CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 26 aprile 2024

LA MUSICA DEL SILENZIO & IL RUMORE (algoritmico) DEL NULLA


 


 





 

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Lettera 







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& la Memoria






In età tardoantica, forse nell’VIII secolo d.C., un ignoto poeta compose un carmen in onore dell’usignolo, a cui, secondo la tradizione mitologica latina, egli si rivolgeva con il nome di Filomela. Dopo aver lodato il canto di questa meravigliosa creatura della notte, l’autore volle compararlo con quello degli altri uccelli, di cui riportò diligentemente il nome e il verso.

 

Ecco così il tordo che trucilat, lo storno che pusitat, il cigno che drensat e via di seguito. E siccome l’ignoto apparteneva a un mondo linguistico e culturale ormai lontano da quello di Svetonio, nel carme trova posto anche un nome germanico, drosca, parente del tedesco drossel e dell’inglese thrush, termini che designano il nostro tordo.

 

Dopo di che, benché nessuno ce lo costringesse (nemine cogente), il nostro poeta si mise a elencare anche i discrimina vocum, le differenti voci, degli animali a quattro zampe, salvo concludere, quasi a scusarsi per l’inevitabile incompletezza del suo elenco, che le specie animali sono infinite, e infinite sono pure le voci differenti che esse emettono.

 

Una cosa però per lui restava certa: tutti gli animali, con qualsiasi voce, cantano le dovute lodi del Signore.




Il fatto è che ormai da tempo il cristianesimo ha invaso lo spazio della cultura antica. Se per i cosiddetti pagani le voci degli animali (e soprattutto degli uccelli) comunicavano agli uomini gli oscuri disegni della divinità, come avremo modo di vedere, per i cristiani esse si riducono a un autoreferenziale, e obbligatorio, canto di lode a Dio.

 

Le Muse ispiratrici, quelle ‘vere’, sono le figlie di Mnemosyne, la memoria, e come tali si occupano della memorizzazione/trasmissione del passato ‘in tutta la sua fattuale precisione e in tutti i suoi dettagli circostanziali’.

 

Questo particolare legame fra Muse da una parte e ‘catalogo’ dall’altra è reso anzi esplicito dal fatto che spesso, nella poesia greca arcaica, l’enunciazione di un ‘catalogo’ (come quello delle navi degli eroi, per esempio) è preceduta da una specifica invocazione alle Muse, affinché suggeriscano al poeta le informazioni che gli occorrono, e di cui non dispone.




Fra ‘catalogo’ da un lato e poesia dall’altro c’è del resto un’affinità prima di tutto formale, che consiste nel semplice fatto che la poesia consta di un’ordinata successione di versi: proprio come un ‘catalogo’ consta di un’ordinata successione di items.

 

Ordine su ordine, è come se i versi della poesia offrissero alle entries del ‘catalogo’ una griglia già pronta - una prefabbricata cassettiera - capace di disporre una di seguito all’altra le singole informazioni in una sorta di archivio. Poesia e catalogo, versificazione e archivio sono forme che si fondano tutte sulla categoria del parallelismo, ovvero dell’analoga ripetizione di elementi simili in una successione ordinata: versi come entries, versi che contengono entries.

 

[…] Dobbiamo ora immaginare da un lato i Filosofi stoici, in particolare quelli appartenenti alla stoà più antica, i quali erano decisamente ostili all’idea che gli animali fossero dotati di ragione e, di conseguenza, non accettavano il principio che uomini e bestie potessero essere legati fra loro da una qualsiasi forma di diritto. Lo sguardo degli stoici era talmente centrato sull’uomo, unico essere provvisto del dono della ragione, che il loro umanesimo finiva per trasformarsi in una forma di razzismo animale, o meglio di ‘specismo’. Come diceva Cicerone, ‘non vi è alcun rapporto di diritto (nihil iuris esse) fra uomini e bestie’.




In modo eccellente Crisippo ha affermato [ ... ] ‘che gli uomini possono servirsi degli animali per la loro utilità senza commettere alcuna ingiustizia’. A parere degli stoici gli animali esistono esclusivamente per il vantaggio degli uomini. Sia detto per inciso, ma Crisippo è il filosofo al quale si attribuiva il seguente detto: ‘Al porco gli dèi hanno dato l’anima a guisa di sale, perché la sua carne non marcisse’.

 

Sull’altro versante stanno invece i difensori degli animali, in particolare Plutarco e Porfirio.

 

Le loro idee derivavano in parte da quelle di Teofrasto, mentre gli argomenti di cui si servivano erano attinti alla Nuova Accademia (pur se frequentemente mescolati con idee mistiche di tipo orfico o pitagorico).

 

Quali erano le loro posizioni?




Sostanzialmente queste: gli animali sono dotati di ragione, e in varia misura anche di linguaggio; fra uomini e animali sussiste una forma di oikéiosis, parentela, che, assieme alla virtù della philanthropia, deve spingerci a usare giustizia anche nei loro confronti e così di seguito.

 

Quanto ai pensatori giudaici, i quali trovavano nella Bibbia l’esplicita affermazione dell’inferiorità degli animali, la loro posizione sembra però, come minimo, decisamente variegata.

 

Per quello che riguarda infine il pensiero cristiano, se prendiamo Agostino come suo rappresentante la situazione si presenta abbastanza sconfortante. Basterebbe ricordare quel luogo in cui il vescovo di Ippona, per rispondere a chi considerava la sofferenza del parto comune anche agli animali, affermava:

 

Non te lo hanno detto gli animali se il loro gemito [al momento del parto] sia un canto o un lamento [ ... ] Chi può sapere se i moti e i suoni che gli animali manifestano in questa occasione - essi che sono muti, e non possono perciò rivelare ciò che accade dentro di loro - non solo non esprimano dolore, ma addirittura una qualche forma di piacere?




Agostino intendeva qui contrastare una linea di pensiero che agli animali riconosceva, se non la capacità di comunicare contenuti razionali, almeno quella di esprimere le proprie emozioni o le proprie passioni. In ogni caso, chiunque abbia visto partorire almeno la propria gatta potrà facilmente giudicare dell’insensibilità di Agostino su questo terreno.

 

Tra i filosofi stoici e i loro avversari, infatti, una particolare materia di dibattito fu costituita dalla seguente questione: se le bestie disponessero solo di logos prophorikos, linguaggio proferito più o meno articolato, ovvero anche di logos endidthetos, cioè della facoltà di pensare, quella che Porfirio definirà, molto efficacemente, ciò che risuona in silenzio nell’animo.

 

 Inutile dire che, sul versante stoico, il riconoscimento che gli animali possedessero almeno il logos prophorikos - inevitabile, bastava aver posseduto un cane - non implicava affatto che essi dovessero essere considerati anche logikoi, dotati di ragione: gli animali continuarono ineluttabilmente a essere considerati aloga.

 

 Con questo torniamo al nostro Eliano, il quale può essere considerato parte di quel manipolo, fra cui Plutarco e Porfirio, che sostenne la razionalità degli animali.




Come abbiamo visto in precedenza, nella fonosfera degli antichi le voci degli uccelli occupavano un posto (come minimo) diverso rispetto a quelle di tutti gli altri animali. I termini che si usano per descrivere le loro voci, infatti, si riassumono in uno, il principale: cantus. Le creature alate cantano alla maniera degli uomini. Questa osservazione ci permette di lanciare un ponte, abbastanza inatteso, in direzione della musica e della poesia.

 

Gli antichi avevano già compreso ciò che gli scienziati moderni hanno dimostrato con l’ausilio delle registrazioni in laboratorio, ossia che gli usignoli (come le balene) imparano a cantare dai propri genitori.

 

Ma soprattutto, che cosa intende Plinio con l’espressione versus?

 

Evidentemente si tratta delle frasi musicali che l’usignolo è in grado di eseguire, frasi destinate a comporre quei cantus molteplici, e di carattere individuale, che questo uccello – ‘nella cui gola si realizza già tutto ciò che l’uomo ha escogitato con i sofisticati meccanismi dei flauti’ - è in grado di produrre con tanta maestria. Con il termine versus si definisce insomma la sequenza ritmico-melodica emessa dall’uccello canoro che, alla maniera di un poeta, costruisce il suo cantus mettendo in successione dei veri e propri versi.




La valenza di questa espressione, versus, riferita al mondo degli uccelli, emerge altrettanto chiaramente quando Plinio parla del canto dei colombacci (palumbes):

 

Emettono tutti un canto (cantus) simile, che è costituito da una serie di tre versus con l’aggiunta di un gemito in clausola (in clausula)

 

I colombacci producono dunque un cantus di struttura ternaria, che comprende cioè tre unità ritmico-melodiche una di seguito all’altra, con l’aggiunta di una clausola corrispondente a un gemito. La terminologia usata da Plinio è molto indicativa. In questo caso, infatti, a versus si associa un altro termine tecnico, clausula, che, nella tradizione dei grammatici, corrisponde al greco epodos e indica propriamente il verso più breve che conclude una serie di versi più lunghi.

 

Il canto dei colombacci viene assimilato da Plinio a una vera e propria strofa, in cui a tre versus più lunghi fa seguito un verso breve che corrisponde a un gemito. Quanto ci viene detto da Plinio corrisponde, in maniera impressionante, ai risultati raggiunti dai naturalisti e dagli zoomusicologi moderni. Per citare un solo esempio, lo studio condotto da François-Bernard Mache su centosessantacinque sequenze vocali di usignolo ha permesso di individuare, nel canto di quest’uccello, l’esistenza di una vera e propria frase musicale tipo: essa contiene un’introduzione, una serie di suoni ripetuti e una coda, in genere consistente in un suono unico.




Il ricorso a termini come versus e clausula per definire il canto degli uccelli mostra dunque che la natura estetica - puramente e strutturalmente musicale in senso umano -, che caratterizza il canto di alcuni uccelli, era già stata individuata dagli antichi. Le osservazioni di Plinio, però, risultano interessanti anche da un punto di vista antropologico. In quanto dotati della capacità di canere o cantare, agli uccelli - o almeno ai più canori fra essi, come il merlo, l’usignolo o il colombaccio - viene attribuita la stessa dote che fra gli uomini è posseduta dai poeti: quella di comporre versus.

 

Nella percezione di Plinio, il canto degli uccelli si compone di frasi ritmicomelodiche che svolgono la stessa funzione dei versus in una composizione poetica. Dunque, quando il senex della Casina invita l’amico a non dimenticarsi di ‘quello che il merlo canta nei suoi versi’ (merula per vorsus quod cantat), Plauto intende proprio affermare che il merlo esegue il suo richiamo, il suo canto, in una forma di tipo ritmico-musicale: simile appunto ai versi composti da un poeta.




Esplorare, anche sommariamente, le vocalità dei volatili con gli strumenti della ricerca contemporanea provoca in effetti scoperte di estremo interesse. Abbiamo già visto prima che alcune creature aeree sono in grado di praticare vere e proprie forme strofiche, come nel caso degli usignoli; a questo si può aggiungere che certi uccelli canori hanno la capacità di organizzare autentici duetti, come nel caso dell’averla di macchia. Altri volatili giungono poi a realizzare scambi vocali di tipo antifonale, e praticano perfino forme di canto agonistico, fondate cioè sul confronto fra due contendenti, dei quali ciascuno riprende ogni volta, variandoli, elementi canori utilizzati precedentemente dall’avversario: proprio alla maniera delle gare poetiche fra pastori immaginate da Teocrito e Virgilio, o dei contrasti ancora oggi praticati nella tradizione popolare.

 

Analogie di questo genere fra i due universi sonori, quello degli uccelli e quello degli uomini, sono davvero impressionanti. Poeti e musicisti, dunque, hanno veramente imitato gli uccelli, come sostenevano gli antichi, modellando le proprie forme artistiche sulle vocalità che risuonavano negli strati più alti della fonosfera?

 

Verrebbe fatto di crederlo.




Tanto più che il processo dell’imitazione, o del prestito culturale, potrebbe aver agito non solo in un senso, ma anche nell’altro. Se gli uomini, infatti, possono aver imitato le forme musicali degli uccelli, anche gli uccelli potrebbero aver fatto altrettanto, visto che il loro canto appare spesso capace di inglobare, rielaborandole, forme e sonorità che essi captano da fonti esterne.

 

Abbiamo parlato finora di imitazione: e se invece si fosse trattato di un’evoluzione convergente fra i due universi vocali?

 

Non è mancato, infatti, chi ha supposto che tra le ‘funzioni musicali’ degli uomini e quelle degli uccelli sussistano tratti comuni, i quali avrebbero condotto a evoluzioni, in qualche modo, parallele. Né si può escludere che tutti questi fenomeni possano essersi realizzati in combinazione, lungo un processo che abbia visto agire simultaneamente imitazione culturale e convergenza naturale: uomini che imitano voci di uccelli, e uccelli che imitano canti di uomini, perché le rispettive capacità neurologiche, in fatto di musica, invitavano di per sé a farlo. Non dimentichiamo che la nostra fonosfera, quella in cui risuonano le musiche o i canti degli uomini e le vocalità degli uccelli, ha alle spalle un processo di lunga, anzi lunghissima durata. 

(M. Bettini) 




“Gli animali sono gli esseri viventi capaci, con la forza della loro misteriosa energia fisica e psichica, di introdurre l’animale-uomo ai Passaggi e alle Vie che conducono al mondo degli Spiriti Protettori e Risanatori che si celano nella Natura. Sono gli illuminati portatori di un potere segreto, chiamati ad aiutare e a proteggere quegli uomini e quelle donne “speciali” che possiedono i doni dei messaggeri divini e dei guaritori di “anime”, le figure indiscusse dell’equilibrio mentale e fisico dell’umanità: gli sciamani e le sciamane”.

 

Perché queste righe scritte agli inizi del secolo scorso dall’antropologo russo Dimitri Zikov per introdurre i temi di questa ricerca?

 

E quale significato possono avere per noi, oggi, queste parole?

 

Riassumono l’essenza di uno dei fenomeni antropologici, in cui fisica, metafisica e spiritualità si alimentarono a vicenda, che comparve sul pianeta Terra, molte decine di migliaia di anni fa, dal nord al sud dell’Asia, (con reti di migrazioni in Europa), nelle Americhe, in Africa, in Cina, e diede vita a quei complessi avvenimenti misterico-culturali che gli studiosi chiamarono “civiltà sciamaniche”.




I miti e le immagini dell’umanità arcaica, ci dicono che quelle culture antiche consideravano gli animali come i possessori del primato dell’ordine morale e spirituale, messo in risalto dalla loro abilità “nel giudicare con esattezza le cose e nell’essere fedeli”. Per questo erano considerati esseri univoci, se messi a confronto con l’equivocità dei comportamenti degli uomini.

 

Erano imbevuti di religiosità

 

scrive Neil Russack

 

perché sempre fedeli a se stessi e impossibilitati ad essere qualcosa d’altro,

 

e come ci dice Marius Schneider

 

fedelmente legati alla loro natura ritmica e musicale.




Un particolare, quest’ultimo, che fa affiorare dall’oscurità del mito e illumina la figura di Orfeo.

 

È l’epoca in cui l’inquietante tradizione sciamanica, della Tracia selvaggia, attraverso le coste del Mar Nero, approda nella Grecia asiatica, dove Apolunas è venerato dalla gente della Licia come deità della guarigione e della musica. Migrando dalle coste dell’Asia Minore, passando nell’isola di Creta, questa deità ricompare nella Grecia pre-classica con il nome di Apollo, fratello gemello di Artemide, nel cui nome si ritrova la parola greca arktòs che significa orso, anticamente considerato un animale protettore. Apollo diventa uno degli dei guaritori, protagonisti della mitologia celeste della Grecia classica.

 

Orfeo (amato da Apollo), viene descritto dai cantori dell’epoca come poeta, mago e custode dei semi della musica, raccolti ascoltando i suoni della pioggia e del mare, del vento e dei torrenti nelle gole di montagna, degli animali e anche le mille sonorità degli uomini e di tutti i paesaggi del mondo.




Conoscitore e interprete dell’anima degli animali, Orfeo ha la capacità di risvegliare la loro emotività intrattenendoli con le melodie della lira e con il canto, e addomesticando con la musica anche quelli feroci. Orfeo è il grande mediatore e ordinatore di tutte le forme energetiche della natura, simboleggia colui che indirizza l’anima degli esseri viventi verso gli equilibri che stanno oltre il caos.

 

Come gli sciamani, possiede il doppio dono di musicante e guaritore di uomini e al pari di loro è in grado di intraprendere viaggi pericolosi per penetrare nell’oltretomba a ricuperare, nelle profondità della terra, un’anima (Euridice) trascinata negli Inferi.

 

L’uomo antico, come Orfeo, condividendo gli stessi ambienti naturali degli animali, ne percepiva il profondo legame parentale, osservandone gli affascinanti ritmi vitali nonché verbali come sopra accennato.

 

Osservatori molto attenti alle dinamiche psicologiche e corporee del mondo animale, gli sciamani della antiche culture si consideravano capaci di interpretarne i messaggi e le velate metafore, cogliendone anche gli aspetti in apparenza invisibili.




“Nelle culture totemiche e pre-totemiche”  riassumendo una pagina dalle lezioni universitarie dell’etnomusicologo /antropologo Marius Schneider :

 

l’animale era vissuto come un essere mistico, parente stretto dell’animale-uomo, perché entrambi caratterizzati dal ritmo, come principio essenziale del concetto di vita… Ogni animale, dotato di un grande potere intuitivo, si presentava come l’incarnazione degli dei protettivi, ma anche degli antenati dell’uomo.

 

Sulla base delle capacità di osservazione di cui si è parlato e delle difficoltà di interpretare certi comportamenti degli animali che paiono enigmatici e oscuri, le culture primitive li avevano scelti come ispiratori e come paradigmi del proprio agire, assegnando loro, di conseguenza, delle caratteristiche umane e ultra-umane. Li vivevano come modelli delle pulsioni vitali-istintuali, così preziose per la sopravvivenza.




Per queste ragioni possiamo dire che gli animali, con la varietà dei loro linguaggi sonori e corporei, con i loro molteplici ritmi comportamentali nella vita individuale e di gruppo, hanno lasciato un’impronta misteriosa nella memoria dei nostri antenati. Un segno così forte da spingerli a modificare il significato della loro presenza e del loro linguaggio e da considerarli degli esseri con capacità profetiche, in contatto con le forze invisibili che ci parlano, e dispensatori di doni per l’umanità.

 

Quello degli animali è un linguaggio dimenticato – ci ricorda Maurizio Bettini – che si manifesta solo in certi momenti e solo a certe persone. È un linguaggio oscuro, addirittura vincolato al segreto…

 

Qual demoni della terra!

 

Il linguaggio enigmatico delle origini, la cui comprensione, un tempo, era riservata agli sciamani, ai profeti, ai veggenti, ai santi, ai mistici.




Quando il santo di Assisi, Francesco, inventa il presepio (nel significato di mangiatoia), sistema un bue e un asino accanto al neonato Gesù, mentre altri animali sembrano fare da guida ai pastori. Due animali che non soltanto scaldano con il fiato, ma con la semplice presenza assumono il ruolo di protettori del Bambino iniziatore di una nuova civiltà. Protetto e scaldato da due animali – fa notare Maurizio Bettinila cui naturale dedizione al Bambino costituisce un’implicita dimostrazione del suo carattere divino.

 

Portatori di questi valori attraverso messaggi, dai significati per noi, spesso, oscuri, conservati attraverso i millenni dalle culture sciamaniche, gli animali guida, oggi, vengono riscoperti ed evocati come dispensatori di insegnamenti e di energie terapeutiche, come punti di riferimento per ricuperare un atteggiamento più fiducioso verso la vita, per riscoprire la capacità di liberarci dai condizionamenti, per rinnovare le pulsioni che nel cuore umano tendono anche allo spirituale e alla trasformazione.

 

Queste le ragioni che mi hanno spinto, nell’epoca delle tecnologie esasperate, a soffermarmi sulla riscoperta dei nostri legami, anche spirituali, con il mondo animale (specchio della natura).




Ci fu un momento nella storia dell’umanità in cui il respiro dei primitivi si fuse con la respirazione, non solo del mondo animale, ma anche di quello vegetale e minerale, i mondi che svolgevano il compito di custodi di quelle forme particolari di potere evolutivo che erano trasmettibili a noi.

 

Un potere, quello animale, che ha le sue manifestazioni esteriori nella sorprendente varietà dei loro segnali vocali e negli eleganti ed essenziali movimenti del corpo, nelle improvvise immobilità silenziose che rivelano la perfezione dei loro sistemi nervosi, ma anche la loro anima.

 

Affascinante l’osservazione degli animali, là dove si scoprono le relazioni tra cuccioli e adulti e tra i branchi, dove la grazia e la giocosità sono doni istintuali, in cui si rivela una ricchezza di sottili giochi psicologici, che solo la sapienza degli sciamani è in grado di riconoscere, di interpretare e di prendere a modello.




La relazione stretta tra gli umani e il mondo animale è stata fondamentale per la sopravvivenza e per l’evoluzione dei nostri lontani antenati preistorici: le società umane dei cacciatori-raccoglitori.

 

La lunga epoca iniziale, in cui la simbiosi uomo-natura significava anche percorrere la strada del divino, lasciò il posto ai millenni in cui gli uomini vissero gli animali come anticipatori della venuta degli dei, fino alla nascita del politeismo che – come scrive James Hillman

 

assunse forme animali e dove negli stessi animali abitavano gli dei,

 

per arrivare infine al passaggio dalla preistoria alla storia, quando, per una distorta interpretazione di alcuni testi legati al monoteismo religioso, l’uomo assunse il ruolo di padrone del pianeta, che fu visto e vissuto soltanto come una fonte di risorse (comprese quelle animali) da sfruttare, in virtù di un presunto diritto offerto dal cielo all’umanità.




L’inevitabile trasformazione nell’ambito religioso, politico, tecnologico-militare, comunicativo e culturale, nei millenni successivi, alterò, nel peggiore dei modi, il pensiero dell’uomo circa la relazione con la Natura Madre, che fu piegata alle nostre esigenze predatrici. Il resto delle creature viventi fu degradato a stirpe inferiore, emarginata e schiavizzata. L’animale era semplice preda o essere addomesticato al servizio dell’uomo.

 

Qualcosa dell’antica simbiosi animale-uomo-natura si salvò in alcune aree del pianeta e oggi sopravvive per merito di quelle minoranze umane, a cui le scienze antropologiche, come abbiamo detto, danno il nome (riduttivo) di sciamanismo.

 

Da queste isole culturali antiche, oggi si possono ascoltare delle flebili voci. Fanno filtrare un messaggio insistente e significativo: gli animali, ai quali spesso manchiamo di rispetto e che, in vari modi, violentiamo, conservano i misteriosi poteri di un tempo. Sono portatori di intense energie psichiche, sono gli esseri viventi ai quali i nostri antenati lontani hanno affidato l’incarico di illuminare le Vie, perché depositari di una fisicità che trascende la materia, di un fuoco che non riusciamo a vedere e di una parola che non riusciamo a sentire, avendo noi dimenticato quel contatto con le origini, cioè con l’epoca che ci vedeva come figli generati dalla Grande Madre, la Natura. 

(F. Massara)


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venerdì 19 aprile 2024

UNA LETTERA PER LA NATURA









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la musica del 


silenzio e... 


con Pil & Natura 


& UNA PETIZIONE







Non avevo torto, la natura manifesta imprevedibilmente la propria forza se alterata nei propri equilibri assestati ed evoluti nei secoli giacché la secolarizzazione è anche il nostro vero problema… E quando costretta si vendica contro colui che tenta (il troppo) imponendo la propria logica materiale a dispetto di un ordine precostituito che determina il corso ‘naturale’ degli eventi.

 

Pur dettando una nostra volontà di dominio sugli elementi della Natura, non dobbiamo né temere né sottomettere ciò che troppo spesso pensiamo di conoscere, che ci affrettiamo a studiare, sezionare, catalogare, sradicare, ma mai a concepire come elemento unico che tende ad evolversi e se necessario, quando gli equilibri vengono meno, a reagire secondo la violenza a cui viene sollecitato.

 

Quando nostro malgrado, da una premessa di naufragio, semplice nella sua dinamica, ma complessa nelle responsabilità, siamo costretti ad assistere ad eventi di una portata maggiore che superano ampiamente la prevedibilità dell’evento stesso, siamo certi delle sicure responsabilità dell’uomo. Tutte argomentazioni tenute ben celate per il timore che una diversa visione, non materiale, possa intralciare il - regredire - dell’umanità.




Dal ponte della nave lanciamo una scialuppa di salvataggio nell’attesa del prevedibile naufragio dopo la lunga tempesta. Prima e dopo siamo ben lieti di dimostrare che le nostre ragioni e argomentazioni sono state ben occultate negli itinerari culturali che tanto vi affannate a compiere. Se nuove crociate dovranno renderci ciechi e sordi al cospetto di tribunali ben peggiori che l’inquisizione ci ha tramandato, vi rammento con le parole di De André …: “Anche se voi vi credete assolti, siete per sempre coinvolti …”.  

 

Ed è vero, anche se ognuno di noi nel tepore della propria intimità, lontano da sciagure e disastri si sente ben al sicuro dagli elementi della bufera, ebbene egli è sicuramente coinvolto quanto lo è l’industriale di turno alle prese con un nuovo sistema di produzione, o il semplice operaio che esegue con diligenza il proprio lavoro. Non cerco facili capri espiatori di fronte alla tragedia, ma certamente è accertata una nostra ben precisa responsabilità nell’evolversi degli eventi.


Alcuni anni fa mi sono permesso di esprimere un giudizio in materia ecologica sviluppandolo in una dinamica matematica, la quale ha trovato puntuale conferma scientifica. Da supposizioni che sono scaturite dalla pura osservazione degli eventi, fino a coinvolgere argomentazioni di natura filosofica e sociologica, rapportate giustamente nella dinamica dell’ambiente che occupiamo. Quest’ultima considerazione, non trascurabile sta ad indicare una precisa presa di coscienza, innanzitutto scientifica, dello spazio da noi occupato e delle nostre esigenze presenti e future.




Qualsiasi solida argomentazione deve poggiare su questa consistenza dei fatti.


Qualsiasi nostra opera presente e futura deve sempre tener conto di questa dinamica.

 

Quando assistiamo ad un nuovo fiorire di opere, in qualsiasi luogo esse vengono concepite, dalle più indispensabili alle più inutili, dobbiamo integrarle perfettamente nell’ambiente circostante ed interagire con esso. Non è un semplice problema circoscrivibile all’architettura, ma bensì, oltre alla forma o lo stile, concepire l’idea che queste due prerogative intervengono nell’equilibrio delle armonie che ci accingiamo a comporre. L’universo appartiene a questo tipo di armonie, così come lo pensarono i Greci, ed è vero! Noi rappresentiamo con la nostra evoluzione la stessa dinamica dell’intero Universo che ammiriamo e scrutiamo, e quindi non possiamo discernere da Gaia ed i suoi millenari equilibri ed evoluzioni, che sono tutte le nostre progressioni stratigrafiche di milioni di anni. La sua armonia poggia su ciò, che alla percezione degli eventi potrebbe apparire come puro CAOS; basta studiare l’evoluzione della terra dal punto di vista geologico o glaciologico.


Come il CLIMA di un pianeta che proviamo a rappresentare alle nostre percezioni, scorgiamo in esso una disarmonia apparente perché contrasta con la concezione della nostra armonia. Quell’inferno che pensiamo di scorgere, in realtà composto dall’evolversi di determinati elementi e condizioni. Così questi progrediranno nei secoli. Ma il tutto appartiene ad una perfetta armonia che governa la meccanica celeste. Così la stessa dall’infinitamente piccolo fino alle ipotesi del pre e post Big-Bang per formulare delle probabili ipotesi su alcuni stati della materia.




C’è alla base di tutto un ‘equilibrio’ e per chi si addentra anche da semplice profano verso queste verità non smetterà mai di cercare e meravigliarsi. Se veniamo meno a questo principio siamo costretti ad assistere nostro malgrado a delle catastrofi incredibili nello scenario delle opere umane. Sono pienamente convinto che questa verità che purtroppo non appartiene più agli uomini, perché protesi verso altri orizzonti di dominio, ci ricondurrà su altre strade abbandonate, riconsiderando argomentazioni che fino ad ora abbiamo trascurato.

 

L’equilibrio che scomponiamo verso altri orizzonti di energia incontrollata che annienterà per sempre la nostra capacità di sopravvivenza, quell’equilibrio si ricomporrà non solo nelle malattie psicologiche e sociali che sconvolgono il nostro vivere, con tutte le conseguenze a cui assistiamo giornalmente, ma anche in tutte quelle strutture virtuali di cui siamo circondati per momentaneo benessere economico. Futura voce dello squilibrio sociale e della sua totale disarmonia, il rumore dell’inutile che udiamo a piena voce in ogni dove. Tutto ciò che pensiamo costruire senza una composta armonia, potrà tranquillamente ritorcersi contro di noi, nostro malgrado, e nostro malgrado dovremmo assistere sempre a dei disastri che fanno parte della natura.




Appartengono alla natura, per quanto noi ci sforzeremo di dominarla o prevederla. Quindi troveremo conferma nell’affermare ancora una volta, che L’UOMO sta ALL’AMBIENTE (che occupa), trasformando lo stesso per i tempi necessari al suo FABBISOGNO (geopolitica-geostrategia-geofilosofia), come i cittadini o i ‘componenti’ del mondo stanno alla loro economia, la quale in un lasso di tempo  (maggiore o minore) provvede al suo benessere inteso questo come VALORE ECONOMICO RAGGIUNTO REALE ( - reale - valore dato dalla differenza fra il valore economico raggiunto nel breve lasso di tempo, sottratto ai costi per tutti quegli interventi dovuti ad una logica incompatibilità, quindi intendesi - reale - non quello virtuale dato DALL’IMMEDIATEZZA, del traguardo economico, ma bensì quello raggiunto grazie ad una LOGICA COMPATIBILITÀ che equivale all’equilibrio di cui accennavamo precedentemente, con lo SPAZIO OCCUPATO).

 

QUINDI IL VALORE ECONOMICO PERSEGUITO è determinato dalle risorse naturali GIACENTI (che sono la fonte dell’energia a cui nostro malgrado dobbiamo rivolgerci per determinare le nostre capacità economiche), ed in base alle nostre scelte energetiche determiniamo UN MAGGIORE O MINORE LIVELLO DI BENESSERE REALE E NON VIRTUALE; uno sfruttamento eccessivo, questo ci  insegna sia la storia che l’economia, di determinate risorse e il loro incontrollato utilizzo, a dispetto di altre, possono causare sia uno squilibrio ambientale e sia un fattore fondamentale di INQUINAMENTO che scatena un processo irreversibile di alterazione climatica che tende poi a destabilizzare un equilibrio preesistente.




Il fattore climatico appartiene, con le costanti, già accertate, di CAOS, ad uno di quei motivi che favoriranno a creare quei momentanei esempi di - SCHIZOFRENIA - meteorologica a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni. Quindi il livello reale di EVOLUZIONE: sociale, ambientale ed economico, è dato in un lasso di tempo INVERSAMENTE PROPORZIONALE alla industrializzazione raggiunta ed al conseguente benessere economico apportato rispetto al - PRIMITIVO - stato originario dell’ambiente occupato.

 

Minori i tempi, ed OBSOLETE le fonti energetiche, e sempre maggiori saranno i tempi per ristabilirne gli equilibri preesistenti che determineranno in seguito un benessere economico reale, il quale poggia su reali fondamenta. Logicamente questo discorso, è applicabile soprattutto ai grandi PROMOTORI INDUSTRIALI, che sono il cuore della nostra economia.


Se consideriamo che l’industria automobilistica è una delle più potenti multinazionali mondiali, dovremmo pensare che il nostro benessere è raggiungibile nel momento in cui vedremmo modificati i parametri organizzativi di alcune strutture industriali per concepire un prodotto compatibile con l’ambiente in cui esso si deve misurare.




PER COMPATIBILE si intende innanzitutto un suo duraturo impatto con l’ambiente in cui deve coabitare, quindi si deve tener conto di fondamentali caratteristiche che possono e devono essere confacenti con le risorse dell’ambiente che è il motore principale ed unico di questa operazione.


L’ambiente ci fornisce energia in diverse forme, e noi dobbiamo restituirla con il minimo danno ambientale. Se non vorremmo vedere sconvolti in maniera irreversibile gli equilibri che ci insegnano le leggi della fisica. Il surriscaldamento del pianeta, e questo lo insegna soprattutto la glaceologia, non avviene in un lasso di tempo breve come quello che potremmo misurare da una fase all’altra del respiro stagionale di un ghiacciaio, ma impiega un tempo assai vasto, ed è conseguenza di diversi fattori climatici naturali. Al contrario dell’attuale fenomeno che coinvolge NELLA SUA INUSUALE MANIFESTAZIONE, in pari misura, ghiacciai e non, in una spirale di connessioni aliene agli equilibri della natura.


Quindi la ricerca si deve sforzare di tener presenti questi fattori, che possono non essere compatibili con interessi economici più pressanti rispetto a quelli di più breve durata che sono quelli di alcuni stati produttori di energia prima, come il petrolio, che determinano una precisa strategia economica e politica. Determinate situazioni politiche, le quali influenzano uno stato di equilibrio sociale in quei paesi ricchi di petrolio, sono legati per il loro sviluppo a questa fonte di energia fin tanto che non decidono di rinnovarsi verso un progetto di compatibilità. Ed insieme ad essi trovano numerosi paesi industrialmente avanzati che si scontrano sugli stessi interessi.




L’Europa, gli Stati Uniti, e la Cina, sono direttamente coinvolti in questo discorso, dove l’apparenza ci porta ad esaminare ragioni di futile odio religioso o di semplice geopolitica territoriale, in realtà regnano sovrani interessi corporativi di intere economie. Chi determina questa mancanza di equilibri sono coloro che hanno un interesse specifico affinché una intera linea politica si SFALDI VERSO IL CAOS, consentendo un progressivo controllo di altrui economie, non dimentichiamo che alcuni dittatori trovano il loro maggior profitto da questo stato di cose e quindi di un veloce arricchimento di pochi a danno di molti, condizioni standard di brevi o lunghe dittature ad uso di paesi democratici e civili.

 

Quindi benefici e condizioni economiche favorevoli con una linea politica più confacente con gli interessi dei singoli Stati coinvolti, scadendo di fatto in quella illusione da laboratorio di una economia VIRTUALE, decisa a favore dei più ricchi, mentre i valori ottenuti nel REALE per entrambe le parti coinvolte vanno gradualmente peggiorando.




L’economia virtuale è quella che ci accompagna ora, nella quale l’illusione di una probabile evoluzione non fa i conti con uno dei tanti disastri a cui nostro malgrado siamo costretti ad assistere, imputando responsabilità al di fuori della nostra portata. Essere ciechi e sordi di fronte a ciò, significa essere irrazionali oltre che INVOLUTI.

 

La RAZIONALITÀ ci insegna innanzitutto a constatare i fatti, e non convincersi, nostro malgrado, che la realtà che siamo chiamati a vivere ogni giorno coinvolge altre dinamiche rispetto a quelle certe e vere che sono quelle di una natura di cui abbisogniamo e abbisogneremo per sempre fin tanto che dovremmo vivere con le leggi che la governano e l’hanno governata per millenni. 

(Pietro Autier, Storia di un Eretico




  

                                                         NATURA

 

 

Introduzione

 

 

La nostra età è retrospettiva. Costruisce i sepolcri dei padri. Scrive biografie storie e critica. Le generazioni passate hanno contemplato Dio e la natura faccia a faccia; noi attraverso i loro occhi. Perché non dovremmo sperimentare anche noi un rapporto originale con l’universo?

 

Perché non dovremmo avere anche noi una poesia una filosofia che vadano alle cose direttamente e non attraverso la tradizione e una religione a noi rivelata piuttosto che la sua storia?

 

Avvinti per una stagione alla naturala cui corrente vitale fluisce attorno a noi e attraverso noi e ci invita mediante il suo potere ad un agire proporzionato alla natura perché dovremmo brancolare attraverso le ossa secche del passato o indurre la generazione attuale a mascherarsi con il suo scolorito guardaroba?

 

Il sole risplende anche oggi. C’è più lana e più lino nei campi. Ci sono nuove terre nuovi uomini nuovi pensieri. Domandiamoci allora quali debbano essere le nostre opere le nostre leggi e il nostro culto.

 

Senza dubbio non ci poniamo domande destinate a rimanere senza risposta. Dobbiamo avere fiducia nella perfezione del creato sino al punto di credere che l’ordine delle cose potrà soddisfare qualunque curiosità l’ordine delle cose abbia destato in noi. La condizione di ogni uomo è una soluzione in geroglifico a quelle domande che vorrebbe porre. Questa soluzione egli la pratica nella vita prima di apprenderla come verità. Allo stesso modo la natura nelle sue forme e tendenze sta già tracciando il suo proprio disegno. Interpelliamo la straordinaria apparizione che risplende così pacificamente attorno a noi.

 

Cerchiamo di scoprire a che scopo esiste la natura.

 

Tutta la scienza ha un unico scopo: trovare una teoria della natura. Noi abbiamo teorie delle razze e delle funzioni ma a stento riusciamo a mettere insieme un sia pure remoto approccio a un’idea di creazione. Siamo ora così lontani dalla strada che porta alla verità che i maestri di cose religiose discutono tra di loro e si odiano l’un l’altro mentre chi si dedica alla speculazione è considerato corrotto e frivolo. Ma a un retto giudizio la verità più astratta è proprio la più pratica. Dovunque appare una teoria vera non avrà bisogno di dimostrazioni. La sua verifica è quella di riuscire a spiegare tutti i fenomeni. Ora molti fra questi vengono ritenuti inspiegati e anzi inspiegabili; come ad esempio il linguaggio il sonno la follia i sogni gli animali il sesso.

 

Da un punto di vista filosofico l’universo è composto dalla Natura e dall’Anima.

 

In senso stretto perciò tutto quello che è separato da noi, tutto quello che la Filosofia distingue come NON IO, cioè sia la natura che l’arte tutti gli altri uomini e il mio corpo deve essere classificato sotto questo nome NATURA. Nell’enumerare i valori della natura e nel sommare i loro risultati userò la parola in entrambi i sensi cioè nel suo significato comune come in quello filosofico. In indagini così generali come la presente l’imprecisione non riguarda la materia; eviteremo ogni confusione di pensiero. La Natura nel senso comune si riferisce ad essenze non modificate dalla mano dell’uomo; lo spazio l’aria il fiume la foglia. 

(Emerson)




 Le proiezioni dei danni macroeconomici causati dai futuri cambiamenti climatici sono fondamentali per informare i dibattiti pubblici e politici sull’adattamento, la mitigazione e la giustizia climatica.

 

Da un lato, l’adattamento agli impatti climatici deve essere giustificato e pianificato sulla base della comprensione della loro futura entità e distribuzione spaziale. Ciò è importante anche nel contesto della giustizia climatica, così come per i principali attori sociali, tra cui i governi, le banche centrali e le imprese private, che richiedono sempre più l’inclusione dei rischi climatici nelle loro previsioni macroeconomiche per favorire il processo decisionale adattivo.

 

D’altra parte, la politica di mitigazione del clima, come l’accordo sul clima di Parigi, viene spesso valutata bilanciando i costi della sua attuazione con i benefici derivanti dall’evitare danni fisici previsti. Questa valutazione avviene sia formalmente attraverso analisi costi-benefici, sia informalmente attraverso la percezione pubblica della mitigazione e dei costi dei danni.

 

Le proiezioni dei danni futuri affrontano le sfide quando informano questi dibattiti, in particolare i pregiudizi umani relativi all’incertezza e alla lontananza che emergono da prospettive a lungo termine. In questo caso miriamo a superare tali sfide valutando l’entità dei danni economici derivanti dai cambiamenti climatici a cui il mondo è già sottoposto a causa delle emissioni storiche e dell’inerzia socioeconomica (la gamma di scenari futuri di emissione considerati socioeconomicamente plausibili).




Tale attenzione al breve termine limita le grandi incertezze sulle divergenti traiettorie future delle emissioni, sulla conseguente risposta climatica a lungo termine e sulla validità dell’applicazione delle relazioni clima-economiche storicamente osservate su lunghi periodi durante i quali le condizioni socio-tecniche possono cambiare considerevolmente. Pertanto, questo focus mira a semplificare la comunicazione e massimizzare la credibilità dei danni economici previsti derivanti dai futuri cambiamenti climatici.

 

Nel prevedere i futuri danni economici derivanti dai cambiamenti climatici, ci avvaliamo dei recenti progressi nell’econometria climatica che forniscono prove degli impatti sulla crescita economica subnazionale di numerose componenti della distribuzione della temperatura giornaliera e delle precipitazioni. Utilizzando modelli di regressione su panel a effetti fissi per controllare potenziali fattori di confondimento, questi studi sfruttano la variazione all’interno della regione della temperatura locale e delle precipitazioni in un panel di oltre 1.600 regioni in tutto il mondo, comprendente dati sul clima e sul reddito negli ultimi 40 anni, per identificare i fattori plausibili effetti causali dei cambiamenti in diverse variabili climatiche sulla produttività economica.

 

Nello specifico, sono stati identificati gli impatti macroeconomici derivanti dal cambiamento della variabilità della temperatura giornaliera, dalle precipitazioni annuali totali, dal numero annuale di giorni piovosi e dalle precipitazioni giornaliere estreme che si verificano in aggiunta a quelli già identificati dal cambiamento della temperatura media. Inoltre, utilizzando termini di interazione è stata riscontrata l’eterogeneità regionale di questi effetti basata sulle condizioni climatiche locali prevalenti. La selezione di queste variabili climatiche segue prove a livello micro per i meccanismi legati agli impatti delle temperature medie sul lavoro e sulla produttività agricola, della variabilità della temperatura sulla produttività e sulla salute agricola, nonché delle precipitazioni sulla produttività agricola, sui risultati del lavoro e sulle inondazioni danni.




I riferimenti contengono una motivazione più dettagliata per luso di queste particolari variabili climatiche e forniscono test empirici approfonditi sulla robustezza e sulla natura dei loro effetti sulla produzione economica, che sono riassunti in Metodi. Tenendo conto di queste variabili climatiche aggiuntive a livello subnazionale, puntiamo a una descrizione più completa degli impatti climatici con maggiore dettaglio sia nel tempo che nello spazio.

 

Un fattore determinante e fonte di discrepanza nelle stime dell’entità dei futuri danni climatici è la misura in cui persiste l’impatto di una variabile climatica sui tassi di crescita economica. I due casi estremi in cui questi impatti persistono indefinitamente o solo istantaneamente sono comunemente indicati come effetti di crescita o di livello.

 

Studi recenti dimostrano che i danni futuri derivanti dai cambiamenti climatici dipendono fortemente dal fatto se si presuppongono effetti di crescita o di livello.

 

Secondo una letteratura ben sviluppata, queste proiezioni non mirano a fornire una previsione della futura crescita economica. Si tratta invece di una proiezione dell’impatto esogeno delle future condizioni climatiche sull’economia rispetto ai valori di riferimento specificati dalle proiezioni socioeconomiche, sulla base delle plausibilmente relazioni causali dedotte dai modelli empirici e assumendo ceteris paribus. Altri fattori esogeni rilevanti per la previsione della produzione economica sono volutamente assunti costanti.




Una procedura ‘Monte Carlo’ che campiona da proiezioni di modelli climatici, modelli empirici con diversi numeri di ritardi e stime dei parametri del modello è utilizzata per stimare l’incertezza combinata di queste fonti. Date queste distribuzioni di incertezza, troviamo che i danni globali previsti sono statisticamente indistinguibili tra i due scenari di emissione più estremi fino al 2049.

 

Pertanto, i danni climatici che si verificano prima di questo momento costituiscono quelli verso cui il mondo è già impegnato a causa della combinazione delle emissioni passate e della gamma di scenari di emissione futuri considerati socio-economicamente plausibili. Questi danni commessi comprendono una riduzione permanente del reddito del 19% in media a livello globale (media ponderata in base alla popolazione) rispetto a uno scenario di riferimento senza impatti dei cambiamenti climatici (con un intervallo probabile dell’11-29%, secondo la classificazione di probabilità adottata dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici [IPCC] ).

 

Anche se i livelli di reddito pro capite in genere continuano ad aumentare rispetto a quelli odierni, ciò costituisce una riduzione permanente del reddito per la maggior parte delle regioni, tra cui il Nord America e l’Europa (ciascuna con riduzioni medie del reddito di circa l’11%) e con l’Asia meridionale e l’Africa che rappresentano le regioni più colpite.




In uno scenario intermedio di sviluppo del reddito futuro (SSP2, in cui SSP sta per Shared Socio-economic Pathway), ciò corrisponde a danni annuali globali nel 2049 pari a 38 trilioni di dollari internazionali nel 2005 (probabilmente un range di 19-59 trilioni di dollari internazionali del 2005). Rispetto alle specifiche empiriche che presuppongono la pura crescita o i puri effetti di livello, la nostra specifica preferita che fornisce un robusto limite inferiore all’entità della persistenza dell’impatto climatico produce danni tra queste due ipotesi estreme.

 

Confrontiamo i danni a cui il mondo è impegnato nei prossimi 25 anni con le stime dei costi di mitigazione necessari per raggiungere l’Accordo di Parigi sul clima. Prendendo le stime dei costi di mitigazione dai tre modelli di valutazione integrata (IAM) nel database IPCC che forniscono risultati in scenari comparabili, troviamo che i danni climatici medi commessi sono maggiori dei costi medi di mitigazione nel 2050 (seimila miliardi di dollari internazionali del 2005) di un fattore pari a circa sei (si noti che le stime dei costi di mitigazione vengono fornite solo ogni 10 anni dagli IAM e quindi un confronto nel 2049 è non possibile).

 

Questo confronto mira semplicemente a confrontare l’entità dei danni futuri con i costi di mitigazione, piuttosto che condurre un’analisi formale costi-benefici della transizione da un percorso di emissione a un altro. Le analisi formali costi-benefici in genere rilevano che i benefici netti della mitigazione emergono solo dopo il 2050, il che potrebbe portare alcuni a concludere che i danni fisici derivanti dai cambiamenti climatici semplicemente non sono abbastanza grandi da superare i costi di mitigazione fino alla seconda metà del secolo.




Il nostro semplice confronto delle loro entità chiarisce che i danni sono in realtà già considerevolmente più grandi dei costi di mitigazione e l’emergere ritardato dei benefici netti di mitigazione deriva principalmente dal fatto che i danni attraverso diversi percorsi di emissione sono indistinguibili fino alla metà del secolo.

 

Sebbene questi danni a breve termine costituiscano quelli per i quali il mondo è già impegnato, notiamo che le stime dei danni divergono fortemente tra gli scenari di emissione successivi al 2049, trasmettendo i chiari benefici della mitigazione da un punto di vista puramente economico che sono stati enfatizzati in studi precedenti.

 

I danni causati si verificano principalmente attraverso i cambiamenti della temperatura media. Ciò riflette il fatto che i cambiamenti previsti nella temperatura media sono maggiori di quelli di altre variabili climatiche se espressi in funzione della loro variabilità interannuale storica. Poiché la variabilità storica è quella su cui vengono stimati i modelli empirici, i cambiamenti previsti più ampi rispetto a questa variabilità portano probabilmente a maggiori impatti futuri in senso puramente statistico.

 

Da una prospettiva meccanicistica, si può plausibilmente interpretare questo risultato nel senso che implica che i futuri cambiamenti della temperatura media sono i più senza precedenti dal punto di vista delle fluttuazioni storiche a cui l’economia è abituata e quindi causeranno i maggiori danni. Questa intuizione può rivelarsi utile per orientare le misure di adattamento verso le fonti di maggior danno.




La distribuzione spaziale dei danni commessi riflette una complessa interazione tra i modelli di cambiamento futuro in diverse componenti climatiche e quelli della vulnerabilità economica storica ai cambiamenti di tali variabili. I danni derivanti dall’aumento della temperatura media annuale sono negativi quasi ovunque a livello globale, e maggiori alle latitudini più basse nelle regioni in cui le temperature sono già più elevate e la vulnerabilità economica agli aumenti di temperatura è maggiore. Ciò si verifica nonostante il riscaldamento amplificato previsto a latitudini più elevate, suggerendo che l’eterogeneità regionale nella vulnerabilità economica ai cambiamenti di temperatura supera l’eterogeneità nell’entità del riscaldamento futuro.

 

I danni economici dovuti alla variabilità della temperatura giornaliera mostrano una forte polarizzazione latitudinale, riflettendo principalmente la risposta fisica della variabilità giornaliera alla forzatura dell'effetto serra in cui gli aumenti della variabilità alle latitudini più basse (e in Europa) diminuiscono alle latitudini elevate. Questi due termini di temperatura sono i determinanti dominanti del modello dei danni complessivi, che mostra una forte polarità con danni in gran parte del globo tranne che alle latitudini settentrionali più elevate.

 

I futuri cambiamenti nelle precipitazioni annuali totali apportano principalmente benefici economici, tranne che nelle regioni di siccità, come il Mediterraneo e il Sud America centrale, ma questi benefici sono contrastati dai cambiamenti nel numero di giorni piovosi, che produrre danni con uno schema simile di segno opposto. Al contrario, i cambiamenti nelle precipitazioni estreme giornaliere producono danni in tutte le regioni, riflettendo l’intensificazione delle precipitazioni estreme giornaliere sulle aree terrestri globali. 


(Nature)