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L’AUTUNNO DEL 1873
L’autunno
è insolitamente mite, anche se tempestoso e cupo. Il termometro fino al 20 settembre scendeva ogni giorno
qualche grado sotto lo zero, e occasionalmente pioveva. Alla fine del mese la temperatura minima variava da 14° a 5° F., e
la temperatura media del mese era fino a 24,5° F.
La
mitezza della stagione è forse collegata all’insolita recessione della barriera
di ghiaccio a sud; anche se potrebbe essere stata una conseguenza dell’acqua
aperta che si è formata sotto terra durante la deriva dei banchi. La terra
stessa è visibile solo di rado, e su di essa incombevano generalmente pesanti
masse di nuvole blu scuro, tipiche delle latitudini meridionali.
Frequenti
cadute di neve ricoprivano di nuovo tutto intorno a noi. A volte erano visibili
pareli, e questi erano generalmente i precursori della caduta della neve, che
sollevavano profondi cumuli intorno alla nave. I numerosi laghetti sui banchi
di ghiaccio sono ghiacciati di notte anche all’inizio di agosto, e alla fine
del mese ci hanno dato notevoli difficoltà durante l’intero giorno.
Lo specchio trasparente della loro superficie si incrina ogni volta che la temperatura scende improvvisamente di qualche grado, mentre l’effetto di contrazione nella nave è seguito da rumori che noi chiamavamo Schüsse.
La
luce del giorno comincia ora a venir meno.
Il 9 settembre il sole
tramonta alle 8,30 e di notte si scorgono le stelle. Verso la metà del mese le lampade venivano tenute accese tutta la
notte nei nostri alloggi di sotto, e il nostro ambiente, mai molto animato,
assume di nuovo l’aspetto dell’oscuro regno del ghiaccio.
Le
visite degli uccelli si fanno sempre più rare, anche se non ci abbandonano del
tutto finché c’è un po’ di mare aperto nelle vicinanze. I sommozzatori e le
alche erano già scomparsi.
Volano
in lunghe file verso sud, e mentre sfrecciano davanti a noi attraverso il
sartiame della nave, riconosciamo la superiorità di queste piccole creature
rispetto alle nostre piccole anime su questa nave.
Gli uccelli dei ghiacci e i gabbiani restano ancora con noi. Una volta abbiamo fotografato un gabbiano rosa (il gabbiano di Ross), che si dice appartenga solo al Nord America e all’Islanda.
Il 28 abbiamo
visto l’ultimo zigolo delle nevi.
La
prima aurora è stata vista il 22, e
durante l’inverno la sua luce non cadeva soltanto sull’Oceano Ghiacciato ma
anche sulla lontana Terra di Franz-Josef, mostrandoci che non ci stavamo
allontanando da esso.
Alla
fine del mese eravamo arrivati quasi all’ottantesimo
grado di latitudine; e ogni scogliera della terra, anche la più insignificante,
che emerge a distanza dal ghiaccio, ha un fascino tale da richiamarci tutti sul
ponte.
Nella seconda metà di ottobre, i venti del nord e del nord-est, ci hanno spinto verso sud e sud-ovest, e mentre ci avviciniamo alla terra vediamo che i campi di ghiaccio sono spezzati dal contatto con la sua immobile terra.
Il 1° ottobre siamo stati spinti
così vicino alla terra che ci siamo trovati in mezzo alla frammentata
distruzione che avviene nel ghiaccio. Il nostro lastrone di ghiaccio era in
frantumi e si spezzò, e diminuì di dimensioni così rapidamente, che la distanza
della nave dall’orlo del lastrone, che il 1° era di 1.300 passi, due giorni
dopo ammontava a soli 875.
Il 6 era
diminuito a 200 passi, tanto che era ridotto a un semplice frammento della sua
grandezza precedente.
Le scosse che ricevette fecero tremare la nave, e udiamo gli scricchiolii e gli sforzi delle sue travi, che ci tengono ancor oggi sull’attenti, nel timore che il ghiaccio si rompa all’improvviso.
Sembra
che siamo condannati a ripetere le prove e i pericoli della ‘Stagione
precedente’.
Le
borse con il necessario da portare con noi nel caso fossimo costretti a
lasciare la nave sono tenute pronte per l’uso immediato. Mentre guardiamo il
muro di ghiaccio che avanza e udiamo il ben noto ululato che emette, scorgiamo
come si formano fessure sul bordo del lastrone: i giorni delle pressioni del
ghiaccio vengono dolorosamente ricordati, così il pensiero volge costantemente a quando la fine di tutto questo?
A tutt’oggi il 13, la Terra che abbiamo tanto desiderato visitare è davvero davanti a noi, ma la sola vista di essa è divenuta tormento: sembra irraggiungibile come prima; e, se la nostra nave l’avesse raggiunta, sembra del tutto probabile che sarà solo in unitile relitto su una costa del tutto inospitale.
Molti sono ancora i piani che formuliamo e dibattiamo, ma tutti sono ugualmente impraticabili e tutti debbono la loro esistenza al desiderio di sfuggire alla distruzione che ci fissa il volto.
A TUTT’OGGI…
…Mentre
queste pagine passano per la stampa, il Paese è profondamente commosso
dall’inaspettata notizia del ritorno della spedizione artica. Le
congratulazioni per il suo sicuro e felice ritorno sono state espresse con
entusiasmo ed unanimità da tutti gli organi dell’opinione pubblica.
Temiamo,
tuttavia, che la delusione sia caduta su molti animi poiché, dopo i primi
sentimenti di gioia per l’arrivo sano e salvo degli ufficiali e degli equipaggi
della Alert e della Discovery, lessero il breve riepilogo telegrafico inviato
dal capitano Nares:
‘Polo
impraticabile, Non c’è terra a nord’.
L’entusiasmo popolare guardava piuttosto alla conquista del Polo; si aspettava, forse, di leggere, un giorno, che la Union Jack era stata issata lì, per commemorare il trionfo della perseveranza inglese finalmente ricompensata.
Pochi, a nostro avviso, passerebbero attraverso il gelo di queste due clausole del messaggio per sottolineare la speranza contenuta nella terza: “viaggio altrimenti riuscito”. In quali particolari aspetti sia stato ottenuto il successo proclamato, dobbiamo attendere pazientemente che una documentazione futura lo riveli; ma in attesa della storia che senza dubbio verrà scritta per giustificare e dimostrare questo annuncio, esercitiamo la nostra leale fiducia nell’abilità e nel coraggio dei nostri connazionali.
L’interesse
che verrà suscitato di nuovo per la scoperta e l’avventura dell’Artico, acuirà
senza dubbio l’interesse per i volumi che registrano le fortune della
spedizione austriaca; e ci azzardiamo ad affermare, senza indebita parzialità,
che, sebbene la storia dell’esplorazione e della scoperta dell’Artico abbonda
di testimonianze di elevata risolutezza e paziente sopportazione di difficoltà
quasi incredibili, si scoprirà che il racconto del viaggio del Tegetthoff non è inferiore a nessuno
queste elevate qualità.
Il semplice destino del valore stesso equivale, se non supera, nell’elemento del meraviglioso, a nulla che è stato precedentemente registrato.
Sicuramente
ciò trova conferma se si pensa che il 20
agosto 1872 il Tegetthoff fu
assediato al largo della costa di Novaya Zemlya; rimase rapidamente prigioniera
nel ghiaccio, nonostante tutti gli sforzi compiuti dai suoi ufficiali e dall’equipaggio
per liberarla; andarono alla deriva durante l’autunno e il terribile inverno del 1872 - in mezzo a una profonda
oscurità - dove non sapevano; andò alla deriva fino al 30 agosto dell’anno successivo (1873), finché, come per magia, le nebbie si sollevarono, ed ecco!
una costa alta, audace e rocciosa: lat. 79° 43’ E., lungo. 59° 33’... emergeva
dalla nebbia proprio davanti a loro.
Vicino
a questa terra - che poté essere visitata con sicurezza solo due volte, il 1 e il 3 novembre di quell’anno - la
nave rimase ancora saldamente legata ai ghiacci. Solo quando passò l’inverno del 1873 e tornò il sole, fu possibile
esplorare la terra che era stata così meravigliosamente scoperta.
Il 10 marzo 1874 cominciarono
i viaggi in slitta, che terminarono il 3
maggio 1874.
Sarebbe vano prevedere, di fronte a questi risultati, quando il Polo sarà già raggiunto, cosa ne sia rimasto dell’intero Ecosistema studiato.
Qualsiasi previsione fiduciosa in questo
spirito sarebbe, al momento attuale, singolarmente inopportuna, oltre che
imprudente, ma la disperazione sarebbe altrettanto ingiustificabile, mentre la
sua influenza sarebbe estremamente dannosa e deprimente, soprattutto se si
supponesse che l’esplorazione dell’Artico e il raggiungimento del Polo fossero
propositi identici.
Le cose sono due:
Raggiungere
il Polo Nord e esplorare la regione polare.
Se il primo fa più appello all’immaginazione e suscita prontamente le emozioni alimentate dall’amore per il meraviglioso, il secondo attira le simpatie di coloro che hanno una visione più ampia delle necessità dell’esplorazione artica.
Questi
hanno trovato un potente rappresentante in qualcuno i cui servizi gli danno il
diritto di parlare con autorità circa la Spedizione del Tegetthoff. In una
riunione dell’Associazione medica e scientifica tedesca tenutasi a Gratz nel settembre 1875, Weyprecht lesse un
documento sui principi dell’esplorazione artica, in cui, secondo il riassunto
del suo contenuto, apparso su Nature, 11
ottobre 1875, egli sostiene che le regioni polari offrono, sotto certi
importanti aspetti, vantaggi maggiori di qualsiasi altra parte del globo per l’osservazione
dei fenomeni naturali: magnetismo, aurora, meteorologia, geologia, zoologia e
botanica.
Egli deplora che, nonostante siano state spese ingenti somme e sopportate molte difficoltà per la conoscenza geografica, le osservazioni strettamente scientifiche sono state considerate come occupanti un posto secondario.
Pur
non negando l’importanza della scoperta geografica, egli sostiene che lo scopo
principale delle future spedizioni artiche dovrebbe essere l’ampliamento della
nostra conoscenza dei vari fenomeni naturali che possono essere studiati con
così grande vantaggio in quelle regioni.
In
quello scritto insiste sulle seguenti proposizioni:
“1. L’esplorazione dell’Artico è della massima importanza per la conoscenza delle leggi della natura.
2.
La scoperta geografica in quelle regioni ha un’importanza superiore solo in
quanto estende il campo dell'indagine scientifica in senso stretto.
3.
La topografia artica minuta è di secondaria importanza.
4.
Il Polo geografico non ha per la scienza un significato maggiore di qualsiasi
altro punto ad alta latitudine.
5.
Le stazioni di osservazione dovrebbero essere scelte senza riferimento alla
latitudine, ma per i vantaggi che offrono per l’indagine dei fenomeni da
studiare.
6. Le serie interrotte di osservazioni hanno solo un valore relativo”.
I suggerimenti lanciati dal tenente Weyprecht sono stati accolti da uno la cui mente sembra elevarsi istintivamente a tutti gli scopi e obiettivi elevati. Il principe Bismarck nominò immediatamente una commissione tedesca per l’esplorazione dell’Artico, composta da alcuni degli uomini di scienza più eminenti di cui la Germania può vantarsi, che riferirono al Bundesrath in una memoria, le cui raccomandazioni furono adottate all’unanimità.
Al
tenente Payer è toccato l’onore di essere non solo collega di comando e amico
di Weyprecht, ma storico delle loro comuni sofferenze e comune gloria in un’impresa,
la cui fama il mondo, crediamo, non lascerà morire volentieri.
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