CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 31 agosto 2020

QUALCHE MESE DOPO (il Viaggio prosegue) (5)

 









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Viaggio della nostra Anima (4/1)


Prosegue ancora con il...:


Lungo Viaggio della nostra Anima (6)








Giovedì T.J. Mackey era davanti al Country Records Building. Attraversò la strada in direzione del prato triangolare fra la Main e la Elm. Guardò verso i binari della ferrovia sopra il sottopassaggio. Poi attraversò lentamente la Elm e rimase sul prato inclinato davanti al colonnato. Si incamminò in direzione della staccionata che delimitava il parcheggio.

 

Si rivolse verso la Elm.

 

Ritornò indietro verso l’indicazione per la Stemmons Freeway.

 

Auto, dappertutto, sfreccianti.

 

Guardò il cielo e si asciugò la bocca.




Più tardi era seduto in una Ford scura in prossimità del centro a scartare un sandwich. Quella era una zona di vecchi depositi, coi binari del treno in parte ricoperti dal lastricato, e pareti che mostravano mattoni e malta resi visibili dalla demolizione delle strutture adiacenti. Tutti gli spazi sfruttabili erano stati riservati al parcheggio – vicoli, aree polverose, vecchie zone di carico.

 

Era mezzogiorno e c’era un profondo silenzio, un distacco che Mackey considerò strano, a un isolato e mezzo dalla folla e dal traffico. Osservò Oswald avvicinarsi con indecisione. Era certo che Oswald volesse essere il killer solitario. Le cose vanno così con i solitari, con quegli uomini che fanno eternamente dei progetti in vista di un momento esclusivo. Abbastanza facile da farglielo credere.




Tuttavia doveva anche assicurarsi che Oswald non avrebbe fatto fuoco finché la limousine non si fosse allontanata da lui in direzione del sottopassaggio. T-Jay voleva un fuoco incrociato. Se Oswald fa cilecca, il suo secondo cecchino si trova  in prima posizione; avrà  l’auto quasi di fronte.

 

T-Jay non faceva assegnamento sul colpo di Oswald.

 

Era lui il ragazzo  che aveva mancato il generale Walker da una distanza di 37 metri – un uomo fermo, in una stanza bene illuminata. Inoltre il Mannlicher è una arma vecchia, rudimentale e incerta. Se spara e fa cilecca mentre l’auto si trova ancora sulla Houston Street, diretta verso di lui, senza un campo visivo libero per il secondo killer, allora ce ne andremo tutti con un pugno di mosche in mano.




 Come tiratore, Oswald era superfluo, era essenzialmente una riserva. Il suo ruolo era quello di fornire prodotti di interesse storico, un’arma rintracciabile, tutti i ritagli e la miniera di notizie della sua carriera cubana. T-Jay vide che aveva individuato l’auto, piegando leggermente la testa. Si avvicinò ed entrò, portando con sé un sandwich e una busta di latte da un quarto di litro.

 

‘Come sta la nuova bambina?’,

 

 ‘Bene. Sta benissimo’,

 

‘Verrà verso di te lungo la strada,  girando per uscire dalla Main e procedendo nella tua direzione lungo la Houston’,

 

…disse T-Jay.




 ‘Non lo prenderai allora. Non sarà quello il momento. E’ un colpo facile, il più facile che si possa pretendere, ma staranno guardando proprio verso di te. Ci sarà un’auto pilota, circa 15 poliziotti sulle moto, ci sarà un’auto del servizio segreto con otto uomini, di cui quattro fuori sui predellini. Saranno tutti raggruppati  intorno alla limousine del presidente e guarderanno nella tua direzione. Una volta cessata la detonazione, sapranno con esattezza  da dove è venuto lo sparo.

 

Quell’edificio verrà inondato dalla polizia.

 

E’ un consiglio che ti dò.

 

Non posso essere troppo enfatico.

 

Aspetta.

 

Aspetta finché non girano sulla Elm e si dirigono verso il sottopassaggio e la Freeway. Non è un colpo difficile. Miri alla massa, alla zona centrale del suo corpo o a qualunque parte visibile attraverso il cannocchiale.

 

 Aspetta.




 Aspetta che si allontani da te verso la Elm. Poi aspetti che abbia superato la quercia. Deve oltrepassare quell’albero. Calcolerai il primo sparo a meno di sessanta metri. Dopo di ciò, dipende dalla velocità di reazione dell’autista. Immagino che la detonazione rimbomberà nel sottopassaggio. Non saranno sicuri della sua provenienza. In quel momento sarai dietro di loro e quindi sarà più difficile individuarti.

 

Guadagnerai dei secondi extra. Forse dieci secondi supplementari per scendere giù. Potrebbero determinare la differenza.

 

Aspetta.

 

Assicurati di aspettare.

 

Non farti neanche vedere a quella finestra finché l’auto non raggiunge la quercia. Poi aspetta che abbia superato l’albero’.




 ….L’auto bianca che apriva il corteo svoltò, le motociclette svoltarono. La Lincoln passò sotto di lui, rallentando per girare a sinistra, dando quasi l’impressione di ruotare su un asse.

 

Tutto era lento e chiaro.

 

Si abbassò su un ginocchio, appoggiò il gomito sinistro sulla pila di scatoloni e la canna del fucile sul bordo di una scatola sul davanzale. Mirò alla nuca del presidente.

 

La Lincoln si mosse verso la protezione offerta dalla quercia a circa venti chilometri all’ora. Pronto a sinistra, pronto a destra. Vide scintillare nel mirino telescopico il metallo dell’auto. Sparò attraverso uno spazio tra le foglie. Quando fu possibile distinguere di nuovo chiaramente l’auto, il presidente cominciò a reagire.

 

Lee spinse la leva verso l’alto, tirò indietro l’otturatore.




Il presidente reagì.

 

Alzò le braccia aperte.

 

Improvvisamente ci furono piccioni dappertutto.

 

Comparvero dalle grondaie e si diressero a ovest.

 

La detonazione risuonò nella piazza, secca e distinta. Le mani del presidente  erano strette intorno alla gola, le braccia piegate all’infuori. Lee fece scorrere in avanti l’otturatore, spingendo giù la leva.

 

Adesso la Lincoln procedeva più lentamente.

 

Era quasi immobile.




 Ferma sulla strada a una sessantina di metri dal sottopassaggio, senza alcuna protezione. Sulla traiettoria.

 

Raymo scese dalla Mercury truccata nel parcheggio al di sopra del terrapieno, un po’ più giù della metà di Elm Street. Una staccionata di legno, fiancheggiata da alberi e cespugli, delimitava l’area del parcheggio. Il paraurti posteriore toccava la staccionata. C’erano dieci o dodici auto posteggiate lì vicino, molte di più negli spazi a nord e ad ovest.

 

Raymo rimase fermo un momento, ruotando le spalle. Si tirò su i testicoli, tre colpetti con la mano sinistra. La staccionata era alta circa un metro e mezzo, troppo alta perché vi potesse appoggiare comodamente il braccio sinistro. Si diresse verso il retro dell’auto e si mise in piedi sul paraurti. Guardò oltre la staccionata e al di là di una striscia di prato. L’auto che apriva il corteo si avvicinò alla curva di Elm Street.




 Frank Vasquez scese dalla macchina dal lato guida. Portava un Weartherby Mark V, munito di mirino telescopico, caricato con proiettili a punta morbida che esplodono con l’impatto. Rimase vicino al parafango posteriore finché Raymo non allungò una mano. Frank gli diede l’arma. Ritornò al posto di guida. L’auto sobbalzò mentre vi entrava e Raymo lanciò uno sguardo tagliente all’indietro.

 

Il rumore della folla proveniente da Main Street era ancora nell’aria, debole, un mormorio udito per caso da qualche parte, e Frank, con le spalle rivolte alla scena dell’azione, rimase seduto al volante ad ascoltare. La sua vista si estendeva oltre i cantieri della ferrovia, verso nord-ovest. Serbatoi idrici dipinti di bianco. Piloni dell’elettricità che si susseguono in lontananza, monotoni e sinistri. Tutto luce e cielo. Si sentì come se fosse in grado di vedere fino alla fine del Texas.




Raymo si trovava un po’ più a ovest rispetto al punto in cui le due sezioni della staccionata formavano un angolo quasi retto. Dalla profonda ombra degli alberi guardava una scena abbagliata dal sole. Piccoli gruppi che si formavano sull’erba, a entrambi i lati della Elm, famiglie, macchine fotografiche, come l’inizio di un picnic.

 

La limousine svoltò nella strada.

 

La gente sul lato nord della Elm, che dava le spalle a Raymo, si riparava gli occhi dal sole. Altra gente salutava, Kennedy salutava, applausi, luce del sole, bagliore fiammeggiante sul cofano della limousine. Una ragazza corse sull’erba. Gli uomini sui predellini. Quattro uomini appesi ai lati dell’auto di scorta, a soli pochi metri dalla Lincoln blu.

 

Dallas Uno.

 

Ripete.

 

Non ho capito tutto.



Leon sparò troppo presto, con l’auto che passava sotto l’albero. La detonazione suonò come una carica inadeguata, leggermente debole, un difetto, polvere insufficiente.

 

Kennedy reagì tardi, all’inizio senza sorpresa. Le sue braccia si alzarono lentamente, come un uomo su un vogatore. L’autista dimezzò la velocità. Rimase seduto lì. L’altro agente rimase seduto lì. Sostavano aspettando che una voce fornisse la spiegazione. I piccioni schizzarono via.

 

Raymo sistemò la canna del fucile sulla staccionata. Fissò saldamente i piedi sul paraurti. L’avambraccio sinistro, che imbracciava il fucile, era infilato in mezzo alle punte di due paletti. Piegò la testa verso il calcio. Aspettò, prendendo la mira attraverso il mirino telescopico.

 

Ferma sull’erba una donna vide la limousine emergere da dietro un cartello della Freeway.

 

Il presidente si stringeva la gola.




Sentì un rumore secco, come il ritorno di fiamma di un’auto, e realizzò che era il secondo rumore che aveva sentito. Pensò di avere visto un uomo gettare un bambino sull’erba e cadergli addosso. Non si rese veramente conto di avere sentito il primo rumore finché non sentì il secondo.

 

Una ragazza correva verso la limousine salutando. Il rumore esplose e si smorzò, dileguandosi nella piazza. Tutto ciò non aveva alcun senso. Il chiarore era così intenso che Lee poté vedersi nell’enorme stanza di scatoloni ammucchiati, libri sparsi, vecchie pareti di mattoni, lampade nude, una piccola figura nell’ombra, in parte nascosta.

 

Sparò un secondo colpo.

 

Vide il governatore, girato a destra, cominciare a guardare in direzione opposta, poi si piegò all’improvviso. Una reazione di sorpresa. Aveva appreso dalle riviste specializzate in armi che si chiamava reazione di sorpresa. Girò la leva verso l’alto, tirò indietro l’otturatore, poi lo respinse in avanti. Va bene, la prima volta aveva sparato troppo presto, colpendo il presidente alla nuca, da qualche parte vicino al collo. Fu una sciocchezza a cui avrebbe potuto rimediare. Va bene, aveva mancato il presidente al secondo colpo e preso Connally. Ma l’auto era ancora lì, a stento si muoveva.

 

Vide la First Lady chinarsi verso il presidente, che ora si era lasciato cadere giù.




 C’era un uomo in piedi che applaudiva al margine del mirino telescopico. Lee spinse in giù la leva e prese la mira. Sentì il secondo bossolo rotolare sul pavimento (…si sentiva, nella sua solitudine chiuso in quella sala, padrone della situazione…, era finalmente l’uomo che voleva essere…Lee Oswald…). 

 

C’erano rose sul sedile fra Jack e Jackie. L’interno dell’auto era di un piacevole azzurro. L’uomo era così vicino che avrebbe potuto rivolger loro la parola. Rimase ad applaudire sul marciapiede. Una donna gridò verso l’auto: ‘Hey vogliamo farvi una foto’.

 

Il presidente aveva l’aria estremamente confusa, la testa piegata a sinistra. L’uomo smise di applaudire, ormai immerso nel caos. Guardava i corpi riversi e avvertiva l’avvicinarsi di uomini armati.

 

METTIMI IN CONTATTO, BILL.

 

METTIMI IN CONTATTO.




 Bobby W. Hargis, su una moto della scorta, della fila sinistra, si rese conto che quelli che sentiva erano colpi di arma da fuoco. C’era una donna che stava scattando una foto e un’altra, a circa sei metri dietro di lei, che riprendeva la stessa scena. In questa inquadratura appariva anche la prima donna. Non riuscì a capire da dove provenissero gli spari, due spari, ma sapeva che qualcuno era stato colpito nell’auto.

 

Un uomo gettò il figlio al suolo e cadde su di lui. Quello è un ex combattente, ebbe tempo di pensare Hargis. Il governatore Connally stava scivolando giù dal sedile. La moglie lo afferrò immediatamente. Hargis si voltò a destra subito dopo aver notato una ragazza con una graziosa giacca che correva sul prato verso l’auto del presidente. Girò il corpo a destra, tenendo la motocicletta in direzione ovest sulla Elm, e poi il sangue e la materia, la cosa indimenticabile, gli schizzi di sangue, ossa e tessuto lo colpirono in volto. Pensò che gli avessero sparato. Quella roba lo investì come uno spruzzo di pallettoni, la sentì urtare contro il casco con un colpo secco.

 

La gente si era buttata sull’erba.




 Tenne la bocca serrata, in modo da impedire al liquido di entrare.  John era riverso sul sedile centrale. Nellie Connally lo tirò fra le sue braccia. Chinò il capo su quello di lui. Faceva finta di essere  lui. Erano entrambi vivi o entrambi morti. Non potevano essere uno e uno.

 

Poi il terzo sparo fece schizzare roba ovunque.  Tessuto, frammenti di ossa, tessuto in mucchietti pallidi, miscuglio di tessuto cervicale, sangue, materia grigia tutt’intorno a loro.  

 

Sentì Jackie dire:

 

‘Hanno ucciso mio marito’.

 

Avrebbe potuto essere la voce di Nellie, qualcuno che parlava per lei. Credeva che John fosse morto. Poi lui si mosse lievemente e lei pensò, nello stesso istante, che Jackie era fuori dell’auto, diretta all’estremità posteriore, ma ora era in qualche modo di nuovo lì. John si mosse fra le sue braccia. Erano un solo cuore che pulsava.

 

 SIAMO STATI COLPITI.

 

LANCER E’ STATO COLPITO.

 

PORTACI VELOCEMENTE AL PARKLAND.




 L’auto prese velocità e le cose cominciarono a muoversi rapidamente.

 

Nellie pensò quanto doveva essere orribile quella scena, che spettacolo tremendo per la gente che guardava, vedere l’auto sfrecciare con quei due uomini a cui era stato sparato; che orrore, che spettacolo.

 

Sentì Jackie dire:

 

‘Ho il suo cervello nelle mie mani’.

 

Tutto passava a gran velocità.


L’uomo col maglione bianco che applaudiva vide la materia esplodere dalla testa del presidente. Passarono le motociclette. Spuntarono fuori le armi. Un uomo sulla seconda auto con un fucile automatico. Passò la seconda auto. Una moto sbandò e finì sul pendio erboso vicino al colonnato. Qualcuno con una cinepresa era lì vicino e mirava in quella direzione.  L’uomo col maglione bianco ora aveva le mani sospese all’altezza della cintura e stava pensando che avrebbe dovuto buttarsi a terra, sarebbe dovuto cadere proprio in quel momento.

 

Una luce indistinta intorno alla testa del presidente.

 

Due schizzi bianco-rosa di tessuto che spuntavano da quella nebbia.

 

La cinepresa in funzione.




Lee stava per fare partire il terzo colpo, era sul punto di farlo, aveva il dito sul grilletto. La luce era così chiara da mozzare il fiato. Ci fu una lacerazione bianca al centro dell’obiettivo. Uno schizzo terribile, un’esplosione. Qualcosa di bianco venne fuori dalla testa del presidente. Fu scaraventato all’indietro, completamente circondato dalla polvere e dalla caligine.

 

Poi, improvvisamente, di nuovo chiaro, riverso e immobile sul sedile.

 

 Oh, è morto, è morto.

 

Lee alzò la testa dal mirino e guardò a destra.

 

C’era un muro bianco di cemento che si estendeva dal colonnato, poi una staccionata di legno dietro di esso.

 

Un uomo sul muro con una cinepresa.

 

La staccionata immersa nell’ombra.




 Vagoni merci sui binari al di sopra del sottopassaggio. Si alzò in piedi, allontanandosi dalla finestra. Sapeva di aver fatto cilecca col terzo colpo.  Era andato per conto suo. Non aveva colpito niente. Girò la leva dell’otturatore verso l’alto.

 

METTIMI IN CONTATTO.

 

METTIMI IN CONTATTO,

 

METTIMI IN CONTATTO.

 

Stava già parlando a qualcuno di quanto era successo. Aveva già un’immagine. Vide se stesso raccontare l’intera storia a qualcuno, un uomo con il volto rude da texano, eppure gentile, comprensivo. Indicava le contraddizioni. Raccontava come era stato persuaso dai raggiri a far parte del complotto.

 

Si dice vittima?

 

Immaginò un ufficio con uno stendardo, dignitari in una foto alla parete.  Tirò indietro l’otturatore, poi lo spinse in avanti, abbassando la leva. Percorse in diagonale il pavimento verso la parte nordovest, dov’erano situate le scale. Libri ammucchiati in dieci scatoloni uno sull’altro. La fragranza della carta e delle rilegature.




 Le sirene cominciarono a suonare, le armi cominciarono a comparire. La ragazza smise di correre verso l’auto. Si fermò e guardò il volto privo di qualsiasi emozione. Una donna con la macchina fotografica si voltò. Si accorse che qualcuno le stava scattando una foto. Una donna con una giacca scura aveva una Polaroid puntata su di lei. Solo in quel  momento capì che era stato sparato a qualcuno. Aveva schizzi di sangue sul volto e sulle braccia. Pensò, com’è strano, che la donna con la giacca fosse lei, e che era lei la persona a cui avevano sparato. Si sentì così sbalordita e strana, ricoperta da schizzi bianchi. Si mise a sedere con cura sull’erba. Si abbandonò e sedette lì.

 

La donna con la Polaroid non si mosse.

 

La prima donna sedette sull’erba, mise giù la sua macchina fotografica, guardò quella  roba incolore sulle braccia. I piccioni giravano vorticosamente sulle cime degli alberi. Se le avevano sparato, pensò, doveva stare seduta.  

 

L’agente Hill scese dal predellino sinistro e si mosse in fretta. Ci fu uno sparo. Salì sulla Lincoln dal paraurti, allungando la mano sinistra verso la maniglia di metallo. Fu un suono doppio. O furono due spari, oppure uno sparo e un forte impatto, il proiettile che aveva colpito qualcosa di duro. Voleva arrivare, arrivargli vicino, fare scudo al corpo. Vide la signora Kennedy farsi verso di lui. Si stava arrampicando per uscire dall’auto. Strisciava sul cofano posteriore, le mani appiattite, il ginocchio destro sulla sommità del sedile. Pensò che stesse inseguendo qualcosa e realizzò di avere visto una cosa volare vicino, un lampo da qualche parte, qualcosa che era volato verso l’estremità della limousine. La spinse indietro verso il sedile. L’auto scattò, facendolo quasi cadere all’indietro. Furono nel sottopassaggio, nell’ombra, e quando riapparvero nella luce, vide Connally coperto di sangue.

 

Spettatori, bambini, tutti salutavano.




Si tenne stretto alla maniglia. Stavano andando maledettamente veloci. Tutti e quattro i passeggeri erano immersi nel sangue, pigiati insieme sul pavimento. Si stese sul cofano posteriore. Fu raggiunto da un pensiero, da una consapevolezza. Lei stava cercando di recuperare parte del cranio del marito. Si tenne stretto. Riusciva a vedere proprio dentro la testa del presidente. Adesso stavano andando a 130.  

 

La vista di Raymo venne oscurata per un istante.

 

Fu costretto ad aspettare che il lato della  limousine passasse accanto al sostegno di cemento. Sapeva che Connally era stato colpito. Ebbe tempo di pensare: Leon li sta facendo fuori uno a uno. Ebbe la sensazione che la gente si stesse piegando e sparpagliando anche se non appariva nell’inquadratura del mirino. Ora l’auto si mosse chiaramente, dividendosi lentamente in quattro.

 

Mirò alla testa di Kennedy.  

 

Era piegato verso sinistra, con gli occhi stretti per il dolore.  40 metri. 36 metri.

 

FECE FUOCO.




I capelli del presidente si rizzarono. Ondeggiarono e volarono via.

 

Raymo scese dal paraurti e si mise sul sedile posteriore.

 

Frank fece partire l’auto.

 

Guidò attraverso file di macchine parcheggiate dietro il Depository. Si diresse verso tre vagoni merci con l’insegna Hutchinson Northern.

 

Raymo si sporse in avanti.

 

ATTENTO, AMICO!

 

MA LUI NON DISSE UNA PAROLA.

 

GIA’ IN MOLTI URLAVANO PER IL BUON LAVORO COMPIUTO…

 

(Don Delillo, Libra; mi scuso se i fotogrammi non coincidono con i [loro]

tempi offerti...)







giovedì 27 agosto 2020

IL LUNGO VIAGGIO DELLA NOSTRA ANIMA (3)

 










Precedenti capitoli:


Dell'inganno (2/1)


Prosegue nel lungo...:


Viaggio della nostra Anima (4)








Un treno, il treno senza fermate, una locomotiva sfiatata, un vagone spento, poi il vagone Z e, racchiuso li dentro, lui che rifà lo stesso percorso che aveva fatto tre giorni prima in aeroplano, cento ore prima, in quel mese di maggio, le ore della sua agonia, quelle ore dopo la caduta necessaria alla sua Anima per prepararsi alla partenza – l’espulsione gli era stata notificata in modo così improvviso che aveva fatto fatica a crederci in un primo momento; vene del collo gonfie, un fratello – quello che non aveva studiato – e una madre – dal viso come la terra, che pensava a quella terra che presto avrebbe accolto, il suo figlio amato; 




infine un vagone pieno di tanfo, del fetore di una compagnia di poliziotti coi fucili tra le gambe, terrorizzati da questo treno di morte, pronti a intervenire al minimo incidente, che guardavano passare un paesaggio che non poteva entrare dalla porta piombata del suo vagone, mentre lui nella sua bara, calava dal nord al sud, chiuso per sempre e la sua Anima lo seguiva al di sopra del treno come un elicottero per accordare la sua andatura e quella locomotiva, lepidottero che trita la sua polvere sui campi per prevenire la peronospora e fa fremere la vegetazione al passaggio della sua ombra che per un breve istante rinfresca il suolo arido; e la terra assetata di pioggia da secoli, si elettrizza già solo alla carezza di...




...quell’ombra come una mano che sfiora un’altra mano senza un allacciarsi di dita, che allora sarebbe il segnale del sangue, e della rivoluzione, no, è soltanto un frullo d’ali, un tocco impercettibile che rianima insensibilmente il sangue addormentato nelle vene, e la terra – campi della Tessaglia, pianure della Macedonia, Bralos, Pintos, Sarandaporon, Tebe e Levida – sa che presto riceverà il suo corpo, quello del ‘quarantesimo prode’ della canzone, ma il sangue, pensa l’Anima alata, il sangue della terra, le sue acque, seguono la loro china naturale, quando sono pronte scalzano le fondamenta, e preparano così la grande rivoluzione; per questo il macchinista aveva un ordine formale: ‘nessuna fermata in nessun luogo’; alla presidenza del Consiglio ad Atene tutto uno stato maggiore sul piede di guerra seguiva il treno per radio, riceveva le comunicazioni dalle diverse unità di polizia e regolava in conseguenza l’andatura del convoglio mantenendosi in contatto col macchinista.




 Tutte le partenze erano state annullate, nessun treno veniva in senso contrario, nessun treno seguiva; tutti erano stati soppressi per lasciare via libera a questo, perché non approdasse a nessun porto e marinai, puttane e scaricatori non si sollevassero per fare la rivoluzione; i padroni del potere, lividi di paura, non sapevano più come nascondere la loro vergogna, come nella favola un bambino gridò: ‘il Re è nudo’, e loro restarono a bocca aperta, loro che a forza di ossequio l’avevano persuaso che era il più bello, quello dal vestito più ricco, che la sua forza stava nell’amore del suo popolo, ed ecco che di fronte a questo grido tutto sprofonda, e allora non trovano altra via d’uscita e preferiscono ‘traslocarlo’ e avere la pace una volta per tutte, sopprimere il testimone delle loro menzogne che non si era...




...contentato di gridare ‘il re è nudo’, ma che a Londra, aveva osato spogliare la regina incaricando qualcuno di strapparle il vestito sulla spalla, e così il treno filava in un mondo che si arrestò improvvisamente a causa del Suo fulmine, in un mondo che aspettava sotto un segnale per sollevarsi, ma tutto finì per rientrare nell’ordine, non ci furono incidenti – nemmeno al momento delle esequie, - si diffusero parole d’ordine moderate, per evitare ogni nuovo spargimento di sangue, perché i tempi non erano maturi: la politica mandò avanti il suo gioco prudente per vincere alla fine anche a costo di lasciar passare la grande possibilità offerta di questo delitto, mentre gli avversari, nell’ora della sua agonia, cercavano invano di nascondere la vergogna…

 


E il treno fischiava prima di venire inghiottito dal tunnel dal quale uscì con una sciarpa color della notte mentre l’Anima elicottero fu presa da un brivido quando per pochi secondi, perso di vista il suo corpo, una delle sue grandi ali multicolori cominciò a vibrare, come una valva liberata, l’Anima Falena, l’Anima Saturnia, l’Anima Sfinge, l’anima Nottua, l’Anima Esperia, farfalla uscita a tempo dal suo bozzolo offrendo agli uomini solidi fili di seta destinati a reggere i loro sogni come palloni, a gettare ancore legate da questo filo nel fondo dei loro sogni profondi, ma si acquietò vedendo riapparire il muso della locomotiva all’uscita... 




...del tunnel, poi il vagone spento, poi il Suo, piombato, poi i vetri lagrimosi dei vagoni dei parenti, poi quella sacca piena di bruchi verdi, processionarie dei pini, il vagone dei poliziotti, pronto, se scoppiava, a sommergere il mondo con la sua bava, e Lui senza vedere nulla, che pure vedeva ogni cosa dal suo elicottero, questa terra, la sua terra, la terra della sua patria, terra madre foggiata giustamente dai secoli, paesaggio secolare, cornice così bella che gli uomini avrebbero dovuto sempre soffrire per la sua bellezza, sempre versare il loro sangue per proteggerla dalle orde dei barbari, dalle bande dei neofascisti, sempre, senza altra giustificazione che la salvezza delle sue montagne e la benedizione del sole; vedeva gli alberi,




...piccole preghiere appoggiate sui marciapiedi del mare come vecchie donne che filano sull’uscio la loro canocchia; vedeva un gabbiano spaventato che dal treno sfiorava il mare; vedeva i villaggi prigionieri per sempre nelle gole delle montagne, ignorati da tutti, villaggi svuotati dall’emigrazione; poi l’Olimpo nevoso nella gloria di maggio e, di fronte il monte Kissavos, ancora rivali tutti e due come i due movimenti della Resistenza durante l’occupazione; avvicinandosi alla roccaforte veneziana, abbandonata da secoli al di sopra del Platamone, rifugio di corvi, che sorveglia il mare dove i pirati, oggi, sono i dragamine della Sesta Flotta, l’anima volle riposarsi un poco, entrò in una crepa nel muro, ne cacciò una...




lucertola verde; vide il marmo del mare venato dal vento con la speranza di una vela, tempio marino di fronte all’Olimpo; si abbandonò alla brezza, perché si dice che l’Anima erri, spensierata, finché il corpo non si è congiunto con le tenebre, ma che, nel momento in cui il corpo torna alla sua matrice, anch’essa torna nell’aria, si divide in molecole che diventano poi, l’ossigeno respirato dai vivi; e l’Anima sapeva che vedeva in quest’ultimo viaggio, per l’ultima volta, quella fortezza che un tempo le piaceva tanto, corona della cresta montagnosa, che girava dietro il vetro dell’automobile come su un palcoscenico girevole,




mentre era la strada invece che le girava intorno continuamente; per questo si fermò un momento a rivivere quei ricordi, ma il fischio del treno la richiamò a Tempe, l’elica si rimise in moto e l’Anima Falena decollò senza lasciare la minima traccia del suo passaggio sulla cittadella, senza aver inciso il suo nome sulla roccia, ridiede il posto alla lucertola verde e corse vicino al suo corpo estraneo a tutto, corpo terribilmente straziato, orribilmente mutilato, chi avrebbe detto che l’asfalto delle strade sarebbe divenuto la sua corona, ma forse era così…




Il corpo chiuso nel vagone non vede nulla…

 

Il corpo è senza Memoria!

 

…una macchina da scrivere sfasciata, buttata sul mercato delle robe vecchie, una macchina sorda, muta, inferma, mutilata…

 

Un po’ così si sentiva l’Anima quando l’ardore del sole cominciò ad indebolirsi…




 …Il treno attraversava la pianura dove il grano riprendeva forza al calore del sole. Le spighe rialzavano la testa man mano che la luce diminuiva, e alla brezza che si levò per riempire il vuoto che il gran benefattore lasciava dietro di sé, le spighe mature frusciavano all’unisono, alzati, amore mio andiamo a ballare fino al mattino. Onde senza schiuma come le onde dell’oceano, si rompevano sulla scarpata della ferrovia; profondi respiri di una donna che si abbandona alle stelle, e quella bellezza accresceva l’angoscia dell’Anima…

 

(V.V. Z L’orgia del potere)