CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

lunedì 27 maggio 2013

IL PRINCIPE AL SANT' ELIA














Prosegue in:

il Principe al Sant'Elia (2)













.... Ma S.A.R. non rinunziava a compiere nell'estate una spedizione
importante, e, dinanzi all'incertezza creata dalle complicazioni dell'-
India, non esitò a mutare radicalmente i suoi progetti, scegliendo
come nuova mèta il monte Sant'Elia, nell'Alaska meridionale, pres-
so i confini delle regioni artiche, vicino alla costa dell'Oceano Paci-
fico.
Situato a nord di una imponente catena, il Sant'Elia, alto 5500 me-
tri e visibile dal mare a 200 miglia di distanza, aveva già richiama-
to a sé l'attenzione dei primi navigatori che or fa un secolo e mez-
zo scoprivano le coste dell'Alaska.




Il monte e la regione vicina erano poi rimasti completamente ine-
splorati fino a tempi recentissimi.
La prima spedizione che tentò di raggiungere la vetta venne orga-
nizzata solo nel 1886; ad essa ne seguirono tre altre in breve spa-
zio di cinque anni.
Nessuna era riuscita nell'intento; ma tutte avevano riportato una
ricca messe di osservazioni sui caratteri eccezionali di quella re-
gione, nella quale si svolgono fenomeni glaciali con proporzioni
così grandiose, come non si trovano in ness'altra parte del mon-
do, all'infuori dalle zone polari.




Dopo il 1891 la prova non era stata più ritentata.
Alla fine di aprile ogni cosa era pronta. S.A.R. aveva scelto per
accompagnare la carovana quattro guide italiane, della valle d'-
Aosta: Giuseppe Petigax e Lorenzo Croux di Cormayeur, Anto-
nio Maquignaz ed Andrea Pellisier di Valtournanche, alle quali
doveva unirsi, di Biella, portatore ed aiuto fotografico del Sel-
la, già suo compagno nel Caucaso.




Pochi giorni prima della nostra partenza, lettere d'America ave-
vano portato la notizia che il sig. Henry S. Bryant di Filadelfia
stava preparando una spedizione colla stessa mèta nostra.
Eravamo partiti da Torino con una sessantina di casse, conte-
nenti tutta quella parte di equipaggiamento che era stata fatta
in Italia: le cose nostre personali, il materiale fotografico, parte
del materiale da campo e sanitario; a Londra in quattro giorni,
riunimmo tutte le altre cose che erano state ordinate in prece-
denza per la carovana.
Ai viveri si sarebbe provvisto a San Francisco.




La comitiva partiva per Liverpool il 22 maggio, a mezzogiorno.
Alle quattro eravamo tutti a bordo del grande transatlantico
'Lucania', della compagnia 'Cunard line', che mezz'ora dopo
si staccava dal molo gremito di gente, mettendosi in moto.
La linea bianca dei fazzoletti sventolati dalla folla in segno di
saluto si dileguò rapidamente.
Al di dietro si stendeva a perdita d'occhio la grande massa
bruna della città, irta di camini e fumaioli, sotto il sottile velo
di vapori.




Dovevamo passare sei giorni a bordo della splendida nave,
vera regina dei transatlantici, e confesso che, mentre S.A.R.
ed il Cagni trovavano modo di occupare utilmente il loro tem-
po, noi, nuovi a quell'esistenza, ci abbandonammo senza ri-
morso alla inerzia contemplativa, a cui è così favorevole la
vita di mare.
Le ore trascorrono piacevoli passeggiando per le lunghe cor-
sie del ponte coperto, dove s'allineano le leggiere seggiole a
braccioli occupate da lettrici, cui il mare mite ed il tempo se-
reno permettono di vivere all'aria aperta.




Da poppa lo sguardo si perde a seguire il maestoso solco
spumeggiante fino all'orizzonte; il vortice gigantesco che for-
mano in mare le eliche girando, ed il fremito che si avverte
sotto i piedi fanno conscienti della forza immensa che spinge
quel colosso sull'onda con una velocità di quasi quaranta chi-
lometri l'ora.
V'erano a bordo pochissimi passeggeri. In questa stagione i
ricchi americani si recano in Europa per tornare poi ai loro
affari in autunno, e questo movimento periodico da un conti-
nente all'altro avviene quasi sempre in massa, cosicché i va-
pori di lusso, come il 'Lucania', quando fanno il viaggio scari-
chi, tornano rigurgitanti di passeggeri.




La rapidità del viaggio, che si compie in sei giorni, non per-
mette che si stabilisca quella tradizionale intimità che suol na-
scere fra compagni di traversata, e si vive presso a poco co-
me in un grande albergo.
La biblioteca e la grande sala, elegantissime, sono quasi sem-
pre vuote; di sera gli uomini si riuniscono a bere e fumare nel-
la sala di poppa, e presto cominciano ad incrociarsi le scommes-
se sul numero delle miglia che percorrerà la nave nelle 24 ore,
colle poste gridate a voce alta.




Le nostre guide mostravano una araba indifferenza per tutto
quello che le circondava. Trasportate in pochi giorni dalla lo-
ro tranquilla vallata nella baraonda di Londra, poi in pieno
Oceano non manifestarono mai il minimo stupore dinanzi a
tante cose nuove.
A bordo, appena guariti dal mal di mare che li colse nelle pri-
me ore, stavano intere giornate nella sala per fumare di se-
conda classe, giocando interminabili partite a carte.
La sera del 28 maggio alle 10,30, il 'Lucania' si ancorava alla
Quarantine, fuori del porto di New York.......
(Prosegue....)










 

sabato 25 maggio 2013

KNUD RASMUSSEN








































Prosegue in:

Knud Rasmussen (2)











Era come arrivare in un paese completamente nuovo.
Ci eravamo abituati a vivere fra persone che si basavano principalmen-
te sulla selvaggina di terra e cacciavano animali di mare solo dal ghiaccio
stabile. Ora improvvisamente ci trovavamo nel mezzo di una cultura cre-
ata dal mare aperto, fra uomini che in una lingua sorprendentemente vi-
cina al nostro groenlandese parlavano di balene e belughe, foche e foche-
barbate, cacciate dal kayak o dall'umiak.
E vedevamo che gli umiak erano esattamente dello stesso tipo di quelli
groenlandesi, e gioivamo doppiamente delle loro sagome familiari, pro-
prio perché avevamo appena incontrato tribù che non li conoscevano
nemmeno di nome.




I piccoli bianchi villaggi di neve che avevamo imparato ad amare erano
stati sostituiti da capanne di assi, da case di legno o di torba la cui inte-
ra organizzazione corrispondeva a quelle groenlandesi, e i miei due gro-
enlandesi spalancavano gli occhi e si credevano quasi a casa, anche se
nel corso di quei tre anni si erano allontanati sempre più dal loro paese.
Questa fu la prima impressione, ma penetrando un po' più a fondo, tut-
to era comunque molto diverso dalle nostre coste.
Il fiume Mackenzie era stato il grande portatore di cultura, e così come
le sue potenti correnti avevano strappato foreste dalle radici trascinan-
dole su tutte le spiagge su cui passavamo, anche la cultura eschimese e-
ra stata sradicata dal suo antico ambiente, creando un periodo di tran-
sizione in cui ora ci imbattevamo.




La caccia in mare non era più l'unica attrattiva, si era aggiunta la cac-
cia all'oro e al denaro e aveva rivoluzionato tutti i rapporti.
La Hudson's Bay Company non dominava più il mercato, i cosiddetti
compratori in contanti discendevano i fiumi e stabilivano il prezzo di o-
gni pelliccia, e la grande concorrenza fra i commercianti lo aveva fatto
talmente salire che improvvisamente gli eschimesi di quella terra ricca
di animali da pelliccia erano diventati benestanti. E quelli che con la
vecchia caccia erano abituati a contare solo sui depositi invernali, e
perciò basavano la loro produzione sul singolo anno, ora avevano a-
vuto la comprensibile idea che, se avessero potuto agire e vivere co-
me i loro superiori - gli uomini bianchi -, allora sarebbero diventati
come loro.




Erano tutti eccellenti cacciatori e perciò per loro non era difficile con-
centrarsi su un gigantesco volume di affari che trascurava completa-
mente ogni ragionevole riguardo per il futuro e la vecchiaia.
Questo era il motivo per cui improvvisamente ci trovavamo in mezzo
a un popolo distinto e indipendente. Il prezzo di una volpe bianca era
di 30 $, e fra novembre e aprile se ne potevano catturare molte. Inol-
tre c'erano altri animali da pelliccia: volpe rossa, volpe argentata, vol-
pe crociata, volpe nera, topo muschiato, moffetta, castoro, lince, er-
mellino, martora e altri ancora.




Perciò non era strano che gli eschimesi con un po' di amor proprio
si chiamassero fra loro 'Capitano' e fossero proprietari di golette.
Tali golette, del tipo a fondo piatto in uso intorno al delta dei grandi
fiumi, potevano comprarle per 3000 $, ma in compenso non ne ave-
vano molto bisogno.
D'estate potevano spostarsi per andare a trovare qualcuno a fare
una sorta di mondane vacanze estive dopo la chiusura della caccia
agli animali da pelliccia.
Ma la loro vera caccia la praticavano dagli 'umiak' o dai battelli da
caccia alla balena, economici e molto più pratici. Naturalmente la
maggior parte di queste golette aveva il motore, e in genere in o-
gni campo avevano chiesto l'aiuto delle macchine.




Le abili dita delle donne, che così spesso avevano avuto occasione
di ammirare mentre cucivano le pelli, erano state sostituite da mac-
chine per cucire.
Si era imparato a scrivere, ma per essere al passo coi tempi anche
in questo, la maggior parte degli uomini aveva una macchina da scri-
vere, sebbene la quantità di corrispondenza che sbrigavano non per-
mettesse loro di fare esercizio battendo sulla tastiera.
Anche le macchine per tagliare i capelli e fare la barba facevano par-
te dei generi di prima necessità, ed era molto comune vedere la gen-
te con macchine fotografiche.
Le vecchie e pratiche lampade a grasso venivano tenute come curio-
sità offerte ai turisti per 30 $, mentre la gente usava lampade a gaso-
lina o al massimo a petrolio.




Inizialmente, fra quelle persone spregiudicate mi trovai come un inge-
nuo residuo del passato, quando cominciai a parlare di leggende an-
tiche e antiche tradizioni, e nelle prime settimane - in cui dovetti com-
battere una dura lotta per affermarmi in mezzo a quella confusa ristret-
tezza di vedute - rivolsi molti pensieri malinconici verso est, verso gli
uomini e le donne per i quali la saggezza degli antenati era ancora sa-
cra.
Tanto per cominciare, qui i narratori di leggende consideravano se
stessi come specialisti di storia e geografia locale e di mitologia, e la
loro tariffa per una specie di visita o imposizione delle mani era di
25 $.
Se tale era la tariffa per il lavoro fisico, perché quello spirituale dove-
va essere valutato di meno?




Non appena si sparse la voce che ci interessavamo di cose etnogra-
fiche, gli astuti commercianti di antichità cominciarono a spunta-
re da ogni dove non facendosi scrupolo di pretendere fino a 50 $
per un paio di ornamenti da labbra trovati in una tomba.
Si comprende il mio disorientamento.
Ma fortunatamente la cultura mal digerita non è più radicata di un
po' di vecchia sporcizia che si può lavare via, e non ci volle molto
perché riuscissi a ridestare l'interesse delle persone per il loro pas-
sato.
Un'ora dopo l'altra raccontai loro del tutto gratuitamente ciò che
avevamo visto durante quel viaggio - i vecchi sciamani che sulla
storia dei tempi andati la sapevano molto più lunga delle persone
con cui ero adesso - e alla fine riuscii a rompere il ghiaccio con
tanta energia da poter lasciare il Canada occidentale con molte
cose di valore e nuove conoscenze.
(Prosegue......)














martedì 21 maggio 2013

ALCATRAZ ISLAND (5)














Precedente capitolo:

Alcatraz Island (4)

Prosegue in:

Alcatraz Island (6)













Gli operai conobbero presto il motivo del segreto. Il sindacato di Guggenheim
profondeva capitali per la costruzione di una ferrovia di grande traffico, dall'-
interno di Katalla a Chitina.
Esercitando il controllo sulla favolosa miniera di rame di Kennecott, si lavora-
va a spron battuto e con interesse concorrente, per uno sbocco al mare. Nel
porto di Katalla era stata costruita una enorme diga.
Il giovane Stroud sostenne una fatica massacrante, ma l'opera ebbe una ina-
spettata sorte. Una violenta tempesta sconvolse la diga, dimostrando al Sin-
dacato che la scelta era stata errata; il progetto fu poi abbandonato.























La squadra degli operai emigrò verso il nord, dove un ingegnere, Mike He-
ney, favolosamente audace per interessi rivali, stava gettando un pilastro di
rinforzo nell'interno di Chitina, per renderlo il porto più difeso di Cordova.
Stroud era del gruppo che sudava per immergere i cassoni alla profondità
di oltre cinque metri sotto il letto delle acque rumoreggianti, e che gettò un
ponte di quattro arcate sull'altra parte di un banco di ghiaccio galleggiante.
Là, l'alto e smilzo giovane incontrò un certo Rex Beach; uno dei tipi di quei
libri che Stroud più tardi leggerà, nella più grande umiliazione dell'isolamen-
to Costui assicurò il giovane Stroud che il salmone dell'Alasca lo interessava
più dell'oro.
In Cordova la vita di Stroud ebbe una piega fatale.























La sua fibra sottilmente logorata da un lavoro incessante, fu di nuovo prova-
ta da una polmonite. Rimessosi in salute, passava la convalescenza in una
sala da ballo gestita da una ragazza, Kitty O'Brien. In Alasca dove l'elemen-
to femminile difettava, si può dire che qualsiasi donna al di sotto dei 50
anni, e con l'occupazione di Kitty, veniva ritenuta giovane.
Kitty aveva 36 anni; gli occhi cielo cupo, dal portamento di autentica irlan-
dese, energica ed onesta all'aspetto. Nei movimenti rapidi dei suo vestito
di raso da sala da ballo, era uno dei tipi avvenenti dell'Alasca; sul suo con-
to correvano molte dicerie.

























Il sereno Stroud probabilmente non avrà mai conosciuto quello che Kitty
sentiva possibile. Può darsi che egli non abbia conosciuto il fascino di una
donna molto gentile che intuisse l'integrità del suo cuore?
Nessuna donna era entrata nel campo dominato da sua madre.
Kitty vide Stroud certamente a fine estate del 908; ed il giovane conobbe
a 18 anni la bellezza ed il fascino della sua prima ragazza. Kitty era lusin-
ghiera e divertiva; Stroud la trattava gentilmente e spesso, persino con
venerazione: gentilezza e venerazione che condividevano, quando erano
soli in sala.
Gentile e cercata dagli uomini, Kitty sentiva elevazione la compagnia di
questo giovane serio. L'affetto suo verso il ragazzo cresceva, e la familia-
rità che essa per prima sentì materna, sublimava il piacere degli stimoli
della sua passione.





























Nei cabaret di Cordova, Kitty era franca ed energica cassiera, ma eva-
deva dal suo ufficio durante la presenza di Stroud. Straud ne era infatu-
ato e la sua infatuazione lo agitava eccessivamente, turbando i problemi
che sorgevano.
Senza un soldo, doveva in qualche modo fare dei denari.
I giorni in Alasca si accorciavano, e la stagione piovosa per i venti di
tramontana, portava a Cordova il freddo.
Un giorno di agosto, Stroud ebbe per caso a Cordova la possibilità di
fare denaro. Con mezzi avuti in prestito da Kitty comprò un carro di
granoturco adatto per essere arrostito.
Con un largo cappello bianco, slanciato nella persona, Stroud se ne sta-
va in piedi, accanto al suo chiosco di vetro e vendeva diversi sacchi a-
romatizzati con sale e strutto, nella stessa confezione che richiamava
alla mente gli usi della lontana casa.






















Eventualmente egli avrebbe guadagnato un lingotto d'oro, valore di mol-
to superiore alla sua merce, a favore di un nostalgico nauseato dell'inver-
no dell'Alasca.
In un freddo pomeriggio di settembre, mentre pestava i piedi, si avvicinò
alla sua edicola una persona robusta, elegantemente vestita, con cappello,
giacca e cravatta neri.
- Fortuna che tu raddoppi o prendi nulla, per un sacco di questa materia.
- Carletto Dahmer!
esclamò Stroud,
- Credevo che tu fossi a Katalla.
Il vero nome di Carletto era F. K. Von Dahler. Nato da una famiglia di
origine germanica, era chiamato Carletto perché vestiva da avventurie-
ro. I lunghi mustacchi neri lo rendevano più vecchio dei suoi 28 anni.
Classificato come uomo saldo nella lotta, Carletto gestiva una liquore-
ria, quando Stroud lo conobbe a Katalla.
Carletto fece scivolare un dollaro d'argento, e Stroud perse il prezzo
di un sacco di granoturco, e poi chiacchierarono un poco.
- Dove vai?
chiese Stroud.






























- A Juneau, al bar Montana.
Carletto diede a Stroud un'occhiata significativa.
- Sento ragazzo, che frequenti Kitty O'Brien.
Stroud fu colpito vivamente dal suo tono di voce.
- La conosci bene,
aggiunse Carletto con una strizzatina d'occhi.
Stroud cambiò immediatamente discorso.
- Dimmi Berto, se voi due scendete a Juneau,
chiese Carletto. E si allontanò mettendo in bocca del granoturco.
In seguito Stroud chiese a Kitty informazione su Carletto.
- Io e tutti gli altri lo conosciamo qui,
rispose Kitty.
Poiché le notti si allungano in Alasca e gli affari cessano a Cordova,
Stroud vendette la concessione del granoturco, restituì il denaro a
Kitty e discussero i loro piani.
In novembre salirono a bordo di un battello indirizzati a Juneau; an-
darono ad abitare nel palazzo Clarke e Stroud si mise in cerca di la-
voro. Trovò occupazione in un grande bar, gestito da uno venuto dal-
l'Alasca, molti dei quali andarono in miseria per il whiski, il gioco di
azzardo e le donne, senza poter salvare i risparmi fatti prima delle
continue fortunate operazioni speculative.
(Prosegue...)













domenica 19 maggio 2013

LA GELOSIA (Prima Lettera ai Prigionieri...)















Prosegue in:

la gelosia (2) &

Devil's Island (3)













....E' davvero difficile comprendere il temperamento del Dio della Bibbia;
è un insieme confuso di contraddizioni, pallide instabilità e ferree fermezze;
una morale astratta, ipocrita e verbosa se non addirittura ingiuriosa, contrap-
posta ad atti diabolici; fuggevoli, meschini, e conditi da altrettante fuggevoli
bontà presto smentite e tramutate in malignità permanenti.
E comunque, dopo tanto rimuginare, si arriva alla chiave della sua (vera) ....
indole; alla fine si arriva in qualche modo a capirla (chi ci arriva prima dei
tempi previsti è dannatamente e... perdutamente...).
Ed è lui stesso a svelarcela, con soprendente, bizzarra e ingenua franchez-
za: è la gelosia!
So di avervi mozzato il fiato.
Dovreste sapere - ve l'ho detto in una lettera precedente - che tra gli esseri
umani la gelosia è ritenuta un'autentica debolezza, la caratteristica delle men-
ti meschine, anzi, il vero marchio di fabbrica di ogni mente meschina.
Ma al contempo è una caratteristica che fa vergognare anche la mente più
piccola, e che, a forza di menzogne, respinge come un insulto quando si tra-
duce in un'accusa.
La gelosia.



























Non dimenticatelo, tenetelo a mente. E' la chiave. Grazie ad essa - a poco
a poco parzialmente - riuscirete a comprendere le azioni di Dio: senza sareb-
be impossibile. Come ho detto, è stato Lui stesso a mostrare a tutti l'infida
chiave; voleva che tutti sapessero.
Egli stesso afferma ingenuamente, schiettamente e senza alcun imbarazzo:
'Io, il Signore Dio tuo, sono un Dio geloso'.
Ma vedete, questo è solo un altro modo di dire:
'Io, il Signore Dio tuo, sono un Dio meschino; un Dio piccolo che si irrita
 per cose ....piccole.....'.
Stava dando un avvertimento: non riusciva a sopportare il pensiero che un
un qualunque Altro Dio potesse ricevere lodi domenicali da questa piccola
e ridicola razza umana.
Le voleva tutte per sé.
Ci teneva.
Per lui erano ricchezze, proprio come le monete di latta sono preziose per
gli zulù.... Ma aspettate - non sono corretto.
Sto travisando i fatti....
Il pregiudizio mi induce a dire cose non vere...
Non ha mai detto di volere tutte le lodi per sé.
























Non ha mai detto di non voler condividere le lodi con altri... Dèi....
Ha solo detto:
'Non avrai altri Dèi davanti a me'.
Ed è una cosa ben diversa; lo mette in una luce decisamente migliore.
C'era un'abbondanza di Dèi - i boschi, come si dice, ne erano pieni; e
tutto ciò che chiedeva era di essere considerato al pari di tutti gli altri: né
sopra né sotto.
Era disposto a concedere che altri Dèi fecondassero le vergini della Terra,
ma non a condizioni migliori delle sue. Voleva essere considerato allo stes-
so livello.
Questo lo disse apertamente: non voleva altri Dèi sotto di lui.
Potevano marciare al suo fianco, ma nessuno di loro poteva condurre il
corteo, e non rivendicò quel diritto nemmeno per sé.
Pensate che sia stato in grado di rimanere fedele a questo proposito retto
e lodevole?
Nemmeno per sogno!
Sarebbe stato capace di mantenere per sempre un cattivo proposito, ma
uno buono non riusciva a mantenerlo nemmeno per un mese. Ben presto
l'abbandonò, e in tutta calma rivendicò di essere l'unico Dio di tutto ....l'-
Universo.
Come dicevo, la gelosia è la chiave di tutto.
E' presente e prominente lungo tutta la storia di Dio.
E' il sangue e le ossa della sua (ed altrui) indole, è la base del suo carattere.
Basta che una cosa, per quanto insignificante, vada a toccare la sua gelosia
per stravolgere il suo equilibrio e confondere il suo giudizio.
Niente lo infiamma più rapidamente, più certamente ed esageratamente del
sospetto di una possibile competizione con altri...Dèi... (questa la sua ....
piccolezza.....questa la presunzione....).
(Prosegue....)













venerdì 17 maggio 2013

ALCATRAZ ISLAND (3)













Precedente capitolo:

Alcatraz Island (2)

Prosegue in:

Alcatraz Island (4) &

Henri Charrière (1/2)









Se le nostre disavventure sono le disgrazie dei nostri genitori, quelle
di Roberto Stroud ebbero inizio prima che egli nascesse....
Beniamino ed Elisabetta Stroud erano da poco sposati e già tra loro
erano sorti degli attriti. Parte del disagio cessò per l'intervento del-
la famiglia di lei, e soprattutto alla inaspettata gravidanza di Elisa-
betta.
Beniamino Stroud era alto, bello, di buona e benevola famiglia dell'-
Indiana.
Socievole, sentiva gioia la vita; e, se i tempi erano buoni, sapeva far
quattrini. Aveva uno sguardo irrequieto e non partecipava che ad una
sola bottiglia quando la compagnia era corretta.




Elisabetta sposatasi con Stroud, era di molto più vecchia di lui, e ve-
dova con due bambine. E se Beniamino si impegnò assolutamente a
sposarla, è segno che essa lo aveva legato profondamente a sé. Ed
è probabile che si spaventasse un poco nello scoprire la gravidanza,
che presto gli avrebbe portato un terzo figlio.
Elisabetta McCartney Shaefer Stroud era una donna formidabile ed
attraente. Primogenita di una famiglia di dodici membri, crebbe co-
me in una potenziale dinastia fondata da un rinomato pioniere, il
giudice J. F. McCartney.




McCartney, accogliendo il grido di Lincoln, accorse e combatté nella
guerra civile, e poi, da capitano, si ritirò e si stabilì nella metropoli
dell'Illinois.
Studiò giurisprudenza, fondò una banca, e diede il suo appoggio nel-
l'organizzazione del Partito Abolizionista. Alla sua morte, a 84 anni,
egli lasciava un patrimonio di un miliardo di dollari; fatto non molto
disdicevole per un giudice, e nessuno poteva dimenticare che Mc-
Cartney mai bevve, mai imprecò; quando montava in collera la sua
espressione più forte era 'Prete Giuda'.




Questa figura deve aver fissato uno straordinario modello su cui la
sua figlia maggiore giudicherebbe gli uomini.
Elisabetta si sposò giovane, con un serio appaltatore chiamato Scha-
efer. Seguendo la tradizione di famiglia, Shaefer percuoteva l'ostinata
Elisabetta; ed essa finì per abbandonare il marito, che durante la gra-
vidanza di una sorella si impose duramente.
Essa mostrò un odio per le percosse, le quali portarono nel suo animo
un triste turbamento e più tardi lo passò in eredità al suo diletto figlio
Roberto.




Contro la volontà della sua famiglia, Elisabetta persuase Beniamino
ad andare verso occidente. Pensando di fuggire i loro guai, essi lì
costruirono in un nuovo ambiente.
La località scelta fu Seattle, dove giunsero nell'estate del 1889, ma
solo per osservare una città carbonizzata, un'immobile rovina fuman-
te. Due giorni dopo il loro arrivo, Seattle, città di 20.000 abitanti,
veniva completamente distrutta da un incendio; ricostruita in legno,
un secondo incendio la ridusse in cenere dalle fondamenta.




Beniamino Stroud si trovava tra i 600 uomini che pensavano ad
una nuova città, mentre gli ultimi tizzoni fumavano ancora.
Avuta una tenda vi sistemò la famiglia, e poi trovò un impiego.
Quella sistemazione toccò profondamente la moglie, che teneva
però nascosta la sua avversione, e cucinava all'aperto i frutti di
mare.
Beniamino portava il suo peso, ma Elisabetta presto reclamò che
egli sosteneva il disagio con il bere, e diventava ingiuriosa e sprez-
zante. Beniamino insisteva di voler distruggere il figlio non ancora
nato; ed essa scrisse:
'Poiché rifiutavo, il suo contegno a mio riguardo... mi tenne per tut-
to il periodo della gravidanza, in uno stato confinante con la pazzia'.




La tenda di Stroud venne sostituita con stanze ammobiliate, poi-
ché Seattle si ricostruì rapidamente con case di laterizi e cemento
armato al centro, e alla periferia in legno.
In una di queste, in una fredda notte del gennaio 1890, venne alla
luce Roberto Stroud....
(Prosegue....)













mercoledì 15 maggio 2013

ALCATRAZ ISLAND














Prosegue in:

Alcatraz Island (2)










(Dedicato ad ogni stimato & fedele aguzzino:

non è detto che solo carcere sia 

l'argomento di codesta diletta rima......

chi la poesia altrui vuol portar via....

entro il carcere della vita....

non legga mai nessun frammento....

di ogni anima che per sempre.... vola via)






Nelle acque grigie della Baia di S. Francisco, tra la città e la
'Porta d'oro', emergono dalle acque dell'Oceano circa 53 km
quadrati di roccia cenerina, che danno l'idea di una mano
chiusa: è l'isola di Alcatraz.
Il complesso carcerario quando è investito dal sole, brilla at-
traverso la bruma, simile ad un ammasso di pietra.
In quest'isola vive(va) un uomo, che gli Stati Uniti tengono
rinchiuso in una cella dal 1916. Quando le porte di ferro si
chiusero dietro lui, per la prima volta, era Presidente Teodo-
ro Roosevelt, Guglielmo Hohenzollern era in età avanzata,
e lo scotto di Sarajevo non era ancora finito di pagare.




Questo carcerato baciò per l'ultima volta la sua fidanzata,
prima che il 'Titanic' aprisse la sua via, e quando la Russia
era ancora governata da uno Zar.
Quando fu incarcerato, la legge dell'imposta sul reddito non
esisteva. Egli mai vide un aeroplano sulla pista di lancio, mai
disapprovò il progresso, non cambiò mai un pezzo ad una mac-
china.
Egli non spezza il pane con altra persona, da quando il pre-
sidente Wilson inforcò gli occhiali per firmare la dichiarazio-
ne di guerra contro il Kaiser.
La prigione, come si dice nel gergo arabo, è scolpita nei suoi
occhi.....




Ebbene signori, questo uomo..., si trova nell'isolamento cellu-
lare (più assoluto...) da 44 anni; il periodo più lungo nella sto-
ria del carcere federale...
Che sorta d'uomo è costui (vi domanderete...)?
Come vive?
Che fa?
Che cosa mai egli fece (alla sua natia patria...)?




Egli ha 69 anni, porta un berretto verde fin su gli occhi, a so-
miglianza di un arbitro del giuoco del pallone che invecchia.
Il suo viso è lungo e sottile, con due occhi azzurri e penetran-
ti, che gli occhiali in montatura di metallo ingrandiscono, e
porta capelli corti ormai grigi.
Sebbene ricurvo nelle spalle, quando si raddrizza appare nel-
l'aitante altezza di due metri, che egli sorpassava all'entrare
in carcere.




Nessuno lo può visitare, all'infuori del fratello e del cappellano
(lui quale eretico non vuol vedere né l'uno né l'altro...).
Nessuno lo avvicina.
Può scrivere e ricevere lettere da tre persone: il fratello, la so-
rellastra ed un vecchio signore della Florida (un certo Pietro..).
I giornali non gli vengono concessi; gli è vietato di fare eserci-
zi all'aperto; gli è vietato la radio e la televisione, e non ha an-
cora veduto nessun film.
Gli è vietato scrivere...
Però, ironia per i suoi carcerieri, egli è scrittore!




Ed in una recente petizione alla Corte di Giustizia sottolineò
che 'egli sa portare altrettanto bene una macchina e conosce
il regolamento del traffico moderno....'
Poiché nella sua stanza, chiusa a chiave, porta pantofole di
feltro, egli può udire anche quando cammina avanti e indie-
tro, l'intermittente lamento delle sirene antinebbia.
Di sera, se il vento è favorevole, arriva ad udire il traffico
della più progredita civiltà e con essa, città del litorale occi-
dentale, a 2 Km. nel retroterra.




Qualche volta alla sera, quando la nebbia si dilegua, vede
pure il giardino illuminato del ritrovo notturno di S. Franci-
sco.
Sebbene egli abbia frequentato solamente i primi tre anni
della scuola, tuttavia scrive libri (per orrore dei suoi car-
cerieri).
La migliore sua opera, scritta orsono sedici anni, è oggi
molto ricercata nelle pubbliche biblioteche; ma questo
uomo non è permesso di entrare nella biblioteca del car-
cere (il grande carcere dell'..isola..); egli può avere, per
leggere, un solo volume alla volta (conosciuto e contralla-
to dai suoi aguzzini...).




Recentemente gli fu rifiutato addirittura il permesso di ri-
vedere (o solo leggere) la sua opera, per una nuova edi-
zione, sebbene la richiesta venisse avanzata dall'editore
e si trattasse di un lavoro... (di poesia...)
(Prosegue...) 











lunedì 13 maggio 2013

PARADISE ISLAND













Prosegue in:

Paradise Island (2)











Fredericka Mandelbaum, meglio nota come Marm (Madam) o
Mother, fu probabilmente la ricettatrice più abile e di mag-
gior successo negli annali criminali di New York.
Era una donna enorme che pesava più di 110 chili; aveva una
bocca dal taglio deciso e guance straordinariamente grasse,
sopra le quali spiccavano piccoli occhi neri, folte sopracciglia
scure e un'alta fronte sfuggente.




La massa di capelli corvini raccolti in uno stretto chignon era
di solito sormontata da un minuscolo cappellino nero con piu-
me cascanti. Possedeva un edificio di tre piani al 79 di Clinton
Street, sull'angolo con la Rivington, e viveva con il marito Wol-
fe, il figlio e le due figlie al primo e al secondo piano, arredati
con un'eleganza che non aveva eguali in tutta la città; in realtà
molte delle sue suppellettili più pregiate e alcuni dei suoi ten-
daggi più costosi avevano un tempo ornato le case degli aristo-
cratici: erano stati rubati per lei da ladri profondamente ricono-
scenti e dal cuore tenero.




In questi appartamenti Marm intratteneva lussuosamente gli
ospiti con danze e cene a cui partecipavano alcuni dei più fa-
mosi criminali americani e spesso ufficiali della polizia e uomi-
ni politici finiti nel suo campo d'influenza.
Al pianoterra, all'angolo con Rivington Street, Marm gestiva
un negozietto di abbagliamento maschile, ma svolgeva la sua
vera attività in un'ala dell'edificio rivestita di assicelle che si e-
stendeva in Clinton Street, dove lei si occupava del bottino e
finanziava le operazioni di quasi tutte le grandi gang di scas-
sinatori di banche e negozi.




Agli inizi della carriera vendeva la refurtiva di casa in casa.
Tra i famosi criminali che collaboravano con lei figuravano
Shiang Draper, George Leonidas Leslie, Banjo Pete Emer-
son, Mark Shinburn, Bill Mosher e Joe Douglass.
Shinburn era uno scassinatore di banche molto distinto che
si lamentava di avere l'animo di un nobile e di detestare i
delinquenti con cui era costretto ad associarsi.
Viveva frugalmente e investiva tutti i suoi guadagni in va-
glia postali in valuta estera pagabili a suoi parenti in Prus-
sia. Alla fine si ritirò dagli affari e si trasferì in Europa do-
ve, spendendo oculatamente una parte del suo patrimonio,
divenne il barone Shindell di Monaco e visse per sempre
felice e aristocratico.




Mosher e Douglass erano i due criminali che rapirono un
bambino di quattro anni, Charley Ross, nella sua casa di
Germantown, Pennsylvania, il 1° luglio 1874, dando così
origine al più grande mistero legato a un rapimento che
questo paese abbia mai conosciuto.
Vennero ben presto sospettati e ricercati in tutto l'Est da
investigatori newyorkesi, ma non furono scovati fino al
mattino del 14 dicembre 1874, quando vennero uccisi
mentre cercavano di saccheggiare la casa del giudice Van
Brunt a Bay Ridge, Brooklyn.
(Prosegue....)