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Seconda parte della donna dello schermo (6)
BREVE INTRODUZIONE
Quando Dio messer Messerino fece,
ben si credette far gran maraviglia,
ch’uccello e bestia ed uom ne sodisfece,
ch’a ciascheduna natura s’apiglia:
ché nel gozzo anigrottol contrafece,
e ne le ren’ giraffa m’asomiglia,
ed uom sembia, secondo che si dice,
ne la piagente sua cera vermiglia.
Ancor risembra corbo nel cantare,
ed è diritta bestia nel savere,
ed uomo è sumigliato al vestimento.
Quando Dio il fece, poco avea che fare,
ma volle dimostrar lo Suo potere:
sì strana cosa fare ebbe in talento.
Truovo che ’l cuore ti batte fortemente…
ovvero:
DAL LIBRO DE’ VIZÎ E DELLE VIRTUDI
CAPITOLO I
INCOMINCIASI IL LIBRO DE’ VIZÎ E DELLE VIRTUDI E DELLE LORO BATTAGLIE E AMMONIMENTI. PONSI IN PRIMA IL LAMENTO DEL FATTORE DELL’OPERA ONDE QUESTO LIBRO NASCE
Considerando a una stagione lo stato mio, e la mia ventura
fra me medesimo esaminando, veggendomi subitamente caduto di buon luogo in
malvagio stato, seguitando il lamento che fece Iobo nelle sue tribulazioni,
cominciai a maladire l’ora e ’l dì ch’ io nacqui e venni in questa misera vita,
e il cibo che in questo mondo m’avea nutricato e conservato.
E piangendo e luttando con guai e sospiri, li quali veniano
della profondità del mio petto, contra Dio fra me medesimo dissi:
Idio onnipotente, perché mi facesti tu venire in questo
misero mondo, acciò ch’ io patisse cotanti dolori, e portasse cotante fatiche,
e sostenesse cotante pene?
Perché non mi uccidesti nel ventre della madre mia, o, incontanente
che nacqui, no mi. desti la morte?
Facestilo tu per dare di me esemplo alle genti, che neuna
miseria d’uomo potesse nel mondo più montare?
Se cotesto fu di tuo
piacimento, avessimi fatto questa misericordia, che de’ beni de la ventura non
m’avessi fatto provare, e avessimi posto in più oscuro e salvatico luogo, e più
rimosso da genti, sicché di me non fossero fatte tante beffe e scherne, le
quali raddoppiano in molti modi le mie pene!
CAPITOLO II
LA RISPONSIONE DE LA FILOSOFIA
Lamentandomi duramente nella profundità d’una oscura notte
nel modo che avete udito di sopra, e dirottamente piangendo e luttando,
m’apparve sopra capo una figura, che disse:
Figliuol mio, forte mi maraviglio che, essendo tu uomo, fai
reggimenti bestiali, in ciò che stai sempre col capo chinato, e guardi le scure
cose della terra, laonde se’ infermato e caduto in pericolosa malatia.
Ma se rizzassi il capo, e guardassi il cielo, e le
dilettevoli cose del cielo considerassi, come dee far l’uomo naturalmente,
d’ogni tua malizia saresti purgato, e vedresti la malizia de’ tuo’ riggimenti,
e sarestine dolente.
Or non ti ricorda di quello che disse Boezio:
‘Con ciò sia cosa che tutti gli altri animali guardino la terra e seguitino le cose terrene per natura, solo all’uomo è dato a guardar lo cielo, e le celestiali cose contemplare e vedere’?
CAPITOLO III
COME LA FILOSOFIA SI CONOBBE PER LO FATTORE DELL’OPERA
Quando la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si
riposò una pezza, aspettando se alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo
che stava muto, e di favellare neun sembiante facea, si rapressò inverso me, e
pigliò il gherone de le sue vestimenta, e forbìmi gli occhi, i quali erano di
molte lagrime gravati per duri pianti ch’avea fatti.
E nel forbire che fece, parve che degli occhi mi si levasse
una crosta di sozzura puzzolente di cose terrene, che mi teneano tutto il capo
gravato. Allora apersi li occhi e guarda’mi dintorno, e vidi appresso di me una
figura tanto bellissima e piacente, quanto più inanzi fue possibile a la Natura
di fare.
E della detta figura nascea una luce tanto grande e
profonda, che abagliava li occhi di coloro che guardare la voleano, sicché
poche persone la poteano fermamente mirare. E de la detta luce nasceano sette
grandi e maravigliosi splendori, che alluminavano tutto ’l mondo.
E io, veggendo la detta figura così bella e lucente, avegna
che avesse dal cominciamento paura, m’assicurai tostamente, pensando che cosa
ria non potea così chiara luce generare; e cominciai a guardar la figura tanto
fermamente, quanto la debolezza del mio viso potea sofferire.
E quando l’ebbi assai mirata, conobbi certamente ch’era la Filosofia,
ne le cui magioni era già lungamente dimorato. Allora incominciai a favellare,
e dissi:
Maestra delle Virtudi, che vai tu faccendo in tanta
profundità di notte per le magioni de’ servi tuoi?
Ed ella disse:
Caro mio figliuolo, lattato dal cominciamento del mio latte,
e nutricato poscia e cresciuto del mio pane, abandonere’t’ io, ch’io non ti
venisse a guerire, veggendoti sì malamente infermato?
Non sa’ tu che mia usanza è d’andare la notte cu’ io voglio
perfettamente visitare, acciò che le faccende e le fatiche del dì non possan
dare alcuno impedimento a li nostri ragionamenti?
E quando udì’ dire che m’era venuta per guerire, suspirando
dissi:
Maestra delle Virtudi, se di me guerire avessi avuto
talento, più tosto mi saresti venuta a visitare; perché tanto è ita innanzi la
mia malizia, che m’ hanno lasciato li medici per disperato, e dicono che non
posso campare.
Allora si levò la Filosofia, e puosesi a sedere in su la
sponda del mio letto, e cercòmmi il polso e molte parti del mio corpo; e poi mi
puose la mano in sul petto, e stette una pezza, e pensò, e disse:
Per lo polso, che ti truovo buono, secondo c’ hanno li
uomini sani, certamente conosco che non hai male onde per ragione debbî morire.
Ma perché, ponendoti la mano al petto, truovo che ’l cuore ti batte fortemente,
veggio c’hai male di paura, laonde se’ fortemente sbigottito ed ismagato.
Ma di questa malattia ti credo a la speranza di Dio tostamente
guerire, purché meco non t’ incresca di parlare, e non ti vergogni di scoprire
la cagione de la tua malatia.
E io dissi:
Tostamente sarei guerito, se per cotesta via potessi campare, perché sempre mi piacquero e adattârsi al mio animo le parole de’ tuoi ragionamenti.
(Bono)
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