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Appello.... all'Infinito (2)
Ze Kung ritornando a
Tsin dallo stato di Ciù, venne una volta a passare per un luogo a nord del fiume
Han. Vide un vecchio che lavorava nel suo orto. Aveva scavato dei canali per
irrigare. Con un secchio attingeva acqua dal pozzo e la vuotava in quelli. La
fatica era molta e il risultato meschino.
‘C'è un congegno’,
disse Ze Kung,
‘che in un giorno irriga
cento poderi come il tuo. Con poca fatica si ottiene molto. Non lo vorresti
avere?’.
L'ortolano levò il
viso e disse:
‘Che cos'è?’.
‘È una leva di legno’,
rispose Ze Kung,
‘che dietro è pesante
e davanti leggera. Attinge acqua come tu fai con le tue mani e versa senza
interruzione. Si chiama gru’.
L'ortolano lo guardò
con ira, rise e disse:
‘Ho udito dire al
mio maestro: chi usa macchine, è macchina nelle sue opere; chi è macchina nelle
sue opere acquista cuore di macchina. Ma chi ha cuore di macchina ha perduto la
pura semplicità. Chi ha perduto la pura semplicità ha lo spirito inquieto;
nello spirito inquieto non dimora il Tao. Non ch'io non conosca il vostro
congegno; mi vergognerei di usarlo’.
Ze Kung restò
confuso; guardava a terra e non disse parola.
Dopo un poco chiese
l'ortolano:
‘Chi siete, voi?’.
‘Sono uno scolaro di
Confucio’,
rispose Ze Kung.
‘Siete dunque uno di
quei gran dotti che vorrebbero parer savi; che si vantano di essere superiori a
tutti; che solitari cantano melanconiche canzoni per acquistarsi fama nel
mondo. Se voi dimenticaste la valentia del vostro spirito e smetteste di
atteggiarvi come fate, potreste forse giungere a qualcosa. Ma voi non sapete
governare voi stesso, e volete governare il mondo? Fate la vostra via,
signor mio, e non disturbate il mio lavoro’.
(La gru e il Tao)
Kien Vu chiamò Lien
Sciù e disse:
‘Ho udito Tsie Yù dire
parole grandi ma senza riscontro. Proferite che erano, erano perdute. Ne ebbi
spavento; erano come la via lattea senza principio né fine. Erano sciolte,
lontane da ogni condizione umana’.
‘Quali parole?’,
chiese Lien Sciù.
‘Diceva che lontano
sui monti di Ku Scià abitano degli spiriti felici. Hanno il corpo liscio come
ghiaccio, bianco come neve; sono fini e delicati come vergini; non vivono di
grano, mangiano il vento e bevono la rugiada, montano sulle nuvole e sul vento;
cavalcano i draghi volanti e vagabondano felici di là dal mondo. Che il loro spirito
è così concentrato che possono salvare le creature dal contagio e dalle
malattie, e portare a sicura maturità i raccolti. Mi sembrano parole da matto e
io non ci credo’.
Disse Lien Sciù:
‘È così. A un cieco
non si fa vedere un bel quadro né a un sordo si fa sentire la musica. Ma non vi
sono solo i ciechi e i sordi del corpo, vi sono i ciechi e i sordi
dell'intelletto, e le tue parole ti mostrano tale. L'influenza d'un uomo come
quello pervade tutto il creato. Se una miserabile generazione lo chiamasse per uscire
dal suo disordine, come vorrebbe egli affaticarsi a condurre l'ordine in un
regno? Un uomo come quello non può esser tocco dal mondo. Le più grandi piene
alte come il cielo non lo potrebbero annegare né lo brucerebbero i più gran
calori quando fondessero i metalli e le pietre, e la terra e i monti ardessero.
Dalla sua polvere e cenere si potrebbero ancora formare Yao e Sciùn (i più
grandi re). Come vorrebbe egli occuparsi delle cose del mondo?’.
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