CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 27 settembre 2018

LA SPERANZA NON MUORE MAI (18)











































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Sei Sicuro? (14  &  15)  &

Il Viaggio della speranza (16/7)

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La Barca (19)  &  Uranio 235 (20)













La speranza non muore mai…

È un po’ come l’ambita preda forse la più coraggiosa  come un Lupo nella quale il cacciatore cacciato quanto il disperato allevatore della pecunia della propria ed altrui terra debbono fare i dovuti conti con chi, non solo padrone della Foresta ma dalla Natura raccomandato, tantè che mi racconta a fil di voce non vista, giacché  sempre Diavolo e strega braccata per ogni fiero popolo a qual si voglia altezza del proprio degrado ubicato, che nella caccia come il famoso pittore – suo amico – dipinse in quei Paesi giù da Basso (giacché lei più volte rinata essendo un’Anima Eretica che solo alla Natura e chi la incarna corrisponde fidato segreto infinito Amore, anche perché comandata da quel Creatore che ponendo giusto distinguo fra la preda e cacciatore – perseguitato e ottuso persecutore - pensa bene di custodirla in miglior e selvaggia compagnia - tacendo in onor di codesta Laude eretica anche quel Bambino riparato in medesima e ugual grotta…, una volta furono buoi ed asinelli ma oggi i tempi mutati e coloro che rimembrano tal evento pensano bene anche di sfamare ed esaudire l’immane antico appetito e non solo sul povero Bambino…) regna il vero degrado…




Infatti, come cercavo di tradurre dalla sua viva corsa non ancor fuga accompagnata all’intelligente sguardo non meno del fiuto, la caccia è di nuovo aperta anche per questo Autunno così pregato, anche se rinomata cacciatrice ma solo per sopravvivenza con cui accompagnai medesimo passo stanco quando millenni fa’ come lei braccato in cerca dei suoi amici i quali oramai rincorre per allenamento motivata da diletto e Genio - giacché in ogni bosco e pianura dimora il vero e superiore Spirito della Terra – deve di nuovo fuggire medesimi cacciatori appostati per l’inutile trofeo per ciò di cui Flora e Fauna ed ogni sala titolata araldo d’una falsa tutela in nome del Feudo di questo antico nuovo èvo non certo abbisogna.




E mi sembra di capire, almeno così traduco il lungo monologo del Lupo, che siano solo oggetto e diletto di ben altro scambio e favore le secolari mire astute, infatti i moderni strumenti d’offesa  - offesa alla vista quanto alla vigliaccheria che l’accompagna - incarnare un Pensiero perduto il quale per Secoli dal mare sino al cielo dalle branchie ai polmoni ha navigato e volato in assenza di gravità per ciò che distingue l’umano derivato… …Volare ed infine lento strisciare - e poi -  rettamente, almeno così ciarlano e dicono, camminare con quella pietra appuntita non ancora telefono-cellulare, con quella lancia non ancor fucile, e lei li accompagnava inconsapevole di insegnare a quei selvaggi i segreti del mestiere, lei che possiede più d’un inutile telefonino o proiettile preciso nel vero e segreto equilibrio conservato e poi confessato ad un diverso Santo e futuro protettore dell’intero Creato.




Mi ricorda del suo amico Jonathan e dei figli che questi ebbe, perirono nel lungo Viaggio di una grande traversata: ore secoli millenni ed ère su medesime invisibili taciute preghiere: bussole senza strumento alcuno solo un grande ed unico magnetico Pensiero con Madre Natura e la Terra che li guida, per poi sorvolare una falsa Parabola faro di un omuncolo da un polo all’altro transitato per il gusto della falsa conquista e il conseguente libero mercato che ne deriva uccidere con precisione antica, e non solo Jonathan junior, ma anche quei fratelli che emularono medesima utopistica traversata.




Io l’ascolto dall’alba fino alla sera e comprendo ragioni e motivi della sua preoccupazione, giacché non è solo lei che lamenta tanta ingiustizia, ed aggiunge che se solo potesse scriverebbe una intera Genesi delle ingiustizie subite da Madre Natura, le quali diverrebbero, in verità e per il vero, il trionfo dell’Eresia, perché il nostro Francesco ancor dimenticato fors’anche mai nato per questa altezza o bassezza che sia.




Mi dice anche che pur dimorare e divorare in nome del potere ogni cosa che vive e lavora per questo bosco farebbero i peggiori accordi dai tempi andati del bracconaggio quando ancora non ero approdato a fondare un oasi di Speranza e coraggio in Laude a Madre Natura e poi guardia-boschi rinato. Ed ora mi indica ancor meglio la Via in ciò che un Tempo passato era medesima caccia indicandomi la comune evoluzione con cui lo abbiamo nobilmente attraversato nell’eterno suo quanto mio affanno accompagnato dell’infamia per ciò che comporta l’Impero della pecunia, non è solo caccia antica ma un mercato di più ampia e falsa dottrina… 





 L’Italia è un paese tradizionalmente considerato molto severo nella legislazione sulle armi. In realtà, per quanto le regole siano più severe che negli Stati Uniti e in molti paesi anglosassoni, comprare e tenere in casa un’arma nel nostro paese non è affatto complicato e da qualche settimana è ancora più facile.

…Una settimana fa il governo guidato da Lega e Movimento 5 Stelle ha approvato una legge che con la scusa di adeguare l’Italia ad alcune normative europee, ha raddoppiato la possibilità di detenere armi “per uso sportivo”, una classificazione che comprende un gran numero di pistole e fucili che con lo sport non hanno molto a che fare.

Quante armi ci sono in Italia?

Quello sulle armi in Italia è un dibattito molto difficile da affrontare in maniera approfondita: le leggi che ne regolano il possesso sono confuse e continuano a cambiare, mentre i dati sulla diffusione di armi sono pochi e imprecisi. Un’idea chiara probabilmente non ce l’ha nessuno, probabilmente nemmeno il ministero dell’Interno che per legge deve tenere traccia di tutte le armi vendute legalmente nel paese (le denunce di possesso, infatti, sono fatte a livello di questura o addirittura di singola stazione dei carabinieri, e a quanto risulta non esiste alcun database che raccoglie tutte le segnalazioni).

Tutto quello che abbiamo sul possesso di armi in Italia sono una serie di stime.

La più recente è quella realizzata nel 2018 dallo Small Arms Survey, un centro di ricerca con sede a Ginevra, che parla di 8,6 milioni di armi registrate nel nostro paese (e sono escluse tutte le armi delle forze dell’ordine e dell’esercito). Altre stime forniscono risultati differenti che vanno dai 5 ai 12 milioni di armi. Queste cifre, se fossero confermate, metterebbero l’Italia tra i paesi sviluppati dove il numero di armi è più basso.

In Francia e Germania, ad esempio, ci sono circa tre armi ogni dieci persone, mentre in Italia, anche utilizzando le stime più ampie, si parla di meno di un’arma ogni cinque. Per fare un paragone, negli Stati Uniti ci sono più armi che persone.

Il numero di armi presenti in un paese non è comunque un buon indicatore per sapere quanti cittadini sono “armati”. Gli appassionati di armi, infatti, possiedono solitamente più di un’arma ciascuno, alcuni ne possiedono addirittura decine. Un dato più preciso quindi è il numero di licenze di possesso o porto d’armi. Come per il numero totale di armi, anche su questo dato nel nostro paese la situazione è oscura. Inspiegabilmente, il numero di permessi di porto e detenzione di armi non viene pubblicato in via ufficiale dal ministero dell’Interno, ma viene fornito in via privata alle riviste specializzate. Analizzando questi numeri viene fuori la cifra di circa 1,1 milioni di licenze e porti d’armi, un dato che comunque deve essere preso con cautela visto che è di fonte “ufficiosa”. L’agenzia di stampa AGI ha recentemente cercato di ottenere questi dati direttamente dal ministero, ma senza successo.

Analizzando i numeri forniti alle riviste specializzate, AGI ha inoltre rilevato diverse discrepanze sui numeri riportati per i vari anni. Come si fa a ottenere un’arma in Italia?

In generale, l’Italia è considerato un paese dove non è particolarmente complicato acquistare e possedere armi da fuoco (anche se è certamente più complicato che negli Stati Uniti e in diversi paesi anglosassoni). Per tenere un’arma in casa è sufficiente ottenere un ”nulla osta” all’acquisto e denunciare la presenza dell’arma nella propria abitazione alle forze di polizia. Tutto sulle armi in Italia Il nulla osta all’acquisto è un documento che si può richiedere anche online e per ottenerlo è sufficiente essere incensurati, avere un certificato medico che attesti la salute fisica e mentale e ottenere da una sezione del Tiro a segno nazionale un’abilitazione all’uso delle armi (che si può avere in poche ore, frequentando un corso molto semplice). Chi ha svolto il servizio militare o attività nelle forze di polizia negli ultimi dieci anni non ha bisogno di soddisfare quest’ultimo passaggio. Una volta rilasciato, il nulla osta permette l’acquisto di un piccolo arsenale: fino a tre armi comuni, dodici armi per uso sportivo (per via del recente decreto approvato dal governo) e un numero illimitato di fucili da caccia.






  ….Ed infatti leggo ancora da una diversa fonte: 

Regione Lombardia approva decreto su giornate integrative per la caccia. Anelli della Lega: ‘La Giunta Fontana prende a cuore le richieste dei cacciatori’.

Regione Lombardia proroga di due giornate settimanali, tra il primo ottobre ed il 29 novembre, il prelievo venatorio. ‘Si tratta di un forte segnale di attenzione nei confronti dei cacciatori che ogni anno garantiscono il controllo e l’equilibrio dell’ambiente, puliscono i boschi (??!!) con amore e passione (??!!) e tramandano una cultura che fa profondamente parte delle nostre radici’. Così il capogruppo del Carroccio al Pirellone Roberto Anelli commenta il decreto con cui Regione Lombardia istituisce giornate integrative settimanali per la caccia negli UTR di Bergamo, Brescia, Brianza, Insubria, Pavia e Val Padana-Mantova. ‘Esprimo grande soddisfazione e ringrazio l’assessore Fabio Rolfi – continua Anelli -, perché negli ultimi anni il settore venatorio era stato dimenticato da Regione Lombardia, mentre con la nuova Amministrazione a guida Fontana si dimostra una maggiore sensibilità nei confronti dei moltissimi appassionati e amanti della caccia’. ‘La scelta delle giornate integrative settimanali di caccia -, conclude il consigliere leghista -, sono anche frutto dei dati statistici sul prelievo forniti da Regione Lombardia e vanno in una direzione di buon senso per la tutela della popolazione faunistica’.




Per concludere, è non solo il caso della ‘cementificata’ Lombardia donde tal Feudo sconfina circa taluni e troppi interessi legati al potere ‘puntato’ al medesimo appostamento, ripetiamo quel che di certo sappiamo circa il difficile impegno della tutela della Natura il quale impegno non si può conciliare né delegare tantomeno coniugare ad un cacciatore quanto ad un costruttore senza scrupoli nel Diritto quanto nella Difesa, giacché l’impegno di un Parco con le severe e complesse regole che lo regolano e preservano - o dovrebbero - composto senza Riserva alcuna accompagnate, invece, da strani compromessi nella dovuta e corretta gestione non tanto del territorio ma di un intero patrimonio…

Con il difetto che da ciò deriva!

Ma l’Italia che urla e troppo spesso calunnia non sa certo che farsene di questa pecunia… Ed un cacciatore quanto un costruttore d’un improbabile futuro condiviso fanno molta più gola d’un corretto sano intelligente ed onesto insegnamento e non solo per ciò che concerne prevenzione tutela e diritto dell’intera Natura… nello Stato in cui questa dimora…
















lunedì 24 settembre 2018

SEI SICURO? (14)












































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...Non sia una grande nuvola purpurea...? (15) &

Il viaggio della Speranza (16/7)

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L'orrore della realtà (12/3)







                               OGNI RIFERIMENTO A FATTI E PERSONAGGI ODIERNI 

                                        .....PUO’ DIRSI ASSOLUTAMENTE CASUALE!







Robert Falcon Scott e i suoi compagni di spedizione scomparvero durante il viaggio di ritorno dal Polo Sud tra il febbraio e il marzo del 1912, Settembre e Ottobre furono mesi decisivi per la conquista…

I loro resti furono ritrovati nel ghiaccio solo otto mesi più tardi.




Sistemati in modeste bare, vennero traslati in Inghilterra e esposti all’interno della Saint Paul’s Cathedral a Londra. Ad accogliere quello che tutta l’Inghilterra piangeva come l’ultimo eroe dell’Impero c’erano Giorgio V, l’arcivescovo di Canterbury, l’aristocrazia in pompa magna e i generali sfavillanti di medaglie e di alamari. La cattedrale era il luogo di sepoltura di Nelson e del duca di Wellington e sembrava assolutamente appropriato che  l’esploratore fosse ricordato all’ombra dei due più grandi militari inglesi.

Scott non aveva vinto la gara per la conquista del Polo, l’aveva persa.




Arrivato faticosamente in quello che si riteneva il punto più a sud della Terra, aveva trovato le bandiere norvegesi piantate trentacinque giorni prima da Roald Amundsen sul terreno ghiacciato. Il ritorno di Scott, che scarseggiava di viveri ed era affranto moralmente e fisicamente, anche se continuava a incoraggiare i compagni, era stato qualcosa a metà tra la vicenda del conte Ugolino e un noir shakespeariano.

Ma con il passare del tempo e con la pubblicazione del diario ritrovato accanto a Scott, che aveva continuato a tenere fino alla fine, la lugubre vicenda aveva assunto i toni di un’epopea. Tutti i membri della spedizione si erano comportati nella sventura con una fortezza d’animo degna degli antichi romani e la situazione tragica in cui si trovavano non aveva diminuito il loro spirito inglese, fatto d’ironia e di understatement. Uno dei più brillanti compagni di Scott, il capitano Oates, che riusciva a malapena a camminare e non voleva più essere d’ingombro, si era allontanato per perdersi nel freddo glaciale dell’Antartide dicendo agli altri:

‘Vado a fare una passeggiata, non tornerò tanto presto’.




Su tutti s’innalzava la figura di Scott che personificava l’ideale di dovere fino al sacrificio su cui era fondato l’Impero britannico. Quando la salma uscì dalla cattedrale di Saint Paul la banda delle Coldstream Guards, con le giubbe rosse e il colbacco, aveva attaccato l’inno nazionale e una folla immensa che attendeva da ore fuori della chiesa intonò un possente e commuovente God Save the King. La beatificazione di Scott impedì di raccontare tutta la verità sulla vicenda.

Nella corsa al Polo si erano confrontati due personaggi molto diversi e la differenza che passava tra loro era quella che poteva esistere tra un professionista delle distese gelate e un dilettante che preparava le sue spedizioni, dirette non esattamente in luoghi facili, con spirito amatoriale. Amundsen era un tipo tostissimo, che aveva trascorso la prima parte della sua vita cercando il passaggio a Nord ovest e l’aveva trovato. Dagli esquimesi aveva imparato come sopravvivere in casi estremi e tutti quei piccoli trucchi che, a quelle latitudini, facevano la differenza tra la vita e la morte. I vestiti di pelliccia di lupo artico che indossava non erano un tocco di colore per farsi riprendere sulla banchina in atteggiamento da esploratore polare. Era il miglior modo per difendersi dal gelo.




Curava personalmente la preparazione delle sue spedizioni con attenzione quasi maniacale per i dettagli. Era convinto che senza l’aiuto dei cani non ce l’avrebbe mai fatta, ma non esitò a ucciderli per mangiarli quando le razioni si erano fatte insufficienti. Non era un sentimentale e si poteva comportare, all’occasione, come un gran figlio di puttana.

Mentre Scott aveva annunciato a tutto il mondo che stava per andare al Polo Sud, Amundsen sembrava ancora interessato al Polo Nord. Ma alla notizia che un americano lo aveva conquistato, non esitò un attimo a girare la prua della Fram, la nave rompighiaccio prestatagli da Nansen, il decano degli esploratori norvegesi, e a dirigersi verso l’Antartide, senza che nessuno sapesse nulla delle sue intenzioni.

Lui non sarebbe arrivato secondo al Polo Nord, sarebbe arrivato prima al polo sud.




Fra Settembre e Ottobre del 1911 il norvegese e quattro uomini, tutti muniti di sci, partivano con slitte tirate da cinquantadue cani. Attraversando un territorio completamente sconosciuto ed estremamente pericoloso, ma riuscendo a mantenere una velocità ritenuta impensabile, avevano raggiunto il Polo Sud.

Era il 14 dicembre del 1911.

Scott seppe con ritardo dello sbarco di Amundsen in Antartide, ma non affrettò molto i preparativi della sua spedizione. Si atteggiava a grande dilettante secondo una nobile ma abbastanza fasulla tradizione inglese. Nel passato aveva tenuto un comportamento irresponsabile e aveva rischiato la vita dei suoi uomini rifiutandosi di riconoscere i sintomi dello scorbuto. Diceva che era indegno adoperare i cani, gli uomini dovevano farcela con i loro mezzi, e trascinò con sé dei pony della steppa che finirono nei crepacci o scomparirono sotto la neve. A differenza dei cani i pony non mangiavano i loro compagni morti e non erano capaci di prepararsi da soli un riparo dove dormire, come facevano i cani.




Aveva portato con sé anche delle slitte cingolate a motore che andarono subito in mille pezzi perché erano state provate su terreni molto diversi da quelli dell’Antartide. Quello che successe poi non era dovuto alla cattiva sorte, ma era prevedibile fin dalla partenza. Sul diario aveva scritto:

‘Non rimpiango di aver fatto questo viaggio che ha dimostrato che gli inglesi possono sopportare le difficoltà, aiutarsi l’uno con l’altro e affrontare la morte con la stessa forza d’animo da sempre dimostrata’.

La retorica non l’aveva abbandonato nemmeno in quell’occasione.

La conquista del Polo non segnò la fine dei viaggi in Antartide, questi continuarono alla ricerca dell’impossibile e paradossalmente lo trovarono: ma non in un viaggio per terra, in un viaggio per mare.




All’inizio del 1914 Ernest Henry Shackleton, uno dei primi ad avvicinarsi al Polo Sud con un certo successo, voleva ritornare nel continente australe per attraversarlo da costa a costa. Un’impresa che al confronto avrebbe relegato il viaggio di Amundsen al livello di una passeggiata mattutina. Molti non erano soddisfatti della linea tenuta dal governo che si traduceva in “meglio un secondo buono che un primo cattivo”, e avrebbero voluto rispondere come si doveva ai norvegesi. In alto loco la nuova spedizione trovò subito dei sostenitori. Shackleton partì pochi giorni dopo lo scoppio della guerra: dall’alto arrivò la notizia secondo cui la guerra sarebbe finita a Natale senza uscire dall’ambito europeo, mentre l’impresa in Antartide avrebbe avuto un’eco in tutto il mondo.

La spedizione finì in una ennesima catastrofe con la nave stritolata dai ghiacci e tutti i membri dell’equipaggio rifugiati a Elephant Island. Per un paradossale destino questo altro fallimento inglese si trasformò nella più celebrata e audace traversata di mare mai compiuta da esseri umani.




Il 24 aprile del 1916 cinque uomini guidati da Shackleton presero posto sul James Caird, un canotto di legno pontato ora entrato nella leggenda, come il Kon-Tiki, costruito pochi anni prima con quercia inglese, olmo americano e pino baltico. Erano diretti alla South Georgia, l’isola più vicina da cui poter chiedere aiuto, frequentata solo da baleniere. Per raggiungerla bisognava attraversare lo stretto di Drake, dove l’Atlantico e il Pacifico si incontrano, il tratto di mare più tempestoso del mondo. Il viaggio durò diciassette giorni e non c’è descrizione che possa rendere la difficoltà del viaggio. Arrivati in vista dell’isola la corrente li portò dall’altra parte rispetto al porto. Per raggiungerlo dovettero scalare una montagna di quasi duemila metri completamente ghiacciata. Ad accogliere Shackleton al suo ritorno a Londra, nel 1917, non si presentò nessuno.

…L’Inghilterra stava combattendo una guerra che non era finita nel Natale del 914 e che assomigliava a una gigantesca ecatombe. Nessuno aveva voglia di sentire i racconti di naufragi in posti remoti quando nella Somme erano morti in un sol giorno trentacinquemila giovani. Un poeta che diventerà poi famoso aveva scritto che i tempi degli eroi erano finiti e che il motto “Dolce e bello è morire per la patria” non funzionava più. Era solo una vecchia bugia.

(S. Malatesta)

(Prosegue)
















L'ORRORE DELLA REALTA' (12)



















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L'orrore della realtà (13)

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Solitudine....(10)   Metropolitana... (11) 














…. Nonostante il clima di grande rispetto reciproco che vige tra i grandi uomini d’affari, il ‘sistema che fa capo a questi (grandi) interessi sta lentamente e inesorabilmente riducendo in miseria un numero così elevato di cittadini – piccoli agricoltori, minatori, operai dell’industria, artigiani tessili, tecnici, operatori dei servizi &cc. – invisibili ai bravi uomini d’affari, che la maggioranza della popolazione non permetterà a questo sistema di continuare’.
La concentrazione e centralizzazione delle risorse economiche, i nuovi sistemi di vendita che hanno di fatto segnato la fine del piccolo commercio, e l’introduzione di macchinari che consentono di risparmiare forza lavoro, sono tutti fattori che tendono a incrementare il numero dei disoccupati permanenti (un tempo, qualsiasi individuo abile al lavoro era in grado, prima o poi, di ottenere un qualche lavoro: oggi, non importa quanto sia abile la persona, ipotizzare se sarà uno dei pochi a trovare lavoro è una vera e propria scommessa).




L’eccedenza di manodopera permette a datori di lavoro e grandi aziende perfino di ridurre i loro stessi dipendenti (perché non tutti i datori di lavoro e le grandi aziende sono gentili come i grandi banchieri!) a una degradante condizione di peonaggio. Lo slogan secondo cui l’America sarebbe la ‘terra delle opportunità’ è diventato ormai una barzelletta, ed è stato totalmente disatteso – per colpa di coloro che denigrano quei partigiani della decenza che combattono i tremendi abusi commessi ai danni del ‘glorioso, tradizionale stile americano di vita e di lavoro che ci è stato tramandato dai pionieri’.
Comunque – al di là di qualunque considerazione etica, questo sistema non può continuare. Non è continuato in nessun altro paese dove si siano dovuti affrontare gli stessi problemi. Semplicemente, la maggioranza non lo appoggerà. La proprietà privata dei mezzi di produzione è frutto del caso – il risultato di particolari situazioni del passato e dell’inerzia generale – ed è mantenuta soltanto dalla massa della maggioranza.




Se questa massa venisse meno, le risorse naturali – come nell’era feudale – tornerebbero a essere continuamente trasferite, attraverso le armi e la guerra, tra gruppi di individui fisicamente forti e bene organizzati. Al Capone e i suoi sicari ci danno un’idea di che cosa diventerebbe il mondo moderno senza la polizia. A ogni modo – la maggioranza ha finora appoggiato concretamente il capitalismo perché ha creduto di trarre da esso vantaggi superiori a quelli che le deriverebbero da un sistema feudale. Il ragionamento era probabilmente valido fino a una settantina di anni fa: gli effetti più negativi del capitalismo sono quelli recenti, mentre le tecniche di gestione dell’industria e dell’imprenditoria non hanno reso possibile la vera democrazia fino alle ultime due generazioni.




Tuttavia oggi le masse non ottengono dal sistema capitalistico più di quanto otterrebbero da un ordine feudale (a Chicago, Al Capone ha introdotto le mense gratuite per i poveri, quando quell’individuo insopportabile di Hoover ebbe il coraggio di opporsi a quel poco di decenza che consentì d’istituire un sistema federale di aiuti pubblici!); la Bonus March e altri eventi del ‘32 dimostrano che la maggioranza è ormai pronta a ribellarsi al sistema capitalista. L’intensa ammirazione che le masse impoverite nutrono verso i gangster e verso chi sequestra i ricchi rappresenta un segnale inequivocabile.
Prima o poi, chi trae beneficio dal capitalismo perderà il concreto appoggio di coloro che gli hanno finora consentito di preservarsi – quelle masse che sono state trascurate, ignorate e spogliate della speranza di sopravvivere.
Che cosa sceglieranno allora i capitalisti?
L’anarchia, il feudalesimo o il socialismo?




Naturalmente cercheranno fino all’ultimo d’ingannare la gente e se stessi, e si stanno ovviamente preparando a costituire uno Stato fascista e assistenziale, che tenga buone le loro vittime. L’entusiasmo con cui i ‘benpensanti’ accettano la politica suicida dell’attuale governo mostra chiaramente come nell’uomo sia l’emotività a dominare la ragione. Queste persone sono state condizionate a far propri certi stati d’animo (come accade per la religione), e sono incapaci di vedere o ragionare al di là di questi condizionamenti: in realtà sono vittime di quella stessa stupidità e isteria di massa che riconoscono e condannano in individui di minori culturapretese. Se la crisi che stiamo vivendo mi ha insegnato qualcosa, è stato il disprezzo per la natura irrazionale e convenzionale della cosiddetta ‘educazione’ perbenista.
Perbacco!




L’assoluta ignoranza e superficialità di quei palloni gonfiati pedanti, creduloni, bigotti, che vanno in giro a starnazzare slogan morti e a diffondere stemmi araldici con cui si auto-proclamano membri dell’esclusivo club delle persone migliori, con l’aiuto naturalmente dei figliocci di Al Capone, che abbisognano di qualche araldo in loco giusto per assicurarsi la discendenza dell’istinto a delinquere nello Stato di gangster ‘istituzionalizzato’. 
Non che siano necessariamente più stupidi e irrazionali della massa che odiano, ma condiscono la loro stupidità e irrazionalità con l’assurda presunzione (sia a destra quanto a sinistra del loro squallido e triste banchetto di potere) di possedere una qualche mistica superiorità, non fondata su meriti personali. Io sono a favore del merito individuale, ed ero solito ammirare gli esponenti della nobiltà proprio perché si distinguevano per i loro pregi. Proprio come lei ammira i suoi benevoli capitalisti, così io stimavo i miei costumati e onorabili gentiluomini di campagna.




Ma sette anni di depressione economica accompagnata dagli inganni e gli abusi, vissuti in un formicaio di vermi reazionari e progressisti, mi hanno insegnato qualcosa!
C’è da rimanere di sasso di fronte a ciò che alcuni di questi signori chiamano argomento e logica! Ormai sto cominciando a svegliarmi, e a rendermi conto che quanto ammiravo non era realmente l’aristocrazia, ma un insieme di qualità personali che il sistema aristocratico aveva permesso di sviluppare (al contrario dell’attuale che esalta i meriti dell’ignoranza e dell’astuzia elevata a delinquenza)  meglio di altri. Un insieme di qualità che nasce da un atteggiamento mentale di sincero e nobile disinteresse, fondato sul rispetto per la verità, sul coraggio e su una generosità inculcati da un’educazione raffinata, dall’indifferenza per il denaro, e da una condizione sociale vissuta responsabilmente e civilmente: UN INSIEME DI QUALITA’ CHE L’INDIVIDUO PUO’ COLTIVARE IN UN REGIME SOCIALISTA NON MENO BENE CHE IN UN REGIME ARISTOCRATICO.




Erano i risultati, non il sistema, che meritavano rispetto – e oggi questo sistema decadente gira a vuoto, pavoneggiandosi soltanto dei suoi principi ormai superati, senza più produrre quei benefici che un tempo ne giustificavano l’esistenza.
Maledizione!
Non sopporto più la presunzione!
Le persone migliori!
Le persone migliori un corno!
Ormai sono arrivato a un punto tale che non credo quanto elevato dalle istituzioni serbatoi di inganni morali e truffaldini verso i migliori….
La crisi che oggi gli Stati e non solo l’America stanno attraversando è espressione di un conflitto che coinvolge i valori e gli ideali più profondi dell’essere umano. Quello che abbiamo di fronte è lo scontro fra due filosofie di vita: la prima ritiene che le persone debbano cooperare, e utilizzare i risultati delle scoperte e del progresso per il bene di tutta la collettività, garantendo così il reale sviluppo della personalità umana; l’altra, invece, sostiene la legge della giungla, che rende la vita difficile a chi non è abbastanza fortunato da ereditare un grande patrimonio, cosicché ai meno scaltri è riservata un’esistenza intollerabile e un elevato tasso di mortalità, mentre i più avidi e calcolatori si moltiplicano, prosperano, e coltivano il meschino ideale della sopraffazione e della delinquenza nella massima sua istituzione, in quel luogo chiamato in Italia... ‘mafia’.




I sostenitori di questa ‘seconda’ filosofia ritengono che solo l’astuzia, l’aggressività, e la prevaricazione accompagnate dal furto e dal taglieggiamento a danno dei più meritevoli e sui più deboli, consentano a una nazione di sviluppare la solidità (ma anche ad un singolo feudo industriale)  necessaria a eccellere, o anche solo sopravvivere, nella competizione internazionale. Al fine di mantenere la razza al necessario livello di forza, progresso materiale, e istinto di sopravvivenza, i sostenitori della ‘seconda’ filosofia non hanno fiducia nel potere dell’istruzione, della medicina, dell’igiene, della fortificazione del carattere e della disciplina indotta dal lavoro o dallo studio (ossia di quella lotta non-competitiva per il benessere comune, o della prestazione di un lavoro pianificato e distribuito razionalmente, offerto in cambio di uno stipendio adeguato).

(Prosegue...)














martedì 18 settembre 2018

SETTEMBRE (8)



















































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Consenso sociale (7/6)

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Settembre (9)  &













Solitudine (10) &



Solitudine metropolitana (11)













Un movimento caratterizzato da crescente accelerazione può avere diverse tendenze; si può supporre che esso segua le leggi della caduta, oppure quelle dell’attrazione o della spinta. Tutto questo dipenderà in larga parte dalla posizione dell’osservatore, dalla sua forza vitale, dal suo temperamento, ma anche dalle sue unità di misura. Anche nel dominio dell’attrazione si manifesta l’accelerazione. Osservando un frammento di ferro che sia entrato in un campo elettromagnetico, noteremo dapprima una serie di movimenti indeterminati e, successivamente, un repentino avvicinamento. L’ago magnetico segue un’attrazione cosmica. Il magnete è il futuro; l’effetto che esso produce non è diverso da quello del passato. La più profonda identità di attrazione e spinta ha luogo al di fuori del tempo, tanto per il mondo meccanico quanto per il mondo organico.

Per poterla comprendere occorre un certo acume delle capacità critiche e conoscitive dello Spirito.

Il metafisico, ma non solo il metafisico, si chiederà in che misura a un unico, identico processo concorrano l’azione umana da una parte e l’attrazione del destino dall’altra. Il che, tradotto nel nostro linguaggio significa:

in che proporzione le forze umane e le forze cosmiche contribuiscono all’accelerazione della nostra svolta?

In che modo il piano del mondo, in cui si assommano i piani statali, è coordinato al piano della terra, o in che modo la rivoluzione del mondo è coordinata alla rivoluzione della terra?

Dipende tutto da una soltanto di queste due forze?

E sono esse in opposizione tra di loro?

Agiscono alternativamente in maniera complementare, o sono invece identiche e cadono sotto i nostri sensi come due metà speculari?

Non si tratta di domande puramente speculative e teoretiche: sono domande fondamentali che riguardano la potenza. Occorre affrontarle per valutare non solo la posizione, ma anche il movimento possibile all’interno di tale posizione. Colui che oggi abbia compreso ciò di cui la terra ha bisogno guadagna una posizione di privilegio rispetto alle esigenze storiche. Se costui vorrà operare dei cambiamenti, incontrerà un’opposizione più debole, se vorrà conservare la sua posizione, troverà un terreno più saldo di colui che, indipendentemente dalla prospettiva da cui muove, limiterà il suo sguardo a un singolo ambito.

Nel luogo in cui si incontrano necessità e libertà, dove è possibile comprendere l’identità di spinta e attrazione, la vista si rischiara in maniera tale che gli oggetti che le si presentano non potranno essere deformati oltremisura né dalla volontà né dal timore. Vogliamo qui sottolineare uno degli elementi più importanti per la nostra ricerca, ciò da cui ha preso le mosse il nostro discorso: vale a dire lo Stato che, in quanto status, corrisponde strettamente allo stare o al suo sussistere.

In effetti è certamente il caso di riflettere su questo status, che determina oggi, più di altri elementi, ogni nostro agire e soffrire, che dà forma alla nostra esistenza fin nei dettagli. Alle sue esigenze vengono subordinate tutte le altre. Esso è il leone che non solo pretende la prima porzione, ma decide anche della ripartizione di ciò che rimane. Si è da tempo concluso a suo favore il conflitto che attraverso i secoli ha visto opporsi papi, imperatori, re e cancellieri.

I confini degli Stati sono tracciati in maniera più netta di quelli che un tempo delimitavano o intersecavano gli antichi regni e territori, spesso passando attraverso comunità di popoli, razze, linguaggi e culture. Non è la società che nello Stato prende la sua forma, ma lo Stato che determina la forma della società, fin nelle sue cellule, nelle famiglie.

…Alla fine lo Stato dispone tutto sullo stesso livello e attira verso di sé anche quelle esigenze che la natura desta negli uomini e nei popoli: le cure che ruotano e che sono ruotate da sempre, con l’avvicendarsi degli astri, attorno alla semina e alla raccolta, l’estate e l’inverno, le emergenze imposte dall’acqua, dal fuoco, dalla fame.

Il fatto che, per le suddette ragioni, il peso dello Stato divenga gravoso per il singolo non è cosa cui ci si debba necessariamente opporre, specie se si pensa che anche prima l’esistenza umana ha avuto le sue ombre, e che dunque dobbiamo sottrarre al peso assoluto che oggi ci opprime solo ciò che fa capo a una mutata ripartizione degli oneri. La qual cosa si rende evidente soprattutto in quella parte dello Stato in cui esso si manifesta come principio di assicurazione, stato sociale, stato assistenziale.

…Anche lo Stato non è escluso dal grande movimento che si compie accelerando...

Il moto non lo attraversa come l’acqua che solleva un corpo e fluisce attraverso di esso. Certamente lo Stato stesso contribuisce al movimento: ne dipende quella parte del movimento determinata dalla pianificazione e dalla libera volontà umana. La spinta esercita però il suo effetto al di sotto dello Stato e dei suoi fondamenti, che non poggiano su una base etica né fattuale. Per tale ragione slittano e si spostano le definizioni e le divisioni di confine stabilite in senso politico, giuridico e morale: esse assumono una struttura ambigua, elastica…

(E. Junger, Lo stato mondiale)

(per diritto citazione art.70 Legge 22/04/1941 n. 633)









Ho (ri)letto quanto si dovrebbe analizzare e rapportare agli odierni tempi in medesimo modo transitati, ragion per cui, siamo entrati in un particolare ‘campo magnetico’ (non ho riproposto casualmente questo ‘passo’ d’apertura per l’ingresso ad una più ampia ‘valle’…) ‘umano’ che forse con l’‘umano’ così come intendiamo tal termine proiettato nella vasta predisposizione privilegiata verso la Natura donde il vero ‘campo magnetico’ deriva poco ha da condividere, creato più propriamente da una condizione in cui una invisibile e visibile economia richiede un imprevisto ‘intervento tellurico’ per rapportare alle dovute esigenze dagli ‘umani detti’ e convenuti entro e fuori le proprie ed altrui mura le condizioni proprie su come si pensa uno Stato derivato da un Feudo e questo da un Impero (ri)divenuto.

 Questo è ciò che è avvenuto nel lontano novembre del 1963, ma io che sono un cultore della Natura e con essa una Terra che ci sprona assommata al suo Dio che l’ha pur creata, e, ad una verità universale ai più se non a tutti negata, provo a, prendendo in prestito le sagge intuizioni di Junger, riportare il magnete detto nel dovuto ‘campo magnetico’ e riformulare non tanto un linguaggio astratto e metafisico, ma evidenziare semmai come ‘singole o molteplici urgenze e/o esigenze’ per taluni i quali interpretando lo Stato di diritto anch’esso ‘evoluto’ possano creare un loro ‘campo magnetico’ sia per gli eventi passati che quelli futuri e di conseguenza manipolare l’‘elemento transitato’ il quale in entrambe i casi rilevato e rivelato da medesimo ago magnetico.  

Ed allora non nasce solo una questione ‘geopolitica’ abbinata alla dovuta ‘geostrategia’ ma ci spostiamo nel vasto ed antico terreno della Filosofia, il che vuol dire riproporre quel modello di stato adottato - comprese le dovute analisi comunitarie - in quanto il ‘Forestaro’ detto primo attore della politica ma non certo Filosofo, e da buon politico  analizza e osserva la propria posizione ove richiamato dalla cancelleria, ennesimo campo magnetico ove ognun dipende ed ove ognun cerca - come sopra detto - di conservare ampliare o al contrario creare le dovute opposizioni nel clima e spirito della ‘propria terra’ (una metafora citata frequentemente ‘dal e nel’ consenso d’ogni Forestaro detto e non detto…).   

Allora dobbiamo in ragione dello Stato nominato rapportato ad un più vasto medesimo Stato Comunitario nel rapporto del tutto societario instaurato con i principi che l’hanno motivato nei fondamenti del ‘diritto’ disquisito negato, osservare l’intera geografia donde ogni ‘Forestaro’ e la sua natura e terra deriva, e come poter intraprendere non tanto una lotta politica di ‘geostrategia universale’, ma come rapportarci ai nostri stessi ‘geni’ che come il sottoscritto cercano di studiarne e delinearne l’impropria natura da codesta ed altrui Foresta meditata... da medesimo Eremo…

Cioè, per esser ‘velatamente' più chiaro alla natura della ‘genetica’ la quale nella sua antropologica consistenza riporta il problema fra ‘inferiore’ e ‘superiore’ e questi con la terra come ogni pianta che dalle radici matura al sole e linfa della vita (per ognuno compreso l’uomo).

Purtroppo per ordine della storia quanto rappresentato ed analizzato da Junger con una notevole ‘metafora’ o se preferite simmetrica-profetica-convergenza è un fenomeno filosoficamente superato, giacché in questa sede non si vuol formulare un nuovo ‘erbario’ tantomeno per aver radici ben salde in terra ripensare utopisticamente l’intero assetto mondiale e comunitario concretizzato in menti eccelse e/o inferiori, semmai ‘concretizzare’ ed ‘idealizzare’ il nostro ed altrui comportamento alle esigenze mondiali di nuovi e frequenti eventi ‘tellurici’ di popoli e razze migrazioni e calamità in ogni Secolo transitate.

Per questo l’esempio di Kennedy e Oswald, giacché entrano in gioco quei fattori analizzati anche da Junger, cioè la tecnica del nostro tempo e l’intera economia e non solo bellica che ne deriva.

Siamo sottoposti a questo evento tellurico che qualcuno detenendo un improprio vasto campo magnetico vorrebbe risolvere a  proprio favore una determinata economia, e questo non è falsa utopia ma prender atto che purtroppo lo scenario si muove con tali intenti, ed allora l’unica possibilità di una probabile via di salvezza prima della ‘curva’ del gran big-bang o lo ‘sparo della collinetta’ in nome di medesima ‘materia’, è l’urgenza di dover riformulare il nostro ed altrui rapporto in misura con il prossimo soprattutto se Straniero, cioè il nostro Stato in misura ad altri e con essi una possibile comunitaria convivenza evoluta dal e nel ‘diritto’ detto.  

E’ certo, come avvenne e odiernamente avviene anche nel grande Impero, ciò che motivato da un imperatore ed un papa per quella sfida verso un’isola che nel 1963 fu oggetto di tanto clamore, suscita l’attuale attenzione, soprattutto quando con l’avvento di un terremoto dovuto ad un sotterraneo movimento ha valorizzato un diverso intento cancellando l’utopia del nuovo.

Da qui consensi o dissensi sopradetti dal Filosofo…

E da qui possiamo meditare in medesima filosofica pretesa ciò che avviene costantemente nell’odierno nostro cammino, e di conseguenza, se pur apparentemente motivi luoghi e eventi di diverso profilo e spessore, meditare cosa significa il convivere e saper rapportare lo Stato nelle dovute condizioni e queste con le medesime altre (ragion di ugual diritto alla vita nella comunità interpretata ed evoluta) di diversi stati che sappiano esulare dal falso motivo, in verità e per il vero, ‘contrario alla terra’ quale altrettanto falso slogan d’ogni Forestaro incaricato dal popolo della stessa nell’improprio uso d’una comune Natura.

Un sud, in America conservatore per antica colonica discendenza, ed un Europa ugualmente divisa nell’opposto, un nord ricco e chiuso entro il suo antico impero e perimetro e un sud, come ora, proiettato verso l’utopia di una diversa filosofia.

Meditare la migliore soluzione mi par un enunciato che risolleverebbe e risolverebbe l’Anima quanto lo Spirito di Kennedy e l’intera sua Terra proiezione di un Impero - uno dei due verso miseri stati di medesimo Universo…

E come - se pur in apparenza distante - il tiro preciso di un fucile da cui il Filosofo citato come il sottoscritto per medesimi due (fucili) incriminati  prendere e sottoscrivere le dovute e debite distanze!