CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 29 ottobre 2021

LA RIVOLUZIONE PRE-INDUSTRIALE , ovvero: L’INVENZIONE DELLA LIBERTA’ (10)

 























Precedenti capitoli:


Della e circa la Rivoluzione (8-9/1)


Con inaspettati Cesari


Prosegue con i...:









Morti senza Santi


& 'Nessuno' mi vuole ammazzare (12)









Bisogna imitare la natura: questo precetto si trasmette di generazione in generazione.

 

Ma che cosa significa imitare?

 

E cos’è la natura?

 

La parola natura ha mille significati, accoglie tutte le accezioni. Durante il XVIII secolo, colui che vuol mettersi dalla parte della ragione invoca la natura, chiama a testimone la natura...

 

Si tratta forse dell’universo materiale?




Dell’insieme delle cose create, del ‘sistema degli oggetti insiti nel mondo’?

 

A tutto questo, il secolo guarda con una coscienza nuova. I fisici, i geometri e i filosofi dell’età barocca hanno vinto la battaglia. L’idea dell’infinità dell’universo ha trionfato. Il telescopio di Galileo ha fatto arretrare i confini dell’universo. L’immagine tradizionale di un universo sferico, circoscritto, circondato dall’empireo e ‘motore immobile’ è superata.

 

Non esistono ormai più gerarchie nello spazio, né basso mondo sublunare, né sommità angeliche; il basso e l’alto hanno perso il loro senso analogico; niente, ormai, nell’universo simbolizza la direzione di una salvezza o di una perdizione.




Tutti i punti si equivalgono: forse esistono altri mondi abitati, altre creature intelligenti.

 

Non è più possibile considerare la terra, né Roma, né Gerusalemme e neppure il sole, come il centro del mondo. Ognuno, qui o altrove, può legittimamente ritenere il punto in cui si trova come centrale, a condizione di riconoscere il carattere relativo e provvisorio di quest’angolo prospettico.

 

Come sottolinea Georges Poulet, il Settecento resta un secolo relativista. La verità consiste in una serie di punti di vista e il punto di vista supremo, il solo che possa abbracciare il cosmo, è il punto di vista di Dio. Ma ciò non impedisce che tutti i punti di vista siano veri, e che tutti i luoghi, tutti i momenti siano il centro di un cerchio che circoscrive una qualche parte della verità.




Forse, in effetti, la divinità è presente in ogni punto dello spazio, come avevano suggerito i mistici nella famosa definizione secondo la quale Dio è una sfera infinita il cui centro è ovunque e la periferia in nessun luogo. Newton afferma che...

 

...esiste un Essere incorporeo, vivente, intelligente, onnipresente, che nello Spazio infinito, come se fosse il suo Sensorium, vede intimamente le cose in sé, le percepisce, le comprende interamente e a fondo, perché esse gli sono immediatamente presenti.

 

Che Dio sia distinto dallo spazio (come vogliono i cartesiani) o che lo spazio sia un attributo della divinità (come sostengono gli spinoziani), ciò non toglie che lo spazio è neutro, isotropo, omogeneo, che nessun punto prevale su di un altro. E se non esistono un centro assoluto né una periferia definitiva, ogni coscienza (depositaria di una scintilla divina) può rivendicare il diritto di organizzare il mondo grazie alla sua propria attività, partendo dal suo punto di vista e infine giustificare il proprio interesse individuale, pur ammettendo la reciprocità.




 Un tale atteggiamento è pregno di conseguenze poiché lo spazio omogeneo si presta alla misurazione delle velocità, delle masse e delle relazioni, rivelandoci leggi della materia che si lasceranno sfruttare. I calcoli della meccanica permetteranno all’uomo di moltiplicare e di dirigere le proprie forze. Il punto di vista dell’individuo non sarà soltanto il fulcro di una contemplazione, ma anche la leva di un’azione trasformatrice.

 

Lo spazio neutro, dunque, s’apre alle imprese conquistatrici dell’uomo, ai calcoli metodici della ragione. L’uomo, nella sua inquietudine, moltiplica le prove della propria forza, penetrando così in un mondo che cercherà di orientare a suo modo, di ordinare secondo i suoi valori e il suo interesse e nel quale vedrà aumentare il suo potere a misura che si accresceranno le sue conoscenze.

 

Lo spazio neutro è lo spazio della tecnica.




Tutto ciò che era stato annunciato dai precursori - Bacone, Cartesio -, il XVIII secolo si appresta a realizzarlo.

 

Il commercio e l’industria getteranno le basi sistematiche dello sfruttamento della natura. Il profitto netto sarà ottenuto tanto più sicuramente in quanto, per imbrigliare la natura, si saranno usate come armi le leggi uniformi che la governano. E se anche gli uomini fossero sottomessi alla causalità naturale, il fatto di prenderne conoscenza attraverso l’esperienza conferirebbe loro una padronanza su di essa, limitata ma sufficiente per tradurre questo potere in un’accumulazione di ricchezze e di benessere.




La dominazione dello spazio si manifesta in molti modi e innanzi tutto nel più concreto: le strade. In Europa (e soprattutto in Francia) esse si moltiplicano e diventano più sicure; gli scambi tra le città e le campagne si sviluppano; si rischiano e si guadagnano fortune nel commercio con le Indie e nello sfruttamento delle miniere.

 

I più prudenti sperano di arricchirsi perfezionando i metodi dell’agricoltura. Tutti aspetti dell’invasione utilitaria dello spazio da parte del lavoro umano. Questo movimento, preparato e iniziato dal Rinascimento, alquanto rallentato dalle guerre del XVII secolo, assume ora uno slancio che non si fermerà più fino ai giorni nostri.




Una forza economica e sociale, quella dell’industria e della borghesia mercantile, ormai vecchia di numerosi secoli, scopre finalmente il suo vero linguaggio, i suoi metodi più efficaci, la sua attrezzatura mentale, in breve, la sua ideologia.

 

Rivoluzionando il vecchio catasto feudale, che ancora conservava le vestigia di un universo orientato e strutturato dai valori religiosi e soprannaturali, la borghesia conquistatrice tende a far prevalere in tutto ciò che concerne la terra (imposte, recinti, e così via) il principio del rendimento, i valori di scambio.




Il catasto della proprietà fondata sul danaro soppianta il catasto dei possedimenti giustificati dalla funzione carismatica del signore e del prete. Come ha chiaramente inteso Tocqueville, l’anticlericalismo, nel Settecento, più che la religione ha inviso le ricchezze della chiesa, le terre che essa accaparra, la sua potenza in quanto istituzione politica:

 

...la Rivoluzione francese ha attaccato la religione [...] non perché i preti pretendevano di regolare le cose nel mondo ultraterreno, ma perché erano proprietari, signori, riscossori di decime in questo.

 

Una presa di possesso.




Dapprima, l’uomo aveva sperato che il pensiero geometrico avrebbe illuminato il mondo intero. Ma giunge il momento in cui si accorge che la fisica del movimento è insufficiente come principio universale di spiegazione. Come hanno dimostrato gli studi di Yvon Belaval, l’impresa conquistatrice non rinuncia ai suoi obiettivi, ma cambia metodo e evolve in un positivismo descrittivo e pragmatico.

 

Ci si allontana dalla geometria per rivolgersi alle scienze naturali; si rinuncia alla speranza di tradurre ogni fenomeno in una formula matematica e ci si limita a redigerne minuziosi inventari. L’Enciclopedia è la più chiara testimonianza di questo sforzo (Ma bisognerebbe citare anche il sistematico Linné, l’antisistematico Buffon, e la Storia generale dei viaggi).




Il sapere enciclopedico compila il registro delle nostre risorse: le arti, le tecniche, gli oggetti. Poco importa se non conosciamo le leggi che collegano tutte le cose tra loro. Gli oggetti distinti, se ne abbiamo dato una buona definizione, si lasciano comunque usare da noi. Scrive Bernard Groethuysen:

 

Così l’uomo avrà stabilito il suo diritto di proprietà sugli oggetti. Li circonda di barriere, li divide in parti e li fa entrare in un catasto universale. Inoltre, appropriandosene, li trasforma, per così dire li snatura. Il possesso cambia la natura dell’oggetto. L’albero che vi appartiene non è più quello che scorgete semplicemente quando lo guardate [...] Lo spirito di possesso è la distinzione essenziale tra L’Enciclopedia e l’orbis pictus in cui, un tempo, i viaggiatori del Rinascimento annotavano le curiosità che avevano visto nel corso delle loro peregrinazioni [...]. Gli enciclopedisti fanno fare all’uomo il periplo di ciò che possiede. Ecco ciò che vi appartiene. Non vi credevate così ricchi. Ecco ciò che i sapienti hanno acquistato per voi. Sappiate goderne.




In questo processo d’appropriazione, l’immagine svolgerà un ruolo considerevole. L’universo intero, disegnato, stampato, colorato - sotto gli sguardi del naturalista e del proprietario - si scompone in specie, in individui (poiché, assicura Buffon, impercettibili sfumature collegano le specie le une alle altre).

 

I gabinetti di curiosità, le serre si moltiplicano in tutta Europa: sono gli oggetti stessi che si vogliono collezionare. Sono le piante stesse che si vogliono raccogliere negli erbari, poi nei giardini. L’illustrazione riprodotta nei libri è un surrogato, un simulacro. Questo genere d’imitazione della natura, affidato agli incisori, agli acquerellisti, sebbene allora rappresentasse un apporto essenziale alla presa di coscienza della realtà terrestre, sembra realizzarsi al di fuori del campo della coscienza estetica.

 

Lavoro d’artigiano e non d’artista, si afferma.




Opera meccanica nella quale l’abilità manuale non richiede lo sforzo del pensiero. Tali oggetti sono rappresentati per il nostro utilizzo, per la nostra scienza.

 

È dunque possibile parlare d’arte se la considerazione della utilità s’impone a tal punto?

 

Quanto all’artista, imitare pazientemente la Natura non basta: occorre che l’oggetto parli al nostro sentimento. Per questa costante esigenza dell’estetica settecentesca, la pittura di genere, anche quella di un Chardin, è considerata un genere inferiore. 




Occorrerà del tempo prima che Diderot scopra che la pittura di Chardin, per dirla con le parole stesse del pittore, ‘non è fatta coi colori, ma col sentimento’. Per prima cosa, l’autore dei Salons è affascinato soltanto dalla magia dei colori e dall’estrema verità:

 

È la natura stessa; gli oggetti sono fuori dalla tela e di una verità da ingannare gli occhi [...]. Per guardare i quadri degli altri, sembra che io abbia bisogno di procurarmi degli occhi; per vedere quelli di Chardin, non ho che da conservar quelli che la natura mi ha dato e servirmene bene.




La pittura di genere compie così il miracolo di foggiare, sulla superficie piatta della tela, una copia della natura; è uno specchio stupefacente, fedele alle materie più diverse, ma rivolto verso ‘una natura umile, comune e domestica’. L’illusione è tale che il critico si sente immediatamente indotto ad assumere, davanti agli oggetti che gli vengono presentati, l’atteggiamento del proprietario consumatore. Nessuna fantasticheria poetica davanti a quei cibi, ma piuttosto uno stato d’appetito positivo:

 

Quel vaso di porcellana è realmente di porcellana; quelle olive sono realmente separate dall’occhio dall’acqua in cui sono immerse; dobbiamo solo prendere quei biscotti e mangiarli, aprire quell’arancia e spremerla, bere quel bicchiere di vino, sbucciare quelle frutta, affondare il coltello in quel pasticcio.

 

Davanti a una così grande perfezione imitativa, la contemplazione è di breve durata: a prima vista, le cose non contano per una loro misteriosa presenza, ma per il loro valore d’uso.

 

(J.  Starobinski)









giovedì 28 ottobre 2021

INTERMEZZO CON I CESARI

 
























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Circa la grande Rivoluzione


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Vademecum ad uso dei grandi  (2)









& il Libro e/o Tomo completo









Una breve premessa ad uso di ogni buon Ecologista, il quale come la Storia insegna, abdica il passo incompiuto, a chi con la stessa senza merito alcuno, eccetto quello dell’incompiuta saccenza politica ad uso del governante di turno (e siccome sono nominati governanti, superiore il Nobile Signore che ne riconosce l’indiscusso giusto merito con cui ogni governante, equivalente ad una buona cameriera, nell’esercizio del proprio ed altrui governata funzione per cui incaricato/a, si distingue e adopera per il proprio ‘assente’ padrone; dacché ne deriva, maggiore la riconosciuta grandezza della suddetta governante quando commisurata alla casa la quale deve governare; ovvero; maggiore la proporzione della maestà in rappresentanza dei padrini assenti, quindi abdicata, ed in cui esplicitata la funzione per ogni metro quadrato giustamente ed in proporzione ‘governato’; quindi ed ancora, la diplomazia si manifesta quando suddetti grandi, con altrettanta grandezza, esprimono al meglio i valori della casa così ben rappresentata e governata, nell’inalterata volontà degli assenti, così da mantenere l’invisibile proprio secolare dominio nell’esercizio delegato ad una governante per conto dell’altrettanto inalterato Stato delle cose così saggiamente governate…), ne riveste ed incarna Memoria vilipesa tradita e da tradire ancora.

 

Ave a te Costanzo nobile romano!

 

La Storia di ogni Stato e Impero, che al meglio o al peggio si evidenzia, si riconosce compone edifica e maschera, con questa nobile caratteristica - o bassa morale civica - con cui ed altresì si contraddistingue, l’esiliato Idealista dal governante di turno, il pagano dal buon cristiano, la cosa o l’oggetto comune di medesimo interesse, al meglio o al peggio governato.

 

Ogni Profeta non è mai Re nella propria patria, in genere perseguitato in attesa dell’alta onorificenza Roma caput mundi, ovvero la meritata Croce al merito.

 

Visibile l’alta collina del Golgota, si sconsiglia ad ogni buon Governante in esercizio della propria ed altrui funzione la vista, in quanto l’alta ambita onorificenza, un fine e merito dalla cui casa si viene abdicati all’uso della più modesta grotta, o peggio, esiliata fredda dimora, ed ove il/la governante non può certo adempiere alla ricchezza cui destinata la santa casata, o meglio che diciamo, incaricata.

 

La povertà dell’immobile, il freddo, la non precisata domiciliata dimora, affine all’Elemento non governato, non si addice certo all’incarico per ciò cui ogni governante destinato, per più alta funzione…. di Stato!    

 

Tutto ciò ci sembra ovvio!

 

Il popolo (assieme agli scribi e farisei per ogni stato regione piccolo o grande paesino) compia la parte rimanente del rito, adegui ogni idealista profeta alla bassezza della volgarità con cui ogni Stato di cose, legate all’odierno esercizio del Verbo, si contraddistingue nell’apostrofarne e confonderne la Memoria vilipesa, circa medesimo Ideale (di Verità e Ricchezza) così mal governato nonché interpretato!

 

Così, se pur vengono nominati grandi, in verità e per vero, i loro meriti non certo altrettanto (maggiori o più) grandi di chi ignorato, o peggio, calunniato, e preso in ostaggio dal furore del popolo civilizzato, così di nuovo istruito secondo rigidi piani quinquennali telecomandati come iper-controllati. Abdicando in cotal concordato governo, suddetto sgradito Elemento incarnato morto soffocato e/o appestato, convertito alla elevata emissione della calunnia, di chi nell’Ambiente prospera e compie la propria ed altrui innominata fortuna scritta nella ricchezza ben ‘governata’, nel preservarne ogni nociva solfurea emissione.  

 

L’industriosa Ragione in cotal paradigma prospera previene & purga ogni emissione sgradita, nell’uso del buon Governo.

 

Così come amministrato il contraddistinto esercizio della badante incaricata qual ottima governante. Infatti, si evidenzia anche nella corretta funzione della ‘casa’ ben mantenuta al meglio della solida ricchezza nella sfortunata assenza dei padri fondatori, o legittimi proprietari riparati nell’esiliata Selva.

 

Al momento assenti, e/o, solitamente confinati per altri destini e lunghi Viaggi.

 

Alla buona Penelope si raccomanda di non interferire, per quanto possibile, con la governante di turno, neppure, nel corretto esercizio del suddetto domicilio (come solitamente viene interpretato il concetto dello stesso riflesso e albergato nel vasto mondo di cui un Tempo fu oggetto la Natura intera e il Pensiero da Lei ispirato).

 

Ai proci, al contrario, si rammenta l’esercizio del corretto uso della grammatica, e per quanto possibile di riscriverne l’immutata Storia compiuta!

 

Da costoro ogni buona calunnia edificata prospera nel Regno della Memoria così ben governata, dacché ogni accento un vero complimento annoverato nei registri della Memoria esiliata.

 

Per il resto a codesti grandi raccomandiamo di rendere, per quanto possibile, assieme a tutti i proci con cui si compone la vasta corte e platea con cui accompagnati nobilitata dell’esercizio della libera Parola, di mantenere la cosa governata, casata villa palazzo & residenza, il più decorosamente in ordine nel corretto esercizio del paesaggio ornamentale - o arredamento - così edificato e disquisito, nonché  ben spolverato e protetto, onde evitare che l’impropria sporcizia (così schifosamente nominata alla sola vista), possa insinuare e depositare il vero suo principio - o diverso Elemento sgradito -, nel corretto esercizio della comune grammatica disquisita del buon governo in uso nelle tradotte dovute (carenti) capacità interpretative, in medesimo esercizio di ugual Ragione circa la dovuta confusione nell’uso della propria ed altrui funzione (condivisa fra sporco e pulito), e da cui gli incaricati mantengono l’inalterato Stato del vero secolare ordine - architettonico e/o ornamentale - da cui il principio per cui comandati nella suddetta capacità di ‘governare’.

 

Sottratta al (lo ‘sporco’) Principio d’un diverso ordine e esercizio della Ragione si rischierebbe di perdere il mestiere!   

 

(Giuliano)   


(Prosegue...)    







 

lunedì 25 ottobre 2021

LA GRANDE RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (8)

 























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Circa la Terza Rivoluzione (industriale)


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Il capitolo completo


& La Rivoluzione pre-industriale (10)








Sul finire del 1800 si consolida ciò che diverrà il futuro patto alchemico, ovvero cotal processo innovativo da ciascuno non più ammirato con l’occhio dell’‘artista filosofo scienziato’, il quale decanta una nuova èra in grado di far emergere l’uomo come la sua naturale capacità ‘inventiva’ scritta nella propria natura, di poterlo liberare dal giogo della schiavitù in cui per secoli costretto e sotto certi aspetti soggiogato.




Peccato, però, in quanto nel ‘peccato’ sugellato e inciso il patto scellerato divergere con la Natura d’un comune Creato, e per quanto gli aspetti di questa prima Rivoluzione possano essere narrati e contemplati al pari di un grande panorama che modificherà per sempre sia l’umano che la Natura così conquistata, né più né meno di un Radiolare, il quale nella forma e calco della stessa procede ed approda ad ugual concetto di Vita, mai l’umano ne uguagliare la bellezza creativa divenire principio della stessa.  




Peccato però, dicevo, che se pur ugual genio creativo e innovativo di una nuova èra elettrificata, posta alla mercé dell’uomo in ciò cui prima impossibilitato con la nuova forza prometeica al proprio servizio, tutto ciò diverrà ‘bestemmia’ e non più ‘peccato’, per ogni Golem creato da ogni futuro artifizio con cui accompagnato.

 

Il quale muterà irreversibilmente la Natura da cui nato e evoluto andando a scomporre più che mutare crescita e forma, letta appunto – inconsapevolmente - nella presunta ‘crescita’ e nuova ‘forma’ sociale ed ambientale, adottata e sancita all’opposto, con cui siamo soliti interpretare i termini così posti nella corretta grammatica descrivere Pensiero Idea, e quindi, corretto Linguaggio.




Di due diverse lingue nella futura scissione bipolare poste in medesimo unico Linguaggio e comune atto della Storia, divergere e non più comprendersi nel premeditato attentato raccolto, o peggio nel disastro seminato nella Ragione d’una uguale Crescita e Forma, seminata nell’assoluta incomprensione di intenti… d’un primo Atto circa medesima Rivoluzione a danno della Natura.

 

Ovvero il Progresso non più un ‘atto’ evolutivo riconosciuto nella Natura umana, ma un processo scisso ed in mano ad una errata interpretazione di ciò che comunemente intendiamo con Evoluzione. Infatti la stessa Evoluzione sarà ben fraintesa e scritta, nonché sancita da una sempre maggiore sete di conquista feudale la quale ha ricreato stesso principio che si pensava con l’ausilio della stessa, superato. In realtà i termini d’un nascente capitalismo riproporranno drammaticamente la divisione sociale inscritta in ugual istinto di insana ricchezza con improprio accumulo di capitale, e ancor peggio, assoggettando la miserevole condizione umana nell’indiscusso ‘atto’ d’una nuova Rivoluzione apostrofata.




 Quindi il Linguaggio divergere ancor di più, e se qualcuno cogitava e cogita ancora l’èvo passato frutto d’una malsana condizione assommata e assoggettata ad una insana condizione umana, non certo ha ben compreso e comprende il simmetrico e peggiore abominio del futuro nascente ‘bestiario’ (figlio della peggiore ‘bestia) d’una ‘macchina’, con stesso identico araldo inciso sul proprio ed altrui scudo mantenere lo scettro del Capitale (feudale) da cui la comune vita entro ugual mura metropolitane divisa in immutate caste (si può transitare dall’una all’altra così come attraversare la strada a passo di ‘cammello’, in quanto il somaro messo all’uso della pensione non men che araldo del democratico progresso, giacché il petrolio deciderà il plastico edificato per le comuni motorizzate sorti  d’ognuno, compresi arti e avambracci mozzati in giostre e tornei di eterne guerre meccanizzate, ove il nero sangue sgorgherà come Fiumi d’una eterna carneficina;  ponendo, però, dovuta attenzione e distinguo nel non reclamare quanto l’elefante - ogni elefante - ha sancito e sancirà ancora, circa il Libero Arbitrio ancor e di più vilipeso nell’illusione di ugual progresso inciso nell’indistinta bituminosa eterna avventura d’una fiorente industriosa armatura; le Crociate raggiungeranno l’apice del Canto: Gerusalemme, la furiosa, sarà eterna contesa (libera e da liberare ancora); conteso non men che (re)interpretato il già sepolto libero arbitrio seppur ancor libero di morire; i futuri morti non saranno più raccolti e cinti entro l’Abbazia, bensì avremmo una macchina porre il numero di cui la Storia evoluta; quantunque liberi e fieri paladini dal feudale giogo da cui tratto nato e evoluto, sia il conteso fraudolento libero arbitrio, come la capacità di assumerne il controllo…), più simili ad alveari e formicai con medesimi cittadini-schiavi illusi della libertà e sottomessi.   

 



Procediamo agli stessi gradi d’una condizione evolutiva appena scoperta, Darwin e i suoi derivati, Eretici o Idealisti nati (tralasciamo i ciarlatani), nel contesto evolutivo posto qual nuova prospettiva ‘in cui e per cui’ disquisire l’umano da una scimmia evoluto nel ‘caso’ in cui medesima vita nata (paradossalmente regredire sino alla morta materia in cui il laboratorio alchemico dell’analista ha posto e sancito l’asimmetrico compromesso chimico), o con un più preciso ‘fine’ affine ad una più che morta ‘dottrina’ in cui porre e sancire, ovvero e per inciso, suddetta ‘fine’, in quanto anche la (nuova) Filosofia che sottintende diverso contesto interpretativo non gradita in qual si voglia Feudo, con cui l’eretica Gnosi si contraddistingue.

 

Postulerà e sancirà, ovunque vi sia eccesso di non rimossa genetica antica appartenenza o più naturale discendenza, la qual in nome e per conto del Feudo politico in uso di qual si voglia Rivoluzione, debba essere esiliata confiscata perseguitata ed in ‘fine’… soppressa.




Non scorgiamo gran differenza dell’esecuzione sommaria, dell’ortodosso come il suo nemico l’eretico, così come l’èvo antico posto rimembrato e spesso citato nel vasto panorama della Biblioteca, e paradossalmente dal Progresso emarginato, così come ogni diversa èra dell’artigiano pre-umano. Non meno in ugual contesto come lo stesso (progresso) agisce in ugual alchemica formula, constatiamo solo e come la ‘materia’ subordinata alla nuova èra. Èvo in cui tutto ciò che pensavamo appartenere al Tempo, hora ineguagliato futuro in cui l’alchemica della trapassata laboriosa, e non certo artificiale fantasia, abdicata ad una ‘bestia’ meccanizzata.  

 

Cotal ‘bestia’ di certo cantiamo e temiamo quando con passo malfermo fuggiamo da ugual piccole o grandi future metropoli borghi e cittadine del trapassato avvenire, e dell’eterno eroe in cerca del proprio Passo, del varco, sconfiggere l’antico mostro o dinosauro.




 Questa bestia che intralcia la Ragione offuscandone e mozzandone il respiro da un comune antenato Albero ispirato, ed hora posto alla fotosintesi dello scellerato patto, e la nuova ‘materia’ creata e forgiata più mostro che bestia, aggredire e sputare fuoco solfureo dalle narici come evacuare dall’intestino ogni cosa viva e morta, qual fiero cieco pasto abdicato all’istinto privato della Ragione con cui si è soliti distinguere fame e appetito.

 

Suo diletto malgrado, rimpiangiamo forse i tempi del nostro amato Ulisse, giacché il profeta è bene non nominarlo, ed ammirare così da Nessuno qual siamo, gli scheletri di ciò che ha consumato, silicee forme disgiunte da ogni Creatore, plastiche forme date dall’iconoclastico pil qual abnorme incisivo evidenziato nell’atto di ciò che un Tempo fu detta parola, o peggio, linguaggio letto nella confezione, emergere qual grido pubblicitario, o negato urlo.

 

Dipende molto dalla prospettiva della più che quotata deriva!




Taluni odono anche indemoniati ululati, accompagnati da non ancor processati lupi-mannari.

 

Sospese ed inabissate ‘forme’, durature e immortali odi dello sfamato appagato Tempo (non certo naufragato, quantunque sempre - negli intervalli - cantato nonché consumato & distribuito per Fiere e filiere, comuni mercati di scambio, a passo di somaro cavallo o elefante asiatico, l’iper-mercato ogni tanto si riunisce alla Tavola Rotonda, Artù e la sua germana sposa, ne suggellano il patto, ovvero dalla rotondità della morta Sfera si approderà al quadrato della nuova forma, si evolverà in congiunto segreto accordo, verso la quadratura del cerchio al quadrato dell’ineguagliato profitto così raggiuto & dicono maturato, anche se il mostro assiso alle mura del drago in cui ogni progresso nato medita vendetta, divisa fra le varie spa e condivisa da tutti gli innominati azionisti riuniti nel Tempio della Borsa…), formare la crosta con cui ogni uomo o bestia ‘povero di mondo’ potrà - a suo libero piacimento – nuotare, quindi inabissare l’istinto da ciò in cui nel Tempo negato, nato; ciò che fu nominato per l’appunto mare, imprecare e gridare di nuovo parola, in attesa che il male qual più corretta forma evolutiva seminata, là ove dimorava l’Elemento specchio dell’Universo, crei ogni nuova forma avversa al Pensiero, nella scomposta crescita per ogni cancro annoverato non men che ‘curato’ formare la Lingua - o meglio che dico - comune Linguaggio, da ugual medesimo mare navigato dal composto algoritmo, musica celebro-lesa nella maestà dell’isola così come in uso nel nuovo isolato Feudo.

 

Cantarne le antiche odi fino al trapassato èvo morto e sepolto.




 La grande Rivoluzione fece la sua scomposta comparsa, da molte tipografiche sirene su ogni Isola ammirata, stampata prodotta calcolata, nonché correttamente letta interpretata e tradotta, taluni dicono anche recitata sino al dramma finale, quando l’eroe torna alla propria patria, ovvero fugge dalla sua Terra bruciata e contaminata lasciando ogni tesoro, sulla zattera o comodo gommone, dalla stiva da cui partito sino al ponte d’attracco, sempre schiavo in nome del raggiunto progresso. Troverà la sua Terra dimenticata all’alba d’una mattina, più nera di pria così come l’havea abdicata e non più scavata né cercata con gli occhi tristi come un pozzo senza fondo.

 

La sposa al telaio con cui incisa e scomposta ogni strofa non riconosce più la Poesia in cui il Linguaggio cantato, negli intervalli fra il Primo e Secondo Atto dell’industrioso progresso, i proci saranno processati e sconfitti, l’Arco trionferà fino al proscioglimento finale, ovvero quando dopo il grande applauso dell’Odissea poetica, l’Eroe potrà far ritorno alla baracca desolata; ai migliori sarà conferito giusto premio circa metro & misura del canto poetico, alle donne in fallo sarà promesso lo schiavo desiderato esorcizzare ed appagare ogni inappagato linguaggio.




 Noi per hora in codesto breve intervallo a cui ci è concesso cantare il Primo Epico Atto volgiamo il sofferto meditato sguardo, o meglio il panorama sociale mutato nel detto inappagato erotico progresso, il quale nella nuova indiscussa posizione assunta, non più armoniosa forma naturale confacente al sessuato genio creativo con cui la stessa (Natura) crea e modella, al top dell’intima armonia, ponendo le dette nascenti  acrobatiche evoluzioni - di future generazioni - su di un  simmetrico piano della psicologica Natura seviziata non men che torturata dal piacere d’ognuno.

 

Ovvero, medesimo linguaggio da un Conte narrato, il quale suo malgrado nel simmetrico istinto mal interpretato circa ugual Natura, ne ha scorto l’eccesso tutte le volte che l’Eros così dedotto e posto al mercato del desiderio, esprime contorte plastiche sadiche vette evolutive godere del proprio avvenire. Modellare la ‘materia’ di ciò che un Tempo - crescita e forma - nel corpo della bellissima Natura l’havea pur contraddistinta, sia nel piacere che nella bellezza come nell’ebbrezza del desiderio tratto ed ispirato l’amor detto. Ed hora costretta alle voglie di un deviato morboso incontrollato torturato istinto per ogni nuova forma e disegno, cancellare la passione per ogni Arte circa il vero Amore, contorta e celebrata da una insana pulsione, in nome della materia in simmetrico fallace atto creativo per ogni morboso istinto - e non più desiderio - appagarne la voglia e non solo dell’uomo...

 

(Giuliano)


[il capitolo completo]