CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

venerdì 8 novembre 2024

AI CESARI

 









Prosegue con il panegirico 


completo 


in attesa della 


mangiatoia con cui


si contraddistinguono 








& dal labirinto (10) 


Procediamo verso 


il vecchio Sentiero (11)








Una breve parentesi ad uso di ogni buon futuro lettore frammentato e pagato ad hore nel facoltoso esercizio del buon governo della casata rappresentata, e da cui le più note marchette; il quale come la Storia insegna, abdica il passo incompiuto a chi con la stessa, senza merito alcuno, eccetto quello dell’incompiuta saccenza politica o dotta ignorantia ad uso del governante di turno d’ogni Elemento, fa’ scempio in terra e nell’intero Universo….

 

E siccome sono nominati governanti, superiore il Nobile Signore pagano per sua antica dinastica discendenza e cultura sempre in salita per ogni Cima e Vetta riparato ed esiliato in un freddo povero rifugio apparentato con Zeus chiodo d’ogni vetta, il quale ne riconosce e indica l’indiscusso giusto merito con cui ogni governante, equivalente ad una buona cameriera, narrata o meglio apostrofata - per ogni spiaggia o vallata - nell’indiscusso esercizio del proprio e l’altrui governata funzione per cui incaricato/a, distinguendosi e adoperandosi per il proprio ‘assente’ padrone.

 

Dacché ne deriva, maggiore la riconosciuta grandezza del(la) suddetto/a governante quando commisurato alla casa la quale deve governare a dispetto d’un più misero rifugio; ovvero; maggiore la proporzione della regale maestà in rappresentanza dei padrini assenti circa la loro - e non certo nostra - volontà di diritto e libero arbitrio, e quindi abdicata ed in cui esplicitata la funzione per ogni metro quadrato giustamente ed in proporzione ben ‘governato’ anche perseguitando ogni rifugiato; nell’esercizio indiscusso e a furor di popolo dall’oste alla bottegaia, con cui si distingue una governante da un giusto sovrano; una democrazia da una dittatura; una libro spolverato da uno letto da cui suddetto scritto, e da cui deriva anche una frammentata frase replicata senza il dovuto nesso con la realtà che la circonda e circoscrive al ruolo in cui la stessa governante esprime, dalla quarta alla copertina, ovviamente evitando il contenuto del tomo ripulito dall’antica polvere che divide passato e presente di questo atto, il suo assenso alla tirannia, essendo retribuita ad hore e con contratto a breve scadenza, rispetto all’indeterminata dinastica tirannia da cui deriva ogni metro quadrato della casa governata nel prestigioso decoro della più celere e civile pulizia che la contraddistingue e nobilita!

 

La celerità della mano d’opera d’ogni buon governante è una qualificata caratteristica che ne contraddistingue oltre gli osannati pregi anche la durata dell’insediamento nella casa governata, circa ed in merito ai contributi dello stesso contratto, donde evitare ogni colpo di mano (detti anche ‘colpi di stato’) e futuro licenziamento a lei offerto, medesimo ugual colpo che avvertiamo nello scrivere il tomo dalla governante spolverato! 

 

Quindi ed ancora, la diplomazia si manifesta quando suddetti grandi, con altrettanta grandezza, esprimono al meglio i valori della casa così ben rappresentata e governata, nell’inalterata volontà degli assenti, così da mantenere l’invisibile proprio secolare dominio nell’esercizio delegato ad una governante per conto dell’altrettanto inalterato Stato delle cose così saggiamente governate…

 

La Storia di ogni Stato e Impero, che al meglio o al peggio si contraddistingue, si riconosce compone edifica e maschera, con questa nobile caratteristica - o bassa morale civica - con cui ed altresì si evidenzia, l’esiliato Idealista dal governante di turno, il pagano dal buon cristiano, la cosa o l’oggetto comune di medesimo interesse, al meglio o al peggio governato.

 

Ogni Profeta o semplice scrivano dello stesso ugual Dio, non è mai Re nella propria patria, in genere perseguitato in attesa di giudizio dato dal buon governo del Tempio così da potersi meritare la dovuta nonché ambita onorificenza della croce al merito, ove esposta con decoro per ogni chiesa via piazza e sentiero di questa ed ogni patria, ne identifica risaltandone la democratica dottrina esposta seppur mai letta e compresa.

 

In quanto, come espresso poco sopra, ovvero, ad uno scaffale leggermente più in alto o elevato, ove la governante per ovvi motivi di statura fisica e morale non riesce ad elevarsi o distinguersi, sono conservate non solo le Leggi ma anche donde le stesse derivano… E soprattutto da quale regno… Ovvero quello ove la polvere d’un trascorso antico èvo si accumula pur non vista…(ci vorrebbero troppe hore di buon governo!)

 

Da dove - comunque - si domina con superbo panorama l’alta collina del Golgota fino al Terminillo in salita e discesa libera con il permesso mai concesso del gigante Zeus; quindi si sconsiglia ad ogni buon Governante in esercizio della propria ed altrui funzione la vista, in quanto l’alta ambita onorificenza, un fine e merito dalla cui casa si viene abdicati o degradati - dipende sempre dai punti di svista - all’uso della più modesta villa con annessa grotta, o peggio, esiliata fredda seconda dimora con annesso super-Attico sulla piazzata romana o napoletana, giacché non più percorrendo molta distanza e differenza, se intrapresa con bega e con una più celere autostrada - o peggio contromano - la Legge ne difetta non potendo mettervi mano circa l’incontrollata illimitata velocità dell’altrui e nostro derivato prestigioso progresso incaricato da un miglior regno sovrano; ed ove il/la governante non può certo adempiere alla ricchezza cui destinata l’intero condominio con aspirazione alla santa casata, o meglio che diciamo, incaricato dal tempio altrettanto sovrano!

 

Il popolo (assieme agli scribi e farisei per ogni stato regione piccolo o grande paesino) compia la parte rimanente del rito, adegui ogni idealista profeta alla elevata volgarità con cui ogni Stato di cose legate all’odierno esercizio del Verbo si contraddistingue ed evolve nell’apostrofarne e confonderne la Memoria vilipesa, da Antiochia fino a Roma, per il bene del dio dell’oro nero, circa medesimo Ideale (di Verità e Ricchezza) così mal governato nonché interpretato da ogni governante di turno all’inizio e fine orario di lavoro…

 

Così, se pur vengono nominati grandi, in verità e per vero, i loro meriti non certo altrettanto (maggiori o più) grandi di chi ignorato, o peggio, calunniato e preso in ostaggio dal furore del popolo civilizzato, così di nuovo istruito secondo rigidi piani quinquennali telecomandati come iper-controllati. Abdicando, per ogni più prestigioso intrigo di corte o di polvere sottilmente ignorate, in cotal concordato governo suddetto ogni sgradito Elemento incarnato e morto appestato fra gli antichi papiri indiani e/o persiani soffocato e pugnato sotto un antico Albero (si narra e vocifera dallo stesso numero civico X di suddetto innominato palazzo che con lui ci fosse una sconosciuta amante della stessa sua segreta natura… dacché la più nota esclamativa un amante di…), convertito alla elevata emissione della calunnia, di chi nell’Ambiente prospera e compie la propria ed altrui innominata fortuna scritta nella ricchezza ben ‘governata’, nel preservarne ogni nociva solfurea emissione. 

 

L’industriosa Ragione in cotal paradigma prospera previene & purga ogni emissione sgradita, nell’uso ed esercizio del buon Governo.

 

Così come amministrato il contraddistinto esercizio della badante incaricata qual ottima governante. Infatti, si evidenzia anche nella corretta funzione della ‘casa’ ben mantenuta al meglio della solida ricchezza nella sfortunata assenza dei padri fondatori, o legittimi proprietari riparati nell’esiliata Selva.

 

Al momento assenti, e/o, solitamente confinati per altri destini e lunghi Viaggi.

 

Alla buona Penelope si raccomanda di non interferire, per quanto possibile, con la governante di turno, neppure, nel corretto esercizio del suddetto domicilio (come solitamente viene interpretato il concetto dello stesso riflesso e albergato nel vasto mondo di cui un Tempo fu oggetto la Natura intera e il Pensiero da Lei ispirato).

 

Ai proci, al contrario, si rammenta l’esercizio del corretto uso della grammatica, e per quanto possibile di riscriverne l’immutata Storia compiuta!

 

Da costoro ogni buona calunnia edificata prospera nel Regno della Democrazia così ben governata, dacché ogni accento sia padano che siciliano un vero complimento annoverato nei registri della Memoria esiliata. Detti da costoro e dal loro accento risalta e gratifica il complimento d’una diversa impolverata oscurata dottrina morale e civica.

 

Che Cesare ne prende nota!

 

Per il resto a codesti grandi raccomandiamo di rendere, per quanto possibile, assieme a tutti i proci con cui si compone la vasta corte e platea e con cui accompagnati nobilitata dell’esercizio della libera Parola, di mantenere la cosa governata, casata villa palazzo & residenza con annesso super-Attico affittato al putiniano; il più decorosamente in ordine nel corretto esercizio del paesaggio ornamentale - o arredamento - così edificato e disquisito e possibilmente visto da lontano; nonché  ben spolverato e protetto, onde evitare che l’impropria sporcizia (così schifosamente nominata alla sola vista) possa, oltre che depositarsi per ogni antico Tomo dovutamente ripulito, anche insinuare il vero suo principio - o diverso Elemento sgradito -, nel corretto esercizio del più comune strofinaccio da spolvero simmetrico alla comune grammatica disquisita del buon governo, in uso nelle tradotte dovute (carenti) capacità interpretative - fino ai ripiani più elevati là ove la polvere accumulata e affogata nella crosta del tempo offuscano la buona parola della governante di turno frammentata e condivisa fra una bestemmia e dismessa memoria, abdicando il difficile compito alla ditta che meglio sa sovrintendere ogni piano ben edificato, e mai sia detto il contrario circa la Forza d’Italia intera; proiettando in medesimo esercizio di ugual Ragione con Vista assolutistica (che X ne prenda nota, Nessuno escluso in quanto esiliato ed in perenne Viaggio), circa la dovuta confusione nell’uso della propria ed altrui funzione (condivisa fra sporco e pulito), e da cui gli incaricati mantengono l’inalterato Stato del vero secolare ordine - architettonico e/o ornamentale - da cui il principio per cui comandati nella suddetta capacità di ‘governare’ (nonché spolverare ogni tomo antico).

 

Benvenuto Cesare!

 

Giacché sottratta al (lo sporco) Principio d’un diverso ordine e esercizio della Ragione si rischierebbe di perdere il mestiere!

 

Mortificandone ogni miniatura con un colpo offerto dalla ‘massa’ d’un più violento e cieco accanimento, o lieto evento da Ognun osannato, Nessuno escluso avviamente; giacché la materia evoluta incarna il progresso animando la schiavitù d’ogni antica particella e molecola costretta nell’orbita dell’avvenire, ed ove il tempo coniato e rimodulato, fors’anche restituito, in una diversa frequenza d’onda evolvendolo o spacciandolo per terapia d’urto, & che Nessun ci urti ancora altrimenti bisogna chiamare d’urgenza ed in moto costante ed immediato il padrone della prestigiosa bianca casata hor hora e di nuovo e per sempre imbiancata…

 

Ave a te Giulio Cesare!

 

(Giuliano)







domenica 3 novembre 2024

IL RACCONTO DELLA DOMENICA, ovvero, UNO SGUARDO AL FUTURO (dedicato all'uomo sulla collina & alla sua siepe preferita...)










Precedenti capitoli 


circa la scrittura  


& il post al completo 







Il rapporto del Partito Repubblicano con le donne è stato sempre complicato nel frattempo, le donne bianche non evangeliche si avvicinavano sempre di più agli ultimi cicli elettorali, per usare un eufemismo. Il divario di genere, ovvero la differenza tra il sostegno maschile e femminile ai candidati di un partito, è cresciuto in modo esponenziale nel corso di una serie di elezioni. Le donne hanno costantemente favorito i democratici; gli uomini i repubblicani. Con l’allargarsi del divario negli anni ’80 e ’90,il numero di donne democratiche in carica è aumentato mentre quello delle donne repubblicane è diminuito. Tuttavia, anche prima, negli anni ’60 e ’70 si era verificato uno spostamento di genere con la defezione degli uomini bianchi, in particolare nel Sud, dal Partito Democratico al Partito Repubblicano. Gli studiosi Ruy Teixeira e AlanAbramowitz della Brookings Institution hanno scritto nel 2008,



 

‘Durante gli anni Sessanta, queste nuove richieste allo stato sociale raggiunsero il culmine. La preoccupazione degli americani per la loro qualità di vita traboccò dal garage per due auto all’aria e all’acqua pulite e alle automobili sicure; dagli stipendi più alti all’assistenza sanitaria garantita dal governo in età avanzata; e dall’accesso al lavoro alle pari opportunità per uomini e donne, neri e bianchi. Da queste preoccupazioni nacquero i movimenti ambientalisti, dei consumatori, per i diritti civili e femministi degli anni Sessanta’.

 

Ciò significava che gli uomini bianchi iniziarono a giungere alla conclusione che ‘il Partito Democratico aveva semplicemente meno da offrire loro in questo ambiente. Di conseguenza, questi uomini, in modo più evidente nel Sud, migrarono naturalmente verso il Partito Repubblicano’.

 

Quando le donne si schierarono con forza per i democratici, i loro candidati vinsero comodamente. La vittoria di Bill Clinton nel 1992 fu alimentata in gran parte dalle donne che lo favorivano fortemente rispetto a George HW Bush (45 contro 38 percento). Nel 1996 Clinton perse il voto maschile ma vinse con un margine di diciassette punti tra le donne. Quando i repubblicani riuscirono a ridurre il divario di genere, come fece George W. Bush nel 2004 vincendo il 48% del voto femminile, riuscirono a garantirsi la vittoria.




Nel frattempo, le donne bianche non evangeliche si avvicinavano sempre di più al Partito Democratico a partire dagli anni di Ronald Reagan. La mossa coincise con la polarizzazione della politica americana e con il crescente divario ideologico tra i partiti. La politica estera più energica di Reagan e il suo quadro ideologico “Il governo non è la soluzione al nostro problema; il governo è il problema” non andavano giù a milioni di donne poco inclini a favorire relazioni internazionali conflittuali e animosità antigovernative. L’affermazione di Reagan nel 1986 secondo cui le “nove parole più terrificanti della lingua inglese sono: ‘Sono del governo e sono qui per aiutare’ ” fu accolta male dalle donne le cui principali preoccupazioni di politica interna si sono a lungo concentrate su questioni come l’istruzione e il Diritto alla salute e la cura medica concessa ad ognuno.




Tuttavia, le donne bianche non sono mai state monolitiche o fondamentaliste. Geografia e religione svolgono un ruolo straordinariamente importante nel differenziare i modelli di voto delle donne bianche. È stato tra le donne bianche evangeliche, soprattutto nel Sud, dove l’identificazione repubblicana è rimasta particolarmente forte. Attivate da leader di destra come Phyllis Schlafly che derideva le femministe e si rivolgeva alle madri casalinghe che si sentivano disprezzate dai loro coetanei, le donne si sono unite agli uomini nelle fila degli evangelici bianchi politicamente attivi la cui influenza nel GOP è cresciuta drasticamente a partire dagli anni ’80. Tale influenza è stata esagerata dalla loro elevata affluenza alle urne e dalla loro incrollabile lealtà al GOP, con circa otto su dieci che hanno votato regolarmente repubblicano. Tra il 2000 e il 2020, gli evangelici bianchi costituivano circa il 26% dell’elettorato, mentre il loro numero nella popolazione generale è sceso a circa il 15%.

 

Nella sua ricerca, Angie Maxwell, direttrice del Diane D. Blair Center of Southern Politics & Society ha sottolineato le importanti differenze tra donne evangeliche e donne non evangeliche, e tra donne nel Sud e nel resto del Paese.

 

‘Trump ha vinto il 57% delle donne bianche senza esperienza universitaria al di fuori del Sud’, ha spiegato. ‘Negli stati dell’ex Confederazione, quel numero sale al 68,9%’.




Ha scoperto che…:

 

‘nel complesso, nel 2016, circa il 35,3% di queste donne bianche senza istruzione universitaria si identificano come fondamentaliste cristiane. Ma c’è ancora una grande distinzione regionale. Nel Sud, quel numero è del 49,9%; fuori dal Sud è del 29,9%’.

 

Nelle elezioni presidenziali che hanno portato a Trump, secondo la sondaggista Celinda Lake, i repubblicani hanno ottenuto la vittoria sulle donne bianche senza istruzione universitaria con margini che vanno dai diciotto ai ventuno punti.

 

Le donne evangeliche bianche, come i loro colleghi maschi, vedevano Trump come il loro campione, un guerriero contro il declino dei protestanti cristiani bianchi e delle ‘famiglie tradizionali’. Questi elettori temevano la diminuzione della loro maggioranza demografica e del dominio culturale e politico. Trump potrebbe essere stato uno stronzo, ma era il loro stronzo, che inveiva contro gli accordi commerciali esteri, la manodopera a basso costo e ciò che vedevano come una violazione della loro libertà religiosa. Avrebbe rispettato i giudici, si sarebbe scagliato contro le élite e le avrebbe protette da ciò che vedevano come un assalto di immigrati. Penny Nance Young, a capo di Concerned Women for America, ha ammesso in un saggio per la CNN che molte donne ‘non amano le loro scelte, ma stanno con Trump’. 

(J.R)

 



Il padre, Donald Harris, era arrivato negli Stati Uniti dalla Giamaica con un visto studentesco, dopo essere stato ammesso alla prestigiosa università di Berkeley; sarebbe diventato poi un economista e docente universitario. La madre, Shyamala Gopalan, veniva da molto più lontano: nata a Mannargudi in India, la prima di quattro figli, si era laureata a Delhi e poi, all’insaputa dei suoi, si era candidata a un dottorato in nutrizione ed endocrinologia a Berkeley. Quando la sua proposta fu accettata, i genitori inizialmente mugugnarono, ma poi presero i loro risparmi e la mandarono a studiare in California: sarebbe diventata un’importante scienziata e oncologa, le cui ricerche hanno portato a significativi progressi nella conoscenza degli ormoni legati al cancro al seno.

 

Donald e Shyamala si erano conosciuti all’università durante le proteste studentesche di quegli anni agitati, e si erano sposati nel 1963. La loro prima figlia, Kamala, era nata un anno dopo, nel 1964; sua sorella Maya sarebbe arrivata nel 1967. Gli Harris non erano tecnicamente afroamericani, almeno nel significato che questa parola ha negli Stati Uniti, dove si usa soprattutto per fare riferimento agli eredi degli schiavi statunitensi. In quanto giamaicano, Donald era certamente afroamericano se si intende per ‘America’ l’intero continente e non solo gli Stati Uniti – i neri arrivarono nei Caraibi attraverso la tratta degli schiavi –, ma la sua storia e la storia della sua famiglia non avevano a che fare con quella dei neri statunitensi, con le piantagioni di cotone della Georgia o del Mississippi e con la guerra di secessione.




Shyamala, poi, era addirittura asiatica: niente di più distante dalla storia e dalla cultura degli afroamericani. Tuttavia non erano bianchi, quindi vivevano fuori da Oakland, a West Berkeley, nelle cosiddette flatlands: la zona nella quale erano segregati gli afroamericani. Donald Harris e Shyamala Gopalan erano stati spinti in quella zona dalle discriminazioni razziali sancite dalle leggi e da quelle nate dai comportamenti delle persone, in un’epoca in cui il raro arrivo di una famiglia non bianca in un quartiere di bianchi provocava come minimo qualche trasloco: ma non vivevano quella condizione come un equivoco da risolvere, un’etichetta da cui riuscire prima o poi a liberarsi grazie alle loro ottime carriere accademiche o alle origini geografiche indicate nei loro passaporti. Entrambi avevano chiarissimo che, a prescindere dalle loro origini, avevano messo al mondo due bambine nere negli Stati Uniti. 

(F. C.)

 



Un ricercatore che ha intervistato donne evangeliche in California ha scoperto: ‘Piuttosto che rappresentare semplicemente il partito repubblicano, Trump riproduce narrazioni evangeliche guidate dalle emozioni, tra cui l’imperativo di riportare gli Stati Uniti alla loro legittima eredità cristiana (bianca). Per molte donne evangeliche bianche, abituate ad ascoltare queste narrazioni nelle loro chiese, il linguaggio di Trump è risonante e familiare’. Rimarrebbero leali a Trump e al GOP mentre le donne bianche non evangeliche, per lo più al Nord, fuggirebbero dal GOP.

 

Anche nel Partito Repubblicano pro-Trump, un segmento di donne bianche non evangeliche nel Nord-est, nel Midwest e nell’Ovest, in particolare donne sposate e benestanti, era rimasto fedele al GOP per decenni. I repubblicani si sono rivolti alle donne che si erano unite alla fuga dei bianchi verso i sobborghi benestanti sottolineando preoccupazioni come la criminalità, gli autobus scolastici e le tasse elevate. Le ‘mamme calciatrici’ che i repubblicani hanno corteggiato con successo sono diventate un sinonimo delle donne bianche suburbane preoccupate per il terrorismo negli anni immediatamente successivi all’11 settembre, ma soprattutto per un costante pretesa dell’ordine pubblico*. 

(J. R.)







venerdì 1 novembre 2024

IL FILO DI ARIANNA, ovvero: UNA LINGUA SCONOSCIUTA, NON PUO' ESSERE DECIFRATA (dall'odierna cultura) (9)

 









Precedenti capitoli 


circa il Sé originario (8)  


Prosegue con: 


il culto dell'Albero (10)








Creta sorge all’estrema periferia di un arco montuoso che dalla Grecia, attraverso il Mar Egeo, raggiunge l’Asia Minore.

 

Il Mar Egeo non ha mai costituito una barriera fra popoli diversi. Se ne era già accorto Schliemann quando, a Micene e a Tirinto, aveva trovato oggetti provenienti da terre lontane. Evans avrebbe rinvenuto a Creta avorio dell'Africa e statue dell'Egitto. Nel piccolo mondo dell’antichità, pacifico e rapace a un tempo, il commercio e la guerra costituivano le molle essenziali del traffico, così come nel nostro gran mondo di oggi. Le isole formavano con le due madrepatrie una unità economica e culturale. E come madrepatria non si vuol qui designare la terraferma, poiché risultò ben presto che la vera madrepatria - in quanto fu la sede di un atto creativo - era un’isola, Creta.

 

Secondo la leggenda, lo stesso Zeus vi sarebbe stato generato da Rea, la Madre Terra, nell’antro di Ditte. Le api gli portarono il miele, la capra Amaltea gli porse la mammella, le ninfe lo custodirono. Giovani valorosi si riunirono per difenderlo dal suo stesso padre, Crono, divoratore dei propri figli. A Creta avrebbe regnato Minosse, il leggendario figlio di Zeus, il sovrano potentissimo che gli antichi nominavano solo con parole di gloria.

 

Evans scavò presso Cnosso.





Immediatamente al disotto della superficie del suolo si incontrarono le mura antiche, e già dopo un paio d’ore di lavoro si cominciarono ad avere risultati positivi. Dopo due settimane Evans stupefatto si trovò di fronte ai resti di un edificio che ricopriva una superficie di otto are, e nel corso dell’anno affiorarono i resti di un palazzo dell’estensione di due ettari e mezzo. La pianta era chiara e affine (nonostante importanti differenze esteriori) a quella dei palazzi di Tirinto e di Micene, ma era tanto superiore per grandiosità, fasto e bellezza, da mostrare che le rocche della terraferma non potevano essere state altro che stanziamenti secondari, capoluoghi di colonie o province avanzate. 

 

Intorno a un enorme quadrato, il cortile maggiore, sorgevano su tutti i lati ali di costruzioni, muri di mattoni vuoti, tetti piani sorretti da pilastri. Le stanze, i corridoi, gli atri dei diversi piani presentavano una pianta così confusa, offrivano ai visitatori tante possibilità di smarrirsi, che l’espressione labirinto affiorava anche sulle labbra del semplice turista, ignaro della leggenda che attribuisce al re Minosse un labirinto, costruito da Dedalo, e modello di tutti i labirinti che furono costruiti in seguito.




Evans non esitò ad annunciare al mondo di aver trovato il palazzo di Minosse, figlio di Zeus, padre di Arianna e di Fedra, signore del labirinto e dello spaventoso Minotauro, il mostro mezzo uomo e mezzo toro che vi abitava. Evans andava scoprendo meraviglie. Il popolo che qui aveva dimorato - un popolo di cui Schliemann aveva solo trovato tracce coloniali e su cui fino allora non si erano avute che notizie leggendarie - aveva vissuto nella ricchezza e nel piacere, e forse era già scivolato in quella molle decadenza che reca in sé il germe della rovina e facilmente attecchisce su un giaciglio di rose.

 

Una civiltà decadente è il frutto della massima fioritura economica. Creta era, allora come oggi, la terra del vino e dell’olio di oliva. E in quanto isola, era al centro del commercio marittimo. Il particolare che sorprese tutto il mondo, in questi primi scavi, fu la mancanza, nel più ricco palazzo della preistoria greca, di qualsiasi fortificazione e di mura difensive; ma i beni commerciali dell’isola avevano bisogno, per la propria tutela, di una forza più vigorosa e più offensiva delle mura: una flotta padrona dei mari!

 

Agli occhi del navigante di quel tempo che si approssimava a Creta, il palazzo non appariva come una fortezza, ma con le sue candide colonne, con le sue pareti decorate di stucchi, splendenti sotto il sole dell’isola, come una gemma preziosa del mare, scintillante in tutte le sue sfaccettature.




Evans scoprì i magazzini. Gli orci stavano l’uno accanto all’altro; orci colossali, un tempo pieni di olio, riccamente ornati con motivi simili a quelli che si erano trovati anche a Tirinto. Evans si prese la pena di misurare la capacità dei magazzini per l'olio, e arrivò a 75.000 litri. Tale era la provvista per un solo palazzo!

 

Chi erano i beneficiari di tanta ricchezza?

 

Dopo breve tempo Evans scoprì che non tutto apparteneva alla stessa epoca, e non tutte le mura avevano la stessa età, né tutte le ceramiche e le pitture recavano il segno dello stesso stile. Ben presto, attraverso un’acuta indagine, egli riconobbe periodi diversi di questa civiltà, e distinse - con una suddivisione in uso ancora oggi - un periodo minoico antico dal III al II millennio, un periodo minoico medio fino al 1600 circa, e un periodo minoico tardo – l’epoca più breve con un improvviso epilogo - fino circa al 1250 a. C.




C’erano poi tracce di attività umana anche anteriori al primo periodo, risalenti all’epoca che chiamiamo neolitica, in cui si ignorava ancora l’impiego del metallo e tutti gli utensili erano di pietra. Evans faceva risalire queste tracce ad una antichità di 10.000 anni, mentre altri studiosi non vanno così lontano, e si limitano a datarle ad almeno 5000 anni fa.


Come si giunse alla possibilità di una datazione e di una divisione in periodi?

 

Per ogni epoca Evans trovò oggetti di provenienza straniera, ceramiche e vasellame egizio esattamente databile dai periodi delle dinastie faraoniche. L’epoca di maggior fioritura fu riconosciuta nel periodo di transizione fra il medio e il tardo minoico (circa 1600 a.C.), quando verosimilmente visse un Minosse, signore della flotta e dominatore del mare. Era il tempo in cui la vita era piena di fasto e di benessere. Si praticava il culto della bellezza. Gli affreschi rappresentavano giovinetti che errano per i prati raccogliendo fiori di croco in calici sottili e fanciulle che indugiano su campi di gigli. La civiltà minacciava di risolversi in puro sfarzo. La pittura non era più un’ornamentazione sorretta da una rigida forma, ma un’orgia di colori e un allucinato splendore; le dimore non sorgevano più da una necessità, ma dal lusso; l'abbigliamento non era più espressione di un bisogno imposto dalla natura e dalla consuetudine, ma oggetto di gusto e di raffinatezza.




Non c’è da meravigliarsi se Evans usò l’aggettivo ‘moderno’ per illustrare quanto aveva scoperto. Quella costruzione grande quanto Buckingham Palace celava condotti di scolo, lussuose stanze per abluzioni, impianti di ventilazione, depositi di assorbimento e pozzi per rifiuti. E ancora più evidente era il parallelo coi nostri tempi se ci si rivolgeva al contegno, all'abbigliamento, alla moda degli uomini.

 

All’inizio del periodo medio minoico le donne portavano ancora un alto berretto a punta, e un lungo vestito decorato di strisce colorate aperto sul davanti e fermato da una cintura, con un colletto alto e rigido che lasciava scoperti i seni. Questa antica foggia si trasformò nel periodo di massima fioritura della civiltà minoica in un costume più raffinato. Il semplice vestito diventa un corpetto con maniche strettamente aderenti, che mette in evidenza le forme e lascia scoperto il petto, ma questa volta con provocante civetteria. Le sottane sono lunghe e pieghettate, ricche e decorate, alcune con la rappresentazione di una collina da cui crescono stilizzati fiori di loto. Sulla sottana è un grembiule variopinto. Sul capo le donne portano un’alta cuffia, trasformazione del vecchio berretto a punta.

 

Non vien voglia di vedere nel loro abbigliamento una grottesca ultramodernità?




E se i capelli corti sono un segno di modernità, queste donne, con le teste rasate come quelle degli uomini, sono più moderne che mai! Così esse ci appaiono dalle immagini che ne sono rimaste: con movimenti di grazia indolente, distese con stanca leggiadria sulle sedie da giardino, giocando con un guanto o conversando con un fascino tutto parigino nello sguardo e nell’espressione... e ci sembra inverosimile che siano dame di un tempo trascorso da millenni. E per renderci conto della lontananza di questo tempo dobbiamo rivolgerci all’abbigliamento maschile, formato di un semplice grembiule intorno ai lombi.

 

Fra tutte le meravigliose figure scoperte da Evans (delle quali ‘perfino i nostri incolti operai sentirono il fascino’) ce n’è una di cui conosciamo il soggetto: il danzatore sul toro.

 

Un danzatore?

 

un artista?

 

Questa fu l’opinione di Schliemann quando la vide riprodotta a Tirinto, questo oscuro avamposto dove non c’era nulla che potesse ricordargli un’antica leggenda di tori, vittime e sangue fumante nei templi. Ma Evans non era forse nella terra dove aveva regnato Minosse, il monarca che custodiva il Minotauro, il mostro di aspetto taurino?

 

Che cosa narrava la leggenda?




Minosse, signore di Creta, di Cnosso e di tutto il mare ellenico, aveva inviato il figlio Androgeo a partecipare ai giochi ateniesi. Più forte di tutti i Greci, questi riuscì vincitore, ma cadde vittima della gelosia di Egeo, re di Atene. Minosse sdegnato spedì ad Atene la sua flotta, invase la città, l’assoggettò e richiese un’atroce espiazione. Ogni nove anni gli Ateniesi dovevano mandare il fiore della loro gioventù, sette giovanetti e sette fanciulle, come vittime per il mostro di Minosse. Il tragico sacrificio stava per compiersi per la terza volta, quando Teseo, il figlio di Egeo rientrato in patria dopo un lungo viaggio, durante il quale aveva compiuto imprese eroiche, si offrì di navigare alla volta di Creta e di uccidere il mostro.

 

‘Sul mare di Creta navigava la prua raggiante di azzurro della nave. Essa portava Teseo e sette coppie di giovani ioni’.

 

Vele nere ondeggiavano sull’albero maestro, e bianche ne avrebbe alzate Teseo, al suo ritorno, se l’impresa avesse avuto esito felice. Arianna, la figlia di Minosse, vide il principe votato alla morte e se ne innamorò. Gli diede una spada per combattere e un gomitolo di lana, di cui ella volle reggere un capo quando Teseo si addentrò nel Labirinto per dare la caccia al mostro. Dopo una terribile lotta Teseo vinse la belva, ritrovò l’uscita mediante il filo di lana, e in tutta fretta, con Arianna e i compagni, prese la via del ritorno. Ma era ancora così eccitato per la insperata salvezza che non pensò di sostituire le vele secondo quanto aveva convenuto. Egeo credette che il colore funereo fosse un segno di morte e si precipitò in mare.




Non poteva questa leggenda fornire la spiegazione della pittura?

 

Due fanciulle e un giovanetto giocano con un toro.

 

Ma era realmente un gioco?

 

O non erano piuttosto in ballo la vita e la morte?

 

Non poteva trattarsi qui del sacrificio al Minotauro, che, a sua volta, non significava forse altro che ‘toro di Minosse?’




Altri interrogativi si presentarono quando si paragonò più attentamente la leggenda con la realtà che si era scoperta. Un nucleo di verità era chiaro: il Labirinto. Si poteva ammettere che la vittoria di Teseo adombrasse la conquista e la distruzione del palazzo da parte di popoli venuti dalla terraferma; ma appariva inverosimile al massimo grado che alle origini della distruzione del regno di Minosse dovesse porsi una vendetta personale del monarca, il crudele sacrificio richiesto come espiazione dell’uccisione del figlio.

 

Il regno però fu distrutto.

 

E la distruzione avvenne in modo così violento e repentino che i conquistatori non ebbero il tempo di vedere, di udire o di imparare nulla, allo stesso modo come tremila anni più tardi, ad opera di un pugno di Spagnoli, il regno di Montezuma fu ridotto a un tacito cumulo di rovine e di pietre.




Come?

 

Perché?

 

L’origine e la fine del ricco popolo di Creta è ancora oggi il problema insoluto di tutti gli archeologi e di tutti gli scienziati che si interessano di storia antica. Secondo Omero, vivevano nell’isola cinque popoli di lingua differente. Secondo Erodoto, Minosse non era greco, mentre secondo Tucidide lo era. Evans, che più d'ogni altro si interessò alla questione, propende per un’origine libico-africana. Eduard Meyer, il maggiore storico dell’antichità, si limita ad osservare che, probabilmente, i Cretesi non provenivano dall’Asia Minore. Dörpfeld, il vecchio collaboratore di Schliemann, ancora nel 1932, ottantenne, controbatte la teoria di Evans e menziona la Fenicia come luogo di origine dell’arte cretese-micenea.

 

Dov’è il filo di Arianna che ci condurrà fuori dal labirinto dei pro e dei contro?




La scrittura potrebbe essere questo filo. Evans andò a Creta appunto per la scrittura. Nel 1894 ne aveva già descritto i primi caratteri. Egli scoprì innumerevoli iscrizioni ideografiche, e, presso Cnosso, duemila tavolette di argilla coi segni di un sistema grafico lineare. Ma nel 1935 Hans Jensen, in un fondamentale lavoro su La scrittura, constata: ‘La decifrazione della scrittura cretese è ancora nella sua fase preliminare, per cui non siamo ancora venuti in chiaro della sua natura’.

 

Oscura come le origini e le iscrizioni è la fine del regno di Creta. Esistono teorie numerose quanto audaci. Evans riconobbe chiaramente tre stadi della distruzione: il palazzo fu ricostruito due volte e alla terza fu definitivamente distrutto.





Se gettiamo un’occhiata panoramica alla storia di quei giorni, vediamo irrompere in Grecia orde di immigranti, Achei dalla pelle chiara provenienti dal nord, dalle terre danubiane o forse dalla Russia meridionale, che travolgono le città dei popoli dalla pelle scura, distruggono Micene e Tirinto; questa vasta ondata di genti barbariche si espande oltre il mare e raggiunge Creta. Poco più tardi vediamo nuovi eserciti in marcia, i Dori che scacciano gli Achei, ma apportano una cultura inferiore. E se gli Achei distruttori seppero ‘prendere possesso’ dell’eredità, mostrandosi degni di essere celebrati da Omero, i Dori furono soltanto dei distruttori.

 

Ma con essi si iniziava la nuova grecità.


Così andarono le cose, secondo alcuni. Secondo altri, le vicende si svolsero in tutt’altro modo.

 

Evans scoprì che la distruzione del palazzo di Minosse doveva essersi svolta con la violenza di un cataclisma. Pompei era l’esempio classico di un simile fenomeno. Qui, nelle stanze del palazzo, Evans incontrò gli stessi segni di morte e di distruzione improvvisa che d’Elbœuf e Venuti avevano trovato per la prima volta ai piedi del Vesuvio: suppellettili abbandonate, opere d’arte e manufatti non terminati, un’attività domestica bruscamente interrotta.




Evans ne dedusse una teoria che venne confermata dalla sua stessa esperienza. La sera del 26 giugno 1926, alle nove e trenta, Evans stava a letto leggendo, quando sopraggiunse un terremoto. Il letto si scosse, le pareti della casa tremarono, alcuni oggetti caddero, e un secchio si vuotò dell’acqua che conteneva, la terra sussultò e scricchiolò e quindi muggì come se fosse tornato in vita il Minotauro. La scossa fu breve, e appena terminata Evans corse al palazzo. Le ricostruzioni da lui compiute avevano resistito. Dove era stato possibile, egli aveva impiegato sostegni e pilastri di cemento armato. Ma nei paesi circostanti fino a Candia, la capitale, il terremoto aveva prodotto grandi distruzioni.

 

Questa esperienza personale convalidò la teoria di Evans. Creta è uno dei paesi di Europa maggiormente travagliati dai terremoti. Solo la violenza di un simile cataclisma, che d’un tratto scosse e spalancò la terra ingoiando l’opera dell’uomo, poté distruggere il palazzo di Minosse al punto che, sulle sue rovine, non furono ricostruite che un paio di misere capanne.

 

Questa è l’opinione di Evans.

 

Ma i più non la condividono. Forse un giorno verranno altri chiarimenti.




Tuttavia Evans poté chiudere il cerchio che per primo Schliemann, con la sua fede, aveva visto brillare fra la cenere micenea. L’uno e l’altro furono degli scopritori. Ora è venuto il tempo degli interpreti, il tempo di coloro che ritroveranno il filo di Arianna.

 

Dove brucia la lucerna di colui che saprà decifrare la scrittura cretese?

 

Essa manderebbe tanta luce da illuminare un’Europa rimasta sepolta nell’oscurità dei secoli per tre millenni. Con questa domanda terminavo il capitolo nel 1949. Verso la metà dell’anno seguente venne la prima risposta: Ernst Sittig, professore di Tubinga, aveva risolto il problema, quello stesso cui avevano lavorato il finlandese Sundwall per quarant’anni, poi il tedesco Bossert, l’italiano Meriggi e il ceco Hrozný (il decifratore dei testi ittiti cuneiformi di Boghazköy), finché nel 1948 Alice Kober di New York, rassegnata, aveva dichiarato:

 

‘Una lingua sconosciuta, scritta in una scrittura sconosciuta, non può essere decifrata...’.

 

Sembrò il trionfo.




Sittig aveva applicato per primo alla filologia classica, in tutte le sue implicazioni, l’arte (e la scienza) di decifrare i messaggi militari segreti, arte perfezionata nel corso di due guerre mondiali sulla base di metodi statistico- matematici fondati sul calcolo delle frequenze. A tutta prima credette di aver decifrato undici, poi persino trenta segni della cosiddetta ‘scrittura cretese lineare B’. Ma verso la metà del 1953 arrivò un’altra risposta. Nelle mani del giovane inglese Michael Ventris era caduta una tavoletta d’argilla (trovata a Pilo da Blegen), recante un raggruppamento di segni in cui Sittig non s’era ancora imbattuto, tavoletta che il geniale Ventris - di professione architetto, cioè nuovamente un outsider - poté leggere ineccepibilmente come greco.

 

Ciò tolse ogni valore alla lettera di Sittig: non trenta, ma solo tre delle sue interpretazioni erano giuste. Incominciò allora una lotta che durerà ancora a lungo. La filologia classica si sta avvicinando alla soluzione definitiva del problema della decifrazione: la maggior parte delle tavolette cretesi sono leggibili. Ma per quale motivo, allora, nel centro d’una civiltà autonoma e altamente sviluppata, i Cretesi scrivevano con la loro scrittura, circa 600 anni prima di Omero, la lingua dei greci, cioè di un popolo che non aveva in nessun modo raggiunto un alto grado di civiltà?

 

Coesistevano più lingue una accanto all’altra?




C’è forse qualcosa di erroneo nella nostra cronologia greca antica? O lo stesso Omero diventa di nuovo un problema?

 

Nel 1963 il professor Leonard R. Palmer di Oxford, nel suo libro Mycenaeans and Minoans, avanzò nuove interpretazioni. Gli studiosi lo criticarono ed attaccarono con tale veemenza da costringerlo a pubblicare dopo solo due anni una nuova edizione ‘fondamentalmente riveduta e ampliata’. Orbene - altri anni di ricerca chiariranno molte cose. Intanto rivolgiamo la nostra attenzione a un paese, la cui scrittura fu anch’essa un enigma per molto tempo (enigma che, come vedremo, fu sciolto in modo quasi drammatico), un paese che fin dall’inizio ci ha parlato attraverso i più imponenti monumenti lasciatici dal mondo antico: il paese del Nilo. 

(C. W. Ceram)