CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

mercoledì 19 aprile 2023

UCCIDERE PER CRUDELTA' e PER NECESSITA'

 










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di Domenica 


& un Processo  








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adulti...   


Prosegue ancora 


con gli approfondimenti, 








ovvero, 


L'Orsa Maggiore







LA CACCIA

     

                              

 

“Quando ho aggirato un cespuglio, ho visto in fondo a una specie di vicolo naturale nella foresta, incorniciato come un quadro dagli alberi, una massiccia vecchia femmina di rinoceronte.

 

…Era di fronte a me, metà al sole e metà all’ombra.

 

Da un cespuglio sporgevano i quarti posteriori di un altro. La distanza era di circa settanta metri. Mi sono subito seduto e le ho disegnato un foro sul petto e uno sulla testa. Tuttavia, sterzò e i due si allontanarono attraverso la foresta, schianto dopo schianto, morendo in lontananza, segnando la loro rotta mentre si allontanavano.

 

Lo seguii e ancora una volta vidi l’animale in piedi immobile dietro un cespuglio.

 

Ho sparato, e lo sparo è stato seguito da un paio di brevi sbuffi rabbiosi, il calpestio di passi pesanti e uno schianto spaventoso che è avanzato e poi si è spostato verso sinistra.




 Un colpo sferrato in piedi, dalla spalla, fu seguito da due acuti squittii, mentre l’animale barcollava per alcuni passi e cadeva su un fianco. Non dimenticherò facilmente quel grido, un suono assolutamente sproporzionato rispetto alle dimensioni e alla mole di una creatura così grande, ma che riconobbi immediatamente, dalla descrizione di Sir Samuel Baker, come il grido di morte del rinoceronte, e sentirlo mi riempì della gioia del cacciatore!”.

 

La gioia del cacciatore è nel grido di morte della sua vittima, e si gloria di essere il discendente di una stirpe di selvaggi preistorici. Quale altra prova possiamo volere della barbarie dell’intero procedimento?

 

Oppure, ed ancora, medita il seguente estratto dal recente libro dell’ex presidente Roosevelt,African Game Trails’:

 

“Proprio davanti a me, a trenta metri di distanza, apparve da dietro i cespugli, che prima lo avevano nascosto ai miei occhi, la forma fulva e galoppante di un grosso leone senza criniera.

 

Crepa!




Il Winchester parlò, e mentre la pallottola dal muso molle gli attraversava il fianco, il leone sterzò così che lo mancai con il secondo colpo, ma il mio terzo proiettile finì sulla spina dorsale fino al suo petto. Scese, a sessanta metri di distanza, trascinando i quarti posteriori, la testa alta, le orecchie all’indietro, le mascelle aperte e le labbra contratte in un ringhio prodigioso, mentre si sforzava di voltarsi per affrontarci. Aveva la schiena rotta, ma di questo al momento non potevamo esserne sicuri; e se fosse stato solo sfiorato avrebbe potuto riprendersi, e quindi, anche se morente, la sua cura avrebbe potuto fare del male. Così Kermit, Sir Alfred e io gli abbiamo sparato insieme al petto.

 

Il muso si abbassò e morì.

 

È giusto, parlando seriamente, che si permetta a persone che, per loro stessa ammissione, sono ancora sotto l’influenza di impulsi molto primitivi, di trarre piacere in questo modo barbaro senza che si levi una voce a favore delle vittime innocenti?




Sembra che ci siano vari modi per cacciare il leone, uno di questi è rintracciarlo in una parte fitta della giungla e, dopo avergli dato fuoco a un’estremità, aspettare dall’altra con diverse pistole finché la bestia terrorizzata non si precipita fuori e incontra il suo destino.

 

Un altro metodo, che ci sembra particolarmente vile, è quello di legare qualche animale domestico - asino, bue o capra - come ‘esche vive’ per i carnivori più grandi, mentre il cacciatore sta in agguato, al sicuro, per sparare al ‘gioco’ o successivamente per scovarlo nella sua tana.

 

In un caso leggiamo quanto segue:

 

“Mi sono svegliato dagli strattoni del guardiacaccia. Era in corso una terribile lotta tra l’asino e il leone, ma una nuvola di polvere li oscurò completamente, nonostante la luce brillante di una luna tropicale. Il leone riuscì a spezzare le funi ea portare via per un certo tratto l’animale che si dibatteva. Quest’ultimo, tuttavia, recuperando le gambe, emerse dalla nuvola di polvere e si diresse lentamente verso l’accampamento. Prima che avesse percorso molti metri, il leone l’aveva ripreso e questa volta l’uccise senza darmi la possibilità di mirare a causa della grande nuvola di polvere”.




Questa pratica è menzionata anche dall’on. J.Fortescu  ‘Racconto della visita in India delle Loro Maestà il Re Giorgio V. e la Regina Mary’, dove leggiamo:

 

“Durante la notte, o nel pomeriggio, i buoi vengono legati in luoghi probabili per una tigre, generalmente ai margini di una fitta giungla, e al mattino gli shikaris (o guardacaccia, come dovremmo chiamarli) vanno in giro per vedere se qualcuno di questi è stato ucciso.

 

Il signor Fortescue afferma che…

 

“i rapporti della mattina del 26 dicembre stabilivano che, sebbene sessanta buoi fossero stati legati nella giungla la notte precedente, solo uno era stato ucciso”.

 

La scarsità delle uccisioni in questa occasione si spiega con il fatto che molte tigri erano già state uccise e la ‘selvaggina’ stava diventando scarsa. Non è specificato quanti buoi in tutto furono così sacrificati.




 Ora sosteniamo che, qualunque cosa si possa dire in difesa del tiro alla selvaggina in generale, questo uso degli animali domestici - animali verso i quali in tutti i paesi civili si riconosce che l’umanità ha obblighi morali, e spesso legali - è un fatto molto scioccante frutto più che di negligenza di vero sadismo.

 

Che la sofferenza effettiva testimoniata e raccontata sia solo una piccola parte del tutto è ovunque evidente. Questi libri pullulano di casi in cui gli animali scappano feriti, per indugiare per giorni, o forse settimane.

 

Leggiamo ad esempio:

 

“Uccido un grosso maschio (elefante), per quanto riguarda l’altro maschio e una femmina, li ferisco ma li perdo entrambi dopo una giornata di inseguimento. Tuttavia, siccome il maschio mi sembrava condannato, mando quattro uomini a cercarlo. Tornano senza risultato dopo aver trascorso la notte all’aperto. Ho trovato questo elefante morto il 26”…

 

…Cioè dopo diciassette giorni in un clima in cui i corpi non giacciono a terra a lungo.




 Possiamo ben credere che questo autore non esageri il caso quando ammette candidamente:

 

“Un buon cacciatore, per quanto attento, abile o ben assecondato possa essere, deve considerare perduto uno ogni due animali che insegue, a causa delle tante difficoltà della sua professione. Questo è il minimo, per quanti feriscono o perdono tre o quattro animali prima di ucciderne uno!

 

Resta solo da dire qualche parola sulla moralità di questa forma di divertimento.

 

Si dice spesso tra le persone umane che la caccia è solo una reliquia di tempi più barbari, ma a noi sembra essere qualcosa di più di questo. Potrebbe aver avuto origine con l’uomo primitivo, ma ha sicuramente avuto importanti sviluppi propri negli ultimi tempi. C’è poco in comune tra l’atto del selvaggio primitivo, che, per amore del suo cibo, contrapponeva la sua forza e la sua abilità a un animale, e il massacro totale e sconsiderato, aiutato dagli apparecchi della scienza moderna, e portato avanti semplicemente per il piacere di uccidere.




Atti altrimenti sgradevoli e disgustosi possono a volte essere giustificati dal dichiarato motivo o semplice gusto, di mostrare il ‘trofeo’ accompagnato dell’amore per l’uccisione.

 

“All’alba ci avviamo sul sentiero, sul quale ci sono macchie di sangue, seguite da schizzi e grossi coaguli. Quando lo vediamo, ‘il cuore si colma di gioia’, come dicono gli indigeni, e la vittoria è quasi certa. Impariamo che ‘abbattere ad ogni botte un animale grande come un cavallo omnibus, rigirarlo come se fosse un coniglio, è un piacere che non si prova spesso”…

 

…e ci viene anche detto come l’autore abbia avuto…

 

“il piacere di guardare un magnifico leone senza criniera disteso in una pozza di sangue”.

 

Sul vero movente ci possono purtroppo essere pochi dubbi, e le scuse addotte dagli autori per il loro lavoro omicida difficilmente sono degne di seria considerazione.




Le difese morali per questo tipo di sport sono della stessa natura dei famosi serpenti in Islanda: non ce ne sono; e le difficoltà del cacciatore di selvaggina grossa, quando cerca di difendersi, mostrano che la sua etica e la sua teologia sono dello stesso tipo primitivo delle altre sue fonti d'azione, tramandate da antenati barbari.

 

Uno scrittore citato sopra ci dice, ovviamente, che non dà spazio a nessuno nel suo “amore per tutte le  stupide creature uccise o torturate” - qualunque cosa ciò possa significare - il che sembra giustificare il fatto che i  proiettili sparati individualmente ogni volta che ne ha la possibilità gli conferisce piacere, lasciandoli precipitare attraverso le foreste, come descrive, nel dolore e nel terrore, molto probabilmente per morire in agonia giorni dopo, prova quasi un senso di orgasmo!

 

Un’altra scusa sollecitata è quella dell’istinto di caccia in noi ci è stato dato da Dio (?!), e quindi vada eseguito?




Apparentemente non è mai venuto in mente allo scrittore che la pietà per gli animali innocenti è più vicina all’opera del Creato piuttosto che macellarli per uno strano modo di fare la vacanza d’un uomo sportivo amante della natura, possa anche essere un istinto seminato da Lucifero?, non meno dell’amore di macellarli, anche se apparentemente preferisce di gran lunga quest’ultimo gesto?

 

Che gli sport sanguinari sviluppino e incoraggino uno spirito virile, necessario per il progresso della razza è forse il più comune. Ma qui, sicuramente, all’inizio abbiamo bisogno di una definizione dei termini. Se la virilità è sinonimo di indifferenza alla sofferenza dei più deboli e di gratificazione egoistica a scapito degli altri, se è virile far saltare un pezzo “grande come la corona di un cappello” dal fianco di un timido cervo, basta per divertimento, allora certamente questo sport è eminentemente virile.




Se, d’altra parte, le qualità che differenziano l’uomo civile dal barbaro sono una maggiore considerazione per i diritti dei deboli e una più profonda simpatia per i sentimenti degli altri, allora senza dubbio questi macellai dilettanti dovrebbero essere considerati un anacronismo in comunità civili.

 

L’indigeno color cioccolato, si legge in un libro,

 

“non voleva e non poteva capire che non eravamo venuti per combattere elefanti e leoni come gladiatori nell’arena, ma per vincerli con tattiche superiori senza più rischi del necessario, e dal maneggio giudizioso di armi di precisione” (il corsivo è nostro).

 

Certamente pensiamo che il selvaggio nudo qui mostri un istinto più fine per cosa può essere nobile e virile in guerra rispetto al suo cosiddetto fratello civilizzato.

 

Per il gladiatore che ha il coraggio di affrontare il suo nemico in un giusto combattimento singolo, a rischio mortale per se stesso, possiamo provare una certa ammirazione, anche se il gioco è barbaro; ma per il macellaio che si nasconde dietro un albero e uccide la sua vittima innocua con accorgimenti meccanici con il minor rischio possibile per se stesso, non possiamo provare altro che disprezzo.




 “In breve tempo”,

 

…ci dice il nostro eroe,

 

“quattro elefanti giacevano morti, colpiti alla testa o al cuore, senza mai averci visto. Il resto del branco se ne andò”.





LA SCUOLA 

 

 

Apparentemente un risultato glorioso nella stima degli autori, ma al quale dovremmo vergognarci personalmente di vedere il nostro nome associato.

 

Spesso ci viene detto che il vero modo per insegnare la gentilezza agli animali è ‘cominciare dai giovani’ vediamo come sono iniziati all’antico rito i giovani al principio del loro corso nelle scuole pubbliche…

 

 “23 febbraio 1899.  Tempo, un’ora e cinquanta minuti. Un’ottima caccia, dato che l’odore era giusto, e siamo stati particolarmente sfortunati a perdere questa lepre, che è stata picchiata quando è tornata a Salt Hill. Il giorno dopo venimmo a sapere che la nostra lepre si era strisciata fino ad High Street e poi a Burnham, ed era entrata in un locale conciata in modo tale da non reggersi in piedi, fu catturata da alcuni ragazzi che vennero a dircelo mezz’ora dopo, ma eravamo appena tornati a casa. Troppo sfortunati!”.




Ecco, ancora una volta, la testimonianza pubblicata di uno spettatore di una di queste corse di successo:

 

“Il 4 febbraio 1899: trovandomi nelle vicinanze di Eton, ebbi l’opportunità di assistere a una di queste caccie alla lepre, e darò una breve ed esatta descrizione di ciò che avvenne: alle tre circa 180 ragazzi, molti dei quali piuttosto giovani, uscirono per un pomeriggio di sport con otto coppie di College Beagles. Una lepre è stata trovata alle 3.15 vicino alla strada principale che porta a Slough. È stata inseguita attraverso il cimitero e il terreno dell’ospizio e in città in un zona costellata di ville, chiamata Upton Park. Fuggendo da questo luogo, corse verso Eton, ma presto tornò a Upton Park con i numerosi spettatori di Slough Road che gridavano ardentemente alla creatura stordita per tutto il tempo. Questi inseguimenti circolari venivano ripetuti tre volte, la lepre tornava sempre a Upton Park.




Per due volte l’animale si è avvicinata a pochi passi da dove mi trovavo, e la sua condizione di terrore e stanchezza era dolorosa da vedere. I ragazzi, che correvano dietro ai segugi si stavano divertendo molto, e due maestri del Collegio, mi dissero, erano tra loro. Passiamo ora alla scena finale, alla quale era presente un mio amico.

 

La lepre, che era stata cacciata per due ore, essendo entrata in un angolo di Upton Park, che era delimitato da reti metalliche, è stata afferrata dai segugi e fatta a pezzi. Il capobranco allora corse, l’afferrò e le ruppe il collo. La carcassa fu consegnata a uno dei custodi dei cani, che tagliò la testa e le zampe, i cui trofei furono divisi tra i seguaci. Il custode con il suo coltello aprì quindi il corpo e il padrone, prendendolo tra le mani e tenendolo in alto sopra i cani, li raccolse con grida e infine lo gettò in mezzo a loro, come avevano fatto, nella lingua degli Eton College Chronicle, ovvero: ‘sangue glorioso e  meritevole’ ”.




Su talune proteste il dottor Warre replicò decisamente in merito alla virile educazione impartita ai giovani allievi:

 

“la caccia alla lepre non è illegale, non può interferire con la libertà dei ragazzi in materia, molti dei quali, afferma, hanno l’abitudine di cacciare quando sono a casa durante le vacanze e con l’approvazione dei genitori; anzi è bene per le future generazioni figlie del nostro inarrestabile progresso, di mantenersi aggiornati con i nuovi sistemi adottati simmetrici alle altrettante nuove applicazioni in uso allo stesso, si tengano aggiornati e connessi fra loro, per rendere la caccia ancora più concreta ai fini d’ogni bene per ogni sana e più remunerativa economia per ogni successiva guerra!”.

 

A coloro, naturalmente, che considerano gli sport sanguinari non solo un vero passatempo per gli uomini, ma un desiderabile svago per gli scolari e una forma adatta di addestramento per il servizio militare, l’intera protesta contro le cacce alla lepre nelle Scuole di ogni ordine e grado deve necessariamente sembrare ridicola; la caccia prepara l’uomo verso un più elevato e nobile Destino contro ogni Natura non ancora dominata e conquistata!


(PROSEGUE DA ADULTI...)









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