Prosegue con il
Manoscritto
ritrovato (43)
E più o meno
negli stessi anni
con il Censimento [44]
Il regno del Ponto ebbe origine nel IV secolo a.C. sulla costa meridionale del Mar Nero e presto conquistò gran parte dell’Anatolia nord-orientale e della Cappadocia. Nel 104-3 aC Mitridate VI annesse Kolkhis al suo regno e lo fece una delle sue province. Non molto tempo dopo, parti della Piccola Armenia furono incluse come bene. Mitridate e Tigran II il Grande d’Armenia avevano molto in comune entrambi volevano espandere i loro regni, ma capirono che sarebbe stato meglio collaborare con che ostacolarsi a vicenda.
Mitridate si concentrò
quindi sull’Asia Minore, la costa del Mar Nero e la Grecia,
mentre Tigran si è concentrò sulla Persia e la Siria; al fine di
rafforzare la loro unione politica e militare, Tigran sposò la figlia di Mitridate,
e questo, insieme alla rapida espansione dei due regni, interrompono
temporaneamente l’avanzata di Roma e della Partia.
Entro la fine del II secolo a.C. l’Impero Romano aveva il controllo di un
grande parte dell’Asia Minore, ma non
mostrò un vero interesse per ciò che era più a est, finché il senato romano non
trovò inaccettabile la politica espansionistica di Mitridate VI. Dall’89 a.C.
in poi, il Ponto e l’Impero Romano
furono in perenne stato di guerra tra loro. Tigran
rimase fuori dal conflitto perché in marcia per affrontare i Parti. Nell’85 a.C. i Parti furono costretti a firmare un trattato di pace e cedere
una parte considerevole del loro territorio a Tigran.
Come un risultato di tutte queste conquiste, l’Armenia si estendeva dal Mar Caspio a Kura al Mar Mediterraneo. Tigran costruì una nuova capitale, Tigranakert, nella regione di quello che oggi è Diyarbakir in Turchia. Nel 70 a.C. il generale romano Lucullo occupò tutti i territori di Mitridate a ovest dell’Eufrate e dopo tale sconfitta il re fuggì in Armenia per ricevere protezione da suo genero Tigran il quale si rifiutò di estradare Mitridate, e di conseguenza nel 69 aC i romani attaccarono l’Armenia, con successo. Un anno dopo arrivarono fino alla moderna Yerevan, ma Lucullo dovette tornare a Roma quando le sue truppe si ammutinarono. Mitridate riconquistò la propria terra con un esercito dato da Tigran.
Nel 66 aC Pompeo succedette a Lucullo e continuò la guerra contro Mitridate, alleandosi con i Parti. Mentre Pompeo combatteva contro Ponto, non ci volle molto prima che, sia Mitridate che Tigran il Grande, fossero costretti a fuggire. Mitridate fuggì a Kolkhis e viaggiò fino all’ultima delle sue province, la Crimea, dove morì tre anni dopo. Pompeo si spostò in profondità in Armenia, ma prima che avesse la
possibilità di attaccare la capitale, il re
Tigran chiese umilmente la pace.
Nel 65 a.C. Pompeo inseguì Mitridate fino a Kolkhis, e una volta lì il generale romano volle vedere i luoghi famosi della mitologia greca.
(F. Coene)
IL DIO STRANIERO
Nell’ellenismo
posteriore la trasformazione della cultura profana in cultura religiosa non
seguì uno schema antropologico-matematico di una forma simmetrica dell’invisibile
geometria con la quale edificato il Kosmos Opera di un Architetto, la quale
ruotando attorno al proprio asse mantiene medesima configurazione.
Per la situazione che abbiamo sopra indicato,
il concetto di ellenismo subì un cambiamento significativo.
Nella
tarda antichità l’universalismo indiscusso dei primi secoli ellenistici fu
sostituito da un’epoca di nuova differenziazione, fondata principalmente su
questioni spirituali e soltanto secondariamente di carattere nazionale,
regionale e linguistico. La cultura secolare fu sempre più influenzata da un
atteggiamento mentale che si esprimeva in termini religiosi, fino al punto che
si arrivò allo spezzamento della primitiva unità in tanti campi esclusivi. In
queste nuove condizioni, ellenico,
termine usato come contrassegno all’interno di un mondo già fortemente
ellenizzato, distingueva una causa avversata dai suoi oppositori cristiani o
gnostici, i quali per lingua e forma letteraria facevano non meno parte dell’ambiente
greco.
Su questo terreno comune ellenismo divenne sinonimo di conservativismo e si cristallizzò in una definita dottrina nella quale l’intera tradizione dell’antichità pagana, sia religiosa che filosofica, fu per l’ultima volta sistematizzata.
Sia
i suoi aderenti, sia i suoi oppositori vivevano dappertutto, cosicché il campo
di battaglia si estese a tutto il mondo civilizzato.
Ma
la marea crescente della religione aveva assorbito lo stesso pensiero greco e
trasformato il suo carattere specifico: la cultura secolare ellenistica si mutò
in una cultura con forte accentuazione pagano-religiosa, sia per sua difesa
contro il cristianesimo sia per sua necessità interna.
Ciò
significa che in un’epoca nella quale sorsero le religioni mondiali lo stesso
ellenismo divenne una particolare religione. E fu così che Plotino e ancor più Giuliano l’Apostata concepirono
la loro causa ellenistica, ossia pagana, che nel neoplatonismo fondò poi
una specie di chiesa con i suoi dogmi e la sua apologetica.
L’ellenismo condannato veniva ad assumere l’aspetto di una causa particolare proprio nel suo terreno di origine. Nell’ora del suo crepuscolo il concetto di ellenismo si allargò e si restrinse nello stesso tempo. Si estese nel senso che nella sua ultima delimitazione dovette includere, nella tradizione ellenistica da difendere, anche le creazioni puramente orientali come le religioni di Mitra o di Attis; si restrinse, perché la sua causa divenne una causa di partito, e più ancora, quella di un partito di minoranza.
Tuttavia,
come è stato detto, tutta la lotta si svolse all’interno del mondo ellenistico
e nell’ambito dell’unica cultura e lingua ellenistica universale. Cosicché il
vincitore ed erede in tale lotta, la Chiesa cristiana d’Oriente, fu principalmente
una Chiesa greca: l’opera di Alessandro Magno trionfava anche in questa
disfatta dello spirito classico.
Possiamo di conseguenza distinguere quattro fasi storiche della cultura greca:
1) prima di Alessandro, la
classica fase della cultura nazionale;
2) dopo Alessandro, l’ellenismo come
cultura secolare cosmopolita;
3) l’ellenismo posteriore come
cultura religiosa pagana;
4) il periodo bizantino come
cultura greca cristiana.
Il
passaggio dalla prima alla seconda fase
può essere spiegato in gran parte come uno sviluppo greco autonomo.
Nella seconda fase (300 a.C. - primo sec. a.C.) lo spirito greco fu espresso dalle grandi scuole rivali di filosofia, l’Accademia, gli Epicurei, e soprattutto gli Stoici, mentre nello stesso tempo progrediva la sintesi greco-orientale.
La
transizione da questa alla terza fase,
ossia la trasformazione dell’antica civiltà come un tutto, e con essa del
pensiero greco, in una forma religiosa, su opera di forze profondamente non
greche, sviluppatesi in Oriente, che entrarono nella storia come fattori nuovi.
Tra il prevalere della cultura secolare ellenistica e la posizione finale di difesa del tardo ellenismo divenuto religioso si ebbero tre secoli di movimenti spirituali rivoluzionari che operarono tale trasformazione e tra i quali occupa un posto preminente il movimento gnostico.
(H. Jonas)
…I cristiani affermavano che
a) ciò che contava davvero era un
corretto rapporto con Dio,
b) un corretto rapporto con Dio
richiedeva fede e
c) la fede doveva essere fede in
qualcosa di diverso da una sorta di credenza vaga e astratta nel fatto che le
cose andassero bene (o male) nel mondo, allora i cristiani, con le loro
affermazioni esclusive, dovettero decidere quale doveva essere il contenuto
della loro fede. Che cosa si deve credere esattamente su Dio per andare
d’accordo con lui? Che sia il Dio supremo su tutti gli altri dèi? Che sia
l’unico Dio e che non ne esista nessun altro? Che abbia creato il mondo? Che
prima d’ora non sia mai intervenuto nel mondo? Che abbia creato il male nel
mondo? Che non abbia assolutamente nulla a che vedere con il male? Che abbia
ispirato le Scritture ebraiche? Che queste scritture siano state ispirate da
una divinità minore?
E che cosa si deve credere di Gesù?
Che era un uomo, un angelo, un essere divino? Era un dio, anzi, era Dio? Se
Gesù è Dio e Dio è Dio, come possiamo essere monoteisti e credere in un solo
Dio? E se anche lo Spirito Santo è Dio, allora non avremo tre Dèi? Oppure Gesù
è Dio Padre stesso giunto sulla terra per la salvezza del mondo? Se è così,
allora quando Gesù pregava Dio, stava parlando a se stesso?
E quale aspetto di Gesù ha portato la
salvezza? I suoi insegnamenti pubblici, che, se seguiti, offrono la via per la
vita eterna, o i suoi insegnamenti segreti, destinati solo a chi è più avanzato
spiritualmente, la cui corretta comprensione è la chiave dell’unità di Dio? O
forse la sua vita, che deve essere presa a modello dai seguaci che, come lui,
devono abbandonare tutto ciò che hanno per amore del Regno? O la sua morte
sulla croce? È morto sulla croce? Perché sarebbe morto in croce?
Forse tutte queste domande sono sembrate troppe, ma la loro importanza era eterna. E una volta che si dovette stabilire che cosa si doveva credere (e la cosa aveva tale importanza che ne dipendeva la vita eterna), i dibattiti ebbero inizio e vennero fuori le diversità dei punti di vista. Tutte le diverse posizioni affermavano ovviamente di basarsi sugli insegnamenti di Gesù, anche quella di chi credeva che ci fossero 365 dèi, che Gesù non era davvero un essere umano, che la sua morte fu semplicemente un’astuzia per ingannare i poteri cosmici.
Oggi
potrebbe sembrare assurdo affermare che Gesù e i suoi seguaci terreni abbiano
insegnato queste cose, poiché dopotutto possiamo vedere nei Vangeli del Nuovo
Testamento che non è vero e basta. Ma dobbiamo sempre porci le domande
storiche: da dove abbiamo preso i Vangeli del Nuovo Testamento in origine, e
come facciamo a sapere che sono questi a rivelare la verità sugli insegnamenti
di Gesù e non le decine di Vangeli che non sono entrati nel canone? Che cosa
sarebbe successo se alla fine il canone avesse incluso i Vangeli di Pietro, Tommaso
e Maria invece che Matteo, Marco e Luca?
Dal punto di vista storico colpisce che tutte le forme di Cristianesimo antico cercassero autorità per le proprie idee facendo risalire la loro linea agli apostoli di Gesù. Ovviamente gli scritti di Gesù non furono mai un problema, perché a quanto sappiamo non scrisse mai niente: fu per questo motivo che l’autorità apostolica assunse un’importanza capitale per i primi cristiani. Non ci sorprende, dunque, che in tutti i gruppi, inclusi i proto-ortodossi, fiorirono tante falsificazioni.
Ma
quali sono questi altri gruppi? Si sono esaminate alcune importanti opere dei
primi secoli del Cristianesimo, i Vangeli di Pietro e Tommaso, di Marco segreto
(se è autentico), gli Atti di Paolo Tecla, di Tommaso, di Giovanni, un’Apocalisse
di Pietro e varie altre opere perdute e ora ritrovate, e ne dovremo esaminare
molte altre via via che il nostro studio procede.
Tuttavia non sono solo queste opere a essere importanti: lo sono anche i gruppi sociali che li produssero, li lessero e li venerarono. Ci furono infatti numerosi gruppi nel Cristianesimo antico, molti dei quali proclamavano il significato eterno delle verità teologiche che affermavano, e molti dei quali erano in guerra non solo con le religioni romane che li circondavano e con la religione ebraica da cui derivavano, ma anche tra loro. Queste dispute interne sulla forma di religione “giusta” furono lunghe, dure e talvolta molto aspre.
Una
delle ‘scoperte’ affascinanti compiute dagli studiosi in età moderna è aver
compreso quanto questi vari gruppi cristiani fossero diversi tra di loro,
quanto ognuno di loro sentisse di essere nel giusto e quanto accanitamente
promuovesse le proprie idee contro quelle degli altri. Alla fine solo un gruppo
vinse queste battaglie, ma anche questo gruppo non era un monolito, perché
all’interno dei vasti confini del consenso teologico che riuscì a creare ci
furono immensi territori inesplorati e aree sconfinate di penombra dottrinale,
aree nebbiose dove le questioni rimasero irrisolte fino alla successiva prova
di forza, quando il dogmatismo e la caccia all’eresia portarono a sempre nuovi
dibattiti e risoluzioni parziali.
Non ci immergeremo negli abissi dei dibattiti successivi che sorsero dal IV secolo in poi, perché per molti lettori moderni le loro sfumature sono difficili da apprezzare o da spiegare; concentreremo invece la nostra attenzione sui primi secoli, quando vennero dibattute alcune tra le più importanti questioni della dottrina cristiana antica: quanti dèi ci sono? Il mondo materiale è stato creato dal vero Dio? Gesù era umano, divino o entrambi? Almeno questi punti vennero risolti, portando alle professioni di fede che vengono recitate oggi e alla fissazione del Nuovo Testamento che oggi è letto da milioni di persone in tutto il mondo.
Un
altro gruppo di cristiani viveva nello stesso periodo e godeva della stessa
indesiderata attenzione da parte dei proto-ortodossi, sebbene si trovasse
esattamente all’estremo opposto dello spettro teologico: si trattava dei marcioniti. In questo caso non ci
sono dubbi sull’origine del nome: erano i seguaci dell’evangelista-teologo del II secolo Marcione, noto ai cristiani successivi come uno dei principali
eretici della sua epoca, ma nel complesso uno dei più significativi pensatori e
scrittori cristiani dei primi secoli.
Sui marcioniti siamo meglio informati che sugli ebioniti, perché i loro avversari li ritenevano una minaccia più seria per la stabilità dell’intera chiesa. Come ho già insinuato, i potenziali pagani convertiti al Cristianesimo non facevano certo la fila per entrare nella vita ebionita, che prevedeva la restrizione delle attività il sabato, l’abbandono della carne di maiale e di altri cibi molto amati, e per gli uomini la sottoposizione a un’operazione chirurgica per rimuovere il prepuzio dal pene.
I
marcioniti invece avevano una religione decisamente attraente per molti pagani
convertiti, perché era esplicitamente cristiana senza aver nulla di ebraico;
anzi, tutto ciò che lo era ne veniva rigorosamente escluso. Gli ebrei, riconosciuti
ovunque per usanze che colpivano i pagani nel migliore dei casi come
stravaganti, avrebbero avuto difficoltà a riconoscere nella religione
marcionita una propaggine della propria: non venivano rifiutate solo le usanze
ebraiche, ma anche le Scritture ebraiche e il Dio ebraico.
Dal
punto di vista storico, è interessante che una simile religione potesse
affermare una continuità storica diretta con Gesù.
Poiché il Cristianesimo marcionita era visto come una minaccia importante per la stabilità del movimento proto-ortodosso, gli eresiologi scrissero molto su di esso. Tertulliano, ad esempio, stilò un’opera in ben cinque volumi (Contro Marcione) per attaccare Marcione e le sue idee. Questi libri sono fonti fondamentali per la comprensione del conflitto e vanno integrati con gli attacchi scagliati dai successori di Tertulliano, tra cui Epifanio di Salamina. Bisogna comunque fare la tara a quanto ci viene detto: non si può mai sperare che la versione fornita da un nemico sia un’esposizione onesta e disinteressata, e anche in questo caso le opere di Marcione e dei suoi successori furono a lungo destinate alla spazzatura o ai falò; perciò ancora una volta dobbiamo dedurre molto sulla vita e gli insegnamenti di Marcione dalle fonti polemiche rimasteci.
Marcione nacque intorno al 100 nella città di Sinope, sulla costa meridionale del Mar Nero, nella regione del Ponto. Si dice che suo padre fosse il vescovo della chiesa locale, affermazione indubbiamente possibile, perché spiegherebbe la grande padronanza di Marcione della Bibbia ebraica, che in seguito avrebbe rifiutato, e la sua piena comprensione di alcuni aspetti della fede cristiana fin da una fase precoce della sua vita. Da adulto fu sicuramente ricco, avendo guadagnato come mercante marittimo o forse come armatore.
Notizie più tarde affermano che ebbe uno scontro con suo padre, che provvide ad allontanarlo dalla chiesa; le dicerie vogliono che il motivo fosse che aveva sedotto una vergine. Molti studiosi la interpretano come una seduzione metaforica: Marcione aveva sedotto membri della comunità (la chiesa come vergine di Cristo) con i suoi falsi insegnamenti.
In
ogni caso, pare che nel 139 Marcione
si fosse spostato dalla sua patria, l’Asia Minore, alla città di Roma, che in
quanto capitale e massima città dell’Impero doveva attirare in quel periodo
ogni tipo di persone, e anche ogni tipo di cristiani. Fece una buona
impressione alla chiesa romana, che era già una delle più grandi (se non la più
grande) del mondo, donandole 200.000 sesterzi per la missione. Per quanto
stimato per la sua munificenza, Marcione aveva evidentemente piani più
ambiziosi, ma si tenne nell’ombra ed elaborò la sua strategia nell’arco di
cinque anni esponendo-la in due opere letterarie.
Prima di discutere questi libri, vorrei spendere qualche parola sulla teologia sviluppata da Marcione, che era considerata distintiva, rivoluzionaria e affascinante, e quindi pericolosa. Tra tutti i testi e gli autori cristiani a sua disposizione, Marcione restò colpito soprattutto dalle opere dell’apostolo Paolo, in particolare dalla distinzione da lui operata nella Lettera ai Galati e in altri luoghi tra Legge degli ebrei e Vangelo di Cristo. Come abbiamo visto, Paolo affermava che una persona giunge a Dio solo per mezzo della fede in Cristo, e non agendo in osservanza della Legge. Questa distinzione divenne fondamentale per Marcione, che la rese assoluta: il Vangelo è la buona novella di liberazione, perché comporta amore, pietà, grazia, per-dono, riconciliazione, redenzione e vita; la Legge ebraica, invece, è la cattiva novella, il fattore primo che più di tutto rende necessario il Vangelo, perché comporta comandamenti severi, colpa, giudizio, inimicizia, punizione e morte.
La Legge è data agli ebrei; il Vangelo è dato da Cristo.
Come
poteva lo stesso Dio essere responsabile di entrambe le cose?
In
altri termini, come poteva il Dio iracondo e vendicatore degli Ebrei essere il
Dio amoroso e clemente di Gesù?
Marcione
affermava che questi attributi non potevano appartenete a un solo Dio, essendo
in contrasto tra di loro: odio e amore, vendetta e pietà, giudizio e grazia. Ne
concluse che in realtà dovevano esserci due Dèi: il Dio degli ebrei, che si
trova nel Vecchio Testamento, e il Dio di Gesù, che si trova negli scritti di
Paolo.
Una volta che Marcione giunse a questo principio, tutto il resto venne da sé. Il Dio del Vecchio Testamento era il Dio che aveva creato questo mondo e tutto ciò che è in esso, come descritto nella Genesi; il Dio di Gesù, di conseguenza, non aveva mai avuto a che fare con questo mondo ma vi era intervenuto solo quando Gesù era comparso dal cielo. Il Dio del Vecchio Testamento era il Dio che aveva chiamato gli ebrei a essere il suo popolo e aveva dato loro la Legge; il Dio di Gesù non considerava gli ebrei il suo popolo (erano stati i prescelti dell’altro Dio) e non era un Dio che dettava leggi.
Il
Dio del Vecchio Testamento affermava che si doveva osservare la sua Legge e
penalizzava coloro che non lo facevano. Non era malvagio, ma era severamente
giusto: aveva leggi e infliggeva castighi a chi non le osservava. Questo, però,
lo rendeva necessariamente un Dio iracondo, perché nessuno osservava le sue
leggi alla perfezione: tutti dovevano pagare il prezzo delle proprie
trasgressioni, e il castigo per la trasgressione era la morte. Il Dio del
Vecchio Testamento era perciò completamente giustificato nell’esigere le sue
punizioni e nel condannare tutti a morte.
Il Dio di Gesù era giunto in questo mondo per salvare gli uomini dal Dio vendicatore degli ebrei. In precedenza era sconosciuto a questo mondo e non aveva mai avuto a che fare con esso, perciò Marcione talvolta si riferisce a lui come al Dio Straniero. Neanche le profezie del futuro Messia provengono da questo Dio, perché non parlano di Gesù ma di un prossimo Messia di Israele che deve essere mandato dal Dio degli ebrei, creatore di questo mondo e Dio del Vecchio Testamento.
Gesù
era giunto del tutto inaspettatamente e aveva fatto ciò che nessuno avrebbe mai
potuto sperare: aveva pagato il prezzo dei peccati degli altri uomini per
salvarli dalla giusta ira del Dio del Vecchio Testamento.
Ciò
che sappiamo è che basò il suo intero sistema su alcuni testi sacri che aveva
nella sua chiesa. Tra questi c’erano gli scritti di Paolo, ma non solo.
Tertulliano,
ad esempio, indica che Marcione era particolarmente attratto dal detto di Gesù
che un albero si riconosce dal frutto (cfr.
Luca 6.43-44): i buoni alberi non
producono frutti marci e gli alberi marci non producono buon frutto.
E certamente non sarà improvvisa ma sicuramente intrigante la nuova riscoperta dell’importanza del Vangelo in uso presso Marcione e del suo rapporto con il testo attuale del Vangelo di Luca. Ci si trova di fronte al fascino di dover e di poter ricostruire su basi documentarie ben precise una storia evolutiva non tanto del Canone quanto piuttosto di uno dei testi più importanti tra i Vangeli sinottici.
La
parziale ricostruzione del testo del Vangelo usato da Marcione è resa possibile
a partire dai riferimenti di Tertulliano, Adversus
Marcionem, e di Epifanio di Salamina; oggi si rinnovano gli studi sul
cosiddetto Vangelo di Marcione (titolatura
del tutto equivoca) con soluzioni molto diverse da quelle proposte nel 1921 da Adolf von Harnack.
Tracce
del Vangelo usato da Marcione sono reperibili soprattutto nel Codex Bezae Cantabrigiensis (altrimenti
noto come Codex D), nei codici della Vetus
Latina e nelle versioni siriache sinaitica e curetoniana.
Tra gli studiosi più impegnati in questo ambito vi è Matthias Klinghardt, il cui lavoro è diventato una pietra miliare di confronto e di verifica, soprattutto dal punto di vista metodologico.
Klinghardt
ritiene che il Vangelo di Marcione abbia
una stretta correlazione con il Vangelo
canonico di Luca, nel senso che quello di Luca dipenderebbe da quello di
Marcione (e non viceversa). Tale ipotesi presuppone che si assuma come base di
lavoro il testo del Luca canonico, confrontandolo con una ricostruzione del
Vangelo di Marcione sulla base delle citazioni degli eresiologi (Tertulliano,
Epifanio di Salamina e Adamanzio) e dei codici del Luca canonico nella
recensione occidentale(è ormai assodato che il testo di Marcione non era
connesso con le recensioni codicologiche orientali bensì con quelle
occidentali).
Il problema più ingarbugliato è però
quello riguardante le cosiddette interferenze tra il testo pre-canonico e il
testo canonico…
Che cosa succede se si applica questo principio al Regno di Dio?
Quale
Dio crea un mondo infestato di dolore, miseria, disastri, malattie, peccato e
morte?
Quale
Dio dice di essere quello che crea il male?
Sicuramente
un Dio che è egli stesso malvagio. Ma quale Dio porta amore, pietà, grazia,
salvezza e vita, e che fa ciò che è bello, generoso e buono?
Un
Dio che è buono.
Dunque ci sono due Dèi, e secondo Marcione è Gesù stesso a dirlo. Inoltre, Gesù spiega che nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti gli otri vecchi esplodono e vanno perduti sia gli otri sia il vino (Marco 2.22). Il Vangelo è qualcosa di nuovo comparso nel mondo, e non può essere messo nei vecchi otri della religione ebraica.
Una
volta elaborato il suo sistema teologico, Marcione lo espose nelle sue due
opere letterarie. La prima, intitolata Antitesi
(“affermazioni contrarie”), fu composta da lui stesso, e non è sopravvissuta se
non nelle citazioni fatte dai suoi avversari. Evidentemente era una specie di
commento alla Bibbia in cui Marcione dimostrava le sue idee dottrinarie secondo
le quali il Dio del Vecchio Testamento non poteva essere il Dio di Gesù.
Forse
il libro consisteva in parte di affermazioni antitetiche dirette e mirate che
ponevano in contrasto i due Dèi. Ad esempio, il Dio del Vecchio Testamento dice
al popolo di Israele di entrare nella città di Gerico e uccidere ogni uomo,
donna, bambino a animale nella città (Giosuè 6), ma il Dio di Gesù dice ai suoi
seguaci di amare il loro nemico, di pregare per coloro che li perseguitano e di
porgere l’altra guancia ( Luca 6.27-29).
Si
tratta dello stesso Dio?
Quando Eliseo, il profeta del Dio del Vecchio Testamento, viene preso in giro da un gruppo di ragazzi, Dio gli permette di invocare due orse per attaccarli e sbranarli (2 Re 2.23-24); il Dio di Gesù dice ‘lasciate che i bambini vengano a me’ (Luca 18.15-17).
Si
tratta dello stesso Dio?
Il
Vecchio Testamento dice che l’appeso al patibolo ‘è una maledizione di Dio’
(Deuteronomio, 21.23), ma il Dio di Gesù ordina che lui, il benedetto, venga
appeso a un albero.
Si
tratta dello stesso Dio?
Oggi molti cristiani potrebbero trovarsi d’accordo con le idee di Marcione, visto che spesso si sente ancora parlare di un Dio iracondo del Vecchio Testamento e di un Dio amoroso del Nuovo. Ma Marcione spinse l’idea fino al limite in un modo che molti moderni non potrebbero accettare: per lui c’erano davvero due Dèi, e cercava di dimostrarlo appellandosi al Vecchio Testamento. In questo libro di Antitesi, Marcione mostrava di non voler spiegare questi passi fornendone un’interpretazione figurativa o simbolica: per lui andavano presi alla lettera, e così facendo risultavano in forte contrasto con i chiari insegnamenti di Gesù e con il suo Vangelo di amore e pietà.
La
seconda opera letteraria di Marcione non fu una sua composizione originale ma
una nuova edizione di altri testi. Marcione mise insieme un canone di
Scritture, cioè una raccolta di libri che considerava autorità sacre; anzi,
molti credono che Marcione sia stato il primo cristiano ad aver costruito un
canone chiuso e limitato di testi scritturali, molto prima che venisse
istituito il Nuovo Testamento a noi noto. Alcuni studiosi pensano che la
decisione di Marcione di creare un canone possa aver incentivato gli sforzi dei
cristiani proto-ortodossi a fare altrettanto.
In che cosa consisteva il canone di Marcione?
Innanzitutto,
ovviamente, non includeva alcun libro delle Scritture ebraiche (il Vecchio
Testamento): erano libri scritti dal e sul Dio del Vecchio Testamento, creatore
del mondo e Dio degli ebrei, e non potevano essere testi sacri per coloro che
erano stati salvati dalla sua morsa vendicativa per mezzo della morte di Gesù.
Il Nuovo Testamento era completamente nuovo e senza precedenti.
Il
Nuovo Testamento di Marcione consisteva di undici libri.
La
gran parte era rappresentata da lettere del suo amato Paolo, l’unico
predecessore cui Marcione si potesse affidare per intendere le affermazioni
radicali del Vangelo. Perché, si chiedeva, Gesù tornò sulla terra per
convertire Paolo per mezzo di una visione? Perché non si limitò a far sì che i
suoi discepoli proclamassero il suo messaggio in tutto il mondo? La sua
risposta era: perché i discepoli di Gesù, essendo ebrei, seguaci del Dio
ebraico e lettori delle Scritture ebraiche, non compresero mai correttamente il
loro Signore. Confusi da ciò che Gesù aveva insegnato loro, pensando
erroneamente che egli fosse il Messia ebraico, continuarono a non capire anche
dopo la sua morte e resurrezione, interpretando le parole, gli atti e la morte
di Gesù alla luce della loro lettura dell’Ebraismo.
E così Gesù dovette ripartire da zero e chiamò Paolo per rivelare loro la verità del Vangelo. Ecco perché Paolo dovette scontrarsi con Pietro, discepolo di Gesù, e con Giacomo, fratello terreno di Gesù, come si vede nella Lettera ai Galati: Gesù aveva rivelato la verità a Paolo, e questi altri, in termini molto semplici, non avevano mai capito niente.
Invece
Paolo capì, e fu il solo.
Perciò
Marcione incluse nel suo canone scritturale dieci lettere paoline, tutte quelle
che alla fine vennero incluse nel Nuovo Testamento con l’eccezione delle
lettere pastorali, le due a Timoteo e quella a Tito. Forse non sapremo mai
perché non incluse anche queste tre; probabilmente all’epoca di Marcione non
avevano una circolazione vasta come le altre, e perciò non le conosceva.
Ovviamente
Paolo parla del suo ‘vangelo’, intendendo il suo messaggio evangelico, ma
Marcione credette che Paolo avesse un vero e proprio libro evangelico a sua
disposizione. Di conseguenza incluse nel suo canone un Vangelo che era una
rielaborazione del Vangelo di Luca. Non è chiaro perché abbia scelto proprio
quello di Luca: forse perché il suo autore è tradizionalmente noto come
compagno dell’apostolo Paolo, forse perché mostra grande interesse per i
gentili nella missione di Gesù o forse, ancora più plausibilmente, perché era
il Vangelo con cui crebbe nella sua chiesa originaria di Sinope.
In ogni caso questo Vangelo, insieme alle dieci lettere paoline, formava il canone sacro delle Scritture di Marcione. Persino un canone così breve (solo undici libri e neanche l’ombra del Vecchio Testamento) fu un problema per il suo redattore, perché questi undici libri sembrano affermare che il mondo è una creazione del vero Dio, citano passi del Vecchio Testamento e mostrano legami con l’Ebraismo storico.
Marcione
si rendeva pienamente conto del problema e lavorò duramente per risolverlo.
Secondo lui la ragione per cui questi libri contenevano quei brani non era
affatto che i loro autori si fossero ingannati nel pensare che l’Ebraismo fosse
importante per il messaggio di Gesù; il motivo era un altro: quei brani
problematici erano stati inseriti nelle copie di quelle opere solo dopo la loro
stesura da parte di scribi che continuavano a non capire il vero messaggio di
Gesù.
E
così, per presentare le Scritture nella loro genuina forma originaria, Marcione
fu indotto dalla logica del suo sistema a tagliare i passi che affermavano che
il mondo materiale è una creazione del vero Dio, quelli che citavano il Vecchio
Testamento e quelli che sapevano di Ebraismo.