CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

martedì 7 dicembre 2021

GLI EREDI DELLA SOLITUDINE

 























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….Dedicato a tutti coloro che hanno lasciato momentaneamente la presente vita - o il Sentiero - in attesa di riprendere assieme il cammino… 

 



Lo....  è la sede umana permanente più elevata del gruppo Ortles-Cevedale e una tra le più elevate del Tirolo del sud. Vi si arriva per il sentiero che risale la costa del monte in sponda sinistra del Plima, nell’alta Val Martello, al cospetto di uno sterminato rosario di monti, di valli e di lavine.

 

E’ un itinerario faticoso, ma ossigenante e didattico perché alla ginnastica, che costringe a fare, unisce la meraviglia del contrastato amore dell’uomo per la vita. Infatti, le zone selvagge si alternano a isole coltivate e a lande dove la natura ha preso il sopravvento dopo che l’uomo si è arreso.




L’inverno è giunto improvviso con un paio di grosse nevicate alle quali ha fatto seguito un gelo polare. Unico segnale è il sentiero tracciato affrettatamente dalla gente dei masi tanto che, a uscirvi, si affonda fino all’inguine.

 

Il senso della solitudine è infinito.

 

Si è presi dal timore di offendere il silenzio che è enorme, ossessionante come le cime, altissime, dei monti di contro al cielo.

 

Eppure sembra di udire una continua, lontana nota sonora di corno, che riecheggia in quell’anfiteatro di rocce e di boschi freddi e limpidi come il diamante.

 

Perché?




E’ forse l’humus della storia, mai scritta, degli uomini che hanno sfidato le desolate prode e che è rimasta incisa nel paesaggio provocando un dialogo tra la violenza e l’amore?

 

Ecco là, dove i sentieri si incrociano nella breve conca ai piedi delle rupi, l’uno proseguendo per lo Stallwies, l’altro costeggiando il bosco di Sebel verso Greithof, il ricovero per le pecore.

 

La neve lo ha aggredito da ogni parte.




Suggerisce l’immagine di una sgangherata, lunga capanna di pietre improvvisata da ignoti fuggiaschi sul cammino dell’esodo. Bassa, molto bassa, poggiata al sasso affiorante, ha il tetto a una falda che scende in direzione della china del monte; ha larghe sporgenze di tronchi di legno posti uno sopra l’altro e, infine, larghe porte di assi rozzamente tagliate.

 

D’estate, le grigie fiumane di pecore scorrono sui prati dell’alpe andando da uno stazzo all’altro onde naturalmente fertilizzare i prati.




I luoghi, e i nomi imposti ai luoghi, danno la misura della discreta antropizzazione che non si arresta nelle alte radure dei masi, ma coinvolge la montagna fino al deserto del deserto nivale.

 

Si tratta di una storia umile perché i suoi protagonisti non sono le date e le guerre, né i potenti, né le città, ma povera gente disperata la cui economia era appesa alla bontà o meno del decorso del tempo.

 

Ieri, come oggi.

 

E’ sempre stato così.




E’ per questo che la storia silenziosa della colonizzazione della montagna ha il fascino misterioso del cosmo. A tuffarvisi dentro si vien presi da uno stimolo di esplorazione. Ma se si pone a fuoco il  cannocchiale, prende alla gola e dà le vertigini. Allora i giochi intellettuali e sociali in cui navighiamo assumono la dimensione dell’amaro giro di una danzatrice di ‘tabarin’ e appaiono autentici i sogni fioriti nella solitudine.

 

Essi sono la storia scritta nella natura.

 

E’ il senso dei nomi dei luoghi, dei racconti delle ‘luci’, cioè dell’interrotto rapporto tra morti e vivi, degli esseri benefici e malefici che popolano i boschi, dei fuochi che accendono in certe sere…

 

Vi si ritrovano la secolare vicenda dei masi, l’accanimento, epico, della lotta per la sopravvivenza e l’avvicendarsi delle generazioni ognuna delle quali ha ricevuto e trasmesso qualche cosa di suo. Seguendo, a ritroso, questa specie di filo Arianna, si scopriranno le credenze di popolazioni remote che si sono esaltate o ammorbidite con l’innesto del cristianesimo… 

(Aldo Gorfer, Gli eredi della solitudine)




L’arco alpino rappresenta un complesso di importanza vitale dal punto di vista naturale, storico, culturale e sociale. Punto di passaggio obbligato per le genti che dal nord volevano scendere al sud e viceversa, ha costituito per i popoli confinanti luogo d’incontro di interessi economici e culturali favorendo una vera e propria cultura alpina. L’ambiente alpino immobile per tanti secoli, ha subito in questi anni un deciso attacco da parte delle infrastrutture importate dall’uomo della pianura.

 

L’industrializzazione e la meccanizzazione hanno reso preoccupante l’equilibrio fra uomo e natura in ogni ambiente; ma sulle Alpi, più che altrove, il problema è assai drammatico. Infatti, ogni aggressione contro la natura, si ritorce immediatamente contro l’uomo, così come ogni modificazione delle condizioni di vita dell’uomo hanno un’immediata ripercussione sulla natura che lo circonda. Le Alpi che vengono giustamente considerate per l’Europa, l’ultima oasi di cui può usufruire l’uomo per ritemprarsi della vita stressante delle grandi città, devono essere difese con estrema decisione per evitare il loro completo degradamento.




La regione alpina ha un’alta densità di popolazione: 42 ab. per km2 nel 1971 contro i 33 del 1871; questo dato potrebbe far pensare a un aumento della popolazione nelle zone di montagna, quando invece sappiamo che avviene un continuo abbandono da parte dell’uomo. Si tratta in effetti di un aumento nelle zone di collina al di sotto dei 500 metri di altitudine, dovuto all’estendersi di centri abitati ed economici.

 

In montagna, infatti, fino a 1500 metri, si è registrato un costante calo della popolazione. Interessante è il numero delle persone impiegate nell’industria che è salito dal 35% nel '51 al 42% nel '71; nella zona altitudinale compresa fra i 1700 e i 2000 metri questo aumento è arrivato al 242% e quasi tutti lavorano nell’industria edile.




 Per gli impiegati del settore industriale si riscontrano due tendenze: a Bolzano si è verificato ulteriore aumento del 31%, mentre nella provincia di Vercelli vi è una diminuzione del 21%.

 

Infine, risulta chiaramente che il numero di coloro che lavoravano nell’agricoltura è diminuito fortemente ad eccezione della provincia di Bolzano. Al termine delle relazioni su questo delicato tema, abbiamo riproposto quanto rimosso dimenticato nonché abdicato al cemento armato,  circa la Carta delle regioni alpine da conservare e ancora Maggiormente da proteggere e tutelare.

 

Si tratta di una mappa dell’intero arco alpino sulla quale sono delineate le zone da proteggere e le cui proposte sono state studiate dai sei paesi interessati. Ne è risultato un progetto di proposta che, pur non volendo essere una sintesi della pianificazione del territorio alpino, è tuttavia la rappresentazione grafica di alcuni elementi fondamentali che possono servire per ulteriori studi e ricerche.




La costante tutela vede al lavoro sei gruppi di studio divisi nelle seguenti materie: parchi nazionali, riserve, aree protette; conservazione delle specie; attività agro-silvo-pastorali; sviluppo socio-economico delle popolazioni alpine; turismo; utilizzazione del territorio e delle sue risorse.

 

Una riunione ristretta di esperti ha poi lavorato giorno e notte per condensare i sei lavori presentati dai singoli gruppi e per redigere il documento finale a cui è stato dato il nome di piano d’azione.

 

Sono venute fuori 99 proposte, che non sono poche.

 

Citiamo alcune parti dei punti che ci paiono più significativi: una pianificazione coordinata delle Alpi, considerate come un insieme ecologico unitario, è essenziale per la loro conservazione.




Le Alpi devono essere considerate come una delle zone principali per la fruizione del tempo libero in Europa. Occorre stabilire e rispettare una corretta proporzione fra il numero dei turisti e quello degli abitanti autoctoni, così come è necessario evitare il gigantismo delle attrezzature turistiche.

 

Ogni tipo di sviluppo deve essere deciso con la partecipazione delle comunità locali.

 

La costruzione di residenze secondarie deve essere scoraggiata con misure fiscali adeguate;

 

l’impianto di nuove industrie dovrà seguire ad uno studio ecologico della regione.

 

Si dovranno favorire le attività artigianali che sfrutteranno le risorse locali.

 

Deve essere favorito il restauro delle costruzioni tipiche o di interi villaggi.

 

La gestione delle risorse naturali delle regioni alpine deve restare in mano alle popolazioni locali.

 

Si dovrà provvedere a migliorare la situazione finanziaria degli agricoltori di montagna.

 

È necessaria una rete stradale forestale, ma sarà vietata ai turisti e riservata ai residenti; e ne potranno invece godere le comunità rurali isolate.

 

I territori alpini di proprietà pubblica devono essere dichiarati inalienabili in modo da evitare ogni tipo di speculazione.

 

La raccolta di esemplari di flora, fauna, minerali e fossili, deve essere regolamentata.

 

Infine, riprendiamo per esteso il punto 99 che riunisce un po’ la politica da attuare secondo i suggerimenti del convegno:

 

Affinché i tentativi di pianificazione non vengano superati e resi inutili dal rapido progredire di un’urbanizzazione irrazionale, un regolamento di salvaguardia dovrebbe, per la durata di almeno due anni:

 

a) sottoporre a blocco temporaneo ogni nuovo insediamento, come edifici d’abitazione, installazioni idroelettriche e miniere ecc., nelle zone extraurbane, eccettuati quelli necessari alle tradizionali attività agro-silvo-pastorali;

 

b) promuovere al tempo stesso il restauro del patrimonio immobiliare sia all’interno, sia all’esterno dei centri urbani.









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