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Il
presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto che così dispone: i
residenti che non accettano la cittadinanza russa potranno essere deportati dai
territori ucraini annessi.
Cos’altro
dovrebbe fare per essere annoverato tra i dittatori?
Il
presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto che così dispone: i
residenti che non accettano la cittadinanza russa potranno essere deportati dai
territori ucraini annessi.
Il
documento riguarda i cittadini ucraini o i titolari di passaporti
dell’autoproclamato DPR e LPR (Donetsk e Lugansk, che ora Mosca considera
territori annessi). Devono diventare cittadini della Russia o dichiarare
esplicitamente il loro desiderio di non farlo. Chi sceglierà questa “opzione”
sarà considerato straniero dal 1 ° luglio 2024 e, di conseguenza, potrebbe
essere espulso dal territorio che le autorità russe considerano russo.
Un paragrafo separato del decreto riguarda la deportazione di coloro che “rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale” della Russia. I residenti delle regioni annesse che sostengono un “cambiamento violento nelle fondamenta dell’ordine costituzionale” in Russia, finanziano attività terroristiche ed estremiste o partecipano ad azioni “non autorizzate” saranno espulsi e banditi dal Paese.
COMMENTI SENZA COMMENTI, ovvero,
LA BANALITA’ DEL MALE
PRIMA SOLUZIONE: ESPLULSIONE
Ma poi, nel….,
tutto era
cambiato di colpo.
Eichmann aveva convocato a Vienna
i capi ebraici tedeschi per spiegar loro il suo nuovo metodo di ‘emigrazione forzata’.
Li aveva
ricevuti seduto a un tavolo in una gran sala del Palazzo Rothschild, e gli
ebrei lo avevano riconosciuto, naturalmente, ma l’avevano trovato completamente
trasformato:
‘Dissi ai
miei amici che non ero certo che fosse proprio lui. Tanto terribile era il cambiamento...
Qui trovai un uomo che si comportava come il signore della vita e della morte.
Ci ricevette con fare insolente e rude. Non permise che ci avvicinassimo al suo
tavolo. Dovemmo restare in piedi’.
L’accusa e
i giudici ritennero che la personalità di Eichmann avesse subito un profondo e
permanente mutamento dopo la promozione a un posto di tanta responsabilità;
eppure anche qui il processo mostrò che egli aveva dei ‘ritorni’, e che le cose
non erano così semplici: un testimone, per esempio, parlando di un colloquio
avuto con Eichmann a Theresienstadt nel marzo
del 1945, disse d’avere avuto modo di constatare in quell’occasione come
egli s’interessasse molto del sionismo; la conversazione era stata ‘piacevolissima’,
il comportamento di Eichmann era stato ‘gentile e rispettoso’, e il testimone,
che era a quel tempo membro di un’organizzazione giovanile sionista, aveva
ottenuto un certificato per poter entrare in Palestina (strano a dirsi,
l’avvocato difensore nella sua arringa non accennò mai a questa deposizione).
Qualunque
cosa si debba pensare della ‘trasformazione’ di Eichmann a Vienna, non c’è
dubbio che quella nomina segnò il vero inizio della sua carriera.
Tra il 1937 e il 1941 egli ebbe quattro
promozioni; nel giro di quattordici mesi salì da Untersturm führer a Hauptsturm
führer (cioè da sottotenente a capitano), e di lí a un anno e mezzo divenne Obersturmbann
führer, ossia tenente colonnello. Ciò accadde nell’ottobre del 1941, poco dopo che gli era stata assegnata, nel quadro della ‘soluzione finale’, quella mansione che
l’avrebbe portato dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme.
Ma qui, con
suo gran dolore, si arenò: si accorse che nella sezione in cui lavorava non poteva
più salire di grado. Se ne accorse tuttavia solo all’ultimo momento, e per
quattro anni, non sospettando ancora nulla, rimase lui stesso stupito della
rapidità della sua ascesa. A Vienna aveva dato prova di decisione, e ora veniva
riconosciuto non solo un ‘esperto in questioni ebraiche’, cioè negli intrighi
delle organizzazioni ebraiche e dei partiti sionisti, ma anche una autorità in
fatto di emigrazioni e di evacuazione, il “maestro” che sapeva come va smistata la gente.
Il suo momento di maggior gloria fu poco dopo la Kristallnacht, nel novembre del 1938, quando gli ebrei vennero presi dalla frenesia di fuggire. Göring, probabilmente dietro suggerimento di Heydrich, decise d’istituire a Berlino un Centro nazionale per l’emigrazione degli ebrei, ed emanò un ordine in cui l’ufficio viennese di Eichmann fu esplicitamente menzionato come modello da seguire. Capo dell’ufficio berlinese non sarebbe stato però Eichmann, bensì il suo futuro superiore, Heinrich Müller, altra scoperta di Heydrich. Müller, che era un funzionario della polizia bavarese e che non era nemmeno iscritto al partito, e anzi fino al 1933 aveva avversato il nazismo, era stato infatti chiamato proprio da Heydrich a Berlino, presso la Gestapo, essendo notoriamente un esperto del sistema poliziesco della Russia sovietica. Anche per lui, benché la carica iniziale fosse piuttosto modesta, fu quello il principio di una luminosa carriera.
Fu
soltanto quando scoppiò la guerra (1
sett. 1939) che il regime nazista divenne scopertamente totalitario e
criminale. Uno dei passi più importanti in questa direzione, sul piano organizzativo,
fu il decreto, firmato da Himmler, che fuse il Servizio di sicurezza delle SS,
che era un organo del partito ea cui Eichmann apparteneva fin dal 1934, con la
polizia di sicurezza dello Stato, cioè con la polizia regolare, che comprendeva
anche la polizia segreta dello Stato o Gestapo.
Da
questa fusione nacque l’Ufficio centrale per la sicuezza del Reich (RSHA), il
cui primo capo fu Reinhardt Heydrich. L’RSHA, inoltre era soltanto uno dei
dodici uffici centrali delle SS: i più importanti erano l’Ufficio centrale
dell’ordine pubblico, diretto dal generale Kurt Daluege, che si occupava di
rastrellare gli ebrei, e l’ufficio centrale dell’amministrazione e
dell’economia diretto da Oswald Pohl, che si occupava dei campi di
concentramento e più tardi s’interessò degli aspetti ‘economici’ dello
sterminio. Questa concretezza o oggettività, parlare dei campi di
concentramento in termini di AMMINISTRAZIONE e dei campi di sterminio di ECONOMIA, era tipica
della mentalità delle SS, ed era una cosa a cui Eichmann, al processo, si
mostrò ancora QUANTO
MAI FIERO.
LA SOLUZIONE FINALE: LO STERMINIO
Nel
colloquio che ebbe con Eichmann, Heydrich cominciò con un discorso
sull’emigrazione… e poi disse:
Il
Fuhrer ha ordinato lo sterminio fisico degli ebrei.
Poi
alla fine Heydrich gli disse anche un’altra cosa, e cioè che tuttala faccenda
era stata posta sotto l’autorità del WVHA e che il nome convenzionale di tutta
l’operazione sarebbe stato ‘SOLUZIONE FINALE’.
Nel marzo del 1941, circa sei
mesi prima di questo colloquio tra Heydrich ed Eichmann, nelle alte sfere del
partito non era più un segreto che gli ebrei dovevano essere sterminati. Inoltre, tutta
la corrispondenza relativa alla questione doveva rispettare rigorosamente un
determinato ‘gergo’, e se si accentuano i rapporti degli Einsatzgruppen è raro
trovare documenti in cui figurino le parole come ‘sterminio’, ‘liquidazione’,
‘uccisione’.
Invece di dire uccisione si dovevano usare termini come ‘soluzione finale’, ‘evacuazione’ e ‘trattamento speciale’; invece di dire ‘deportazione’ bisognava usare parole come ‘trasferimento’ o ‘lavoro in oriente’, oppure, se si parlava di persone dirette a Thereisienstadt (il ghetto dei vecchi), si doveva dire ‘cambiamento di residenza’ in modo di dare l’impressione che si trattasse di provvedimenti temporanei.
I DOVERI DI UN
CITTADINO
Eichmann
ebbe molte occasioni di sentirsi come Ponzio Pilato, e col passare dei mesi e
degli anni non ebbe più bisogno di pensare. Così stavano le cose, questa era la
nuova regola, e qualunque cosa facesse, a suo avviso la faceva come cittadino LIGIO ALLA LEGGE.
Alla
polizia e alla Corte disse e ripeté di aver fatto il suo dovere, di avere
obbedito non soltanto a ordini, ma anche alla legge.
Eichmann
aveva la vaga sensazione che questa fosse una distinzione importante, ma né la
difesa né i giudici cercarono di sviscerare tale punto. I logori temi degli
‘ordini superiori’ oppure delle ‘azioni di stato’ furono discussi in lungo e in
largo: essi già avevano dominato tutti i dibattiti al processo di Norimberga,
per la semplice ragione che davano l’illusione che fatti senza precedenti
potessero essere giudicati in base a precedenti e a criteri già noti.
Eichmann,
con le sue doti mentali piuttosto modeste, era certamente l’ultimo, nell’aula
del tribunale, da cui ci si potesse attendere che contestasse queste idee e
impostasse in altro modo la propria difesa. Oltre ad aver fatto quello che a
suo giudizio ERA IL
DOVEREDI UN CITTADINO LIGIO ALLA LEGGE, egli aveva anche agito in base a
ordini – preoccupandosi sempre di essere ‘coperto’, e perciò ora si smarrì
completamente e finì con l’insistere alternativamente sui pregi e sui difetti
dell’obbedienza cieca, ossia dell’‘OBBEDIENZA CADEVERICA’, come la chiamava lui.
La prima volta che Eichmann mostrò di rendersi vagamente conto che il suo caso era un po’ diverso da quello del soldato che esegue ordini criminosi per natura e per intenti, fu durante l’istruttoria, quando improvvisamente dichiarò con gran foga di aver sempre vissuto secondo i principi dell’etica Kantiana e in particolare conformemente a una definizione kantiana del dovere.
L’affermazione
era veramente ENORME! …e anche
incomprensibile, poiché l’etica di Kant si fonda soprattutto sulla facoltà di GIUDIZIO DELL’UOMO, facoltà che
esclude la cieca obbedienza.
Il
giudice istruttore non approfondì l’argomento, ma il giudice Raveh, vuoi per
curiosità, vuoi perché indignato che Eichmann avesse osato tirare in ballo il
nome di Kant a proposito dei suoi misfatti, decise di chiedere chiarimenti
all’imputato. E con sorpresa di tutti Eichmann se ne uscì con una definizione più
o meno esatta dell’imperativo categorico:
‘Quando
ho parlato di Kant, intendevo dire che il principio della mia volontà deve
essere sempre tale da poter divenire il principio di leggi generali’ (il che non
vale, per esempio, nel caso del furto o dell’omicidio, poiché il ladro e l’omicida
non possono desiderare di vivere sotto un sistema giuridico che dia agli altri
il diritto di derubarli o di assassinarli).
Rispondendo ad altre domande, Eichmann rivelò di aver letto la ‘Critica della ragion pratica’ di Kant, e quindi procedette a spiegare che quando era stato incaricato di effettuare la SOLUZIONE FINALE aveva smesso di vivere secondo i principi kantiani, e che ne aveva avuto coscienza, e che si era consolato pensando che era più ‘PADRONE DELLE PROPRIE AZIONI’, che non poteva far nulla per ‘CAMBIARE LE COSE’.
Alla
Corte non disse però che in questo periodo ‘DI CRIMINI LEGALIZZATI DALLO STATO’ – così ora
lo chiamava – NON
SOLO AVEVA ABBANDONATO LA FORMULA KANTIANA IN QUANTO NON PIU’ APPLICABILE, MA
L’AVEVA DISTORTA FACENDOLA DIVENIRE: ‘AGISCI COME SE IL PRINCIPIO DELLE TUE
AZIONI FOSSE QUELLO STESSO DEL LEGISLATORE O DELLA LEGGE DELTUO PAESE’:
Ovvero,
come suonava la definizione che dell’‘imperativo categorico nel Terzo Reich
aveva dato Hans Franke che lui probabilmente conosceva: ‘agisci in una maniera
che il Fuhrer, se conoscesse le tue azioni, approverebbe’.
Certo
Kant non si era mai sognato di dire una cosa simile…
...Al contrario, per lui ogni uomo diveniva un legislatore nel momento stesso in cui cominciava ad agire: usando la ‘ragion pratica’ ciascuno trova i principi che potrebbero e dovrebbero essere i principi della legge. Ma è anche vero che l’inconsapevole distorsione di Eichmann era in armonia con quella che lo stesso Eichmann chiamava la teoria di Kant ‘ad uso privato della povera gente’.
In
questa versione ad uso privato, tutto ciò che restava dello spirito kantiano
era che l’uomo deve fare qualcosa di più che obbedire alla legge deve andare al
di là della semplice… obbedienza e identificare la propria volontà col principio
che sta dietro la legge – la fonte da cui la legge è scaturita. Nella filosofia
di Kant questa fonte era la ragion pratica; per Eichmann era la volontà del
Fuhrer.
Buona
parte della spaventosa precisione con cui fu attuata la soluzione finale
(caratteristica del PERFETTO BURACRATE) si può appunto ricondurre alla strana idea,
effettivamente molto diffusa in Germania (e non solo…), che essere ligi alla legge
non significa semplicemente obbedire, ma anche agire come se si fosse il
legislatore che ha stilato la legge a cui si obbedisce.
Da qui la convinzione che occorra fare anche di più di ciò che impone il dovere. Qualunque ruolo abbia avuto Kant nella formazione della mentalità della ‘povera gente’ in Germania, non c’è il minimo dubbio che in una cosa Eichmann seguì realmente i precetti kantiani: ‘una legge è una legge e non ci possono essere eccezioni’.
A
Gerusalemme egli ammise di aver fatto un’eccezione in due casi, nel periodo in
cui ‘ottanta milioni di tedeschi’ avevano ciascuno ‘il suo bravo ebreo’: aveva
aiutato una cugina mezza ebrea e una coppia di ebrei viennesi, cedendo alle
raccomandazioni disuo ‘zio’. Questa incoerenza era ancora un ricordo
spiacevole, per lui, e così durante l’interrogatorio dichiarò, quasi per
scusarsi, di aver ‘confessato le sue colpe’ ai suoi superiori.
Agli
occhi dei giudici questa ostinazione lo condannò più di tante cose meno
incomprensibili, ma ai suoi occhi era proprio questa durezza che lo
giustificava, così come un tempo era valsa a tacitare quel poco di coscienza
che ancora poteva avere. Niente eccezioni: questa era la prova che lui aveva
sempre agito contro le proprie ‘inclinazioni’, fossero esse ispirate dal
sentimento o dall’interesse; questa era la prova che lui aveva sempre fatto il suo
‘DOVERE’.
IL PROBLEMA DELLA COSCIENZA di Eichmann, che è notoriamente complesso ma nient’affatto unico, non può essere paragonato a quello della coscienza dei generali tedeschi, uno dei quali, quando a Norimberga gli chiesero:
‘Come
è possibile che tutti voi rispettabili generali abbiate seguito a servire un
assassino con tanta fedeltà?’,
…rispose
che non toccava a un soldato ergersi a giudice del suo comandante supremo:
‘Questo
tocca alla storia, o a Dio in cielo’.
Eichmann, molto meno intelligente e per nulla istruito, capì almeno vagamente che a trasformarli tutti in criminali non era stato un ordine, ma una legge. La differenza tra ordine e ‘ordine del Fuhrer’ era che la validità del secondo non era limitata nel tempo o nello spazio, mentre questo limite è caratteristica precipua del primo. E questa è anche la vera ragione per cui quando il Fuhrer ordinò la soluzione finale esperti giuristi e consiglieri giudici, non semplici amministratori, stilarono una fiumana di regolamenti e direttive: quell’ordine, a differenza degli ordini comuni, fu considerato una legge.
Inutile
aggiungere che tutti questi strumenti giuridici, lungi dall’essere semplici
frutto della pignoleria o precisione tedesca, servirono ottimamente a dare a
tutta la faccenda una parvenza di legalità.
(H.
Arendt, La banalità del male)