CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

sabato 17 luglio 2021

IL MALE DEL VOSTRO SECOLO (8)

 

























































Precedenti capitoli:



La donna dello schermo (5/6)  &  (7)


Prosegue con il racconto 


della Domenica:








De Umbra Ciceronis...


ovvero, ARTE & IDEA 













Il maestro sceglie il discepolo, ma il libro non sceglie i suoi lettori, che possono essere malvagi o stupidi; questo timore platonico perdura nelle parole di Clemente di Alessandria, uomo di cultura pagana:

‘La cosa più prudente è non scrivere ma invece apprendere e insegnare a viva voce, perché ciò che è scritto rimane’.

e in queste altre dello stesso trattato:

‘Scrivere in un libro tutte le cose è lasciare una spada in mano a un bambino’,

…che derivano anche da quelle evangeliche:

‘Non date le cose sante ai cani né gettate le vostre perle davanti ai porci, acciocché non le calpestino coi piedi, e si volgano contro di voi e vi sbranino’.




Questa massima è di Gesù, il più grande dei maestri orali, che una sola volta scrisse alcune parole in terra e nessun uomo le lesse (Gv, 8, 6).         
         
 Nell’ottavo libro dell’Odissea si legge che gli dèi tessono disgrazie affinché alle future generazioni non manchi di che cantare; l’affermazione di Mallarmé:  



‘Il mondo esiste per approdare a un libro’

…sembra ripetere, trenta secoli dopo, lo stesso concetto di una giustificazione estetica dei mali. Le due teleologie, tuttavia, non coincidono interamente; quella del greco corrisponde all’epoca della parola orale, e quella del francese a un’epoca della parola scritta.

In una si parla di cantare e nell’altra di libri.




Un libro, qualunque libro, è per noi un oggetto sacro; già Cervantes, che forse non ascoltava tutto quel che diceva la gente, leggeva perfino le carte strappate nelle strade.

Il fuoco, in una delle commedie di Bernard Shaw, minaccia la biblioteca di Alessandria; qualcuno esclama che brucerà la memoria dell’umanità, e Cesare gli dice:

‘Lasciala bruciare. È una memoria d’infamie’.

(J.L. Borges)




È questa irreversibile costante memoria di infamie che ci interessa, la quale compone la Storia; la quale ci priva del dono della saggia Parola, e talvolta anche del Pensiero come l’inutile materia vorrebbe per imporre la più deleteria corrotta dottrina contraria alla Vita.

E prima di lei lo Spirito e l’Anima che l’accompagna, rimpiangere ciò che al meglio componeva l’Armonia dismessa barattata e confusa…

È questa Memoria che vorremmo ritrarre  dipingere e descrivere sottratta all’occhio da cui la vera Natura abdicata alla demenza da cui la vostra materia…


  

In nessun paese esiste più una letteratura così grande come quella del mondo antico; i giornali, i libri scadenti d’ogni genere, le preoccupazioni della gente per ogni tipo di trasformazione concreta, hanno scacciato l’immaginazione viva del mondo.

Questi uomini, che tante centinaia d’anni separavano fra loro, avevano il medesimo Spirito. Siamo noi ad essere diversi; e allora mi tornò alla mente un Pensiero ricorrente, ossia che loro vivevano in tempi in cui l’immaginazione si rivolgeva alla stessa Vita per esaltarsi.

Il mondo non mutava velocemente intorno a loro!

Non c’era nulla che distogliesse la loro immaginazione dal mutarsi dei campi, dalle nascite e dalle morti dei loro figli, dal destino delle loro Anime, da tutto quanto costituisce la sostanza immortale della Letteratura.




Non dovevano intrattenere rapporti con un mondo composto da masse tanto enormi da poter essere rappresentate alla loro mente solo per mezzo di raffigurazioni e generalizzazioni astratte. Tutto quello che percorreva il loro animo vi si imprimeva con la vivacità dei colori dei sensi, e quando scrivevano, ciò scaturiva da una ricca esperienza personale, scoprivano i loro simboli espressivi nelle cose che avevano conosciuto per tutta una vita.

È la trasformazione che seguì il Rinascimento, e venne completata dal dominio dei giornali e dal movimento scientifico che ci ha sovraccaricato di queste frasi e generalizzazioni elaborate da menti che pretenderebbero di cogliere ciò che non hanno mai visto.




Esiste un’espressione presso un antico scrittore cabalistico sull’uomo che cade all’interno della sua stessa circonferenza: ora ad ogni generazione ci troviamo più lontani dalla Vita stessa e l’Anima-Mundi che forma la sua essenza, e cadiamo sempre di più in preda di quell’influenza cui si riferiva Blake quando scrisse:

I Re ed il Parlamento (e tutti i loro cortigiani) mi sembrano cosa diversa dalla vita umana (dalla realtà e verità umana)…

Perdiamo sempre più la libertà man mano che fuggiamo da noi stessi, e non solo perché le nostri menti sono stravolte dalle frasi astratte e dalle generalizzazioni, riflessi su uno specchio che sono un’apparenza della vita, ma perché abbiamo capovolto la scala dei valori e crediamo che la radice della realtà non stia al centro, ma da qualche parte in quella vorticosa circonferenza.




E in che modo potremmo creare come gli antichi, se innumerevoli considerazioni di probabilità esterne o di utilità sociale distruggono il potere creativo, solo apparentemente irresponsabile che è la Vita stessa?

…Ogni argomento come abbiamo letto ci riconduce a qualche concezione filosofica-religiosa, e alla fine l’energia creativa degli uomini dipende dalla loro fede di possedere, nel loro intimo, qualcosa di immortale e di incorruttibile, e che ogni altra cosa non è che un’immagine in uno specchio formare la spirale appena detta….

Sino a che questa fede non sarà soltanto formale, un uomo trarrà le sue creazioni da un’energia piena di gioia, senza cercare tante prove per un impulso che può essere davvero sacro, e senza ricorrere ad alcun fondamento fuori dalla vita stessa…




L’Arte, nei suoi momenti più alti, non è una creazione volontaria, ma deriva da un sentimento potente, dalla pura essenza intesa quale Anima-Mundi di vita, ed ogni sentimento è figlio di tutte le età passate (come una Spirale donde la vita) e sarebbe diverso se anche un solo istante fosse stato trascurato.

E davvero non è proprio quel piacere della bellezza e dell’armonia che dice all’artista che egli ha immaginato quel che forse non morirà, ed è esso stesso soltanto un piacere delle forme perenni e tuttavia cangianti in spirali di vita, nelle sue stesse membra e nei suoi tratti?

Quando la vita l’ha donato, non ha forse dato nient’altro che se medesima?

Riserva forse mai altra ricompensa, perfino ai santi?

Se uno fugge verso il deserto, non è quella luce chiara che cade sull’Anima quando tutte le cose insignificanti sono state allontanate, altri che la vita che l’ha sempre circondato, ora finalmente goduta in tutta la sua pienezza?

Se un uomo trascorre tutti i suoi giorni in buone opere sinché nel suo cuore non resti emozione alcuna che non sia colma di virtù, la ricompensa che implora non è forse vita eterna?

(W. B. Yates)




Il Cesare storico, a parer mio, approverebbe o condannerebbe il giudizio che l’autore gli attribuisce, ma non lo riterrebbe, come noi, uno scherzo sacrilego. La ragione è chiara: per gli antichi la parola scritta non era altro che un succedaneo della parola orale.

È fama che Pitagora non abbia scritto; Gomperz  sostiene che operò in tal modo perché aveva più fede nella virtù dell’istruzione parlata.

Di maggior forza della mera astensione di Pitagora è la testimonianza indubitabile di Platone. Questi, nel Timeo, affermò:

‘È ardua impresa scoprire l’artefice e padre di questo universo, e, una volta che lo si è scoperto, è impossibile rivelarlo a tutti gli uomini’,

…e nel Fedro narrò una favola egizia contro la scrittura (la cui abitudine fa sì che la gente trascuri l’esercizio della memoria e dipenda da simboli), e disse che i libri sono come le figure dipinte,

che paiono vive, ma non rispondono una parola alle domande che vengono loro poste’.

Per attenuare o eliminare tale inconveniente immagino il Dialogo filosofico così come abbiamo letto con Giuliano specchio dei Tempi che al meglio ritraggano




Leida 1629

Disegnare l’occhio che osserva (o al contrario, osservato, in questi Tempi al roverso del vero senso come sempre ammirato e contemplato…) era l’inizio dell’Arte.

Tracciare i contorni dell’organo della vista era l’iniziazione dell’apprendista al ‘mistero’ del suo mestiere ma anche un simbolo dello scopo di quel mestiere: una sorta di professione stenografica del potere della vista (non ancora del tutto ulcerata e corrotta).

La consuetudine di disegnare l’occhio umano doveva essere così radicata nell’inconscio di un artista da riaffiorare nel pieno della sua maturità, in forma di scarabocchio o di schizzo casualmente tracciato su un foglio bianco o su una lastra di recupero.

Un acquaforte dei primi anni Quaranta mostra su un lato un albero, su un altro una sezione destra della parte superiore del volto dell’artista, con l’occhio ben visibile sotto il berretto calcato sulla fronte; ma tra il berretto e l’albero c’è, del tutto a sé stante e perfettamente tracciato, un secondo occhio: spalancato vigile, vagamente inquietante.

Una Visione singolare!




Quando dipingeva occhi, dunque Rembrandt sapeva ciò che faceva.

Sapeva che nel repertorio convenzionale del linguaggio dell’occhio a disposizione dell’artista non c’era nulla di adeguato a questo momento; certo non bastava una fissità di occhi di vetro. Perciò per comunicare il senso di un distacco creativo, quel ‘sonno’ nella veglia che fin dai tempi di Platone gli autori paragonavano ad una sorta di trance sciamanico, opta per l’oscuramento.

Per il silenzio!

La Parola più comunemente usata per indicare quella situazione interiore era ingenium, o inventio, quel Divino Elemento, cioè, senza il quale mestiere e disciplina non erano che bassa manovalanza.

Quel Divino Elemento, cioè, senza il quale la Vita non avrebbe il perenne Studio da cui per ultimo l’uomo…




Solo l’ingenium distingueva chi era straordinariamente dotato da chi possedeva un mestiere perfetto.

Ma, a differenza della perizia tecnica e della pratica, l’ingenium non era cosa che si potesse acquisire con lo studio. Era una qualità innata e pertanto degna, letteralmente, di riverente timore:

Dono di Dio!

La Visione poetica veniva, in condizioni simili al delirio, a coloro che erano benedetti da quell’occhio interiore…

(S. Schama)




…Per tutti gli altri transitati nel comune Libro della Storia colma di infamie e ben conservata per ogni Secolo percorso al rogo della Memoria mai del tutto svelata neppure descritta e narrata qual male antico unanimemente condiviso in nome e per conto del falso progresso o atroce unanime apocalittico turpe destino, per tutti gli altri dicevo, ovvero i posseduti dal male antico, materia avversa allo Spirito, dedico cotal perla affinché sopravviva alle ceneri in ciò da cui il male si contraddistingue affliggere la Natura e con lei ogni Opera dell’Ingenium Creata…  









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