzi ci è diventato impossibile trascrivere così innocentemente la Natura in miti e personificare il creatore in modo così puerile, adorarlo come padre, come altre epoche hanno potuto fare.




Forse neppure abbiamo torto se talora troviamo le forme dell’antica devozione un tantino superficiali e ludiche, e se crediamo d’intuire che l’irresistibile fatale inclinazione della fisica moderna per la filosofia sia in fondo un fenomeno religioso. Ebbene, sia che scegliamo un atteggiamento di pia modestia o di temeraria superiorità, sia che deridiamo o ammiriamo le precedenti forme di fede della Natura animata, il nostro rapporto reale con la Natura, persino là dove noi la sperimentiamo solo come oggetto di sfruttamento, è proprio quello del figlio con la madre, e a quelle poche, antichissime vie in grado di portare l’uomo alla felicità e alla saggezza,… non se ne sono aggiunte di nuove.

Una di queste, la più semplice e la più fanciullesca (con la quale sono cresciuto come sola ed unica certezza), è la via dello stupore di fronte alla Natura e l’ascolto teso e presago del suo linguaggio (superiore e creatore di fronte alla limitatezza ‘umana’).  ‘Sono al mondo per stupirmi!’ dice un verso di Goethe. All’inizio è stupore, ed è stupore alla fine, eppure questa è una via non inutile. 




Se io contemplo con stupore del muschio, un fiore, un albero dorato d’autunno, un cielo nuvoloso, ed ogni qualvolta, con gli occhi o con un altro senso, ho esperienza di una parte della Natura, ne sono attratto e affascinato, e per un istante mi apro alla sua esistenza, Eterna Esistenza, ed alla sua Rivelazione; allora, in quel medesimo istante, io ho dimenticato l’intero avido cieco mondo materialistico ed il suo inutile Tempo, ed invece di pensare a dare ordini, invece di acquistare o sfruttare, di combattere o di organizzare, per un istante io non faccio nient’altro che ‘stupire’, come Goethe, e con questo stupore io sono diventato fratello non solo del poeta e di tutti gli altri poeti e saggi, io sono anche fratello di tutto ciò e che sperimento come realtà vivente: la nuvola, l’albero, il fiume, la montagna, perché, presa la via dello stupore e dell’ammirazione per il sublime, per un istante (senza Tempo, infinito al Secondo della vita…) sono sfuggito al mondo della separatezza e sono entrato nel mondo dell’unità e dell’armonia….




Gli alberi sono sempre stati per me i più persuasivi predicatori. Io li adoro quando stanno in popolazioni e famiglie, nei boschi e nei boschetti. E ancora di più li adoro quando stanno isolati…
Sono come uomini solitari…
Non come eremiti che se la sono svignata per qualche debolezza, ma come grandi uomini soli…, tra le loro fronde stormisce il vento, le loro radici riposano nell’infinito; ma essi non vi si smarriscono, bensì mirano, con tutte le loro forze vitali, a un’unica cosa: realizzare la legge che in loro stessi è insita, costruire la propria forma, rappresentare se stessi. Nulla è più sacro, nulla è più esemplare di un albero bello e robusto. 




Quando un albero è stato segato ed espone al sole la sua nuda ferita mortale, dalla chiara sezione del suo tronco e lapide funebre si può leggere tutta la sua storia: negli anelli corrispondenti agli anni e nelle escrescenze stanno fedelmente scritti tutta la lotta, tutta la sofferenza, tutti i malanni, tutta la felicità e la prosperità, anni stentati e anni rigogliosi, assalti sostenuti, tempeste superate. E ogni contadinello sa che il legno più duro e prezioso ha gli anelli più stretti, che sulla cima delle montagne, nel pericolo incessante, crescono i tronchi più indistruttibili, più robusti… più Perfetti….
Gli alberi sono santuari…..
Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità….
Essi non predicano dottrine o ricette, predicano, incuranti del singolo, la legge Primordiale della Vita. Un albero dice: in me è nascosto il Genio ed un seme, una scintilla, un’Idea, io sono Vita della vita perenne. Unico è l’esperimento e il disegno che l’Eterna Madre con me ha tentato, unica è la mia forma e la venatura della mia epidermide, unica la più piccola screziatura di foglie delle mie fronde e la ce della mia corteccia….







Quando siamo tristi, e non possiamo più sopportare la vita, un albero può dirci: sta’ calmo! Guardami! Vivere non è facile, vivere non è difficile. Questi sono pensieri puerili. Lascia parlare Dio in te e questi Pensieri taceranno. Tu sei angosciato perché il tuo cammino ti porta via dalla madre e dal padre e dalla casa. Ma ogni passo e ogni giorno ti portano nuovamente incontro alla Madre. La tua casa non è questo o quel posto (tu sei Straniero a questo mondo….).
… La tua casa è dentro di te!




Per questo io desidero far conoscere e apprezzare ai contemporanei, in un’opera poetica più ampia, la grandiosa, muta via della Natura!

Volevo insegnar loro ad udire il battito del cuore della Terra, a partecipare alla vita del Tutto e a non dimenticare, nell’urgenza delle loro piccole e meschine sorti, che noi non siamo padroni del mondo, autocrati, ma figli della Terra e del cosmico Tutto. Volevo ricordare a questo proposito che come i canti dei Poeti e come i Sogni delle nostri notti, anche fiumi mari, nuvole e tempeste sono simboli e modi di quell’anelito che stende le sue ali tra cielo e Terra, e il cui fine è l’indubbia certezza del diritto di cittadinanza e dell’immortalità di ogni cosa vivente.

Ma io volevo anche insegnare agli uomini a trovare nel fraterno amore per la Natura fonti di gioia e flussi di Vita; volevo predicare l’arte di osservare, di camminare e godere, il piacere della presenza e di esistere. Volevo far parlare per voi, in un linguaggio di forte attrattiva, montagne, mari e isole verdi, e volevo costringervi a vedere quale vita incommensurabilmente varia, attiva, fiorisce e trabocca ogni giorno fuori dalle vostre cittadine esistenze. Volevo arrivare a farvi vergognare di sapere di più di guerre tra lontane potenze straniere, di moda, di pettegolezzi, di letteratura e di arti, che non della primavera che fuori delle vostre città espande la sua irrefrenabile forza germinatrice, del fiume che scorre sotto i vostri ponti, dei boschi e degli splendidi prati tra cui corre la vostra ferrovia.




Speravo d’insegnarvi a essere legittimi fratelli di ogni cosa vivente, e di diventare così pieni d’amore da non temere più neppure il dolore e la morte, ma che questi venissero accolti solennemente e fraternamente come solenni fratelli, quando fossero venuti a voi. Tutto questo speravo di rappresentarlo non in inni o in canti epici, ma in modo semplice, verace e concreto (composto in armonia con la Natura), tra serio e scherzoso, come un Viaggiatore che, tornato a casa, racconta agli amici cose di fuori….

Volevo…. Desideravo…. Speravo…. 




… Già da bambino avevo l’inclinazione a cogliere forme bizzarre della Natura non da osservatore, ma abbandonandomi al loro originale fascino, al loro originario capriccioso (e non certo al capriccio di un bambino che urla malesseri terreni e sprovvisto del dono della magia della Natura, e cerca di appropriarsi e ricreare una Natura estranea all’originario disegno del Primo Dio…), profondo linguaggio (linguaggio che esula da linguaggi di altri ed estranei Programmatori, estranei per sempre al mondo della Natura che ora sto’ ammirando….).

Lunghe, legnose radici d’albero, venature colorate nella pietra, foglie galleggianti sull’acqua, incrinature di cristallo – tutte queste cose talvolta avevano avuto un gran fascino, soprattutto l’acqua e il fuoco, il fumo, le nuvole, la polvere, e in modo particolare le roteanti macchie di colore che vedevo quando chiudevo gli occhi. La contemplazione di simili disegni, l’abbandonarmi a forme della Natura irrazionali, capricciose, strane genera in noi un senso di concordia del nostro Io interiore con la volontà che fa esistere queste forme – noi proviamo subito la tentazione di considerale nostri capricci personali, nostre personali creazioni. 




Vediamo vacillare e vanificarsi il confine tra noi e la Natura e sperimentiamo uno stato d’animo in cui sappiamo se le immagini sulla nostra retina provengono da impressioni esterne o dall’interno (chi interferisce e interviene in maniera estranea in questo processo di Creazione e Rigenerazione, o vuole condizionarne il fine, appartiene ad un mondo a noi non attinente, e forse non solo a noi: un mondo dove questa ‘natura’ se di natura possiamo parlare, non conosce la potenza e la superiorità di Dio, il suo Tempo, il suo Primo Sogno. Lascio all’ingordo Secondo l’illusione di un mondo ove crede di possedere e controllare quanto neppure comprende, lascio al suo misero Tempo questo ‘sogno di potenza’…). 




In nessun altro caso come in questa operazione (Gnostica) noi scopriamo in modo altrettanto semplice e facile fino a che punto siamo eterni Creatori (di Mondi e Universi…), quanto è grande e continua la partecipazione della nostra Anima alla stabile edificazione del Mondo. O piuttosto, è la medesima indivisibile divinità e nella nostra Natura (e chi si prodiga anche con i mezzi più antichi come la persecuzione, in realtà odia per il vero il gesto continuo della Natura Creatrice…), e se il mondo esterno perisse, uno di noi sarebbe capace di Riedificarlo, perché la montagna, il fiume, l’albero e la foglia, il cielo e l’aria, tutto quello che è formato in Natura è in noi come immagine archetipica, proviene dall’Anima, la cui essenza è eternità, la cui essenza ci è sconosciuta, ma che se si rende sensibile a noi soprattutto come capacità d’amore e come energia creativa (lascio agli inquisitori il triste compito estraneo ad ogni Natura di mortificare il Dio incarnato nell’atto della creazione....).