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& Il male del vostro Secolo
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Io Poliphilo sopra el lectulo mio iacendo, opportuno amico del corpo lasso, niuno nella conscia camera familiare essendo, se non la mia chara elucubratrice Agrypnia, la quale poscia che meco hebbe facto vario colloquio consolanteme, palese havendoli facta la causa et l’origine degli mei profundi sospiri, pietosamente suadevami al temperamento de tale perturbatione. Et avidutase de l’ora che io già dovesse dormire, dimandò licentia. Diqué negli alti cogitamenti d’amore solo relicto, la longa et taediosa nocte insomne consumando, per la mia sterile fortuna et adversatrice et iniqua stella tutto sconsolato, et sospiroso, per importuno et non prospero amore illachrymando, di puncto in puncto ricogitava, che cosa è inaequale amore….
…Hora li madidi ochii uno pocho tra le rubente palpebre rachiusi, sencia dimorare tra vita acerba, et suave morte. Fue invasa et quella parte occupata et da uno dolce somno oppressa, la quale cum la mente et cum gli amanti et pervigili spiriti non sta unita né participe ad sì alte operatione. O Iupiter altitonante, foelice o mirabile? o terrifica, dirò io questa inusitata visione, che in me non sa trova atomo che non tremi et ardi excogitandola.
Ad me parve de essere in una spatiosa planitie, la quale tutta virente, et di multiplici fiori variamente dipincta, molto adornata se repraesentava. Et cum benigne aure ivi era uno certo silentio. Né ancora alle promptissime orechie de audire, strepito né alcuna formata voce perveniva. Ma cum gratiosi radii del Sole passava el temperato tempo.
Nel quale loco io cum timida admiratione discolo, da me ad me diceva. Quivi alcuna humanitate al desideroso intuito non già apparisce, né ancora silvatica, né silvicola, né silvia, né domestica fera. Né casa rurestra alcuna, né alcuno tugurio campestro, né pastorali tecti, né Magar né Magalia se vide. Né similmente ad gli herbidi lochi non videva Opilione alcuno, né Epolo, né Busequa, né Equisio, né vago grege et armento, cum le sue bifore Syringe rurale, né cum le sue cortice Tibie sonanti. Ma freto per la quieta plagia, et per la benignitate del loco, et quasi facto securo procedendo, riguardava quindi et indi, le tenere fronde immote riposare, niuna altra opera cernendo.
Et cusì dirrimpecto d’una folta silva ridrizai el mio ignorato Viagio. Nella quale alquanto intrato non mi avidi che io cusì incauto lassasse (non so per qual modo) el proprio calle. Diqué al suspeso core di subito invase uno repente timore, per le pallide membre diffundentise, cum solicitato battimento, le gene del suo colore exangue divenute. Conciosia cosa che ad gli ochii mei quivi non si concedeva vestigio alcuno di videre, né diverticulo.
Ma nella dumosa silva appariano si non densi virgulti, pongence vepretto, el Silvano Fraxino ingrato alle vipere, Ulmi ruvidi, alle foecunde vite grati, corticosi Subderi apto additamento muliebre, duri Cerri, forti roburi, et glandulose Querce et Ilice, et di rami abondante, che al roscido solo non permettevano, gli radii del gratioso Sole integramente pervenire. Ma come da camurato culmo di densante fronde coperto, non penetrava l’alma luce. Et in questo modo me ritrovai nella fresca umbra, humido aire, et fusco Nemorale.
POLIPHILO TEMENDO EL PERICULO DEL SCURO BOSCO AL DIESPITER FECE ORATIONE, USCITTE FORA ANXIOSO ET SITIBONDO, ET VOLENDO DI AQUA RISTORARSE, ODE UNO SUAVE CANTARE. EL QUALE LUI SEQUENDO, REFUTATE L’AQUE, IN MAGIORE ANXIETATE PERVENE.
Et quivi quale Achemenide horridulo dal horrifico Cyclope exorava cum solicite et precarie voce Aenea, più praesto desiderando da gli homini inimici morire che per cusì horrendo interito. Cusì né per altro modo io precante orai. A pena le divote oratione sinceramente fusse, cum el core unito orante, contrito et exagitato, de lachryme perfuso hebbi terminate, fermamente tenendo, che gli Dèi ad la bona mente occorreno, che sencia mora fora dell’angusto, aspero, et imbricoso nemore inadvertente me ritrovai.
Et quasi ad novo dì, da l'humida nocte fora pervenuto. Gli ochii obumbrati, per alquanto non pativano l’amabile luce. Tutto lurido et moesto, et anxioso. Non manco niente al desiderato lume ad me parve de essere giunto. Che de uno caeco carcere chi fora advenisse diloricato delle gravose et molestante cathene, et uscito de caliginose tenebre. Tutto sitibondo lacerato, et la facia et le mane cruentate, et da morsicante Urtica pustulate sentendome exanimo, ad la gratiosa luce pur niuna cosa obiecta istimando. In tanto era sitiente, che delle fresche aure non poteva refrigerarme, né ancora acconciamente al sicco core satisfare.
…Il simbolismo dell’ascensione rivela il suo significato più profondo quando viene interpretato nella prospettiva della più pura attività dello Spirito!
Si direbbe che liberi il suo ‘vero messaggio’ sul piano della metafisica e della mistica (anche quando l’una e l’altra presentano risvolti inattesi rispetto all’ortodossia come abituati a recepirli…). Si potrebbe anche dire che proprio grazie ai valori espressi dall’ascensione nella vita dello Spirito (elevazione dell’Anima a Dio, èstasi mistica, e così via) gli altri significati, colti sul piano del rituale, del mito, dell’onirico, della psicologia, diventano completamente intelligibili, ci rivelano cioè le loro intenzioni segrete…
Infatti salire in Sogno o in un Sogno da svegli una scala o una montagna si traduce, al livello della psiche profonda, in una esperienza di ‘rigenerazione’. Come abbiamo letto precedentemente, la metafisica mahayanica interpreta l’ascensione del Buddha come se si realizzasse al Centro del Mondo e perciò come se significasse il duplice trascendimento dello Spazio e del Tempo. In altri termini, cioè, possiamo cogliere meglio l’effetto rigeneratore prodotto sulla psiche profonda dall’immaginazione dell’ascensione e del volo perché sappiamo (e l’abbiamo per sempre saputo) che – sui piani del rituale, dell’èstasi e della metafisica – l’ascensione è suscettibile, fra l’altro, di abolire il Tempo e lo Spazio e di ‘proiettare’ l’uomo nell’istante mitico della Creazione del Mondo (l’uomo qual Poeta e visionario crea il Mondo….); quindi, di farlo in qualche modo ‘nascere di nuovo’ rendendolo contemporaneo della nascita del Mondo.
In breve e per concludere, la ‘rigenerazione’ che avviene nel profondo della psiche trova la sua più completa spiegazione soltanto nel momento in cui apprendiamo che le immagini e i simboli che l’hanno provocata esprimono nelle religioni e nei mistici l’abolizione del Tempo…
Volendo dunque io Poliphilo territo et afflicto evaso tanto horrore, le optate aque sopra le verdose rive exhaurire, cum gli popliti consternato, et in clausura le dette reducendo, et la vola lacunata, feci vaso da bevere gratissimo. La quale infusa nel fonte et di aqua impleta per offerire alla rabida et hanelante bucca, et refrigerare la siccitudine del aestuante pecto. Più grate alhora ad me, che ad gli Indi Hypane et Gange, Tigride et Euphrate ad gli Armenii, né ancora è cusì grato alle gente Aethiopice el Nilo. Et ad gli Aegyptii el suo inundare imbibendo la tosta gleba. Né Eridano ancora alli populi Liguri, quanto mi se offerivano le acceptissime et fresche rive…
…Ancor vedo in longo recesso una incredibile altecia in figura de una torre, overo de altissima specula, appresso et un grande edificio ancora imperfectamente apparendo, pur opera et structura antiquaria. Ove verso questo aedificamento mirava li gratiosi monticuli della convalle sempre più levarse. Gli quali cum el praelibato aedificio coniuncti vedea. El quale era tra uno et l’altro monte conclusura, et faceva uno valliclusio. La quale cosa de intuito accortamente existimando dignissima, ad quella sencia indugio el già solicitato viagio avido ridriciai.
Et quanto più che a quella poscia approximandome andava, tanto più discopriva opera ingente et magnifica, et di mirarla multiplicantise el disio. Imperoché non più apparea sublime specula, ma per aventura uno excelso Obelisco, sopra una vasta congerie di petre fundato.
L’altitudine della quale, incomparabilmente excedeva la summitate degli collateranei monti, quantunche fusse stato el celebre monte arbitrava Olympo, Caucaso, et Cylleno. Ad questo deserto loco pure avidamente venuto, circunfuso de piacere inexcogitato, de mirare liberamente tanta insolentia di arte aedificatoria, et immensa structura, et stupenda eminentia me quietamente affermai. Mirando et considerando tuto el solido et la crassitudine de questa fragmentata et semiruta structura de candido marmo de Paro. Coaptati sencia glutino de cemento gli quadrati, et quadranguli, et aequalmente positi et locati, tanto expoliti, et tanto exquisitamente rubricati gli sui lymbi, quanto fare unque si potrebbe. In tanto che tra l’uno et l’altro lymbo, overo tra le commissure una subtilecia quantunque aculeata, del intromesso reluctata unquantulo penetrare potuto non harebbe. Quivi dunque tanta nobile columnatione io trovai de ogni figuratione, liniamento, et materia, quanta mai alcuno el potesse suspicare, parte dirupte, parte ad la sua locatione, et parte riservate illaese, cum gli Epistyli et cum capitelli, eximii de excogitato et de aspera celatura. Coronice, Zophori, overo Phrygii, Trabi arcuati. Di statue ingente fracture, truncate molti degli aerati et exacti membri. Scaphe, et Conche, et vasi, et de petra Numidica, et de Porphyrite, et de vario marmoro et ornamento. Grandi lotorii. Aqueducti, et quasi infiniti altri fragmenti, de scalptura nobili, de cognito quali integri fusseron, totalmente privi, et quasi redacti al primo rudimento. Alla terra indi et quindi collapsi et disiecti…
Scavo nella memoria,
scavo la zolla,
scrivo con l’aratro il sogno nascosto
confuso con il peccato.
La pietra assume visione
di un altro Dio,
per tanti è solo un caprone
mal scolpito.
La pietra mi racconta
un’altra visione,
coniato nel profilo di una moneta,
nella giara antica dove la tomba
l’ha restituita.
Racconta un diverso amore
e la terra di un altro colore.
Racconta la gloria di un altro peccato,
racconta la storia di un altro Dio,
forma la statua di un altro oracolo.
Racchiuso nella pergamena di un Filosofo,
raccolto dalla parola di un’astronomo,
raccontato per bocca di uno storico,
intuito dalla mente di un matematico.
La pietra incide il principio
di un diverso Dio pregato.
La mano,
fossile antico di questo Creato,
scolpisce la forma divina di un
corpo,
ma con la testa di antico animale,
non sacrificato sull’altare.
Adorato come principio del Creato,
mitologia antica, diversa creanza:
insegna l’istinto d’un sogno proibito,
striscia cammina e poi vola lontano.
Dona i colori di un diverso
miracolo,
pensiero di vita infinita creazione,
pian piano diventa la sola
ossessione.
Ricordo questo sogno,
paura mai morta
come una divinità
sepolta,
estinta come lo scheletro
crepato di sete
sulla riva del torrente.
Ricordo la visione di un animale,
lento striscia e mi spia,
forma mai estinta di vita.
Ricordo la terra tremare
al passaggio di quella Dèa.
Ricordo il diavolo assumere
nuova visione,
nel caos di una nuova dimensione.
La pietra mi dona tanti troppi
ricordi mai sepolti,
e assume un nuovo colore,
in questa giornata piena di sole.
(G. Lazzari Frammenti in Rima)
…Il problema di cotal visione e Viaggio è meno semplice di quanto sembri. Chi di profondo s’intende concordano nel dichiarare che i dinamismi dell’inconscio non sono retti dalle categorie dello Spazio e del Tempo (come Colonne entro le quali il mito compone la propria futura materia teologica divenuta Storia…) come avviene nell’esperienza cosciente. Jung afferma anche espressamente che, a causa del carattere atemporale dell’inconscio collettivo, quando se ne toccano i contenuti, si ha l’‘esperienza dell’eternità’ e che si verifica appunto la riattivazione di tali contenuti, che si traduce in una rigenerazione della vita psichica. Questo può anche esser vero, ma sussiste una difficoltà: vi è continuità fra le funzioni assolte o i messaggi trasmessi da certi simbolismi ai livelli più profondi dell’inconscio e i significati che rivelano sul piano delle più ‘pure’ attività dello Spirito. E questa continuità è perlomeno sorprendente, poiché gli psicologi constatano generalmente opposizione e conflitto fra i valori dell’inconscio e del conscio e i Filosofi oppongono spesso lo Spirito alla Vita oppure alla Materia vivente…
…In tanto che risonavano gli mei amorosi et sonori suspiri in questo loco solitario et desertato, et di aere crassitato commemorantimi della mia Diva et exmensuratamente peroptata Polia. Omè paucula intermissione se praestava, che quella amorosa et coeleste Idea, non fusse simulacrata nella mente, et sedula comite al mio tale et cusì incognito itinerario. Nella quale fermamente nidulata l’alma mia contentamente cubiculava, quale in tutissimo praesidio, et intemerato Asylo secura.
Dunque essendo per questo modo ad tale loco pervenuto, ove erano dalla copiosa et eximia operatione antiquaria gli ochii mei ad tale spectatione furati et occupati. Mirai sopra tutto una bellissima porta tanto stupenda, et d’incredibile artificio, et di qualunque liniamento elegante, quanto mai fabrefare et depolire se potria. Che sencia fallo non sento tanto in me di sapere, che perfectamente la potesse et assai discrivere. Praecipuamente che nella nostra aetate gli vernacoli, proprii, et patrii vocabuli, et di l’arte aedificatoria peculiari, sono cum gli veri homini, sepulti, et extincti. O esecrabile et sacrilega barbarie, come hai exspoliabonda invaso, la più nobile parte dil pretioso thesoro et sacrario latino, et l’arte tanto dignificata, al praesente infuscata da maledicta ignorantia perditamente offensa. La quale associata inseme cum la fremente, inexplebile, et perfida avaritia, ha occaecato quella tanto summa et excellente parte, che Roma fece et sublime et vagabonda Imperatrice…
…Et cusì tenentise procedevano, uno dapò l’altro, che sempre uno volto alacre era converso, all’incontro dilla facia moesta dil praecedente. Questi erano sette et sette, tanto perfectamente fincti di venusta scalptura, cum vivabili movimenti, cum gli panni velanti volanti. Che d’altro difecto non accusavano il praestante artifice, si non, che la voce ad una, et le lachryme all’altra non havea posto. La chorea praedicta in una figura di dui semicirculi, et una interposita partitione, egregiamente era incisa. Sotto la quale Hemiale figura vidi tale parola inscripta. TEMPUS.
Evidentemente, resta sempre la via d’uscita di un ricorso all’ipotesi materialistica, alla spiegazione per via di riduzione alla ‘forma prima’, qualsiasi sia la prospettiva in cui situata (tal antiquaria vista…) la comparsa di questa ‘forma prima’. E’ grande la tentazione di cercare l’‘origine’ di un comportamento, di un modo d’essere, di una categoria dello Spirito, e così via, in una situazione antecedente, in qualche modo embrionale. Si sa quante spiegazioni causistiche sono state proposte dai materialisti di ogni specie e luogo per ridurre l’attività e le creazioni dello Spirito ad un certo istinto, a una certa ghiandola o a un certo traumatismo infantile. Sotto certi aspetti le ‘spiegazioni’ delle realtà complesse mediante la loro riduzione a un’‘origine’ sono istruttive, ma non costituiscono propriamente spiegazioni: si constata solamente che ogni creato ha un inizio nel Tempo, cosa che nessuno pensa di constatare…
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