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Epistole di Giuliano... (8/1)
Prosegue con...:
Pietro Paolo (10)
Il maestro
sceglie il discepolo, ma il libro non sceglie i suoi lettori, che possono
essere malvagi o stupidi; questo timore platonico perdura nelle parole di
Clemente di Alessandria, uomo di cultura pagana:
‘La cosa più prudente è non scrivere ma invece
apprendere e insegnare a viva voce, perché ciò che è scritto rimane’.
e in queste
altre dello stesso trattato:
‘Scrivere in un libro tutte le cose è lasciare
una spada in mano a un bambino’,
…che
derivano anche da quelle evangeliche:
‘Non date le cose sante ai cani né gettate le
vostre perle davanti ai porci, acciocché non le calpestino coi piedi, e si
volgano contro di voi e vi sbranino’.
Questa
massima è di Gesù, il più grande dei maestri orali, che una sola volta scrisse
alcune parole in terra e nessun uomo le lesse (Gv, 8, 6).
Nell’ottavo libro dell’Odissea si legge che
gli dèi tessono disgrazie affinché alle future generazioni non manchi di che
cantare; l’affermazione di Mallarmé:
‘Il mondo esiste per approdare a un libro’
…sembra
ripetere, trenta secoli dopo, lo stesso concetto di una giustificazione
estetica dei mali. Le due teleologie, tuttavia, non coincidono interamente;
quella del greco corrisponde all’epoca della parola orale, e quella del
francese a un’epoca della parola scritta.
In una si
parla di cantare e nell’altra di libri.
Un libro,
qualunque libro, è per noi un oggetto sacro; già Cervantes, che forse non ascoltava
tutto quel che diceva la gente, leggeva perfino le carte strappate nelle
strade.
Il fuoco, in
una delle commedie di Bernard Shaw, minaccia la biblioteca
di Alessandria; qualcuno esclama che brucerà la memoria dell’umanità, e Cesare gli dice:
‘Lasciala bruciare. È una memoria d’infamie’.
(J.L. Borges)
È questa irreversibile costante memoria di infamie
che ci interessa, la quale compone la Storia; la quale ci priva del dono della
saggia Parola, e talvolta anche del Pensiero come l’inutile materia vorrebbe
per imporre la più deleteria corrotta dottrina contraria alla Vita.
E prima di lei lo Spirito e l’Anima che l’accompagna,
rimpiangere ciò che al meglio componeva l’Armonia dismessa barattata e confusa…
È questa Memoria che vorremmo ritrarre dipingere e descrivere sottratta all’occhio
da cui la vera Natura abdicata alla demenza da cui la vostra materia…
In nessun
paese esiste più una letteratura così grande come quella del mondo antico; i
giornali, i libri scadenti d’ogni genere, le preoccupazioni della gente per
ogni tipo di trasformazione concreta, hanno scacciato l’immaginazione viva del
mondo.
Questi
uomini, che tante centinaia d’anni separavano fra loro, avevano il medesimo
Spirito. Siamo noi ad essere diversi; e allora mi tornò alla mente un Pensiero
ricorrente, ossia che loro vivevano in tempi in cui l’immaginazione si rivolgeva
alla stessa Vita per esaltarsi.
Il mondo
non mutava velocemente intorno a loro!
Non c’era
nulla che distogliesse la loro immaginazione dal mutarsi dei campi, dalle
nascite e dalle morti dei loro figli, dal destino delle loro Anime, da tutto
quanto costituisce la sostanza immortale della Letteratura.
Non
dovevano intrattenere rapporti con un mondo composto da masse tanto enormi da
poter essere rappresentate alla loro mente solo per mezzo di raffigurazioni e
generalizzazioni astratte. Tutto quello che percorreva il loro animo vi si
imprimeva con la vivacità dei colori dei sensi, e quando scrivevano, ciò
scaturiva da una ricca esperienza personale, scoprivano i loro simboli
espressivi nelle cose che avevano conosciuto per tutta una vita.
È la trasformazione
che seguì il Rinascimento, e venne completata dal dominio dei giornali e dal
movimento scientifico che ci ha sovraccaricato di queste frasi e
generalizzazioni elaborate da menti che pretenderebbero di cogliere ciò che non
hanno mai visto.
Esiste
un’espressione presso un antico scrittore cabalistico sull’uomo che cade
all’interno della sua stessa circonferenza: ora ad ogni generazione ci troviamo
più lontani dalla Vita stessa e l’Anima-Mundi che forma la sua essenza, e
cadiamo sempre di più in preda di quell’influenza cui si riferiva Blake quando scrisse:
I Re ed il Parlamento (e tutti i loro cortigiani)
mi sembrano cosa diversa dalla vita umana (dalla realtà e verità umana)…
Perdiamo
sempre più la libertà man mano che fuggiamo da noi stessi, e non solo perché le
nostri menti sono stravolte dalle frasi astratte e dalle generalizzazioni,
riflessi su uno specchio che sono un’apparenza della vita, ma perché abbiamo
capovolto la scala dei valori e crediamo che la radice della realtà non stia al
centro, ma da qualche parte in quella vorticosa circonferenza.
E in che
modo potremmo creare come gli antichi, se innumerevoli considerazioni di
probabilità esterne o di utilità sociale distruggono il potere creativo, solo
apparentemente irresponsabile che è la Vita stessa?
…Ogni
argomento come abbiamo letto ci riconduce a qualche concezione
filosofica-religiosa, e alla fine l’energia creativa degli uomini dipende dalla
loro fede di possedere, nel loro intimo, qualcosa di immortale e di
incorruttibile, e che ogni altra cosa non è che un’immagine in uno specchio
formare la spirale appena detta….
Sino a che
questa fede non sarà soltanto formale, un uomo trarrà le sue creazioni da
un’energia piena di gioia, senza cercare tante prove per un impulso che può
essere davvero sacro, e senza ricorrere ad alcun fondamento fuori dalla vita
stessa…
L’Arte, nei suoi momenti più alti, non è una creazione volontaria,
ma deriva da un sentimento potente, dalla pura essenza intesa quale Anima-Mundi di vita, ed ogni sentimento è figlio di tutte le
età passate (come una Spirale donde la vita) e sarebbe diverso se anche un solo
istante fosse stato trascurato.
E davvero
non è proprio quel piacere della bellezza e dell’armonia che dice all’artista
che egli ha immaginato quel che forse non morirà, ed è esso stesso soltanto un
piacere delle forme perenni e tuttavia cangianti in spirali di vita, nelle sue
stesse membra e nei suoi tratti?
Quando la
vita l’ha donato, non ha forse dato nient’altro che se medesima?
Riserva
forse mai altra ricompensa, perfino ai santi?
Se uno
fugge verso il deserto, non è quella luce chiara che cade sull’Anima quando
tutte le cose insignificanti sono state allontanate, altri che la vita che l’ha
sempre circondato, ora finalmente goduta in tutta la sua pienezza?
Se un uomo
trascorre tutti i suoi giorni in buone opere sinché nel suo cuore non resti
emozione alcuna che non sia colma di virtù, la ricompensa che implora non è
forse vita eterna?
(W. B. Yates)
Il Cesare storico, a parer mio, approverebbe o condannerebbe il
giudizio che l’autore gli attribuisce, ma non lo riterrebbe, come noi, uno
scherzo sacrilego. La ragione è chiara: per gli antichi la parola scritta non
era altro che un succedaneo della parola orale.
È fama che Pitagora non abbia scritto; Gomperz sostiene che operò in tal modo perché aveva
più fede nella virtù dell’istruzione parlata.
Di maggior
forza della mera astensione di Pitagora è la testimonianza
indubitabile di Platone. Questi, nel Timeo,
affermò:
‘È ardua impresa scoprire l’artefice e padre di
questo universo, e, una volta che lo si è scoperto, è impossibile rivelarlo a
tutti gli uomini’,
…e nel
Fedro narrò una favola egizia contro la scrittura (la cui abitudine fa sì che
la gente trascuri l’esercizio della memoria e dipenda da simboli), e disse che
i libri sono come le figure dipinte,
‘che paiono vive, ma non rispondono una parola alle domande
che vengono loro poste’.
Per
attenuare o eliminare tale inconveniente immagino il Dialogo filosofico così
come abbiamo letto con Giuliano specchio dei Tempi che al meglio ritraggano…
Leida 1629
Disegnare
l’occhio che osserva (o al contrario, osservato, in questi Tempi al roverso del vero senso come sempre ammirato e contemplato…) era
l’inizio dell’Arte.
Tracciare i
contorni dell’organo della vista era l’iniziazione dell’apprendista al
‘mistero’ del suo mestiere ma anche un simbolo dello scopo di quel mestiere:
una sorta di professione stenografica del potere della vista (non ancora del
tutto ulcerata e corrotta).
La
consuetudine di disegnare l’occhio umano doveva essere così radicata
nell’inconscio di un artista da riaffiorare nel pieno della sua maturità, in
forma di scarabocchio o di schizzo casualmente tracciato su un foglio bianco o
su una lastra di recupero.
Un
acquaforte dei primi anni Quaranta mostra su un lato un albero, su un altro una
sezione destra della parte superiore del volto dell’artista, con l’occhio ben
visibile sotto il berretto calcato sulla fronte; ma tra il berretto e l’albero
c’è, del tutto a sé stante e perfettamente tracciato, un secondo occhio:
spalancato vigile, vagamente inquietante.
Una Visione
singolare!
Quando
dipingeva occhi, dunque Rembrandt sapeva ciò che faceva.
Sapeva che
nel repertorio convenzionale del linguaggio dell’occhio a disposizione
dell’artista non c’era nulla di adeguato a questo momento; certo non bastava
una fissità di occhi di vetro. Perciò per comunicare il senso di un distacco
creativo, quel ‘sonno’ nella veglia che fin dai tempi di Platone gli autori
paragonavano ad una sorta di trance sciamanico, opta per l’oscuramento.
Per il silenzio!
La Parola
più comunemente usata per indicare quella situazione interiore era ingenium, o inventio, quel Divino Elemento,
cioè, senza il quale mestiere e disciplina non erano che bassa manovalanza.
Quel Divino
Elemento, cioè, senza il quale la Vita non avrebbe il perenne Studio da cui per
ultimo l’uomo…
Solo l’ingenium distingueva chi era straordinariamente dotato da
chi possedeva un mestiere perfetto.
Ma, a
differenza della perizia tecnica e della pratica, l’ingenium non era cosa che si
potesse acquisire con lo studio. Era una qualità innata e pertanto degna,
letteralmente, di riverente timore:
Dono di Dio!
La Visione
poetica veniva, in condizioni simili al delirio, a coloro che erano benedetti
da quell’occhio interiore…
(S. Schama)
…Per tutti gli altri transitati nel comune Libro
della Storia colma di infamie e ben conservata per ogni Secolo percorso al rogo
della Memoria mai del tutto svelata neppure descritta e narrata qual male antico
unanimemente condiviso in nome e per conto del falso progresso o atroce unanime
apocalittico turpe destino, per tutti gli altri dicevo, ovvero i posseduti dal male
antico, materia avversa allo Spirito, dedico cotal perla affinché sopravviva alle
ceneri in ciò da cui il male si contraddistingue affliggere la Natura e con lei
ogni Opera dell’Ingenium Creata…