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Spero (2)
& il testamento di Spero,
ovvero il capitolo quasi completo [3]
Seguito dall'ascensione della Vergine (4)
Tuttavia
cos’è, dopo tutto, ciò che noi chiamiamo scienza?
Che
v’ha mai che non sia scientifico nella natura, e dove sono i limiti dello
studio positivo?
La
carcassa d’un uccello ha essa, a vero dire, un carattere più scientifico delle
sue piume dai luminosi colori e del suo canto dalle modulazioni sì delicate?
Lo
scheletro d’una bella donna è dunque più degno d’attenzione della sua struttura
complessa di nervi e muscoli e della forma vivente?
L’analisi
delle commozioni dell’animo non è dessa scientifica?
Non è scientifico l’indagare se veramente l’anima può vedere da lungi e in qual modo?
E
poi che cos’è mai questa strana vanità, questa ingenua presunzione d’immaginarci
che la scienza abbia detto l’ultima sua parola, che ormai si conosca tutto ciò
che v’ha di adeguato alla nostra mente, e che siano i nostri cinque sensi
sufficienti per apprezzare la natura dell’universo?
Dal
fatto che noi annoveriamo fra le forze che agiscono intorno a noi, l’attrazione,
il calore, la luce, l’elettricità, si può forse dedurre che non si abbiano
altre forze che sfuggono alla nostra attenzione pel solo motivo che non abbiamo
sensi per percepirle?
Non è quest’ipotesi che è assurda; è la scipitaggine dei pedagoghi e dei classici. Noi sorridiamo delle idee degli astronomi, dei fisici, dei medici, e dei teologi d’or son tre secoli, e fra altri secoli, i nostri successori nelle scienze non sorrideranno alla loro volta delle affermazioni di coloro che pretendono tutto conoscere?
Due
cervelli che vibrano all’unisono, a molti chilometri di distanza, non possono
dunque essere commossi da una stessa forza psichica?
La
commozione partita da un cervello non può forse, attraverso l’etere, come l’attrazione,
andare a colpire il cervello che vibra ad una distanza qualsiasi, come fa un
suono che, attraverso una camera, va a far vibrare le corde d’un clavicembalo o
d’un violino?
Non
dimentichiamo che i nostri cervelli sono composti di molecole che non si
toccano e che sono in vibrazione perpetua.
E per qual motivo parlare di cervelli?
Il
pensiero, la volontà, la forza psichica, qualunque sia la sua natura, non può
dunque agire a distanza sopra un essere che gli è congiunto pei vincoli simpatici
e indissolubili della parentela intellettuale?
Le
palpitazioni d’un cuore non si trasmettono esse subitamente al cuore che batte
all’unisono col nostro?
Dobbiamo
noi ammettere, nei casi d’apparizione citati più sopra, che lo spirito del
morto abbia realmente preso una forma corporea in vicinanza all’osservatore?
Nella
maggior parte dei casi quest’ipotesi non parrebbe necessaria. Durante i nostri
sogni, noi crediamo di vedere cose e persone che non stanno per nulla davanti
ai nostri occhi, d’altronde chiusi. Noi le vediamo perfettamente, come in pieno
giorno e parliamo ad esse, e le ascoltiamo e conversiamo a lungo con loro.
Certamente non è né la nostra retina né il nostro nervo ottico che le vede, come non sono le nostre orecchie che ce le fanno intendere.
Solo
le nostre cellule cerebrali sono in giuoco.
Talune apparizioni possono essere obbiettive,
esterne, sostanziali; altre possono essere soggettive, e in quest’ultimo caso l’essere
che si manifesta agirebbe a distanza sull’essere che vede, e quest’influenza
sul suo cervello determinerebbe la visione interiore, la quale parrebbe
esteriore, come nei sogni, ma può essere puramente soggettiva e interiore.
Allo
stesso modo che un pensiero, un ricordo risvegliano nella nostra mente un’immagine
che può essere assai evidente e vivissima, così del pari un essere che agisce
sopra un altro può far apparire in lui un’immagine che gli darà per un istante
l’illusione della realtà.
Si ottengono al giorno d’oggi sperimentalmente questi fatti negli studi d’ipnotismo e di suggestione, studi che non sono ancora neppure iniziati e danno nondimeno risultati certamente degni della maggior attenzione, tanto dal punto di vista psicologico quanto da quello fisiologico.
Non
è già che la retina sia colpita da qualche cosa di effettivamente reale, ma
sono gli strati ottici del cervello che appaiono eccitati da una forza
psichica. È l’essere mentale stesso che riesce impressionato, ma in qual modo,
lo ignoriamo.
Tali
sono le condizioni più razionali che parrebbero essere le naturali conclusioni
dei fenomeni dell’ordine di quelli di cui abbiamo discorso, fenomeni
inesplicabili ma antichissimi, in quanto che la storia di tutti i popoli, fino
dalla più remota antichità ce ne ha tramandato esempi che riuscirebbe difficile
il negare o il togliere di mezzo.
Ma che, si dirà, dobbiamo noi, possiamo noi, nel nostro secolo di metodo sperimentale e di scienza positiva ammettere che un morente, od anche un morto, possa comunicare con altri?
E che cos’è un morto?
Muore
un essere umano ad ogni minuto secondo su tutta la faccia del globo terrestre, ossia
all’incirca 86400 per giorno, ossia, ad un dipresso, 31 milioni per anno, o più
di 3 miliardi per secolo. Nello spazio di dieci secoli, più di 30 miliardi di
cadaveri furono affidati alla terra e resi alla circolazione generale sotto
forma di prodotti diversi, acqua, gas, vapori, ecc. Quando si tenga conto della
diminuzione della popolazione umana a misura che noi risaliamo lungo le età
storiche, noi troviamo che da diecimila anni duecento miliardi di corpi umani
almeno sono stati formati dalla terra e dall’atmosfera mediante la respirazione
e l’alimentazione, e vi sono ritornati. Le molecole d’ossigeno, d’idrogeno, d’acido
carbonico, d’azoto che hanno costituito quei corpi concimarono la terra e
furono rese alla circolazione atmosferica.
Sì,
la Terra che noi abitiamo è oggidì formata in parte di quei miliardi di
cervelli che hanno pensato, di quei miliardi d’organismi che hanno vissuto.
Noi camminiamo sui nostri avi com’essi si librano su di noi. Le fronti dei pensatori, gli occhi che hanno contemplato, sorriso, pianto, le bocche che si schiusero ad inni d’amore, le labbra rosee e i seni di una bianchezza di marmo, le viscere delle madri, le braccia degli operai, i muscoli dei guerrieri, il sangue dei vinti, i fanciulli e i vecchi, i buoni e i cattivi, i ricchi e i poveri, tutto quanto ha vissuto, tutto quanto ha pensato, giace nella medesima terra.
Sarebbe
difficile in oggi il fare un solo passo sul pianeta senza camminare sulle
spoglie dei morti, come riuscirebbe difficile il mangiare ed il bere senza
assorbire ciò che già fu mangiato e bevuto le migliaia di volte, e respirare senza
incorporarsi il soffio dei morti.
Gli
Elementi costitutivi dei corpi tolti alla natura fecero ritorno alla natura, e
ognuno di noi porta in sé stesso atomi che appartennero precedentemente ad
altri corpi.
Orbene, pensate voi che sia quella tutta l’Umanità?
Pensate
voi ch’essa non abbia nulla lasciato di più nobile, di più grande, di più
spirituale?
Ognuno
di noi non rende dunque all’universo, esalando l’ultimo sospiro, che da
sessanta a ottanta chilogrammi di carne e d’ossa che si disaggregheranno e
faranno ritorno agli elementi?
L’anima
umana che ci dà vita non dimora essa in noi all’ugual titolo d’ogni molecola d’ossigeno,
d’azoto o di ferro?
E tutte le anime che vissero non
esistono esse sempre?
Noi non abbiamo alcun diritto d’affermare che l’uomo sia unicamente composto d’elementi materiali, e che la facoltà di pensare non sia che una proprietà dell’organismo. Abbiamo, all’incontro, le ragioni più intime e prevalenti per ammettere che l’anima è un’entità individuale, e che è dessa che regge le molecole per organizzare la forma vivente del corpo umano.
Che
divengono le molecole invisibili e intangibili che hanno composto il nostro
corpo durante la vita?
Esse
vanno ad appartenere ad altri corpi.
Che
divengono la anime egualmente invisibili e intangibili?
Si può pensare che esse pure si
reincarnino in nuovi organismi, ognuna secondo la sua natura, le sue facoltà il
suo destino.
L’anima appartiene al mondo psichico.
Senza dubbio vi sono sulla Terra innumerevoli serie d’anime ancor rozze, ottuse e appena digrossate dalla materia, incapaci di concepire le realtà intellettuali.
Ma
ve ne sono altre che vivono nello studio e nella contemplazione, intente a
riprodurre ed a svolgere in loro il mondo psichico o spirituale. Quelle anime
non possono rimanere imprigionate sulla Terra, ed è loro destino di vivere nella
vita Superiore e Eterna.
L’anima
Superiore vive, anche durante le sue incarnazioni terrestri, nel mondo dell’assoluto
e del divino. Essa sa che, pur abitando la Terra, vive in realtà nel cielo, e che
il nostro pianeta è un astro del cielo.
Qual’è la natura intima dell’anima, quali sono i suoi modi di manifestarsi, quand’è che la sua memoria diviene permanente e mantiene con certezza l’identità cosciente?
Sotto
quali diversità di forme e di sostanze può essa vivere, quale estensione di
spazio può essa valicare, qual’è l’ordine di parentela intellettuale che esiste
fra i diversi pianeti d’un egual sistema, qual è la forza germinatrice che
dissemina i mondi?
Quand’è
che potremo metterci in comunicazione colle patrie vicine o ci sarà dato di
penetrare nei profondi segreti dei destini umani?
Mistero e ignoranza su tutto ciò al giorno d’oggi.
Ma l’ignoto di ieri è la verità del domani.
Fatto d’ordine storico e scientifico assolutamente incontestabile, e in tutti i secoli e fra tutti i popoli, e sotto le apparenze religiose le più diverse, l’idea dell’immortalità riposa invulnerabile nel fondo della coscienza umana. L’educazione le ha dato mille forme, ma non l’ha inventata, ché questa idea incancellabile esiste per se stessa.
Ogni
essere umano, venendo alla luce porta seco, sotto una forma più o meno vaga,
questo sentimento intimo, questo desiderio, questa speranza.
Il
mio pensiero era adunque stato a lungo intento intorno a questi antichi
argomenti, allorché un giorno in una passeggiata solitaria sul limitare d’un
bosco, dopo alcune calde ore di luglio, essendomi seduto ai piedi d’un
boschetto di querce, non tardai ad assopirmi. Il calore era soffocante, il
paesaggio silenzioso e la Senna sembrava essersi soffermata come un canale in fondo
alla valle. Io fui stranamente sorpreso, risvegliandomi dopo un istante di
sonnolenza, di non più riconoscere quel tratto di paese, né gli alberi vicini, né
il fiume che scorreva ai piedi della costiera, né la prateria ondulata che
andava a perdersi nel lontano orizzonte.
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