Prosegue in:
sabato 31 luglio 2021
UNA DOMENICA CON IL GUARDIANO (18)
Prosegue in:
venerdì 30 luglio 2021
L'ISOLA DI SACHALIN (16)
Precedenti capitoli:
Prosegue con...:
La posizione insulare – ecco qual era secondo il famoso comitato del 1868 la caratteristica più importante di Sachalin, nonché il suo vantaggio principale. Su un’isola separata dal continente da flutti tempestosi non sembrava poi così difficile fondare una grande prigione marittima in base al progetto: Tutt’intorno acqua e in mezzo sventura, attuando così l’idea di esilio concepita già dagli antichi Romani in un luogo dove l’eventualità di fughe pareva di per sé improbabile. Sennonché, fin da subito, Sachalin si rivelò un’isola per modo di dire, una pseudo-insula.
Il canale che divide l’isola dal continente nei mesi invernali è completamente ghiacciato, e quella stessa acqua che d’estate fa le veci delle mura del carcere d’inverno è levigata e piatta come una pianura: chiunque lo desideri può attraversarla a piedi o con i cani. Ma anche d’estate il canale è abbastanza sicuro: nel punto più stretto, tra Capo Pogibi e Capo Lazarev, non supera le 6 – 7 verste di larghezza, e quando il tempo è sereno e il mare tranquillo si riesce facilmente a coprirne cento con una qualsiasi bagnarola giljaka. Perfino là dove il canale è più ampio, gli abitanti di Sachalin distinguono piuttosto bene la costa continentale: una nebbiosa striscia di terra irta di pittoreschi picchi montuosi che, di giorno in giorno, pare allettarli e tentarli sempre di più, promettendo loro la libertà e il ritorno in patria.
Al di là delle condizioni naturali dell’isola, il comitato non aveva tenuto conto che è possibile fuggire non solo sul continente, ma anche all’interno dell’isola stessa – alternativa questa che crea alle autorità non meno rattacapi. Va detto dunque che la natura insulare di Sachalin si è rivelata molto meno soddisfacente del previsto. Comunque, resta pur sempre un vantaggio. Fuggire da Sachalin non è semplice….
Cara Cecilija Archimandritova! Sono sano e salvo,
non ho più aritmie, soldi nemmeno, e tutto va che è una meraviglia. Faccio
visita ai conoscenti e mi tocca raccontare di Sachalin e dell’India. Una noia
terrificante.
(Anton Pavlovič Čechov)
Nel pomeriggio del 31 maggio 1885, dopo aver selezionato e preparato l’apparato fotografico, e ottenuto tutto il necessario di libri e mappe, ci siamo procurati una cinquantina lettere di presentazione da insegnanti e Funzionari del governo in tutte le parti della Siberia; poi abbiamo lasciato St. Pietroburgo in treno per Mosca.
La
distanza dalla capitale russa alla frontiera siberiana è di circa 1600 miglia;
il tragitto di solito è frequentato da viaggiatori esuli, ed è quello che
passa per le città di Mosca, Nizhni Novgorod, Kazan, Perm ed Ekaterinburg. Il
capolinea orientale del sistema ferroviario russo è a Nizhni Novgorod, ma, in
estate, i piroscafi fanno la spola costantemente tra quella città e Perm sui
fiumi Volga e Kama; e Perm è collegata con Ekaterinburg da un pezzo isolato di
ferrovia di circa 180 miglia di lunghezza, che attraversa la catena montuosa
degli Urali, ed ha lo scopo di unire le acque navigabili del Volga con quelle
dell’Ob.
Nella città di Perm, dove abbiamo trascorso una notte, abbiamo avuto la nostra prima scaramuccia con la polizia russa; e sebbene l’incidente ha intrinsecamente poca importanza, è forse degno di nota come immagine del sospetto con cui gli stranieri sono considerati sulla grande via dell’esilio verso la Siberia, e del potere illimitato della polizia russa (associata con altre…) di arrestare ed esaminare, con o senza causa adeguata.
Nel
tardo pomeriggio del giorno del nostro arrivo, io e Mr. Frost partimmo a piedi
per la sommità di un’alta collina appena ad est della città, che pensavamo
potesse offrire un buon punto di vista per un disegno. Nel dirigerci verso di
essa ci è capitato di passare vicino il carcere cittadino; e poiché questa è
stata una delle prime prigioni russe che
avevamo visto, ed era, inoltre, sulla via dell’esilio per la Siberia, l’abbiamo naturalmente guardata con
interesse e attenzione.
Poco dopo averla superata abbiamo scoperto che la collina era più distante di quanto avessimo supposto; e siccome era avanzato pomeriggio, abbiamo deciso di rimandare il nostro escursione fino al giorno successivo.
Ritornammo
sui nostri passi, passammo la prigione per la seconda volta, e tornammo al
nostro albergo. La mattina dopo siamo di nuovo presto parti per la collina; e
siccome non sapevamo niente di meglio circa un percorso più diretto abbiamo
ripreso la strada che portava oltre la prigione. Ed in questa occasione abbiamo
raggiunto la nostra destinazione. Mr. Frost ha fatto un innocuo disegno della
città e dei suoi sobborghi, e allo scadere di un’ora, o un’ora e mezza, ritornammo
verso casa.
Su un grande spazio comunale aperto vicino ad una piazza siamo stati accolti da due agenti (penso ussari-montanari a giudicare dalla divisa), affiancati da ufficiali armati di spade e rivoltelle e in alta uniforme. Ho notato che la prima coppia ci guardava con attenzione mentre passavano informando subito gli ‘ussari-montanari’ incaricati; ma non ero così familiare a quel tempo come sono adesso con le uniformi della polizia municipale russa e quelle dei gendarmi che la scortano, e non li riconobbi. Due degli ufficiali del secondo corpo scelto lasciarono il loro veicolo poco prima raggiungendoci, si allontanarono l’uno dall’altro finché non furono a quaranta o cinquanta piedi di distanza, e poi avanzarono per incontrarci ed intimidirci.
Guardando in giro ho scoperto che la prima coppia aveva lasciato le carrozze e si era separata in modo simile dietro di noi, per poi convergere con frettoloso Passo in modo altrettanto falso - ma ‘naturale’ - su di noi da quella direzione. Poi, per la prima volta, mi è balenato in mente che erano ‘agenti di polizia’ (in un generale stato poliziesco tal cosa non dovrebbe risultare anomala) e che noi, per qualche inconsapevole plausibile ragione, eravamo (e lo siamo ancora) oggetto di sospetto, e meditavano - come sempre - come in ogni stato poliziesco che si rispetti, di arrestarci.
Mentre
si avvicinavano, uno di loro, un alto ufficiale di gendarmeria, forse un
colonnello, di circa trent’anni, si inchinò a noi rigidamente e disse:
Mi permetti di domandarti chi sei e
che ci fai da queste parti?
Certamente,
risposi;
siamo viaggiatori ammiriamo il vostro grande paese.
Da dove vieni, posso farti questa
domanda?!
Certo,
…acconsentii…
…da un grande Paese che ama la Natura
e la Libertà…
Voglio dire da dove venite circa l’ultimo
domicilio di questo grande nostro paese…
Da San Pietroburgo,
….risposi…
E dove pensate di andare?
…In
Siberia.
…Risposi ancora senza esitazione alcuna, mentre un altro ufficiale faceva dei gestacci dietro le spalle…
Ah! In Siberia! In quale parte della
Siberia?
Da tutte le parti.
Permettimi di chiederti per quale
motivo stai andando in Siberia, regione della Grande Russia?
Stiamo andando lì per il Viaggio,
ricorda?, l’Eretico Viaggio….
Qual è l’oggetto dei tuoi Viaggi?
Per
vedere ed ammirare il paese e la gente che vi abita.
Ma i turisti [con un’intonazione
sprezzante] non hanno l’abitudine di andare in Siberia. Devi avere qualche
particolare motivo. Dimmi, per favore, esattamente quale è il motivo e lo scopo
di questo Viaggio. Altrimenti sono costretto a rallentare il Passo, tu capisci
cosa voglio dire. Vero?!
Gli
ho spiegato che i viaggiatori (quelli che ancora sono liberi…) in amor e
accordo con la Natura nonché ispirati dagli ideali e sani principi della
Democrazia hanno la retta abitudine di andare ovunque, e che gli oggetti che di
solito hanno in vista sono lo studio delle persone e luoghi, e l’acquisizione
di conoscenze.
Lui
invece non era tuttavia soddisfatto della risposta, anzi irritato, e mi ha
risposto con ogni sorta di domande intese per ottenere una confessione dei
nostri reali scopi nell’andare in un paese come la Siberia. Alla fine disse con
crescente serietà e severità…
sabato 24 luglio 2021
LA SPIRALE (13)
Precedenti capitoli:
Prosegue con...:
Prosegue ancora...:
Con il 'Giallo' del cieco armato
& Il racconto della Domenica,
ovvero ECOMAFIE RIUNITE
Ora andiamo al concetto di spirale: Spirale una linea retta avente la sua origine
nel polo e ruotante intorno ad esso, è detta vettore radiale; un punto che
viaggi lungo il vettore radiale in definite condizioni di velocità viene a
descrivere la curva spirale (definiamo la forma innanzitutto).
Abbiamo due differenti spirali: la prima o Spirale di Archimede - se una semi retta gira uniformemente intorno alla sua estremità, un punto che allo stesso modo si muove di moto uniforme lungo di essa descriverà una spirale uniforme …o anche se, mentre il vettore radiale ruota uniformemente intorno al polo, un punto P si muove di moto uniforme lungo di esso, questo punto descriverà una Spirale Uniforme o di Archimede, è chiaro che una Spirale di Archimede può essere paragonata ad un lungo cilindro avvolto su se stesso.
La seconda invece e al contrario, non viaggiando a velocità
uniforme, ma aumentando la velocità man mano che si muove lungo il vettore
radiale allontanandosi dal polo, creerà una Spirale Equiangolare o Logaritmica.
Scoperta da Cartesio nel 1638, dimostrò che la caratteristica di suddetta
spirale è che raggi ad angoli uguali rispetto al polo risultano in proporzione
continua, e inoltre dimostrò che le distanze misurate lungo la curva, partendo
dalla sua origine nei punti di intersezione di un qualsiasi raggio sono
proporzionali alla lunghezza dei raggi stessi, ne segue che i settori tagliati
da raggi successivi a uguali angoli vettoriali sono simili l’uno all’altro
sotto ogni riguardo, e ne segue ancora che tale curva può essere considerata
una figura che cresce continuamente senza mutare la sua forma.
Inoltre: nelle strutture la curvatura è essenzialmente un fenomeno meccanico e la osserviamo nelle strutture flessibili quale risultato di un piegamento ...ma né le conchiglie, né i denti, né gli artigli, sono strutture flessibili, essi non sono stati piegati per accudire la loro particolare curvatura, ma sono cresciuti ricurvi.
Nell’accrescimento di una conchiglia non possiamo concepire nessuna legge più semplice di questa, che cioè il suo allargamento e il suo allungamento devono avvenire secondo una proporzione invariata: ed è questa semplice legge che la natura tende a seguire. La conchiglia, come l’organismo in essa contenuto, cresce in grandezza ma non cambia di forma, e l’esistenza di questa costante relatività di accrescimento o costante similitudine di forma è essenziale e può essere presa come base della definizione della Spirale Equiangolare.
E’ caratteristica peculiare delle conchiglie a spirale, che
esse non alterano la loro forma mentre crescono. Ogni incremento è simile al
precedente e ogni ciclo di accrescimento rimane della forma primitiva.
(D’Arcy W. Thompson, Crescita e forma)
Tutta questa lunga ed interessante disquisizione di Thompson per aver ben chiari i parametri dei ragionamenti a venire (e spiegare i precedenti). Il nostro viaggiatore in rete, o il cliente dell’agenzia di viaggio, o il semplice uomo comune che si adegua ai ritmi sociali a cui sottoposto, compone una costante crescita simmetrica al mondo e alla natura a lui circostante, e quindi un equivalente danno ambientale nel momento in cui si crea una proporzione fra la fattibilità del desiderio…
(Volontario, manifesto o
innestato, grazie a nuovi e sofisticati procedimenti psicologici che non
muovono sui bisogni effettivi e naturali alla base del ‘polo’ della spirale, ma
ne creano di nuovi, a cui l’uomo successivamente si adegua, convinto di
aumentare le sue potenzialità di moto e accrescimento naturali,variando
condizione e premessa matematica alla base di essa.
Passando da una forma
all’altra di spirale.
Il turbine di una ossessione che nasce da una patologia, da uno stress, da una schizofrenia, da un disagio, e anche da una sopravvivenza, danno forma e contenuto al primo gruppo di Spirale descritta. Il mutamento, la crescita (industriale non compatibile), lo sfruttamento petrolifero, e molti altri esempi di accrescimento li possiamo visualizzare nella forma e movimento di una Spirale di Archimede. Ciò sotto certi aspetti è normale, se compatibile con l’ambiente per cui il motivo di tale innesto matematico, ma quando questo tende a modificare l’armonia di ciò che lo precede, e da cui è nato e per cui si sviluppa, si crea quella disarmonia totale che ci porta a convergere su questa ed altre disquisizioni, cui spesso, nostro malgrado, siamo costretti ad intervenire, per non dissociare la nostra forma ed il calco di essa, in una condizione molto simile a quella dei moderni ed antichi Creazionisti.
La lenta progressione
dall’origine del creato, fino alla semplice forma di una conchiglia, fino alle
cose cui ci appartengono e che forse molto spesso non abbiamo notato hanno una
uguale simmetria di crescita e moto. Questa l’abbiamo evidenziata nel calco e
nella forma di una Spirale Equiangolare. Distaccarci da tal forma e contenuto,
disconoscere queste proporzioni, trascurare queste simmetrie, ignorare tali
verità nascoste, non porta molto lontano l’intuizione di Archimede. La sua
inventiva rispetto alla natura, rimarrebbe, oltre che riduttiva, anche
deleteria. L’uomo non può far altro che apprendere, osservare, imitare, e per
quanto possibile, attenersi e conformarsi all’originale. Questa semplice regola
è alla base non solo dell’Ecologia, ma della reciproca armonia che possiamo
migliorare, nella coabitazione evolutiva con l’intero Creato.)
…del viaggio e la sua moderna e veloce immediatezza con tutte le possibilità economiche che ci permettono di realizzare tale intento. Inoltre i mezzi e le strutture di cui necessitiamo per soddisfare tali bisogni.
Infatti mi accorgo sempre più spesso che l’ambiente viene modellato per le esigenze dell’uomo, questa frattura fra due diversi spirali porta alle catastrofiche conseguenze a cui nostro malgrado siamo costretti ad assistere.
Proseguendo, ora, il
Viaggio nel Viaggio, torniamo sui luoghi abbandonati - cui Ulisse con la sua Vela coprire le velate membra di Sara - mi fanno
compagnia ispirando Pensiero e dedotto
Elemento, e dove questa ed altre considerazioni occupano i miei
ragionamenti, mentre altri privi di pensiero sfrecciano in (e con) cilindri di
moto e forma. Fra una sgomitata ed una smorfia (il progresso conosce e si
riconosce nelle sue ‘espressioni’ di accrescimento che lo caratterizzano quale
‘verbo’ di una sola lingua di un sol ‘abito distinto’ e possibilmente marcato,
di una sola ‘volontà’, di una sola ‘certezza’ scritta nella ‘smorfia’ della
ricchezza… quale moneta della più assoluta volgarità rispetto alla bellezza
della Natura…) ho considerato tali proporzioni:
Fra l’immutato e il mutato.
Fra il nuovo e l’antico.
Fra il vecchio e il
giovane.
Fra il torrente ed il suo
letto.
Fra la valle (montana) ed
il resto che la circonda.
Fra la casa e lo spazio
da essa occupato.
Fra il loro divertimento
ed il mio.
Fra il loro pensare ed il
mio.
Fra la mia Chiesa e la
loro.
Fra il piccolo e il
grande.
Fra il compatibile ed il
lusso gratuito.
Fra il rispetto ed il
danno.
Fra la ricchezza e la
povertà.
Fra la natura e l’uomo.
Fra il bene ed il male.
...Ed infine… fra la vita e la morte.
E’ chiaro che una Spirale di Archimede può essere paragonata ad un lungo cilindro avvolto su se stesso, è anche chiaro che il raggio che si accresce in maniera uguale nel succedersi delle volute aumenterà in progressione aritmetica e sarà uguale a una certa quantità costante moltiplicata per l’intero numero di giri, o, in termini più precisi, moltiplicata per l’intero angolo di cui ha compiuto la rivoluzione, ed è anche chiaro che il raggio incontrerà la curva con un angolo che cambierà lentamente ma continuamente tendendo a diventare un angolo retto man mano che le volute aumentano di numero e diventano sempre più circolari.
(D’Arcy W. Thompson,
Crescita e forma)
E’ scontato che gli uomini di fronte ai loro bisogni, alle loro economie, alle loro urgenze, alle loro ambizioni, alle loro necessità, difficilmente seguono il corso della natura. Non certo quello che è l’interesse specifico di una natura che non conosce ambizioni, eccetto quelle individuabili nel motivo e significato della vita stessa. Ma unicamente il lento progredire della propria evoluzione che si misura, non nella corretta applicazione di essa nella consequenzialità degli eventi, ma, un evolversi di ‘progresso’ nel completo regresso nell’ambito del concetto mal definito e mal interpretato di sopravvivenza.
Il capobranco all’interno
di un gruppo di lupi si deve certamente distinguere per le sue doti,
difficilmente è in grado di maturare un comportamento a danno di altri, a meno
che non intervengono specifici fattori. La sopravvivenza detta la maggior parte
delle regole compresa la riproduzione. Il concetto di benessere, inteso come
ricchezza o lusso, è termine e condizione disconosciuta nel regno della natura.
I lussi sono tutti quei fattori primari affinché l’essere vivente è in grado di
soddisfare i suoi bisogni, e la natura in questo contesto possiede una
autoregolamentazione nella quale è in grado di mantenere integri i propri
equilibri entro i termini specifici dell’evoluzione (segue la costante della
Spirale Equiangolare, muta forma ed aspetto secondo tale accrescimento
naturale).
Le scoperte e gli studi di Darwin sono serviti a lungo per determinati settori produttivi dell’economia, per applicare logiche estranee, sia alle scoperte derivate dagli studi, sia alla stessa natura dell’uomo. E’ un miracolo evolutivo l’intero nostro meccanismo neurologico, ma dobbiamo imparare a non dimenticare. Innanzitutto ad avere chiari i gradi di evoluzione che ci hanno permesso tutto questo, fin dove ora poggiamo le nostre civiltà. Esse non sono nate in maniera autonoma rispetto all’uomo che pian piano le ha concepite. Ma pur avendo aspetti uguali o simmetrici in ogni luogo, sono il frutto di un grado di evoluzione nato dal rapporto continuo con la terra di appartenenza. Terra che dona il sostentamento per la necessaria affermazione e la pretesa di ogni presunta superiorità misurata con il metro della cosiddetta evoluzione.
Proprio questo rapporto e
il conseguente mutare delle condizioni primarie hanno portato ad uno specifico
grado di civiltà. Mutando determinati equilibri, mutano le condizioni di vita.
Nella storia questo comportamento ha creato le premesse per delle mutazioni
irreversibili, recidendo di fatto quel cordone ombelicale che alcune civiltà
cosiddette primitive instaurarono con la terra di appartenenza. Questa
evoluzione dell’uomo, che è alla base del principio di conquista con fini più o
meno validi, ha convalidato anche il cambiamento di costumi della civiltà
sottomessa. Il cattolicesimo fu esportato in ogni terra ‘incivile’, dove gli
indigeni privi di un’anima vivevano in comunione con gli elementi, così in ogni
luogo vennero studiati indottrinati e poi distrutti (nei legami di appartenenza con Madre Terra i loro
miti vennero mutati a beneficio di una religione di salvezza che troppo spesso
era sinonimo di Croce nello stesso motivo non accettato e condiviso, del
medesimo patimento di cui gli artefici si facevano, (e fanno) portatori e
missionari di un messaggio di pace).
Conserviamo ricordi in ogni luogo, dal nord al sud del mondo. Ma questo ‘modus operandi’, di fatto oggi sostituito, con un simmetrico sistema di indottrinamento rivolto al suo opposto: cancellazione di principi teologici per una completa conversione a principi consumistici. Sia nel primo che nel secondo caso, il fine è l’annientamento e assoggettamento ad un sistema civile ed economico che avvantaggia gli Imperi che si fanno carico di tale missione. Gli Spagnoli e Portoghesi prima, gli Americani poi, in nome degli stessi principi, hanno conseguito i medesimi risultati.
Annientamento e
distruzione.
Pensiamo l’uomo ed il suo comportamento istintuale immutato, rispetto all’animale quale era e da cui evoluto che potrebbero giustificare tale istinto, scopriamo invece l’evoluzione contraddire tale volontà annientatrice. La guerra è il fine per il raggiungimento di tale scopo. Cercherò di esaminare gli aspetti di questi vari comportamenti connessi fra loro. Mai scissi dal principio regolatore di una Spirale che tende a creare (anche con la catastrofe o la forza) e mai mutare radicalmente gente e paesaggi (in un arco di tempo inversamente proporzionale allo stato evolutivo raggiunto).
Questo per il vero parmi
un ‘passo’ difficile e di cui forse non gradita manifesta o velata concretezza,
certamente non dal nobile con cui divido tale intento, e la signora che con me
dimorano al finestrino della carrozza, ove il Viaggio giammai smarrito, ragione
della mia Parola ora che si affaccia questa Spirale dal cielo evoluta. Forma un
Tempo incerto a tratti indeciso, un quadro certamente diverso quanto abituati figurare e narrare la bellezza di un
Sogno che pare d’incanto smarrito. Una poesia con cui tracciavamo Passo e
Parola, sentieri della nobile lingua evoluta ma ora all’improvviso smarrita
(forse perché ne hanno ‘inventato’ una
nuova che esula dal dono della retta Poesia al bosco ove la via apparmi, per il
vero smarrita, oggi più di pria, assieme alla fedele compagna Rima, cosicché
privati della linfa nello sconcerto e stupore di codesta vita, il verso fuggito
e riparato alla caverna del Primo Dio…).
Potrebbe nascere bufera dal calore torrido del primo mattino, è stato inseparabile compagno per le ricche terre attraversate forgiate nel nome di un Inferno cui il girone abbiamo dimenticato dal troppo sudore patito come mai, per il ricordo seminato e nel fuoco raccolto del visibile panorama narrato. Cui noi, eterni nello Spirito, perimmo e patimmo, ora riflesso nel loro misero ingegno e diletto mentre vediamo perire la crosta su cui evoluta la misera ‘serra’ nella Spirale… febbre di un incubo cresciuto e nutrito.
E nella fretta di
proseguire l’avventura, ragione del nostro esilio, sperare che il ‘passo’ detto
possa concedere un po’ del refrigerio cui le vette, di alte difficili e
inesplorate vie, sanno affidare quali avventure ed Eresie accompagnate dalla
volontà di scoprire e governare antiche e nuove regioni… agli Dèi sconfitti…
(Il ‘dotto’ accademico potrebbe contestare l’azzardo di tale ‘enunciazione’, giacché il suo regno, specchio dell’ingegno giammai eretico, sempre al servizio di un monarca progredito cui servo e signore. Cui araldo e custode nell’ortodosso sermone servito alla mensa della Storia, piatto saporito il quale popolo bracca e divora. La (sua) ‘materia’ potrebbe, come solo giudizio dell’infelice (sua) natura, contestare nel motivo del progresso dominato principio del vero creato. Del resto era scritto fin dall’inizio: ‘verbo’ del Dio saggiamente condiviso all’accademico comandato nel principio del visibile viaggio… rivelato. Nel quale l’uomo, fra l’altro, può godere dei traguardi raggiunti… Nel virtuale di ogni immagine riflessa, in quanto calco e forma, godono ora, nell’inferno ove regna la ‘materia’ dominata, il fuoco di un apocalisse specchio di un inferno di cui solo un Dio (Straniero alla ‘mensa’) potrà opporre giusto giudizio. Giusta sentenza a cui altro ‘verbo’ inutile e inferiore alla Spirale ora contemplata nel rogo quale grido di un ogni elemento perito. Immagine del supplizio cui condannarono il martirio dell’eretica Verità dettata di chi preferì altra conoscenza. Potrebbero, uniti, nel visibile viaggio da ognuno consumato e goduto, tacitato e privato però, del retto nutrimento e arbitrio ragione dello Spirito, contestare anche la pretesa di chi ‘Nulla’ alla ‘materia’ da loro per sempre detta. Da quando, cioè, l’Universo nella Spirale evoluto, Sogno inquisito e braccato immagine del Primo Dio… e nella Spirale perito e taciuto nel Secondo… destino di un diverso ingegno!
lunedì 19 luglio 2021
IL VIAGGIO DELL'ANIMA ovvero, LE TRE PORTE (11)
Precedenti capitoli:
Prosegue con il...:
Il sogno è
un luogo oscillante fra terra e cielo, tra le affezioni corporee e sensibili,
che ne obnubilano la visione, e le aspirazioni dell’anima dischiusa a conoscere
e migrare, a vedere chiaramente l’intelligibile. Tra queste umane estremità si
svolge il viaggio di Polifilo e la
sua battaglia per trasmutare dai lacci carnali a novelle qualitate d’amore, fino al purus amor: è il pellegrinaggio dell’anima oltre il corpo, owero I’Hypnerotomachia Poliphili.
Il percorso
è arduo e mirifico perché la psiche è duplice nella debolezza e nella forza dei
suoi desideri: tentata dalle illusioni ferine e mortali di questo basso mondo,
attratta dalla virtù e dall’intelligenza delle cose immortali. Come il Lucio
apuleiano transita dalla sua lasciva asinità alla compassionevole Madre Iside e
ai soterici misteri, così Polifilo, il
personaggio narrante e agente dell’Hypnerotomachia,
passa dal doloroso groviglio della cieca libidine ai lumi iniziatici e sublimi
di Venere Madre, la cosmica, buona erotocrate.
Dinanzi a essa si unirà infine alla guida e meta della sua volontà d’amore, ossia a Polia, figura sapientiae e nuova Beatrice. Il sogno è uno specchio dove l’anima si guarda, perciò le immagini oniriche più che viste vanno osservate, e Polifilo è inesauribilmente attento, proteso come a soddisfare la sua filosofica curiositas attraverso la portentosa visio in somniis che lo investe e lo sconcerta (al dextro et sinistro lato ... di nitore speculabile. Tra gli quali ... facendo transito fui dilla propria imagine da repentino timore invaso).
L’osservazione del linguaggio onirico diviene cognizione del medesimo quando, come in uno specchio - parallelismo acutamente sviluppato dall’onirocritica medioevale-, si trasforma in auto-osservazione, cioè nel rispecchiamento dell’itinerario psichico, e Polifilo non perde occasione di ricordare e descrivere con pignoleria e minuzia tutte le immagini che gli corrono dinanzi: sa che dalla loro memoria e dalla loro decifrazione dipende la soluzione della propria psicomachia erotica.
Come scrive Alano di Lilla al termine del suo De planctu naturae, anche Polifilo, alla conclusione del suo sogno speculare, potrebbe ripetere:
Huius igitur imaginarie visionis subtracto
speculo, me ab extasis excitatum .insomnio prior mistice apparitionis
dereliquit aspectus.
Ma vediamo,
in breve, la storia sognata, tenendo innanzitutto presente che il romanzo è
stato pensato e composto dall’Autore secondo uno schema ternario. Tre sono in
sostanza i livelli onirici vissuti dal protagonista Polifilo, tre gli stati psicoerotici
che attraversa: la passionalità irrazionale e infantile, la liberalità d’amore
che muta il giovane amante in uomo libero di scegliere, l’amore nella sua
duplice manifestazione di voluptas
terrena e celeste.
La prima difficoltà che l’anima incontra nella sua onirica battaglia d’amore è il graduale distacco dal corpo, affinché riesca a vedere, a distinguere le immagini che le si pongono davanti, oltre l’ostacolo dei richiami, distrattivi, del sensibile. È la selva, già dantesca, che abbuia la psiche come gli adunchi rovi dell’oscuro bosco abbranchiano le vesti di Polifilo, smarrito e lordo di sporcizia: ma l’ascensus animae si nutre di luce, non di tenebre, e Polifilo con mente pura invoca Giove Diespater, il sommo padre del fulgido giorno.
Ed ecco che la caligine si dipana e agli occhi interiori appare un ruscello, cui però non ci si può dissetare perché distratti da un canto lontano. L’acqua corrente è qui ancora un richiamo al caduco fluire dei sensi mondani, perciò a essa non si disseta Polifilo, incantato dalla melodia che prefigura, come un eco, le armonie celestiali che l’anima godrà in fondo al viaggio.
Oltre il rivo, sotto antichissima quercia, sacro oracolo di Giove, Polifilo si addormenta di nuovo, ma di un sonno profondo che lo fa sognare nel sogno: è la tecnica dell’incubazione praticata nei culti greci e latini, onirica e divinatoria insieme, con la quale, purificato e sopito il corpo, in un luogo sacro, l’anima, sgombra dei residui fisici, è pronta a volare e ad apprendere l’avvenire e il divino.
All’inizio
di una simile visione sono d’obbligo un ammonimento e una speranza: la presenza
di un drago, bestia da evitare perché immagine dell’avaritia amoris che a niente conduce, e l’evidenza di palmizi,
annuncio della futura vittoria dell’anima. Ma ancora un nodo va sciolto:
placare, dopo i pesi somatici già addormentati, anche quelli psichici, avvicendamento
che il Colonna rappresenta inventando
prodigiosi marchingegni monumentali, semplicissimi nella loro ossatura simbolica,
ridondanti fino a stordire il lettore nella incontenibile messa in scena: una
immensa struttura piramidale con altissimo obelisco su cui svetta una statua dell’Occasio-Fortuna; un magno caballo pegaseo su cui cercano invano di salire dei fanciulli; un non meno
grande e corpulento elefante sovrastato da un altro obelisco; un colosso bronzeo
abbattuto; una magna porta: tutte
immagini che mai più ricorreranno così dilatate nel prosieguo dell’Hypnerotomachia.
Qui è l’onirologia di Macrobio (In Somnium Scipionis, 1, 3, 7) a spiegare il perché di tante iperboli quantitative, altrimenti incomprensibili: difatti a chi, come Polifilo, si è da poco addormentato, e giace ancora in una condizione tra la veglia e il sonno pieno, è usuale che appaiano immagini di grandezza e aspetto inusitati, come quelle che il Colonna rappresenta con le sue sovradimensionate antichità. Si tratta dello stato, foriero di spaventi, chiamato phantasma, in cui l’occhio dell’anima non ha ancora puntualmente messo a fuoco la prospettica visione. Se pertanto l’onirocritica latina dipana il senso delle prime, sorprendenti architetture e sculture coniate dal Colonna, il loro significato va invece ricondotto alla incalzante psicomachia che scaturisce dalle oscillazioni tra pneuma e soma.
Infatti la
grande struttura piramidale rappresenta gli ingigantiti phantasmata del corpo, dove l’anima è ancora imprigionata, ma da
cui deve liberarsi. Per riuscirvi Polifilo
ingaggia le sue iniziali, orride battaglie, superando il timore, principio di
ogni sapienza, e poi astenendosi dall’irosa superbia: gesta figurate
plasticamente dalla testa medusea, che terrorizza gli stolti pavidi, e
dall'arroganza dei Giganti che invano cercarono di scalare il cielo,
didatticamente scolpite sul piedistallo della stessa piramide, cioè in basso,
ben lontane e contrapposte ai simboli eliaci e fausti dell’obelisco e dell’Occasio-Fortuna
che coronano la sommità dell’edificio.
Solo vincendo con un’audacia mitigata da umile timore, senza titanica superbia, Polifilo può dunque librarsi all’interno delle mostruose membra piramidali. Così l’anima sale, come insegna la mistica neoplatonica, con moto elicoidale verso il Sommo Sole, il Bene, il divino bagliore di cui è parente e da cui trae alimento. Mentre ascende nella piramide la psiche è illuminata da pertugi posti ordinatamente sulle facce della costruzione: sono le finestre dei sensi aperti ora a vedere nuovi lucori, lontani da quelli della quotidiana abitudine. Giunto in cima Polifilo può ammirare l’obelisco, supremo simbolo di quel Sommo Sole. Su di esso svetta l’Occasio, la Fortuna amoris, soccorrevole nei confronti dell’audace e cavalleresco Polifilo, l’amante filosofo, completamente rapito nella sua combattuta quéte dell’amata, la sofianica Polia.