CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

domenica 30 ottobre 2016

UNA PASSEGGIATA (Giacobbe lotta)



















Prosegue in:

Una passeggiata (Giacobbe lotta) (2)
























      Perciò se preferisce l'imitatio Christi......



Condannato all’isolamento, bandito dagli uomini, cerco rifugio nel Signore, che è diventato per me un amico personale, spesso è corrucciato e allora io soffro, e spesso sembra assente, occupato altrove, e io soffro anche di più. Ma che mi dimostri indulgenza, e allora la vita m’è dolce, soprattutto nella solitudine….
Un caso singolare m’ha portato in rue Bonaparte, la strada cattolica. Abito di fronte all’Ecole des Beaux-Arts e, uscendo, cammino lungo un viale di vetrine, dove le leggende di Puvis de Chavannes, le Madonne di Botticelli, le Vergini di Raffaello mi guidano oltre rue Jacob, mentre le librerie cattoliche con i loro messali e i libri di devozione m’accompagnano alla chiesa di Saint-Germain-des-Prés.
Da quel punto in poi, i mercanti d’oggetti sacri formano una siepe di Salvatori, di Vergini, d’Arcangeli, Dèmoni e Santi, con le quattordici Stazioni della Via Crucis e il presepe di Natale, sul marciapiede di destra; a sinistra, i libri d’immagini sacre, i rosari, le vesti e i vasi sacerdotali, fino a palce Saint-Sulpice, dove i quattro leoni della chiesa, con Bossuet alla testa, sorvegliano il tempio più devoto di Parigi.




Dopo aver passato in rivista questo repertorio della storia sacra, entro spesso nella chiesa per attingere forza nella contemplazione della lotta di Giacobbe con l’Angelo, di Eugene Delacroix. E’ una scena che mi fa sempre riflettere e m’ispira pensieri empi, nonostante l’ortodossia del tema. E uscendo di tra la gente inginocchiata, conservo l’immagine del lottatore che resta ritto nonostante l’anca slogata.
Poi, oltrepasso il Seminario dei Gesuiti, questa specie di formidabile Vaticano esalante effluvi incommensurabili di forza psichica, i cui effetti si fanno sentire, secondo i teosofi. Eccomi arrivato a destinazione: il giardino del…..




Poi la ‘via crucis’, e forse le quattordici stazioni!
Se non mi sbaglio…
Prima di cominciare, faccio segno di voler parlare, interrogare, ottenere chiarimenti; la mia guida mi risponde con una semplice inclinazione del capo che m’intima di parlare. E nello stesso momento lo sconosciuto mi sposta, senza che si possa scorgere il minimo movimento o il minimo rumore; e soltanto dirige verso di me il suo alone luminoso dal quale si diffonde un profumo balsamico che mi gonfia il cuore e i polmoni, e mi incoraggia a cominciare la lotta….




E io do avvio al mio interrogatorio:
“Sei tu che mi perseguiti da due anni; che vuoi da me?”.
Senza aprir la bocca, lo sconosciuto mi risponde con una specie di sorriso d’una bontà sovrumana, di indulgenza e di urbanità.
“Perché m’interroghi, se tu stesso conosci la risposta?”.
E odo una voce interiore che risuona:
“Desidero elevarti a una vita superiore togliendoti dal fango”.
“Nato dall’argilla, creato dal fango, nutrendomi di melma, come potrò liberarmi dal sudiciume se non con la morte? Uccidimi dunque! – Non vuoi? Allora saranno i castighi che mi infliggerai, che agiranno da educatori. Ma t’assicuro che le umiliazioni mi rendono orgoglioso, che il sacrificio dei piccoli piaceri eccita la concupiscenza, il digiuno provoca la golosità che non è il mio peccatuccio minore, la castità aguzza la lubricità, la solitudine fa nascere l’amore per il mondo e i piaceri malsani, la povertà genera l’avarizia, e le cattive compagnie alle quali mi destini mi fanno disprezzare gli uomini e supporre che la giustizia sia mal amministrata.




Sì, spesso sembra che la Provvidenza sia mal informata dai satrapi ai quali ha affidato il governo dell’umanità; che i suoi prefetti e sottoprefetti si rendano colpevoli di malversazioni, di falsi, di accuse senza fondamento.
Così m’è capitato d’essere punito per peccati altrui; e sono stati celebrati processi nei quali io non solo ero innocente ma fui il difensore dell’equità e l’accusatore del crimine, eppure la condanna è toccata a me mentre il colpevole trionfava!
Concedimi una domanda franca e diretta: è vero che alcune donne sono state ammesse a governare? Lo crederei volentieri, tanto il regime attuale mi pare provocatorio, meschino, ingiusto, sì ingiusto!
Ogniqualvolta ho difeso una causa equa e leale contro la più infame delle donne, la donna fu assolta e io condannato.
Non vuoi rispondere!
Ed esigi da me ch’io ami i colpevoli, gli assassini delle anime, gli avvelenatori degli spiriti, i falsificatori della verità, gli spergiuri!




NO, MILLE VOLTE NO!!
“O eterno, non odio io quelli che t’odiano?
E non aborro io quelli che si levano contro di te?
Io odio d’un odio perfetto; io li tengo per i miei nemici”.
Così parla il Salmista, e io aggiungo: Odio i malvagi come odio me stesso!
E prego così: Punisci, Signore, coloro che mi perseguitano con menzogne e atti ingiusti, come hai punito me quando fui ingiusto e menzognero!
HO BESTEMMIATO, adesso, ho offeso l’Eterno, il padre di Gesù Cristo, il Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento!
Un tempo ascoltava le obiezioni dei mortali, e permetteva che gli accusati si difendessero…., perciò “Io dirò a Dio: Non mi condannare! Fammi sapere perché contendi meco! Ti pare egli ben fatto d’opprimere, di sprezzare l’opera delle tue mani e di favorire i disegni dei malvagi?
Sono rimproveri questi, sono accuse, che il buon Dio accetta senza rancore, e ai quali risponderà senza far ricorso al tuono. Dov’è, il Padre del cielo, colui che sapeva bonariamente sorridere alle follie dei figli e perdonare dopo aver punito? Dove si nasconde, il padrone che temeva la casa in ordine e ne sorvegliava i custodi, allo scopo di impedire le ingiustizie?
E’ stato destituito dal figlio, l’idealista, che non si occupa delle cose di questo mondo? O ci 
ha consegnati al principe di questo mondo che si chiama Satana, quando ha......













(Prosegue...)















sabato 15 ottobre 2016

AL DI LA' DEL VETRO (15)











































Precedenti capitoli:

L'isola della Memoria (14/1)

Prosegue in:

Al di là del vetro (16/1)














Antico in-folio dai fogli di pietra, città-libro, nei cui libri resta ‘ancora tanto da leggere, da sognare, da capire’, città di tre popoli (ceco, tedesco, israelitico) e, secondo Breton, capitale magica dell’Europa, Praga è soprattutto vivaio di fantasmi, arena di sortilegi, sorgente di antichi Spiriti ora resuscitati… Trappola che, se afferra con le sue brume, con le sue male arti, col suo tossicoso miele, non lascia più, non perdona…
…Il suonatore di armonica è proprio uno di quei dipinti barocchi in cui talvolta si riconoscono i tempi giammai andati solo rinati alla Memoria… Praga in cui vagano strampalati bande di alchimisti, di astrologi, di rabbini, di poeti, di giovani sognatori, di strani templari acefali, di angeli e santi barocchi confusi in brocche rivendute da moderni e… ignoranti nuovi mercanti… Praga di arcimboldeschi, di marionettisti, di concia brocche, di spazzacamini… Città aggrottescata ed arroccata di umori stravaganti e propizia agli oroscopi, alla clownerie metafisica, alle raffiche di irrazionale, agli incontri fortuiti (ti saluto mia figlia diletta…), ai concorsi di circostanze, ai ponti di scambio, al freddo barattato per nebbia in una pallida e gialla mattina confusa per tramonto al crocevia della vita, alle complicità inverosimili tra fenomeni opposti, ossia a quelle ‘coincidenze petrificanti’…
…Una vecchia Zigana mi narra ed incanta… al crocevia ove comprai l’Anima sua… ove narrai una strana avventura ove mi ricordai della sua venuta… Mi narra lo Spirito comprato e mai barattato… lei girava e vagava a piedi ed era primavera, profilo picaresco da padre mercenario ed alquanto scontento… Profilo da tovaglia imbandita ma non consumata… preferisce la vita… Profilo da giglio di campo in  cerca della sua Rima…
A te dedico questo Frammento questa Eretica poesia… O Praga mia… O figlia mia...












Se la differenza fra il mio tempo
e la donna con il suo fagotto,
e un bimbo che domanda moneta…,
è nella sosta della macchina quieta
con la sua mano che chiede preghiera,
e dona fastidio alla mia ora veloce
che non conosce riposo
ad un rosso che non cambia colore;
allora ho confuso nemico e parola,
pensiero ed ora, tempo e dovere.
Anche se ho udito il sacro Verbo
in un lungo sermone recitato a memoria
da un prete bigotto servito da un putto,
ma è solo figura dipinta sulla volta.
Bambino troppo grasso per un paradiso
perché lo vuole angelo senza peccato,
e sacro alla vista dell’intera congrega,
ora prega in umile e rispettosa attesa.
Con il sudore che scende lungo la schiena
e la spiga che cresce dalla zolla di terra,
diventa pane per un corpo che non conosce
l’oscuro peccato…(1)

Ci viene rubata
assieme alla farina e l’intero raccolto,
da un prete ciarlatano e anche bigotto.
E da un alto prelato potente quanto
un antico sovrano,
assieme ci confondono dalla sera
al mattino,
perché un Papa gli ha cinto la testa
corona d’oro di pietre preziose.
Giammai spine della nostra illusione,  
lasciando a noi solo il conforto
di una elemosina lungo la via.
Condannano in coro la turpe eresia, 
chi conosce solo fatica
e non ruba pane salato,
ma chiede moneta per il riscatto
da un oscuro peccato.
Di chiodi forgiati parlano i puritani,
di ferro battuto narrano i ciarlatani,
questa l’oscura colpa che li fece vagare
di giorno e di notte su un carico pieno
di botte.
L’ebreo o lo zingaro e con loro un frate
incappucciato,
dicono eretico ma il fuoco l’ha appena
bruciato.
Sono il solo peccato,
forse un pensiero divino mal pensato
perché invade ora la mia attesa nervosa,
in una nuova carrozza che non conosce
sosta. (2)

Pensiero lucente e apparente
di un’altra mente:
del lavoro ne fa il suo decoro,
della regola il solo motto,
mi cuce l’abito che ora qui
indosso,
nello strano e fiero ricordo
in nome del nostro Dio
per sempre risorto.
Inchiodato dal ferro di una antica
leggenda,
tradito da un Giuda come lo
zingaro,
perché legge il mio nobile
e sacro destino.
E per sempre deve vagare
in questo….
….ed in ogni altro reame. (3)


    

Interprete della parola di uno stesso
Dio,
ora turba la mia attesa vicino
ad un semaforo…, incrocio di fede.
Mentre il pedone attraversa di fretta,
certo della mia…sola, ed unica parola, 
per la donna con solo il fagotto,
è solo un’offesa accanto ad un semaforo
per sempre rotto.
Per lei tinto di rosso, del sangue e del
sacrificio,
una mano che implora moneta e perdono,
in nome di un torto mai arrecato
e per sempre subito nell’antico peccato.
Mito di un Dio trasformato in soldato,
lotta con un diverso principio
divenuto peccato.
Antico più del loro Cristo e il suo
martirio,
e il popolo domanda l’inutile
sacrificio senza il perdono
…di nessun Dio.
Agnello di Dio lava la coscienza
del mito elevato a coscienza,
che l’ha così trucidato…
in nome del loro peccato (4)
 
E se la preghiera con tutta
la congrega,
mi dona perdono per ogni peccato
arrecato,
questa donna con il suo fagotto,
mi dona la sola forza
di una smorfia senza il giusto
perdono.
Un Dio per sempre morto,
del suo sporco e lurido peccato.
Che no!
Non è una bestemmia
nella mia lunga attesa,
ma dovere per un uomo
di Fede. 
Il disprezzo lungo la via,
lasciando al male la sola e giusta
agonia,
una disgraziata elemosina
che invade la pace mia. (5)

Ero viandante,
o forse solo un onesto
e stimato commerciante,
quando secoli or sono,
non ricordo la data e il giorno,
viaggiavo a cavallo, e forse,
… neppure da solo.
Porto i denari e il mio sudato
commercio,
calzo i sandali da convento
a convento.
Stampo la parola di Dio
perché è Vangelo.
Stampo la parola del suo
popolo,
che no! Non è perdono.
Ma solo una Bibbia che insegna
il dovere,
e gonfia il ventre mai sazio
del mio personale scudiere.
Nominato anche banchiere,
oltre custode del verbo,
di cui vendiamo l’onesta
memoria,
stampata in questa sacra
storia. (6) 


 

Casto di giorno ubriaco di notte,
confuso fra una elemosina 
e il denaro dato in pegno…
ad un oste ed una botte.
Per non vedere gli scudi
dell’araldo già domani,
confiscare e poi confinare
il suo misero reame,
in nome del solo tributo
cui io sono l’onesto e accorto
cassiere.
Per la causa della vera fede.
Con solo la compagnia della
malasorte per questo privilegio
di corte.
Casto di giorno ubriaco di notte,
il buon banchiere di corte
non conosce diversa sorte:
un usura più antica della morte.  
Lasciando altri morir in buona
fede e senza preghiere,
gettati nel freddo della candida
neve,
come il loro Signore morto
nel gelo di un Teschio.
Per non aver onorato uguale
impegno,
nel Tempio maestro …
di questo principio di fede. (7)   

Navigo e viaggio
così come si deve,
per conferir parola
con lo stesso candore
della neve.
Per spiegare con umile dire,
che il passo ha progredito
l’ardire,
parola del ‘divino sapere’.
Proporla poi in stampa 
all’ombra di un torchio,
come unico e antico dovere,  
dove chi non presta la fede….
…finisce punito come si deve. (8)

La stampa è il mio nuovo
sacramento,
il convento la mia sola fede,
la bisaccia nutre così l’onesto
e ricco il banchiere.
Ora conta i denari
e ne presta a chi ne chiede,
con alto interesse nominato
dovere.
Questo il suo ed il mio mestiere,
la fede è cosa serie,
e la parola del profeta,
vale quanto l’oro di un’intera
congrega.
Veste la mia sposa ci dona ricca
stoffa,
la indossiamo nel giorno
in cui l’intera folla,
celebra il rito come sola strofa
dell’unico libro dell’intera storia.
Dentro una chiesa che urla opulenza,
fuori c’è chi domanda moneta.
Chi prega un tozzo di pane,
chi un miracolo vicino all’altare,
chi la tomba del santo…
per un miracolo che attarda
ad arrivare. (9)




La mia fretta non conosce
carità,
in questa ricca attesa,
solo la parola di un profeta
e la stampa della sua ora
divenuta preghiera per l’intera
congrega.
Conta il tempo
fuori e dentro la terra,
tomba segreta di un secondo
Dio,
diverso profeta,   
su questa morta stella. (10) 

Lungo la via la stessa donna
mi dona una rosa,
sulle braccia uno strano fagotto.
Mi ferma il cavallo,
sembra l’ombra di un peccato mai
raccontato.
La guardo,
la mano tocca la seta di un suo
ricordo,
mi dice che quella è solo la veste
di un giorno mai morto,
quando ornava un corpo troppo bello
per esser mostrato alla luce del giorno.
Mi dice che quello è il suo ornamento,
dono e tesoro di un uomo,
è passato un giorno senza tempo
divenuto sogno mai morto.
Ha sostato sull’uscio della sua porta,
l’ha accarezzata per l’intera notte
parlando di cose mai udite:
perdono umiltà e amore,
diverso da un corpo nutrito
e vestito
dalla sera al mattino.
Uno spirito risorto e forse mai morto,
ecco cos’è quell’Uomo e il suo lungo
discorso. (11)

Quell’uomo, mi dice,
le ha dipinto il corpo con foglie 
colme di albe a tramonti,
poi ha vestito il suo dolce dormire
con valli fiorite,
dopo un deserto di spine.
Il mio corpo ha contemplato, 
bello come l’intero creato:
un deserto prima della neve,
questi i ricordi nelle sue preghiere,
mentre scolpiva la parola nella 
pelle già morta. 
Dopo averla lavata e accarezzata,
le ha donato  un ruscello
trasparente,
come sangue che scorre nelle
vene.
A lui solo le spine per questo sogno
duro a morire,
per questa rima e l’intera poesia,
nominata vita. (12)




La donna,
accarezza il volto di un uomo
e prega la sua poesia.
Litania di una stella vista una sera
e cantata per tutta una vita.
Poi la verità racconta la segreta via:
ho allontanato i troppi clienti,
e per un attimo ho dimenticato
il misero peccato.
Il mestiere antico di chi vende
la vita e con essa il suo povero
corpo.
Ho preso la mano dell’uomo,
ho cercato le linee della terra
in una nuova alba e il suo tramonto.
Ho cercato la luce di una diversa
speranza,
perché non mi costringe a vendere
il frutto della sua creazione…
divenuta illusione d’amore. (13)

Ho visto degli strani crateri,
fuochi mai spenti
di una vita passata e non ancora
del tutto dimenticata.
Ho visto i fuochi e i bagliori
di una cometa,
baciare la nuda terra.
Ho visto la terra tremare
ed il vulcano raccontare,
lingue di fuoco e torrenti…
seminare sangue nero come la cenere.
Ho visto ogni cosa morire
ed il cielo sparire,
abdicare la luce del giorno
ad un tramonto senza contorno.
E mutare la vita in cupo terrore,
e la speranza in morte senza dolore. (14)

Ho visto la terra mutare colore,
aprirsi la pietra e l’acqua,
fuoco antico di un primo pensiero
pulsare dolore.
Un parto senza nessun Creatore.
Solo desiderio che d’improvviso
diventa primo terrore,
poi solo parole d’amore.
Ho visto le luci di mille colori,
poi l’uomo poggiare il suo orecchio
sulla mia schiena per sentirne il vigore.
Un cuore pulsa dal fondo della terra:
conta i battiti della mia ora,
conta i minuti della mia esistenza,
scruta le viscere della miniera,
semina il suo perdono
con una lacrima.
E incide come il fuoco che avanza
per tutta la stanza.
Non fu amore a pagamento,
così come è mio dovere
e sacramento.
Non fu coito veloce di chi cerca
facile piacere,
su una terra troppa bella
per prostituire l’amore.
Non fu orgasmo senza sorriso,
del mercante che cerca
un paradiso.
Non fu pensiero perverso
di chi non conosce il fiore.
Non fu mano invadente che stringe
il seno,
e arriva fin sul di dietro
per profanare ogni desiderio
a lui mai concesso.
Ma solo acqua,
lenta scorre da una montagna
di parole,
luce di vita dona alla mia vista
pensiero che avanza e illumina
la terra.
È l’amore di un nuovo Creatore.
La stella pian piano diventa pianeta,
con la certezza di aver visto un’antica
cometa,
una meteora come una lacrima antica,  
solo una luce divenuta visione,
ad illuminare il mio giorno
….di nuovo contorno. (15)




Quell’uomo mi ha lasciato il sogno
ed il ricordo,
una lingua diversa incisa nella memoria.
Quell’uomo mi insegnò la rima
di un’altra vita,
scolpita fuori la porta.
L’ho inseguito per mari e monti,
ho vagato stella per stella e atteso
ogni cometa,
l’ho cerco dall’alba al tramonto,
perché mi donò il sorriso lieve
di un diverso dovere.
Mi vuole povera di giorno
e profeta di notte
ad aspettare le giuste parole,
per raccontare la strana visione
che vuole la mia vita senza mèta
vagare in cerca di una stella. (16)

Mi vuole prigioniera
leggere la mano di uno sconosciuto,
e parlare con lui senza parole
una lingua oscura alla loro dottrina.
Sesso senza amore per questa
segreta via.
La materia invece vaga di giorno
come di notte,
alla ricerca di un nuovo eretico
incarnato,
e vuole il suo Universo svelato
in una stanza imprigionato,
e racchiuso in odore di peccato.
Vuole la prima sostanza increata 
trasmutata e confusa per immonda
eresia,
annunciare ad ogni maestro del tempio
il segreto verbo.
E parlare di suo padre nominandolo
per nome…
perché così diceva…:
son io il figlio di Dio,
non lo è certo il vostro Tempio
perché rinnega persino il mio nome. (17)

La donna ora
lo cerca in ogni incrocio della strada
divenuta ricco mercato per ogni
falso Signore:
non ricorda più il suo nome
pur pregandolo tutte le ore. 
Lo cerca per ogni carrozza
e per ogni cavallo fin troppo
sudato,
perché passano di fretta
per ogni strada di questo
nostro peccato.
Cercano la mano della donna
e la moneta,
parente di ogni peccato
e di un falso apostolo impiccato.
Cercano il chiodo del loro vile
gesto
ad una mano conficcato. 
È solo primo scopo
di ciò che nominano e chiamano
dovere di Chiesa.
Tacitare il vero peccato e sacrificare
l’agnello dell’eterno loro peccato.
Secondo Dio senza perdono,
e muto al ricordo
del Primo Creatore. (18)




Il suo sogno non ancora  morto
vaga ora in cerca di un uomo,
chiede moneta e non vende più
il suo bel corpo.
Lavoro non chiede perché
ha conosciuto solo le pene…
chi il lavoro non comprende
e sfrutta la povera gente.   (19)   

Ricordo ancora le sue parole.
Ricordo il silenzio farsi nudo, 
e il discorso entrar muto
nella mente.
Ricordo come sempre avessi saputo,
ma in un sonno profondo si fosse
chiuso,
il petalo d’amore che ogni cliente
cerca con il cuore e la mente.
Frugarono il mio corpo troppo giovane,
nella vana ed inutile speranza
di sentire quella brezza leggera,
chi nel sogno cerca la sua preghiera
che sa di eterna primavera.
Non trovarono primavera
e nessuna altra stagione,
in quella lurida preghiera.
Perché arido il pensiero e l’istinto
ancor più perverso. (20)

Scoprii poi la stagione mutar destino
una mano stretta dalla sera al mattino,
parlare di un lento cammino
e di vero amore.
Si apre come una rosa il mattino
per leggere la bellezza del creato,
nel mio giovane corpo ora pregato.
E con lui le tante epoche della terra
entrare nel ricordo inconsapevole
della memoria.
Ogni primavera aprirsi alla gloria
e ogni universo danzare la sua strofa
per raccontare un’altra storia. (21)




Mi disse baciandomi i piedi,
di cercare carità nei loro pensieri,
e attendere odio che non conosce
parole…,
solo inutile dolore.
Mi disse che quella è la disciplina
chi non ha udito il suono della vita.
Chi non ha mai visto una stella,
chi ha rinchiuso la segreta parola
e la nostra cena in un triste
destino,
fatto di pane e un poco di vino. (22)

Mi disse senza parole di cercare
carità,
senza il loro amore.
Perché confondono l’istinto
con il sacrificio del vero Dio.
Confondono poi la passione
con il dolore,
(scannando l’agnello in suo nome),
e l’amore con una strana ossessione
nominata amore
(in questo triste banchetto elevato a Tempio).
Chi invece ha scoperto l’amore
nel proprio Dio senza un nome,
con me contempla il suo Universo
fuori dal Regno nominato Creato.
Fu il sogno divenuto materia
che uccise l’anima di un ricordo
mai pregato.
Vaga per ogni corpo di quel sogno
pensato,
per scoprire la Prima forma perfetta
e invisibile,
alla sostanza di ogni loro sogno creato. (23)

Fui io l’eretica della sua parola.
Fui io perfetta amante della sua strofa.
Fui io la sola donna della sua vita.
Fu la più bella notte d’amore
nel ricordo di un corpo che è solo dolore.
Fui io che scoprii la preghiera del silenzio
senza parole.
Fui io che imparai la lingua
di un altro creatore.
Fui io che imparai a pregarlo
e vederlo per ogni elemento
e terra svelato.  (24)  


  

Quella notte ci cibammo
con un poco di pane e vino,
nell’occhio della sua natura
dove contemplo lo sguardo
del vero Dio.
Padroni di ogni elemento
perché ci nutre
più di ogni ricco banchetto,
in questa visione ora contemplo
l’amore,
non avendo imparato prima…
il suo vero nome. (25)

La mia anima caro signore
ha vagato per ogni dove,
talvolta negando alla mente
la verità di cui si nutre la gente.
Bruciarono il mio corpo secoli
orsono,
qui non ricordo.
Assieme al mio amore,
questo sì lo ricordo.
Ricordo poi…
boschi di sole e neve,
l’odore del vento,
e l’acqua di ogni ruscello.
I colori di ogni elemento
mai pregato solo annusato,
olfatto di uno strano creato
senza odor di peccato.
Libertà in ogni elemento
in questa segreta preghiera,
e la stessa gente rincorrere il sogno
divenuto bestia feroce,
in nome della dottrina d’amore.
Braccarono per ogni agnello divorato
scordando il rito per ogni loro peccato.
Ricordo poi il luogo del sogno
divenire elemento della terra
per tramutarci in pietra.
Acqua che disseta ogni preghiera,
fuoco che scalda un diverso ricordo,
parole regalate alla mente
scese da un cielo invisibile all’occhio
che vede.
Ma cieco alla dèa divenuta pietra.
Scoperta una mattina…
forse da quel Dio passato
una sera,
sul ruscello divenuto letto
di un eterno amore braccato…,
ma giammai trovato
nel desiderio pagato.
Perché il vero Creatore
accarezzò il volto…
…come fece quella notte,
e non ci fu sesso nell’acqua
che scorreva da quel letto
senza tempo. 
Senza nominar parola,
perché resuscita il gene
della sua prima memoria.
Strato di pelle dell’infinita mia storia
caduta in questo corpo
e legata ad un sogno mai morto,
vaga nel tempo di un Secondo Dio
mai risorto. (26)      

Mi disse senza muovere
le labbra,
di seguire un diverso destino,
che non sia lavoro distesa
su un letto di spine.
Chi la rosa vuol rapire dal suo
giardino per sempre fiorito,
convinto così di coglierne il 
profumo.
Ruba solo l’amore di un minuto,
in un sogno perduto,
non cogliendo la rosa
e il suo eterno profumo.
Ma l’eterno dolore
del tempo che avanza,
e orna muto la ricca creanza
fatta materia,
per ogni profumo della sua
stanza.
Chi coglie la rosa e il suo petalo,
dona a me solo le spine,
e all’uomo che qui narra la sua
strana preghiera,
una corona della stessa fine.
Nel giardino dell’amore
a loro mai rivelato,
e nel profumo…. 
….del loro primo peccato. (27) 



    
Poi volò via come il vento,
come uno sguardo perso
in mezzo al deserto,
pian piano diventa
ghiaccio,
poi solo neve.
Sparì dalla mia vista,
una mano toccò il mio
cuore,
ed io leggo tante,
troppe parole.
Sparì nell’attimo di un sorriso,
lasciando a me solo il dubbio,
di un uomo mai morto
e forse mai venuto,
in ogni stagione che porta
il suo frutto.
Sparì senza sangue macchiare
la neve,
dove cerco quel sogno
mai morto,
senza sangue macchiare quella
fredda veste di seta,
ma donandomi un sogno
che diventa preghiera. (28)

Lo cerco per sempre,
fuori da ogni porta in mezzo
alla strada,
per ogni incrocio senza un’anima,
dove l’uomo insegue una speranza
nominata ricchezza.
Lo cerco in ogni vetro che lavo,
in ogni  finestra e occhio indiscreto
che diviene il loro sguardo ottuso,
accompagnato con solo la rima
del vero disgusto.
È la loro parola con solo
una bocca,
per comporre una smorfia,
un inno alla ricchezza nascosta.
Viaggia sicura e porta parola
della dottrina che segna ogni via. 

(G. Lazzari, Frammenti in Rima)

(Prosegue...)