CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

martedì 31 luglio 2018

L'ABISSO DELLA MEMORIA (6)



































Precedenti capitoli:

L'abisso del Filosofo (5)


Prosegue in:





Imparare a sognare (7)


















La guerra degli Elementi (8)













Sono stato eretico predicatore alpinista scienziato geologo geografo storico/ Ho combattuto guerre… mi hanno ucciso/ Mi hanno messo su una croce/ Ho discusso di resurrezione/ Ho avuto delle visioni e ho cercato di interpretarle/ Ma prima di esse sono stato sciamano/ E ancor prima… miriade diverse di forme viventi/ Ho pregato come un buddista sotto un albero/ Ho pianto come un druido all’ombra di esso/ Poi ne ho studiato forma consistenza ed utilità/ Dalla bellezza dei rami e delle foglie ho compreso e studiato la loro funzione/ Ho iniziato a respirare l’aria che mi ero guadagnato e grazie ad essa restituito in quieta specie di parlare/ Sono divenuto acqua e ho scavato letti che ora percorro in cerca della memoria/ Ho visto grotte ne conservo ricordi e disegni che vi ho tracciato/ Sono stato cacciatore…, un tempo…/ Mentre adesso istintivamente guardo al suolo in cerca di qualcosa, Vela mi insegna e fiuta il passato divenuto presente/ Mi hanno braccato… avverto l’odore della paura/ Mi hanno ucciso/ Piango me stesso sulle poche ceneri di un fuoco acceso di fretta/ Mi hanno imprigionato… ancora vedo il maestoso castello in cui una volta ero signore/ La congiura di nuovo padrona/ Ho fatto miracoli/ Poi ho studiato i segreti della vita/ Più miracolosa ancora/ Ho incontrato gente diversa ma con caratteristiche comuni/ Ho parlato loro di filosofia e quando questa non bastava sono salito nello spazio profondo per spiegare la vita ancora prima della vita/ Ho perso forma peso e gravità/ Mi sono dissolto in un gas scomposto/ Mentre la forza del calore divampava/ Perché urlavo contro il Tempo… questo maleficio questo diavolo che mi ha legato in questo luogo/ Sono andato oltre la sua dimensione e qualche delatore mi ha denunciato… mentre pregavo la verità… una verità senza Tempo/ Poi sono scomparso nel nulla di un punto e forma contratta alla materia/ Mentre gridavo all’orrore/ Sono morto tante volte… e poi rinato nella gioia di una natura che non mi disconosce/  Ma è vero… con l’orrore negli occhi nella voce nel pensiero…
(G. Lazzari)






Il concetto di memoria è un concetto cruciale. Sebbene questo articolo sia dedicato esclusivamente alla memoria quale compare nelle scienze umane (e sostanzialmente nella storia e nell’antropologia) – prendendo perciò in considerazione soprattutto la memoria collettiva più che la memoria individuale – mette conto descrivere sommariamente la nebulosa memoria entro la sfera scientifica nel suo insieme.

La memoria, come capacità di conservare determinate informazioni, rimanda anzitutto a un complesso di funzioni psichiche, con l’ausilio delle quali l’uomo è in grado di attualizzare impressioni o informazioni passate, ch’egli si rappresenta come passate. Sotto questo rispetto, lo studio della memoria rientra nella psicologia, nella parapsicologia, nella  neurofisiologia, nella biologia e, per le turbe della memoria, principale delle quali è l’amnesia, nella psichiatria.

Taluni aspetti dello studio della memoria, all’interno dell’una o dell’altra di tali scienze, possono richiamare, sia in modo metaforico sia in modo concreto, tratti e problemi della memoria storica e della memoria sociale.

Il concetto di apprendimento, importante per il periodo di acquisizione della memoria, porta ad interessarsi ai vari sistemi di educazione della memoria esistiti nelle varie società e in epoche diverse: le mnemotecniche. Tutte le teorie che, quale più quale meno, fanno capo all’idea di un’attualizzazione più o meno meccanica delle….

(J. Le Goff)






Il sogno più abituale della mia prima infanzia era di questo genere: mi pareva di essere una piccolissima cosa, di essere rannicchiato in una specie di nido formato di rami e felci. Talvolta ero disteso supino. Pare che passai parecchie ore in questa posizione, intento ad osservare il sole che giocava tra le fronde sopra il mio capo e il vento che agitava le foglie. Spesso, quando il vento spirava più violentemente, il nido dondolava da una parte e dall'altra. Ma mentre riposavo così nel mio nido, ero sempre in preda alla sensazione di un vuoto terribile spalancato sotto di me. Non l'avevo mai visto, non avevo mai guardato oltre il bordo del nido; ma conoscevo l'esistenza di questo spazio vuoto aperto proprio sotto di me, che mi minacciava incessantemente come la gola di qualche mostro divorante; e lo temevo.

Questo sogno, nel quale io rimanevo passivo e che rappresentava uno stato più che un atto, lo ebbi spessissimo nel corso della mia prima infanzia. Ma d'improvviso irrompevano in mezzo a esso forme strane ed eventi atroci come il tuono e il fragore della tempesta, oppure paesaggi ignoti che mai avevo visto nella mia esistenza di veglia.

Da tutto ciò derivava una tale confusione, un incubo di cui, per mancanza di nesso logico, non capivo nulla. Perché, vedete, non c'era nessuna coerenza, nessuna successione di avvenimenti nei miei  sogni. A un certo momento ero una creaturina minuscola, giacente in un nido arboreo; nel omento successivo ero un uomo adulto del mondo primitivo, impegnato in una lotta a corpo a corpo con Occhiolesto; e subito dopo mi arrampicavo con precauzione verso la sorgente, nel mezzo del calore del giorno.

Eventi separati, che nel mondo primitivo avevano occupato anni, si svolgevano in me nello spazio di pochi minuti, di pochi secondi. Era un guazzabuglio, una confusione di cui vi risparmierò i particolari. Solo quando, divenuto giovinetto, ebbi sognato migliaia di volte, l'arruffata matassa si dipanò e tutto divenne in me chiaro e netto.

Acquistai allora la nozione del tempo e fui in grado di congiungere gli uni agli altri fatti e avvenimenti nell'ordine loro proprio. Fui così capace di ricostruire il mondo primitivo scomparso, il mondo qual era quando ci vivevo io - o quando ci viveva l'altro me stesso. Per maggiore comodità del lettore, dato che questa non è una tesi di sociologia, con gli avvenimenti sparsi cercherò di ricostruire un racconto chiaro, poiché una certa concatenazione persiste tuttavia nei miei sogni…

(J. London)
















lunedì 30 luglio 2018

L'ABISSO DEL FILOSOFO (precipitato nella ...) (4) (79)


















Precedente capitolo:

Il magico tellurico mondo degli Dèi antichi (3)

Gente di passaggio: Sancio Panza (78)

Prosegue in:

L'abisso del Filosofo (5) (80) &

La casa dell'alchimista (3/4)














Un oggetto riportato dall'Italia pendeva al muro della stretta anticamera.
Era uno specchio fiorentino su una cornice di tartaruga, formato da una
ventina di specchietti convessi simili alle celle esagonali delle arnie, ognu-
no contenuto a sua volta nella sua stretta cornice che era stata un tempo
la lorica d'una bestia viva.
Al chiarore grigio d'un'alba parigina Zenone vi si mirò.
Vi scorse venti facce compresse e rimpicciolite dalle leggi dell'ottica, venti
immagini d'un uomo in copricapo di pelliccia, dalla carnagione smunta e
giallastra, dagli occhi lustri che erano essi stessi specchi.
Quest'uomo in fuga, rinchiuso in un mondo tutto a parte, separato dai suoi
simili che fuggivano anch'essi in mondi paralleli, gli ricordò l'ipotesi del gre-
co Democrito, una serie infinita di Universi identici ove vivono e muoiono
una serie di Filosofi prigionieri.
Questa fantasticheria lo fece sorridere amaramente.
I venti piccoli personaggi dello specchio sorrisero anch'essi, ognuno per
conto suo.
Li vide poi volgere a metà il capo e dirigersi verso la porta.





L'ABISSO (del filosofo)

A poco a poco, come colui che assorbendo ogni giorno un determinato
alimento finisce per esserne modificato nella sostanza e perfino nella for-
ma, ingrassa o dimagrisce, trae da quella pietanza vigore o contrae nell'-
ingerirle mali che non conosceva, mutamenti quasi impercettibili si ope-
ravano in lui, frutto di nuove abitudini.
Ma la differenza tra ieri e oggi si annullava appena vi posava lo sguardo:
esercitava la medicina filosofica come aveva sempre fatto e non faceva
la minima differenza se curava straccioni o principi.
Sebastiano Theus (come Pietro Autier) era un nome di fantasia, ma nep-
pure il suo diritto a chiamarsi Zenone era molto chiaro.




Non habet nomen proprium: era di quegli uomini che fino alla fine non
cessano di meravigliarsi di avere un nome, come chi passando davanti
a uno specchio si stupisce d'avere un volto e precisamente quello.
La sua esistenza era clandestina e perseguitata e sottoposta a determi-
nate costrizioni: lo era sempre stata (da secoli...).
Taceva i pensieri che per lui contavano di più, ma sapeva da lunga da-
ta che chi si espone per quel che dice e pensa è uno sciocco, e per que-
  sto sarà eternamente perseguitato, specie se poi dice e narra la veri-
tà...




I suoi rari sfoghi verbali non erano mai stati altro che l'equivalente del-
le dissolutezze d'un uomo casto.
Viveva rinchiuso nell'ospizio di San Cosma, prigioniero d'una città e
(dell'ignoranza..) in quella città d'un quartiere, e in quel quartiere d'u-
na mezza dozzina di camere affacciate da un lato sull'orto e le dipen-
denze del convento, dall'altro su un muro nudo.
I suoi vagabondaggi, ben poco frequenti, in cerca di campioni botani-
ci, passavano e ripassavano per i soliti campi arati e gli stessi sentieri
lungo il fiume, gli stessi boschetti e il margine delle dune, e sorrideva
non senza amarezza di quell'andirivieni da insetto che incomprensibil-
mente si aggirava su un palmo di terra.




Ma avviene sempre che lo spazio si riduca, gli stessi gesti si ripetano
quasi meccanicamente ogni volta che si imbrigliano le proprie facoltà
in vista d'un compito solo limitato e utile.
La vita sedentaria l'opprimeva come una sentenza d'incarcerazione
che per prudenza avesse pronunciato si se stesso; ma la sentenza e-
ra tuttora revocabile; già altre volte e sotto altri cieli si era sistemato
così, momentaneamente, o, credeva per sempre, come chi ha diritto
alla cittadinanza ovunque e in nessun luogo.
Nulla garantiva che l'indomani non avrebbe ripreso l'esistenza erran-
te che era stata la sua sorte e la sua scelta. Eppure il suo destino si
muoveva: vi si produceva a sua insaputa uno slittamento. Come av-
viene a chi nuota contro corrente nel buio della notte, gli mancavano
i punti di riferimento.




Ancora di recente, ritrovando la via nel labirinto dei vicoli di Bruges,
aveva creduto che quella tappa in disparte dalle strade maestre dell'-
ambizione e del sapere gli avrebbe procurato un po' di riposo dopo
trentacinque anni di agitazioni.
Si riprometteva di assaporare la sicurezza inquieta d'un animale che
si sente al sicuro nella tana angusta e buia ove ha scelto di vivere. Si
era sbagliato.
Quell'esistenza benché immobile ribolliva; il senso d'una attività qua-
si terribile rombava come un fiume sotterraneo. L'angoscia che lo
serrava era diversa da quella del filosofo perseguitato per i suoi libri.
Il tempo, che s'era immaginato dovesse pesargli tra le mani come un
lingotto di piombo, fuggiva e si scomponeva come gocce di mercu-
rio.
Le ore, i giorni, i mesi avevano cessato di corrispondere ai segni de-
gli orologi e perfino ai moti degli astri. Talvolta gli pareva d'esser ri-
masto tutta la vita a Bruges, talaltra d'esservi ritornato il giorno prima.




Anche i luoghi si muovevano: le distanze si annullavano come i gior-
ni. Quel macellaio, quel venditore che gridava le sue misere mercan-
zie avrebbero potuto benissimo trovarsi ad Avignone o a Vadstena;
quel cavallo frustato l'aveva visto accasciarsi nelle vie di Adrianopo-
li; quell'ubriaco aveva cominciato a Montpellier la sua imprecazione
o il suo getto di vomito; il bambino che vagiva nelle braccia della
nutrice era nato a Bologna venticinque anni prima; la messa domeni-
cale cui non mancava mai di assistere, ne aveva inteso l'Introito in
una chiesa di Cracovia cinque anni prima....

(M. Yourcenar, L'opera al nero)

(Prosegue....)
















venerdì 27 luglio 2018

L'ECLISSI DELLA LUNA NUOVA




















































Prosegue in:

















Le generazioni di spiriti maligni (2)  &
























Il magico tellurico mondo degli Dèi antichi (3)












Qual pronostico che non sia

un antico nuovo oroscopo perseguitato

nell’alchemico elemento

barattato ed esiliato (1)


Qual pronostico

veggio cogito e medito

leggo nella falsa parabola

ove un Tempo regnavano le stelle (2)


Qual futuro

lessi leggo e leggerò

d’un mondo compiuto

e del tutto confuso

o meglio

perduto e perverso (3)


Qual compito medito

qual Dio prego

qual futuro sofferto

mentre il buffone

fonda un regno al roverso (4)


Qual presagio cogito

mentre fora le mura

s’aggira oscura rovina (5)


Calza sandali

occhi di lucertola

profilo di sventura

in attesa del sole

immobile nella pietra incisa

marcia fin dentro le budella

scava nelle ossa

s’avvinghia nelle dita

nel Tempo della Vita

edifica la mia ed altrui fossa (6)


Qual presagio

leggo nelle stelle

mentre la materia

s’aggira

e medita …rovina (7)


Qual libro

pongo e sfoglio con rimpianto

ai piedi d’una Terra

fuggita di corsa

privata del sogno dell’antica Dottrina (8)


Qual fuoco s’accende

nel mare d’una antica avventura

saggezza affogata

nella precoce rovina

d’una sapienza taciuta e negata

ogni Ulisse piange la verità perduta (9)


Qual fossa

resuscita il morto

profilo d’un pagano

futuro cristiano

mentre il verme

trama vendetta

dal guscio d’una lumaca

futura armatura

privata della vera Natura (10)


Mentre s’aggira

lento coperto dell’elmo

incido il ferro

di questa nuova Terra

nel guscio ove un tempo la sua grotta

scrive la sua strofa

credendo di far poesia

disdegnando ogni Rima

che non sia ferro

dell’antico Poema

scivola come un Tempo

a confondere il sangue della Terra

pensando di incidere la Storia (11)


Mentre lui

scava la sua Terra

fuggo nel ricordo

d’un Vento

e con lui ogni Elemento

senza la prigione

entro i confini

del limitato Tempo (12)


Il buffone

ha barattato il Re

per un regno senza Memoria

del secolare peccato

tremore della Terra (13)


Il giullare

ha costruito un castello

per i futuri regnanti

piccoli despoti

privi del legame

su cui si fonda

principio e diritto della Terra (14)


Nel principio della fine

si brinda alla vittoria

credendo di fondare la dinastia

privati della giusta Memoria

su come si costruisce

la Storia (15)


Alla fine del principio

il Re della Terra

divenuto oracolo

parla con una sibilla

forse una Madonna

prega al riparo d’una grotta

lui che legge il futuro

di questa strana alchimia

che no! non è profezia

solo l’ultimo bagliore

d’una antica perduta coscienza

solo il tramonto

nell’alba d’una mattina

ove l’eclisse oscura

Madre Natura…  (16)









    

UN UOM VAL CENTO... E CENTO NON FAN UNO....



















Prosegue in:

Con questa gente di parlar tacendo.... &

Ove cotanta ignoranza dimora..... &

Vegio che arde qui il grande fuogo (brevi parentesi storiche.....)













Io ho (avuto) paura di tre cose:
D'esser d'animo povero e mendico
(Io so che tu m'intendi senza chiose),
Di servir per altrui e dispiacere,
E per difetto mio perdere amico;
Ond'io son ricco, quanto al mio vedere,

Ché speso il tempo di mia poca vita
In acquistarmi scienzia ed onore
Ed in seguire altrui con l'alma unita.
Non per ricchezza fra li buoni ho loco:
Non val ricchezza a povertà di cuore
....E poco vale a chi conosce poco.

S'io avessi conoscenza, quale io bramo,
Delle bestie, sì come gli umani,
Molti non amerei di quelli che amo.
Amore accende, ma l'odio disface
La conoscenza con li pensier vani,
Fin che vien giorno che speranza tace.

Potresti dubitar perché ciò dico?
Ed io a te: Perché son nati molti
Che parlano secondo il tempo antico;
'Che val saper cose meravigliose
Ove frutto non è?' dicon gli stolti
Snizzando le lor bocche disdegnose.

Grande è la pena qui, e più il tacere.
Convienci di partir da questa gente
Che d'uomini non nacque, ma di fiere.
Ringrazio il mio Signor che non mi fece
Del numero di questi da niente,
E d'intelletto il ben non mi disfece.

Un uom val cento, e cento non fa uno;
Tanto è il valor dell'uom quanto ha intelletto....














Così mi dicea delli suoi accadimenti
ed anche di una bestia insieme a lui 
che il fuoco una sera inghiottì 
entro una strana sfera;
per gli altri che ripeteano parole...
è il tempo che avanza:
crea la materia
...o falsa creanza.....
Mentre lo Primo intelletto 
con lui perì 
entro un eterno foco accesso....
Alli ciechi son dedicate 
queste rime...
...che son ciechi ......
molto più di prima.
Alli orbi
son dedicati 
codesti accadimenti
se pur cento o mille..
son sempre fermi.
Se pur camminano
son sempre zoppi,
se pur pregano
son sempre idioti,
se pur parlamentano
son sempre ciucchi
..entro e non oltre....
li loro giochi astuti!


Ed io a lui: 













La pecunia rantola nell'incubo
che avanza,
scalcia nel buio della sua sostanza,
rubata ad una coppia che ora
non più dorme....,
l'eterno sonno della morte.
Forse perché nel freddo di un mondo
che non muore.
Il loro sogno invece,
crepa in lenta e tranquilla agonia,
nel bianco candore
di un belato lungo la via. (8, 69)

I due lupi turbarono le notti
ed i giorni migliori
di troppi pastori,
sacrificano con quelli
i loro cani fedeli.
Li trovano morti e sanguinanti,
con gli schioppi stretti fra le mani.
Li trovano legati alla catena,
con la bava che scende dalla bocca.
Gli occhi come chi prega,
l'urlo sommesso
della stessa preghiera.
Il collo squarciato l'orecchio inciso,
da chi ha sofferto uguale martirio,
....ma ora corre libero
padrone del suo arbitrio! (8, 70)

Son io che gli ho restituito
memoria,
nell'ultimo desiderio
prima che l'anima fugga
di nuovo nel vento.
Quel rantolo di dolore
ho trasformato in terrore,
chi pensa di aver ucciso
l'amore.
Il grido ho trasformato
in eterno sorriso.
Non è insano tormento,
ma ululato che spezza il vento.
Mi guardano fieri lungo la via,
mi seguono muti fino alla piazza,
mi indicano il posto
e mi insegnano le parole...,
del loro segreto amore.
Io non faccio null'altro
che ricambiare gentil cortesia,
e cantare il dolore oramai muto
di un uomo e una donna,
perché mi fanno eterna compagnia
(l'eretico e la sua 'donna').
Nel segreto di una verità....
che mai sarà dottrina,
perché rinchiusa nel silenzio
di ogni rima e strofa
nascosta.
Eterna poesia dell'anima mia! (8, 71)

Son io quell'uomo che cammina
senza sera e mattina,
vago pure di notte a vegliar
le porte.
Ogni uscio della falsa dottrina,
mi porta pure a sfidare
la mala sorte,
di ogni ora del giorno e della notte.
Sull'uscio dell'ovile
per scolpire di rosso
il loro dormire.
Son io quell'uomo senza ora,
vago contento....,
senza forma né tempo,
lontano dal perimetro
di una falsa geografia.
Li vuole tutti nel circolo
d'una pia illusione,
inganno imperfetto nominato tempo.
A spasso con l'ora che segna
il nostro destino e l'ultima parola,
bruciata senza memoria. (8, 72)
(a te son dedicate queste rime
aguzzino dell'eterna storia...).

(Cecco d'Ascoli, L'Acerba & G. Lazzari, Frammenti in rima)

(Prosegue.....)
















mercoledì 11 luglio 2018

IL TEMPO & LA MEMORIA (3)











































Precedenti capitoli:

Il Tempo & la Memoria (1)  &  (2)

Prosegue in:

Il Tempo & la Memoria (4)












Così imparammo, in nome di una più segreta verità, dei meschini rimedi. Dei segreti modi per riuscire in ciò che l’ istinto non era ingannato, o del tutto assopito e rassegnato.  Fu l’istinto in cerca della ragione, che dalla cornice di un quadro, una mattina, ci portò al perimetro del nostro giardino, per rubare un po’ di luce… ed in segreto camminare in cerchio. Osservati dalla prima sostanza, dalla prima luce di fratello – Eraclio - . Visti senza poter vedere, perché l’occhio di fratello – Eraclio- è solo la vista dell’ Altissimo a cui tutti noi aspiriamo. Ma nel lento deambulare, come ogni giorno la regola ci insegna e comanda, abbiamo imparato in essa la segreta essenza  dell’inganno, abbiamo meditato in noi stessi l’ essenza  di questo principio, ed in ultimo in tacito assenso siamo convenuti, io, ed i miei umili e pochi confratelli, che mentre fratello – Eraclio - ci spiava con gli occhi, gli occhi dell’ – Onnipotente –… si intende, noi cerchiamo la stessa immutabile sostanza per altri – dove - . La misura dell’ – Invisibile – inizia(va) così a prendere forma e misura. Non solo la misura delle proporzioni che costantemente cerchiamo, studiamo e paragoniamo, ma la misura di una più probabile verità contro un – Dio – che non riusciamo più a vedere ne sentire.
La nostra obbedienza diviene di giorno in giorno il muro per la costanza della ricerca, della sfida, della comprensione. Il nostro pregare, e celebrare tutte le funzioni che la regola impone, era (e sono) la sola ed unica possibilità di salvezza.
Mai nessuno osò, nei lunghi anni di tirocinio  alla grande biblioteca, verificare con quale inganno riuscivamo in ciò che la maggior parte dei nostri confratelli neppure immaginava. Eppure in questa maniera appagavamo l’intento di una vista più ampia, di un panorama più vasto.  Ed è vero,  vedevamo capivamo ed acquistavamo la misura del Tempo: comprendere lo spazio e la sua geografia, ma sempre nella segreta misura di una preghiera, di una litania, di un rosario, di una formula detta e ripetuta, nella costanza di una paura da esorcizzare come un male antico, di cui pian piano ne riuscivamo a capire comprendere e percepire…. forma e dimensione.
Il nostro pregare con il tempo divenne paura di esalare l’ultimo respiro dinnanzi a fratello – Eraclio - , il tramite del nostro corpo per un Inferno sicuro, se il misfatto fosse stato scoperto. Paura di arrivare a quel temuto – Altissimo - nei modi e nei tempi non previsti dalle stesse preghiere. Così quando fratello – Eraclio - ammoniva, leggeva, pregava dal pulpito, eravamo nella costante ed assordante paura che ogni parola, ogni riferimento fosse alle nostre azioni. Ma così non era. Il nostro Eremo aveva e presumo abbia ancora, una discreta biblioteca, con gli anni imparammo il piacere dell’ Epistolariato con i confratelli  del nostro Ordine. Negli anni questo il segreto piacere, il medesimo del buon pastore nel periodo della transumanza.  Come lui, ci avvia(va)mo a questa piacevole usanza, questo convivio che avveniva fra un Abbazia e l’altra. Di questa responsabilità venivano incaricati quattro o cinque – confratelli – anziani, quelli di memoria capace e pronta, i quali probabilmente un tempo avevano la stessa predisposizione per la divulgazione orale dei testi più importanti e noti.  In effetti scoprimmo a nostre spese, che l’arte della memoria dei nostri predecessori era il lasciapassare per questa qualificata mansione. Così per accedervi oltre essere assidui frequentatori della biblioteca, bisognava dimostrare notevole capacità memonica.
I confratelli che ci avevano preceduto, erano pagine e libri interi: la Bibbia, il Vangelo, e molti altri testi sacri impressi nella parola …. prima della memoria, almeno così ci sembrava.  La cosa parrà incredibile, ma ogni virgola e parabola era da loro conosciuta con una tale precisione che solo con il tempo imparammo a capire che era un dono di ‘lettura interiore’. Con gli anni capimmo ciò che leggevano e pensavano riflesso nella loro e nostra Anima (divenuta ‘nuova coscienza’).  Con gli anni capimmo il duro esercizio della mente, ore ed ore di penitenza e preghiera per imprimere l’ alto significato della – Parola – rivelata.  Con gli anni apprendemmo cosa dovevano e dovevamo divenire.
Dei libri aperti alla memoria.
Il passato così tornava eterno presente immutabile, di un futuro mai concesso ne a noi, ne presumo alla verità.  E la verità, l’unica verità, doveva essere sempre e costantemente recitata alla memoria. Non vi era posto per null’ altro eccetto che la costante ripetizione dell’eterna litania  dell’eterna ricerca memonica della parola già detta e ripetuta e mai più cercata ne tantomeno ricercata o forse scoperta. Ogni quadro esteriore o interiore diveniva il riflesso della – Parola – incarnata, già preannunciata nel – Vecchio Testamento - .  Ogni fatto che compariva alla nostra probabile comprensione, non era null’altro che una pagina di memoria… sulla memoria. Ogni altro tentativo era vano. Ogni altra chiave di lettura degli eventi… inutile. Ogni significato della vita poteva essere spiegato e risolto con il dono della memoria, che attraverso la costanza del passo, del racconto epico tramandato, può spiegare la – Parola – di Dio, ogni altra e diversa – Memoria – non può e deve essere ‘celebrata’ ‘studiata’ ‘confrontata’. Solo scrutando questa grande caverna scritta, ripetuta e impressa nella memoria, si aveva accesso all’ atto di – Dio – , spiegato e rivelato all’ incolto – Uomo - .  Spiegato all’umile fedele confuso dalla paura, dal dolore, e troppo spesso come avevamo (ed abbiamo) modo di vedere, dall’ignoranza.
L’anima, secondo questo antico esercizio veniva così sacrificata alla pura immagine, di un – Dio  -  troppo spesso vendicativo e violento. L’ essenza della nostra esistenza poteva e doveva essere spiegata solo attraverso questa luce, questi quadri di lontana memoria.  I confratelli più anziani, gli addetti alla biblioteca scoprivano così i colori e le tinte del loro – Essere - ,  riconoscevano in tal maniera il loro passato, e forse anche la loro – Psicologia - .  Qualsiasi altra semenza veniva debitamente rimossa. Qualsiasi chiave di lettura veniva privata di una più attendibile verità. 
L’anima il ricettacolo della parola rivelata all’uomo nella ‘cella’ di un Secondo Dio. Ogni altra disquisizione doveva e deve, in ragione della forza, essere rimossa. Ogni altro panorama, in questa geografia tramandata nei secoli, chiuso alla vista della coscienza e conoscenza. L’antico sapere, prima e dopo, la – Parola – rivelata, doveva essere accuratamente studiato confrontato, e se fratello – Eraclio - , con gli alti prelati, convenivano, cancellato dalla verità della storia. Oppure inserito nel contesto che a maggior ragione si riteneva e ritiene opportuno.
L’opera di fratello – Eraclio - , era ed è delicata, e nello stesso tempo fondamento e continuazione del sapere teologico dei Dottori e Padri della Chiesa, trasmutato in nuovi ed immutati Dottori e Padri delle nostre coscienze, poi interpretato e tramandato ai posteri.  Qualsiasi divergenza in seno ad una visione diversa della loro realtà culturale, sociale, psicologica e teologica, fra un Primo ed un Secondo Dio, poteva e può essere risolta solo con l’ ‘opera inquisitoria’ di un ‘Dottore di Chiesa’, come per paradosso, da un ‘Dottore dell’ anima’ riflessa nella moderna scienza nominata ‘psicologia’, l’opera Inquisitoriale mantiene inalterate le sue ‘secolari’ caratteristiche immutate e tramandate nel controllo della Memoria così come quello della Coscienza.

Il Tempo in cui noi Perfetti abbiamo abdicato l’opera di codesto limitato Creato ad un Secondo Dio assente al Tempo dal Primo Creato….  

– Eraclio – scoprimmo presto, non era ed è la verità, bensì la – Storia - . Questa differenza, che al lettore di oggi può apparire incredibile, era ed è il fondamento della sua – Istituzione - , il patto di continuità, che si eroga(va) il diritto, oltre che all’ esistenza, anche al tacito proseguimento di interpretarla. E con essa, scoprivamo con orrore, anche tutte le discipline a lei, direttamente o indirettamente, riconducibili.  L’ opera sua era (ed è) importante, era (ed è) l’- Assoluto - , incarnato nell’infallibilità di – Dio - , cui si faceva solo interprete e custode.
- Eraclio - , non era solo la Chiesa che rappresentava, ma la possibilità di prosperare e allargare i suoi confini, i suoi orizzonti, in nome di quel – Cristo - , di cui era solo ed assoluto interprete. Perciò l’ intero sapere era (….) lo strumento su cui poggiavano le fondamenta di questa immensa costruzione. La sua ragion d’essere, era l’esatta interpretazione e collocazione della ‘Parola’, dall’inizio dei tempi. La storia creata così poteva sopravvivere oltre che a se stessa, anche al prossimo.  Condizione necessaria e sufficiente, collocarla o ricollocarla nel giusto scaffale, nel giusto libro, nel retto sapere, letto studiato e troppo spesso  interpretato. Questo l’antico ordine della - Storia - , nella grande biblioteca dell’ immenso Universo di cui – Eraclio – era custode maestro…. e segreto artefice nonché compositore.
La conoscenza, ragione per cui, scoprimmo presto, era fondamentale, prioritaria. Indispensabile! La conoscenza per ordine e gradi ed esatta collocazione nella vastità della biblioteca, era (ed è) importante almeno quanto ogni elemento della natura, di cui ogni giorno ed umilmente ci serviamo in ragione della nostra sopravvivenza. La grande biblioteca era ed è questo – Universo - , di cui ogni pianeta, ogni meteora, ogni sole, ogni stella, ogni frammento, doveva (e deve ancor oggi…) avere una sua precisa ubicazione.  Ogni gravità, ogni equilibrio, ogni frammento del  divenire in questo grande – Universo - , doveva essere ubicato nella giusta dimensione di una conoscenza certa ed assoluta. L’ intera  – Creazione - , altrimenti, avrebbe risentito i dissesti geologici, di cui io,  ora, assisto impietrito ed osservo in tutto il suo orrore e terrore. Quei terremoti, quelle intemperie, bufere, non avevano ragion d’essere. La stabilità dell’ – Universo - , di cui fratello – Eraclio - era l’artefice, non poteva conoscere dissenso, e troppo spesso, come imparammo, diversa e altra verità.
Nell’umiltà di fratello – Eraclio - , si nasconde(va) il – Potere - , comandato, incaricato, e poi come ora osserviamo – Incarnato - . Ogni possibile previsione metereologica doveva essere prevenuta come il peggiore dei mali, nella continuità della mancanza di verità, tutta la sua potenza vi si nasconde. Ogni altra, e possibile verità, scoperta come vera, perseguitata. 
Questo il compito di fratello – Eraclio - . 
… Ed ora, nel fitto della foresta, da dove sta prendendo parola con tutta l’umiltà che il potere concede lui, inizia a soffiare quel vento, del quale il mare preannuncia sicura burrasca. Nel fondo di quell’ altare inizia a spirare quel vento di cui già avvertiamo il gelo, fin nel profondo delle ossa.   Da dove ammutoliti osserviamo l’ evolversi di questa natura, il triste epilogo di questo – Universo – increato, udiamo anche noi la sicura premessa dell’ Inverno - . L’anticipo di un Inverno che non conoscerà mai nessuna Primavera. Percepiamo nello scuro silenzio l’assenza del Tempo, del Creato, e di ogni verità. Nel raccoglimento di quegli attimi ogni parola sembra pesare come l’intera volta in cui ci siamo inchinati, così tante volte, da non ricordare con precisione le vaghe geometrie che abbiamo davanti.  Quelle forme ora sembrano sfuggirci, ed i loro simboli veneriamo, per il segreto terrore che il loro martirio, possa colpire anche noi. Noi che umilmente ci prostriamo di fronte all’ – Altissimo - nel sicuro timore che la fede, la loro fede possa condannarci ad un naufragio senza ritorno nel mare di  fuoco che sappiamo, poi, elevarsi da quel ghiaccio.
… E se il freddo ci gela le ossa, in previsione di qualsiasi fuoco purificatore, abbiamo imparato ad amarlo, come solo ed unico compagno di ogni prevedibile tormento. Conviviamo con fratello – gelo - , come  solo amico per i tormenti della carne.  Ci è amico in questi pensieri, e quando il verde campo, fuori dal giardino, si trasforma nel patibolo dei tanti e troppi umiliati e Perfetti condannati e sacrificati al fuoco purificatore, nell’odore di bruciato, nelle urla straziate, nei cori sommessi, percepiamo la – Storia – ed il segreto compito a cui  il – Sommo – ha affidato la sua missione. Capiamo in maniera inequivocabile il lento celebrarsi della – Storia – di cui fratello – Giovanni – è artefice e custode. In tutta l’umiltà concessa lui, non vi è altra verità accettata e accertata. Così anche per noi il triste scorrere del calendario non ha più senso e luogo. Perché sappiamo la verità morta per sempre e con essa anche il Tempo che la caratterizza e comanda.

(G. Lazzari,  Dialoghi con Pietro Autier)

(Prosegue...)