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La posizione insulare – ecco qual era secondo il famoso comitato del 1868 la caratteristica più importante di Sachalin, nonché il suo vantaggio principale. Su un’isola separata dal continente da flutti tempestosi non sembrava poi così difficile fondare una grande prigione marittima in base al progetto: Tutt’intorno acqua e in mezzo sventura, attuando così l’idea di esilio concepita già dagli antichi Romani in un luogo dove l’eventualità di fughe pareva di per sé improbabile. Sennonché, fin da subito, Sachalin si rivelò un’isola per modo di dire, una pseudo-insula.
Il canale che divide l’isola dal continente nei mesi invernali è completamente ghiacciato, e quella stessa acqua che d’estate fa le veci delle mura del carcere d’inverno è levigata e piatta come una pianura: chiunque lo desideri può attraversarla a piedi o con i cani. Ma anche d’estate il canale è abbastanza sicuro: nel punto più stretto, tra Capo Pogibi e Capo Lazarev, non supera le 6 – 7 verste di larghezza, e quando il tempo è sereno e il mare tranquillo si riesce facilmente a coprirne cento con una qualsiasi bagnarola giljaka. Perfino là dove il canale è più ampio, gli abitanti di Sachalin distinguono piuttosto bene la costa continentale: una nebbiosa striscia di terra irta di pittoreschi picchi montuosi che, di giorno in giorno, pare allettarli e tentarli sempre di più, promettendo loro la libertà e il ritorno in patria.
Al di là delle condizioni naturali dell’isola, il comitato non aveva tenuto conto che è possibile fuggire non solo sul continente, ma anche all’interno dell’isola stessa – alternativa questa che crea alle autorità non meno rattacapi. Va detto dunque che la natura insulare di Sachalin si è rivelata molto meno soddisfacente del previsto. Comunque, resta pur sempre un vantaggio. Fuggire da Sachalin non è semplice….
Cara Cecilija Archimandritova! Sono sano e salvo,
non ho più aritmie, soldi nemmeno, e tutto va che è una meraviglia. Faccio
visita ai conoscenti e mi tocca raccontare di Sachalin e dell’India. Una noia
terrificante.
(Anton Pavlovič Čechov)
Nel pomeriggio del 31 maggio 1885, dopo aver selezionato e preparato l’apparato fotografico, e ottenuto tutto il necessario di libri e mappe, ci siamo procurati una cinquantina lettere di presentazione da insegnanti e Funzionari del governo in tutte le parti della Siberia; poi abbiamo lasciato St. Pietroburgo in treno per Mosca.
La
distanza dalla capitale russa alla frontiera siberiana è di circa 1600 miglia;
il tragitto di solito è frequentato da viaggiatori esuli, ed è quello che
passa per le città di Mosca, Nizhni Novgorod, Kazan, Perm ed Ekaterinburg. Il
capolinea orientale del sistema ferroviario russo è a Nizhni Novgorod, ma, in
estate, i piroscafi fanno la spola costantemente tra quella città e Perm sui
fiumi Volga e Kama; e Perm è collegata con Ekaterinburg da un pezzo isolato di
ferrovia di circa 180 miglia di lunghezza, che attraversa la catena montuosa
degli Urali, ed ha lo scopo di unire le acque navigabili del Volga con quelle
dell’Ob.
Nella città di Perm, dove abbiamo trascorso una notte, abbiamo avuto la nostra prima scaramuccia con la polizia russa; e sebbene l’incidente ha intrinsecamente poca importanza, è forse degno di nota come immagine del sospetto con cui gli stranieri sono considerati sulla grande via dell’esilio verso la Siberia, e del potere illimitato della polizia russa (associata con altre…) di arrestare ed esaminare, con o senza causa adeguata.
Nel
tardo pomeriggio del giorno del nostro arrivo, io e Mr. Frost partimmo a piedi
per la sommità di un’alta collina appena ad est della città, che pensavamo
potesse offrire un buon punto di vista per un disegno. Nel dirigerci verso di
essa ci è capitato di passare vicino il carcere cittadino; e poiché questa è
stata una delle prime prigioni russe che
avevamo visto, ed era, inoltre, sulla via dell’esilio per la Siberia, l’abbiamo naturalmente guardata con
interesse e attenzione.
Poco dopo averla superata abbiamo scoperto che la collina era più distante di quanto avessimo supposto; e siccome era avanzato pomeriggio, abbiamo deciso di rimandare il nostro escursione fino al giorno successivo.
Ritornammo
sui nostri passi, passammo la prigione per la seconda volta, e tornammo al
nostro albergo. La mattina dopo siamo di nuovo presto parti per la collina; e
siccome non sapevamo niente di meglio circa un percorso più diretto abbiamo
ripreso la strada che portava oltre la prigione. Ed in questa occasione abbiamo
raggiunto la nostra destinazione. Mr. Frost ha fatto un innocuo disegno della
città e dei suoi sobborghi, e allo scadere di un’ora, o un’ora e mezza, ritornammo
verso casa.
Su un grande spazio comunale aperto vicino ad una piazza siamo stati accolti da due agenti (penso ussari-montanari a giudicare dalla divisa), affiancati da ufficiali armati di spade e rivoltelle e in alta uniforme. Ho notato che la prima coppia ci guardava con attenzione mentre passavano informando subito gli ‘ussari-montanari’ incaricati; ma non ero così familiare a quel tempo come sono adesso con le uniformi della polizia municipale russa e quelle dei gendarmi che la scortano, e non li riconobbi. Due degli ufficiali del secondo corpo scelto lasciarono il loro veicolo poco prima raggiungendoci, si allontanarono l’uno dall’altro finché non furono a quaranta o cinquanta piedi di distanza, e poi avanzarono per incontrarci ed intimidirci.
Guardando in giro ho scoperto che la prima coppia aveva lasciato le carrozze e si era separata in modo simile dietro di noi, per poi convergere con frettoloso Passo in modo altrettanto falso - ma ‘naturale’ - su di noi da quella direzione. Poi, per la prima volta, mi è balenato in mente che erano ‘agenti di polizia’ (in un generale stato poliziesco tal cosa non dovrebbe risultare anomala) e che noi, per qualche inconsapevole plausibile ragione, eravamo (e lo siamo ancora) oggetto di sospetto, e meditavano - come sempre - come in ogni stato poliziesco che si rispetti, di arrestarci.
Mentre
si avvicinavano, uno di loro, un alto ufficiale di gendarmeria, forse un
colonnello, di circa trent’anni, si inchinò a noi rigidamente e disse:
Mi permetti di domandarti chi sei e
che ci fai da queste parti?
Certamente,
risposi;
siamo viaggiatori ammiriamo il vostro grande paese.
Da dove vieni, posso farti questa
domanda?!
Certo,
…acconsentii…
…da un grande Paese che ama la Natura
e la Libertà…
Voglio dire da dove venite circa l’ultimo
domicilio di questo grande nostro paese…
Da San Pietroburgo,
….risposi…
E dove pensate di andare?
…In
Siberia.
…Risposi ancora senza esitazione alcuna, mentre un altro ufficiale faceva dei gestacci dietro le spalle…
Ah! In Siberia! In quale parte della
Siberia?
Da tutte le parti.
Permettimi di chiederti per quale
motivo stai andando in Siberia, regione della Grande Russia?
Stiamo andando lì per il Viaggio,
ricorda?, l’Eretico Viaggio….
Qual è l’oggetto dei tuoi Viaggi?
Per
vedere ed ammirare il paese e la gente che vi abita.
Ma i turisti [con un’intonazione
sprezzante] non hanno l’abitudine di andare in Siberia. Devi avere qualche
particolare motivo. Dimmi, per favore, esattamente quale è il motivo e lo scopo
di questo Viaggio. Altrimenti sono costretto a rallentare il Passo, tu capisci
cosa voglio dire. Vero?!
Gli
ho spiegato che i viaggiatori (quelli che ancora sono liberi…) in amor e
accordo con la Natura nonché ispirati dagli ideali e sani principi della
Democrazia hanno la retta abitudine di andare ovunque, e che gli oggetti che di
solito hanno in vista sono lo studio delle persone e luoghi, e l’acquisizione
di conoscenze.
Lui
invece non era tuttavia soddisfatto della risposta, anzi irritato, e mi ha
risposto con ogni sorta di domande intese per ottenere una confessione dei
nostri reali scopi nell’andare in un paese come la Siberia. Alla fine disse con
crescente serietà e severità…
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