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Della conquista (5)
Prosegue al...:
Sant'Elia (7)
Un
più che valido esempio per quanto precedentemente espresso, anche se non
condiviso, risalta alla lettura di questo articolo il quale riporto nei punti
più salienti, circa l’espressa delusione da parte del giornalista per il
compiuto acquisto dell’Alaska, ‘una enorme distesa di Terra senza prospettiva
alcuna’, ove vengono altresì forniti consigli per come sfruttarla così come
potenziarla dal punto di vista del ‘dogma economico’.
Lo
scrivente - in questo specifico caso - funge da anamorfico specchio rispetto
alla trascurata bellezza d’un immenso patrimonio, invidiabile sotto ogni punto
di vista. Distorcendo - o peggio - non comprendendo ove risieda la vera sana
duratura ricchezza circa il bene, vero patrimonio della Immacolata Terra appena
comprata, o sottratta, a simmetrico intento di chi - e ancor peggio - ha
provveduto alla vendita.
I
due soggetti rendono unico il ‘dogmatico’ pensiero riflesso nella dottrina
economica precedentemente
disquisito (quale vera patologica distorsione caratteriale dell’essere ed
appartenere alla Terra), premettendo la successiva corsa
all’età dell’oro. Così assistiamo inermi alla disfatta dell’età agognata sino
alla grotta d’una miniera, là ove molti o troppi si accalcano per il bene della
borsa.
In Europa le cose non vanno sicuramente meglio, l’alpinismo, così come gli intrepidi viaggi polari della nuova corsa all’inviolato primato della conquista, assommati alla sempre più pressante ricerca di Cime altrettanto inviolate (popolate solo da miseri Dèi e Dèmoni venerati in Terra scalzati e puniti del Sacro Santo diritto di contemplare ed essere contemplati come adorati; ammirare e pregare la rara bellezza, divenuta, a Ragione, Rito), rendono ugual oro quotato in medesima borsa.
La simmetria non muta prospettiva e forma dell’anamorfica vista che corre da un fiume o una vena sino ad una inviolata Vetta, ruotando coordinate e latitudini di medesimi intenti, il dio del Fiume come la sacra Dèa della montagna, moriranno per ugual cieca mano. La qual mano si accompagna all’approssimata vista prossima alla cecità assoluta come un nuovo Omero in nome e per conto del progresso indicare il Viaggio da compiersi per rinnovare l’antica età dell’oro, oppure, da non compiersi affatto, meglio dedicarsi in alternativa alla caccia…
Ma l’articolo si presta ad altre considerazioni circa il progresso e il rapporto che l’uomo svela pur non volendo, con la bellissima diletta Natura, non men della Beatrice che in tal senso sprona la dovuta e retta Ragione senza più cagione alcuna….
I
due Imperi hanno concluso un affare, la Russia dello zar non dissimile dalla
nuova America colonizzata, in procinto anch’essa ad una perenne trasformazione,
sono i termometri barometrici e psicologici di un eterno clima della medesima
ugual Storia, a conferma per quanto affermato, circa un sofferto rapporto, e
non solo politico che li divide e in qual tempo unisce, fra l’uomo e la sua
amata odiata Natura, conquistata e da conquistare (o meglio: violentare)
ancora.
La
dottrina economica compie l’inesorabile corso della Storia. Pochi i credenti
profeti che ammirano tutt’altro Spirito!
Non
introduco - ulteriori saccenti dotte inutili complesse - argomentazioni…, chi
sa cogliere la velata sottigliezza comprende molto più di tante troppe parole
per quanto fin hora ed allora (da pochi) detto e scritto…
(Giuliano)
LA TERRA DELLE PELLICCE:
Nel 1867 il governo
degli Stati Uniti, per un pagamento alla Russia di circa un milione e mezzo di
sterline, ricevette in cambio lo strano e isolato paese dell’estremo nord noto
come Alaska, separato da mille miglia
di territorio coloniale britannico dalla frontiera repubblicana. Per alcuni
anni ci furono conflitti costanti con gli indiani, e nel complesso la storia
antica dell’occupazione americana dell’Alaska non è brillante. Gli speculatori
di San Francisco che erano stati attratti dalle speranze di oro e di incalcolabili
ricchezze nelle foreste e nella pesca furono terribilmente delusi, e la maggior
parte di loro a poco a poco se ne andò di nuovo.
Una
semplice occhiata alla mappa dà appena un’idea dell’enorme estensione
superficiale di questo possesso periferico dei nostri cugini americani. Secondo
il rapporto speciale dei commissari del censimento degli Stati Uniti, al quale
siamo principalmente debitori per i fatti riportati in questo articolo, l’area
totale dell’Alaska è di cinquecentotrentunomilaquattrocentonove
miglia quadrate, o circa un sesto dell’intera area degli Stati Uniti.
Ma
entoventicinquemiladuecentoquarantacinque
miglia quadrate sono interamente all’interno del circolo polare artico, un’area
che raramente è stata attraversata dall’uomo bianco, e sui cui confini costieri
ci sono alcuni villaggi eschimesi. I nativi di questi, è triste apprendere, si
deteriorano e ammalano rapidamente a causa del commercio con gli equipaggi dei
balenieri che d’estate si recano nei dintorni e cercano solo di barattare i
prodotti naturali, sotto forma di pellicce olio e avorio, per poi rimanere
intossicati, se non addirittura alcolizzati, dai frequenti pagamenti che avvengono
con infimo whiskey.
L’immensa
area della divisione settentrionale dell’Alaska è lasciata all’orso e alla
volpe, alla renna e ad altri animali polari, e da qualche parte a circa tremila
eschimesi degradati.
La
più grande divisione geografica dell’Alaska
è quella che i funzionari degli Stati
Uniti hanno chiamato la sezione dello Yukon.
È così chiamato perché comprende la valle del fiume Yukon, considerato il più grande fiume d’America, se non del
mondo, e che scarica nel Mare di Behring un volume d’acqua stimato in circa un
terzo in più rispetto a quello del Mississippi.
La divisione dello Yukon comprende centosettantaseimilasettecentoquindici miglia quadrate ed è abitata da quattromiladuecentosettantasei eschimesi, duemilacinquecentocinquantasette indiani Athabaskan, diciotto bianchi e diciannove creoli... totale, seimilaottocentosettanta.
L’occupazione
degli indigeni è interamente quella di cacciare animali dalla pelle di
pelliccia, che barattano con i bianchi per zucchero, farina, tè, stoffa,
ferramenta, ecc. Si dice che il valore in denaro delle pelli barattate sia di
circa quindicimila sterline all’anno. Le volpi sono le principali fonti di
ricchezza di questo distretto e se ne trovano di tutte le sfumature, dal grigio
argento e nero al rosso e bianco come la neve. Accanto a queste per importanza
sono le pelli di faina (o di zibellino) e di lontra terrestre; e poi, ma in
misura molto minore, quelli degli orsi neri e bruni. Le pelli di alce e di
cervo sono tutte conservate dagli indigeni per i propri scopi, per vestiti,
biancheria da letto, ecc.
Tutte le isole nelle acque dell’Alaska sono montuose, alcune delle altezze salgono da quattromila a ottomila piedi; ma l’intero territorio è privo di alberi. Il terreno è un misto di terriccio, argilla e detriti vulcanici; ed erbe di ogni specie crescono in grande abbondanza. Il carbone è stato scoperto nell’isola di Ounga; ma questa è l’unica ricchezza mineraria ancora scoperta, sebbene la ‘propensione’ sia stata coltivata per anni. Il carbone è di pessima qualità. Il clima di questa divisione è più temperato di quello degli altri distretti, e un tempo si pensava che le erbe ricche potessero consentire l’allevamento del bestiame su una scala considerevole.
I
lunghi inverni, tuttavia, si sono rivelati impraticabili; ed è stato scoperto
che il fieno, anche, può essere importato da San Francisco più economico di
quanto possa essere coltivato e curato sul posto. L’unica parte in cui il
bestiame è tenuto dai sacerdoti e dai commercianti bianchi è a Oonalashka, e il
fatto è interessante in quanto indica il pericolo di affidarsi a descrizioni
poetiche dei luoghi. Thomas Campbell,
si può ricordare, parla circa ‘il pilota’ che guida la sua barca dove
Freddo nella sua mezzanotte guarda le
brezze soffiare
Da rifiuti che sonnecchiano nella
neve eterna;
E aleggia attraverso il tumultuoso
ruggito dell’onda,
Il lungo ululato del lupo dalla riva
di Oonalashka.
Le isole Aleutine sono ben popolate; e il popolo è semicivile, i russi hanno con loro rapporti, insediamenti e missioni tra loro da più di un secolo. Le dame delle Aleutine, infatti, i cui signori si sono arricchiti con la pesca delle foche, possono persino sfoggiare sete nelle grandi occasioni, e mostrano in ogni momento una passione per i nastri e i gioielli di ‘commercio’. Solo gli eccezionalmente ricchi, tuttavia, possono permettersi cuffie o cappelli. Gli uomini sono particolarmente affezionati ai berretti a corona larga e a fascia rossa delle uniformi russe, che furono i primi esempi di abbigliamento civile mai visti sulle loro coste.
Le
acque sono ricche di pesci di ogni genere; ma l’industria più importante è la
pesca delle foche che ora è condotta in affitto dal governo degli Stati Uniti,
che ne mantiene il monopolio e può permettersi notevoli commerci di pelli così
da rendere la moda ancora viva e orgogliosa dei suoi cappellini e cuffie alla
maniera russa.
Per
riassumere, si può dire che l’acquisizione dell’Alaska da parte degli americani è stata una grande delusione per la
loro economia. Pensavano che sarebbe stato un ottimo distretto per insediamenti
estesi per scopi agricoli, e il paese, come abbiamo visto, è del tutto inadatto
quasi ovunque a tali scopi. Poi fecero sogni luminosi di ricchi giacimenti
minerari; ma sebbene oro, argento e carbone siano stati trovati e parzialmente
lavorati, l’industria mineraria è una caratteristica secondaria della ricchezza
dell'Alaska.
L’estensione delle foreste, tuttavia, è stata riscontrata maggiore di quanto previsto. Su questo punto il Commissario degli Stati Uniti così ci aggiorna:
“Il
legname dell’Alaska... riveste le ripide colline e versanti montuosi, e strozza
le valli dell’Arcipelago Alexander e la contigua terraferma: si estende, meno
fitto, ma comunque abbondante, lungo l’inospitale distesa di territorio che si
estende dalla testata di Cross Sound alla penisola di Kenai, dove, scendendo a
ovest e a sud-ovest fino alla metà orientale dell’isola di Kadiak, e da lì
attraverso lo stretto di Shelikhof, si trova sulla terraferma e sulla penisola
confinante con la stessa latitudine; ma è confinato all’interno opposto a
Kadiak, non scendendo verso la costa fino all’est di Capo Douglas. Dall’interno
della penisola, si troverà che la linea di legname su tutta la grande area dell’Alaska
segue la linea costiera a distanze variabili da cento a centocinquanta miglia
dalla costa, fino a raggiungere la sezione dell’Alaska a nord della foce dello
Yukon, dove una parte della costa del Norton Sound è direttamente delimitata da
legname fino a Cape Denbigh a nord. Da questo punto verso est e verso nord-est,
una linea può essere tracciata appena sopra lo Yukon e i suoi immediati affluenti
come i limiti settentrionali del legname in una misura considerevole.
Ma sebbene l’area coperta da alberi sia così enorme, il valore di mercato del legname non è così grande come si potrebbe immaginare. Il più pregiato è il cedro giallo; ma questo non è così abbondante come l’abete rosso o l’abete, e anche quello non è della migliore qualità.
Più
importante del legname è il prodotto delle acque, perché si dice che nei mari
che bagnano le coste dell’Alaska non ci siano meno di settantacinque specie di
pesci da mangiare.
Ma
la vera ricchezza attualmente dell’Alaska risiede nell’abbondanza dei suoi
animali dalla pelle di pelliccia. Fu per il commercio di pellicce che i russi
occuparono il paese dopo che fu scoperto da Behring, e fu principalmente per il
commercio di pellicce che gli americani lo acquistarono dalla Russia. L’entità
degli scambi si è rivelata addirittura maggiore di quanto previsto al momento
del trasferimento. Le spedizioni di pelli di lontra marina e di foca da
pelliccia da sole sono più che raddoppiate dal
1867, e ora hanno un valore medio annuo di circa trecentomila sterline.
Delle pellicce di terra, come vengono chiamate, l’elenco è lungo, e nell’ordine di ampiezza di distribuzione si può dare così: lontra terrestre, castoro, orso bruno, orso nero, volpe rossa, volpe argentata, azzurra e volpe bianca, visone, faina, orso polare, lince e topo muschiato. Sono comuni anche conigli, marmotte e ghiottoni, ma le pelli sono conservate dagli indigeni. Il valore annuo delle pellicce, mare e terra, ora ottenuto dall’Alaska è stimato in media di circa mezzo milione di sterline, e non vi è alcun segno di diminuzione della resa. Al contrario, la concorrenza dei commercianti di pelli ha stimolato gli indigeni ad una maggiore industria nella caccia; mentre i prezzi ora pagati ai cacciatori sono da quattro a dieci volte superiori a quelli correnti durante la dominazione russa.
(Gennaio 1866)
BREVE
EPILOGO:
La
mattina del 24 gennaio 1855, Henry
Thoreau si sedette con il proprio diario a riflettere su come Concord, la
sua terra natale, era stata modificata da più di due secoli di colonizzazione
europea. Aveva letto da poco il libro ‘New
England’s Prospect’ nel quale il viaggiatore inglese William Wood narrava
il proprio soggiorno del 1633 nel New
England meridionale descrivendo il paesaggio ai lettori inglesi.
Ora
Thoreau tentò di stabilire quanto il
Massachusetts di Wood fosse diverso dal suo. I cambiamenti sembravano veramente
radicali. Iniziò dai prati che, scrisse, ‘a quel tempo sembravano crescere più
rigogliosi’. Anche le fragole, se le descrizioni di Wood erano precise, erano
state più grosse e abbondanti ‘prima che i campi coltivati non le
costringessero in spazi angusti’. Alcune arrivavano a misurare almeno tre
centimetri di diametro ed erano così numerose che se poteva raccogliere mezzo
staio in una mattina.
Altrettanto abbondanti erano l’uva spina, i lamponi e, in modo particolare, i ribes dei quali, pensò Thoreau, ‘così tanti scrittori del passato hanno narrato, mentre così pochi tra i moderni ne trovano allo stato selvatico’. Nel 1633, le foreste del New England erano state molto più estese e gli alberi molto più grandi. Sulla costa, dove gli insediamenti indiani erano stati maggiormente vasti, i boschi erano apparsi ai primi coloni inglesi più aperti, simili a parchi, senza sottobosco e senza vegetazione cedua, così comuni invece nella Concord del XIX secolo.
Per
poter ammirare una simile foresta, secondo Thoreau,
sarebbe stato necessario organizzare una spedizione fino al Maine, dove si
trovava l’unico ‘esemplare ancora esistente di essa’. Le querce, gli abeti, i
prugni e i liriodendri erano comunque tutti, a suo dire, meno numerosi di
quanto non lo fossero stati ai giorni di Wood. Nonostante la foresta fosse
stata molto ridotta al suo stato originario, la maggior parte delle specie
degli alberi erano rimaste.
Non si poteva dire lo stesso per gli abitanti del regno animale. L’elenco di Thoreau delle specie scomparse era desolante: ‘L’orso, l’alce, il cervo, il porcospino, il leopardo delle nevi, il lupo vorace, il castoro, e la martora’. Non solo se ne erano andati i mammiferi terrestri; anche il mare e l’aria sembravano più vuoti. Un tempo si potevano catturare due o trecento esemplari di pesce persico in una sola volta. La riproduzione delle alose era stata ‘quasi incredibile’. Nessuno di questi pesci era ormai presente in tale abbondanza.
Circa
gli uccelli, Thoreau scrisse:
‘Le aquile sono probabilmente meno
comuni; sicuramente i piccioni i fagiani sono scomparsi e i tacchini. Probabilmente
allora vi erano stati più gufi, e cormorani, e poi uccelli marini in genere, e
cigni’.
Se una volta Wood poteva affermare che era possibile acquistare per cena un cigno appena preso al prezzo di sei scellini, Thoreau non poteva che scrivere sbigottito:
‘Pensateci!’
Vi è una sorta di malinconia in questa lista di Thoreau, il lamento di un romantico per un mondo incorrotto di tempi passati e ormai perduti. Il mito di un’umanità perduta in un mondo perduto è sempre molto presente negli scritti di Thoreau, e risulta maggiormente percepibile nella sua descrizione del paesaggio antico.
Un
anno dopo il suo incontro con il New England del1633 di William Wood, Thoreau
ritornò alle sue lezioni con un linguaggio più esplicitamente morale.
‘Quando penso’,
scrisse
‘che qui gli animali più nobili sono stati sterminati il puma, la pantera, la lince, il ghiottone, il lupo, l’orso, l’alce, il cervo, il castoro, il tacchino e altri ancora – non posso che sentirmi come se vivessi in un paese addomesticato ed evirato rispetto al suo stato originario’.
(W. Cronon)
A sera, su un mare squallido,
ho visto una montagna alzare la testa
canuta
per guardare con sguardo fisso il
cielo vicino.
La terra era fredda e immobile.
Non si udiva alcun suono tranne
le voci oniriche del mare
addormentato.
La montagna strinse il suo grigio
manto di nubi,
come senatore romano, eretto e
vecchio,
alzando in alto una fronte seria e
calma,
con lo sguardo rivolto verso l’alto
intento di ferma fede.
Il cielo era scuro; nessuna luce
gloriosa brillò
a coronare la fede della montagna;
che non vacillò,
ma, sempre fiducioso, attese
pazientemente.
Al mattino ho guardato di nuovo. L’attesa
sedeva
di gloria immanente sulla cima della
montagna.
E, in un attimo, ecco! è arrivata la
gloria!
La mano di un angelo arrotolò una nuvola
cremisi.
Una luce rossa e profonda di tono e
potenza meravigliosi -
Una corona di splendore
ineguagliabile - adornava la sua testa,
Maestosa, regale, pura come il Cielo,
ma calda
Con amore terrestre. Un movimento,
come un cuore
con un ricco battito di sangue,
sembrava oscillare e pulsare,
con potenza di estasi, il picco di
granito.
Era un poema grandioso dell’Amore
Divino -
Un inno, dolce e forte, di lode a Dio
-
Un grido di vittoria dai campi
sterili della morte.
Il suo sguardo era ancora verso il cielo,
ma anche verso la terra -
Perché l’amore non cerca il proprio,
e la gioia è piena,
solo quando è più gratuita. Il sole
rifulse,
e ora la montagna si tolse la sua
corona di rubini
Per uno dei diamanti. Eppure la luce
scorreva verso il basso;
Non più freddo e cupo, il mattino
risplendeva di
calore e luce, e nuvole di colore
infuocato
Ammantavano il gelido ruscello del
ghiacciaio di cristallo,
E tutto il paesaggio palpitava di
gioia improvvisa.