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Lungo Viaggio della nostra Anima (6)
Giovedì
T.J. Mackey era davanti al Country Records
Building. Attraversò la strada in direzione del prato triangolare fra la Main e
la Elm. Guardò verso i binari della ferrovia sopra il sottopassaggio. Poi
attraversò lentamente la Elm e rimase sul prato inclinato davanti al colonnato.
Si incamminò in direzione della staccionata che delimitava il parcheggio.
Si rivolse
verso la Elm.
Ritornò
indietro verso l’indicazione per la Stemmons Freeway.
Auto,
dappertutto, sfreccianti.
Guardò il
cielo e si asciugò la bocca.
Più tardi era seduto in una Ford scura in prossimità del centro a scartare un sandwich. Quella era una zona di vecchi depositi, coi binari del treno in parte ricoperti dal lastricato, e pareti che mostravano mattoni e malta resi visibili dalla demolizione delle strutture adiacenti. Tutti gli spazi sfruttabili erano stati riservati al parcheggio – vicoli, aree polverose, vecchie zone di carico.
Era
mezzogiorno e c’era un profondo silenzio, un distacco che Mackey considerò
strano, a un isolato e mezzo dalla folla e dal traffico. Osservò Oswald
avvicinarsi con indecisione. Era certo che Oswald volesse essere il killer
solitario. Le cose vanno così con i solitari, con quegli uomini che fanno eternamente
dei progetti in vista di un momento esclusivo. Abbastanza facile da farglielo
credere.
Tuttavia doveva anche assicurarsi che Oswald non avrebbe fatto fuoco finché la limousine non si fosse allontanata da lui in direzione del sottopassaggio. T-Jay voleva un fuoco incrociato. Se Oswald fa cilecca, il suo secondo cecchino si trova in prima posizione; avrà l’auto quasi di fronte.
T-Jay non
faceva assegnamento sul colpo di Oswald.
Era lui il
ragazzo che aveva mancato il generale Walker
da una distanza di 37 metri – un uomo fermo, in una stanza bene illuminata. Inoltre
il Mannlicher è una arma vecchia, rudimentale e incerta. Se spara e fa cilecca
mentre l’auto si trova ancora sulla Houston Street, diretta verso di lui, senza
un campo visivo libero per il secondo killer, allora ce ne andremo tutti con un
pugno di mosche in mano.
‘Come sta
la nuova bambina?’,
‘Bene. Sta benissimo’,
‘Verrà
verso di te lungo la strada, girando per
uscire dalla Main e procedendo nella tua direzione lungo la Houston’,
…disse
T-Jay.
Quell’edificio
verrà inondato dalla polizia.
E’ un
consiglio che ti dò.
Non posso
essere troppo enfatico.
Aspetta.
Aspetta
finché non girano sulla Elm e si dirigono verso il sottopassaggio e la Freeway.
Non è un colpo difficile. Miri alla massa, alla zona centrale del suo corpo o a
qualunque parte visibile attraverso il cannocchiale.
Aspetta.
Guadagnerai
dei secondi extra. Forse dieci secondi supplementari per scendere giù. Potrebbero
determinare la differenza.
Aspetta.
Assicurati
di aspettare.
Non farti
neanche vedere a quella finestra finché l’auto non raggiunge la quercia. Poi
aspetta che abbia superato l’albero’.
Tutto era
lento e chiaro.
Si abbassò
su un ginocchio, appoggiò il gomito sinistro sulla pila di scatoloni e la canna
del fucile sul bordo di una scatola sul davanzale. Mirò alla nuca del
presidente.
La Lincoln
si mosse verso la protezione offerta dalla quercia a circa venti chilometri
all’ora. Pronto a sinistra, pronto a destra. Vide scintillare nel mirino
telescopico il metallo dell’auto. Sparò attraverso uno spazio tra le foglie. Quando
fu possibile distinguere di nuovo chiaramente l’auto, il presidente cominciò a
reagire.
Lee spinse
la leva verso l’alto, tirò indietro l’otturatore.
Il presidente reagì.
Alzò le
braccia aperte.
Improvvisamente
ci furono piccioni dappertutto.
Comparvero
dalle grondaie e si diressero a ovest.
La
detonazione risuonò nella piazza, secca e distinta. Le mani del presidente erano strette intorno alla gola, le braccia piegate
all’infuori. Lee fece scorrere in avanti l’otturatore, spingendo giù la leva.
Adesso la
Lincoln procedeva più lentamente.
Era quasi
immobile.
Raymo scese
dalla Mercury truccata nel parcheggio al di sopra del terrapieno, un po’ più
giù della metà di Elm Street. Una staccionata di legno, fiancheggiata da alberi
e cespugli, delimitava l’area del parcheggio. Il paraurti posteriore toccava la
staccionata. C’erano dieci o dodici auto posteggiate lì vicino, molte di più negli
spazi a nord e ad ovest.
Raymo
rimase fermo un momento, ruotando le spalle. Si tirò su i testicoli, tre
colpetti con la mano sinistra. La staccionata era alta circa un metro e mezzo,
troppo alta perché vi potesse appoggiare comodamente il braccio sinistro. Si
diresse verso il retro dell’auto e si mise in piedi sul paraurti. Guardò oltre
la staccionata e al di là di una striscia di prato. L’auto che apriva il corteo
si avvicinò alla curva di Elm Street.
Il rumore
della folla proveniente da Main Street era ancora nell’aria, debole, un
mormorio udito per caso da qualche parte, e Frank, con le spalle rivolte alla
scena dell’azione, rimase seduto al volante ad ascoltare. La sua vista si
estendeva oltre i cantieri della ferrovia, verso nord-ovest. Serbatoi idrici
dipinti di bianco. Piloni dell’elettricità che si susseguono in lontananza,
monotoni e sinistri. Tutto luce e cielo. Si sentì come se fosse in grado di
vedere fino alla fine del Texas.
Raymo si trovava un po’ più a ovest rispetto al punto in cui le due sezioni della staccionata formavano un angolo quasi retto. Dalla profonda ombra degli alberi guardava una scena abbagliata dal sole. Piccoli gruppi che si formavano sull’erba, a entrambi i lati della Elm, famiglie, macchine fotografiche, come l’inizio di un picnic.
La
limousine svoltò nella strada.
La gente
sul lato nord della Elm, che dava le spalle a Raymo, si riparava gli occhi dal
sole. Altra gente salutava, Kennedy salutava, applausi, luce del sole, bagliore
fiammeggiante sul cofano della limousine. Una ragazza corse sull’erba. Gli
uomini sui predellini. Quattro uomini appesi ai lati dell’auto di scorta, a
soli pochi metri dalla Lincoln blu.
Dallas Uno.
Ripete.
Non ho
capito tutto.
Leon sparò troppo presto, con l’auto che passava sotto l’albero. La detonazione suonò come una carica inadeguata, leggermente debole, un difetto, polvere insufficiente.
Kennedy
reagì tardi, all’inizio senza sorpresa. Le sue braccia si alzarono lentamente,
come un uomo su un vogatore. L’autista dimezzò la velocità. Rimase seduto lì. L’altro
agente rimase seduto lì. Sostavano aspettando che una voce fornisse la
spiegazione. I piccioni schizzarono via.
Raymo
sistemò la canna del fucile sulla staccionata. Fissò saldamente i piedi sul
paraurti. L’avambraccio sinistro, che imbracciava il fucile, era infilato in
mezzo alle punte di due paletti. Piegò la testa verso il calcio. Aspettò,
prendendo la mira attraverso il mirino telescopico.
Ferma
sull’erba una donna vide la limousine emergere da dietro un cartello della
Freeway.
Il
presidente si stringeva la gola.
Sentì un rumore secco, come il ritorno di fiamma di un’auto, e realizzò che era il secondo rumore che aveva sentito. Pensò di avere visto un uomo gettare un bambino sull’erba e cadergli addosso. Non si rese veramente conto di avere sentito il primo rumore finché non sentì il secondo.
Una ragazza
correva verso la limousine salutando. Il rumore esplose e si smorzò, dileguandosi
nella piazza. Tutto ciò non aveva alcun senso. Il chiarore era così intenso che
Lee poté vedersi nell’enorme stanza di scatoloni ammucchiati, libri sparsi,
vecchie pareti di mattoni, lampade nude, una piccola figura nell’ombra, in
parte nascosta.
Sparò un secondo
colpo.
Vide il
governatore, girato a destra, cominciare a guardare in direzione opposta, poi
si piegò all’improvviso. Una reazione di sorpresa. Aveva appreso dalle riviste
specializzate in armi che si chiamava reazione di sorpresa. Girò la leva verso
l’alto, tirò indietro l’otturatore, poi lo respinse in avanti. Va bene, la
prima volta aveva sparato troppo presto, colpendo il presidente alla nuca, da qualche
parte vicino al collo. Fu una sciocchezza a cui avrebbe potuto rimediare. Va
bene, aveva mancato il presidente al secondo colpo e preso Connally. Ma l’auto
era ancora lì, a stento si muoveva.
Vide la
First Lady chinarsi verso il presidente, che ora si era lasciato cadere giù.
C’erano
rose sul sedile fra Jack e Jackie. L’interno dell’auto era di un piacevole
azzurro. L’uomo era così vicino che avrebbe potuto rivolger loro la parola. Rimase
ad applaudire sul marciapiede. Una donna gridò verso l’auto: ‘Hey vogliamo
farvi una foto’.
Il
presidente aveva l’aria estremamente confusa, la testa piegata a sinistra. L’uomo
smise di applaudire, ormai immerso nel caos. Guardava i corpi riversi e
avvertiva l’avvicinarsi di uomini armati.
METTIMI IN
CONTATTO, BILL.
METTIMI IN
CONTATTO.
Un uomo
gettò il figlio al suolo e cadde su di lui. Quello è un ex combattente, ebbe
tempo di pensare Hargis. Il governatore Connally stava scivolando giù dal
sedile. La moglie lo afferrò immediatamente. Hargis si voltò a destra subito
dopo aver notato una ragazza con una graziosa giacca che correva sul prato
verso l’auto del presidente. Girò il corpo a destra, tenendo la motocicletta in
direzione ovest sulla Elm, e poi il sangue e la materia, la cosa
indimenticabile, gli schizzi di sangue, ossa e tessuto lo colpirono in volto. Pensò
che gli avessero sparato. Quella roba lo investì come uno spruzzo di
pallettoni, la sentì urtare contro il casco con un colpo secco.
La gente si
era buttata sull’erba.
Poi il
terzo sparo fece schizzare roba ovunque. Tessuto, frammenti di ossa, tessuto in
mucchietti pallidi, miscuglio di tessuto cervicale, sangue, materia grigia
tutt’intorno a loro.
Sentì
Jackie dire:
‘Hanno
ucciso mio marito’.
Avrebbe
potuto essere la voce di Nellie, qualcuno che parlava per lei. Credeva che John
fosse morto. Poi lui si mosse lievemente e lei pensò, nello stesso istante, che
Jackie era fuori dell’auto, diretta all’estremità posteriore, ma ora era in
qualche modo di nuovo lì. John si mosse fra le sue braccia. Erano un solo cuore
che pulsava.
SIAMO STATI COLPITI.
LANCER E’
STATO COLPITO.
PORTACI
VELOCEMENTE AL PARKLAND.
Nellie
pensò quanto doveva essere orribile quella scena, che spettacolo tremendo per
la gente che guardava, vedere l’auto sfrecciare con quei due uomini a cui era
stato sparato; che orrore, che spettacolo.
Sentì
Jackie dire:
‘Ho il suo
cervello nelle mie mani’.
Tutto
passava a gran velocità.
L’uomo col
maglione bianco che applaudiva vide la materia esplodere dalla testa del presidente.
Passarono le motociclette. Spuntarono fuori le armi. Un uomo sulla seconda auto
con un fucile automatico. Passò la seconda auto. Una moto sbandò e finì sul pendio erboso
vicino al colonnato. Qualcuno con una cinepresa era lì vicino e mirava in
quella direzione. L’uomo col maglione
bianco ora aveva le mani sospese all’altezza della cintura e stava pensando che
avrebbe dovuto buttarsi a terra, sarebbe dovuto cadere proprio in quel momento.
Una luce
indistinta intorno alla testa del presidente.
Due schizzi
bianco-rosa di tessuto che spuntavano da quella nebbia.
La
cinepresa in funzione.
Lee stava per fare partire il terzo colpo, era sul punto di farlo, aveva il dito sul grilletto. La luce era così chiara da mozzare il fiato. Ci fu una lacerazione bianca al centro dell’obiettivo. Uno schizzo terribile, un’esplosione. Qualcosa di bianco venne fuori dalla testa del presidente. Fu scaraventato all’indietro, completamente circondato dalla polvere e dalla caligine.
Poi,
improvvisamente, di nuovo chiaro, riverso e immobile sul sedile.
Oh, è morto, è morto.
Lee alzò la
testa dal mirino e guardò a destra.
C’era un
muro bianco di cemento che si estendeva dal colonnato, poi una staccionata di
legno dietro di esso.
Un uomo sul
muro con una cinepresa.
La
staccionata immersa nell’ombra.
Vagoni merci sui binari al di sopra del sottopassaggio. Si alzò in piedi, allontanandosi dalla finestra. Sapeva di aver fatto cilecca col terzo colpo. Era andato per conto suo. Non aveva colpito niente. Girò la leva dell’otturatore verso l’alto.
METTIMI IN
CONTATTO.
METTIMI IN
CONTATTO,
METTIMI IN
CONTATTO.
Stava già
parlando a qualcuno di quanto era successo. Aveva già un’immagine. Vide se
stesso raccontare l’intera storia a qualcuno, un uomo con il volto rude da
texano, eppure gentile, comprensivo. Indicava le contraddizioni. Raccontava
come era stato persuaso dai raggiri a far parte del complotto.
Si dice
vittima?
Immaginò un
ufficio con uno stendardo, dignitari in una foto alla parete. Tirò indietro l’otturatore, poi lo spinse in
avanti, abbassando la leva. Percorse in diagonale il pavimento verso la parte
nordovest, dov’erano situate le scale. Libri ammucchiati in dieci scatoloni uno
sull’altro. La fragranza della carta e delle rilegature.
Le sirene cominciarono a suonare, le armi cominciarono a comparire. La ragazza smise di correre verso l’auto. Si fermò e guardò il volto privo di qualsiasi emozione. Una donna con la macchina fotografica si voltò. Si accorse che qualcuno le stava scattando una foto. Una donna con una giacca scura aveva una Polaroid puntata su di lei. Solo in quel momento capì che era stato sparato a qualcuno. Aveva schizzi di sangue sul volto e sulle braccia. Pensò, com’è strano, che la donna con la giacca fosse lei, e che era lei la persona a cui avevano sparato. Si sentì così sbalordita e strana, ricoperta da schizzi bianchi. Si mise a sedere con cura sull’erba. Si abbandonò e sedette lì.
La donna
con la Polaroid non si mosse.
La prima
donna sedette sull’erba, mise giù la sua macchina fotografica, guardò quella roba incolore sulle braccia. I piccioni
giravano vorticosamente sulle cime degli alberi. Se le avevano sparato, pensò,
doveva stare seduta.
L’agente
Hill scese dal predellino sinistro e si mosse in fretta. Ci fu uno sparo. Salì
sulla Lincoln dal paraurti, allungando la mano sinistra verso la maniglia di
metallo. Fu un suono doppio. O furono due spari, oppure uno sparo e un forte
impatto, il proiettile che aveva colpito qualcosa di duro. Voleva arrivare,
arrivargli vicino, fare scudo al corpo. Vide la signora Kennedy farsi verso di
lui. Si stava arrampicando per uscire dall’auto. Strisciava sul cofano
posteriore, le mani appiattite, il ginocchio destro sulla sommità del sedile.
Pensò che stesse inseguendo qualcosa e realizzò di avere visto una cosa volare
vicino, un lampo da qualche parte, qualcosa che era volato verso l’estremità
della limousine. La spinse indietro verso il sedile. L’auto scattò, facendolo
quasi cadere all’indietro. Furono nel sottopassaggio, nell’ombra, e quando
riapparvero nella luce, vide Connally coperto di sangue.
Spettatori,
bambini, tutti salutavano.
Si tenne stretto alla maniglia. Stavano andando maledettamente veloci. Tutti e quattro i passeggeri erano immersi nel sangue, pigiati insieme sul pavimento. Si stese sul cofano posteriore. Fu raggiunto da un pensiero, da una consapevolezza. Lei stava cercando di recuperare parte del cranio del marito. Si tenne stretto. Riusciva a vedere proprio dentro la testa del presidente. Adesso stavano andando a 130.
La vista di
Raymo venne oscurata per un istante.
Fu
costretto ad aspettare che il lato della limousine passasse accanto al sostegno di
cemento. Sapeva che Connally era stato colpito. Ebbe tempo di pensare: Leon li
sta facendo fuori uno a uno. Ebbe la sensazione che la gente si stesse piegando
e sparpagliando anche se non appariva nell’inquadratura del mirino. Ora l’auto
si mosse chiaramente, dividendosi lentamente in quattro.
Mirò alla
testa di Kennedy.
Era piegato
verso sinistra, con gli occhi stretti per il dolore. 40 metri. 36 metri.
FECE FUOCO.
I capelli del presidente si rizzarono. Ondeggiarono e volarono via.
Raymo scese
dal paraurti e si mise sul sedile posteriore.
Frank fece
partire l’auto.
Guidò
attraverso file di macchine parcheggiate dietro il Depository. Si diresse verso
tre vagoni merci con l’insegna Hutchinson Northern.
Raymo si
sporse in avanti.
ATTENTO,
AMICO!
MA LUI NON
DISSE UNA PAROLA.
GIA’ IN
MOLTI URLAVANO PER IL BUON LAVORO COMPIUTO…
(Don
Delillo, Libra; mi scuso se i fotogrammi non coincidono con i [loro]
tempi offerti...)