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Il Tempo & la Memoria (1) & (2)
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Il Tempo & la Memoria (4)
Così imparammo, in
nome di una più segreta verità, dei meschini rimedi. Dei segreti modi per
riuscire in ciò che l’ istinto non era ingannato, o del tutto assopito e
rassegnato. Fu l’istinto in cerca della
ragione, che dalla cornice di un quadro, una mattina, ci portò al perimetro del
nostro giardino, per rubare un po’ di luce… ed in segreto camminare in cerchio.
Osservati dalla prima sostanza, dalla prima luce di fratello – Eraclio - .
Visti senza poter vedere, perché l’occhio di fratello – Eraclio- è solo la
vista dell’ Altissimo a cui tutti noi aspiriamo. Ma nel lento deambulare, come
ogni giorno la regola ci insegna e comanda, abbiamo imparato in essa la segreta
essenza dell’inganno, abbiamo meditato
in noi stessi l’ essenza di questo
principio, ed in ultimo in tacito assenso siamo convenuti, io, ed i miei umili
e pochi confratelli, che mentre fratello – Eraclio - ci spiava con gli occhi,
gli occhi dell’ – Onnipotente –… si intende, noi cerchiamo la stessa immutabile
sostanza per altri – dove - . La misura dell’ – Invisibile – inizia(va) così a
prendere forma e misura. Non solo la misura delle proporzioni che costantemente
cerchiamo, studiamo e paragoniamo, ma la misura di una più probabile verità
contro un – Dio – che non riusciamo più a vedere ne sentire.
La nostra obbedienza
diviene di giorno in giorno il muro per la costanza della ricerca, della sfida,
della comprensione. Il nostro pregare, e celebrare tutte le funzioni che la
regola impone, era (e sono) la sola ed unica possibilità di salvezza.
Mai nessuno osò, nei
lunghi anni di tirocinio alla grande
biblioteca, verificare con quale inganno riuscivamo in ciò che la maggior parte
dei nostri confratelli neppure immaginava. Eppure in questa maniera appagavamo
l’intento di una vista più ampia, di un panorama più vasto. Ed è vero,
vedevamo capivamo ed acquistavamo la misura del Tempo: comprendere lo
spazio e la sua geografia, ma sempre nella segreta misura di una preghiera, di
una litania, di un rosario, di una formula detta e ripetuta, nella costanza di
una paura da esorcizzare come un male antico, di cui pian piano ne riuscivamo a
capire comprendere e percepire…. forma e dimensione.
Il nostro pregare
con il tempo divenne paura di esalare l’ultimo respiro dinnanzi a fratello –
Eraclio - , il tramite del nostro corpo per un Inferno sicuro, se il misfatto
fosse stato scoperto. Paura di arrivare a quel temuto – Altissimo - nei modi e
nei tempi non previsti dalle stesse preghiere. Così quando fratello – Eraclio -
ammoniva, leggeva, pregava dal pulpito, eravamo nella costante ed assordante
paura che ogni parola, ogni riferimento fosse alle nostre azioni. Ma così non
era. Il nostro Eremo aveva e presumo abbia ancora, una discreta biblioteca, con
gli anni imparammo il piacere dell’ Epistolariato con i confratelli del nostro Ordine. Negli anni questo il
segreto piacere, il medesimo del buon pastore nel periodo della
transumanza. Come lui, ci avvia(va)mo a
questa piacevole usanza, questo convivio che avveniva fra un Abbazia e l’altra.
Di questa responsabilità venivano incaricati quattro o cinque – confratelli –
anziani, quelli di memoria capace e pronta, i quali probabilmente un tempo
avevano la stessa predisposizione per la divulgazione orale dei testi più
importanti e noti. In effetti scoprimmo
a nostre spese, che l’arte della memoria dei nostri predecessori era il
lasciapassare per questa qualificata mansione. Così per accedervi oltre essere
assidui frequentatori della biblioteca, bisognava dimostrare notevole capacità
memonica.
I confratelli che ci
avevano preceduto, erano pagine e libri interi: la Bibbia, il Vangelo, e molti
altri testi sacri impressi nella parola …. prima della memoria, almeno così ci
sembrava. La cosa parrà incredibile, ma
ogni virgola e parabola era da loro conosciuta con una tale precisione che solo
con il tempo imparammo a capire che era un dono di ‘lettura interiore’. Con gli
anni capimmo ciò che leggevano e pensavano riflesso nella loro e nostra Anima
(divenuta ‘nuova coscienza’). Con gli
anni capimmo il duro esercizio della mente, ore ed ore di penitenza e preghiera
per imprimere l’ alto significato della – Parola – rivelata. Con gli anni apprendemmo cosa dovevano e
dovevamo divenire.
Dei libri aperti
alla memoria.
Il passato così
tornava eterno presente immutabile, di un futuro mai concesso ne a noi, ne
presumo alla verità. E la verità,
l’unica verità, doveva essere sempre e costantemente recitata alla memoria. Non
vi era posto per null’ altro eccetto che la costante ripetizione dell’eterna
litania dell’eterna ricerca memonica della
parola già detta e ripetuta e mai più cercata ne tantomeno ricercata o forse
scoperta. Ogni quadro esteriore o interiore diveniva il riflesso della – Parola
– incarnata, già preannunciata nel – Vecchio Testamento - . Ogni fatto che compariva alla nostra
probabile comprensione, non era null’altro che una pagina di memoria… sulla
memoria. Ogni altro tentativo era vano. Ogni altra chiave di lettura degli
eventi… inutile. Ogni significato della vita poteva essere spiegato e risolto
con il dono della memoria, che attraverso la costanza del passo, del racconto
epico tramandato, può spiegare la – Parola – di Dio, ogni altra e diversa –
Memoria – non può e deve essere ‘celebrata’ ‘studiata’ ‘confrontata’. Solo
scrutando questa grande caverna scritta, ripetuta e impressa nella memoria, si
aveva accesso all’ atto di – Dio – , spiegato e rivelato all’ incolto – Uomo -
. Spiegato all’umile fedele confuso
dalla paura, dal dolore, e troppo spesso come avevamo (ed abbiamo) modo di
vedere, dall’ignoranza.
L’anima, secondo
questo antico esercizio veniva così sacrificata alla pura immagine, di un –
Dio -
troppo spesso vendicativo e violento. L’ essenza della nostra esistenza
poteva e doveva essere spiegata solo attraverso questa luce, questi quadri di
lontana memoria. I confratelli più
anziani, gli addetti alla biblioteca scoprivano così i colori e le tinte del
loro – Essere - , riconoscevano in tal
maniera il loro passato, e forse anche la loro – Psicologia - . Qualsiasi altra semenza veniva debitamente
rimossa. Qualsiasi chiave di lettura veniva privata di una più attendibile
verità.
L’anima il
ricettacolo della parola rivelata all’uomo nella ‘cella’ di un Secondo Dio.
Ogni altra disquisizione doveva e deve, in ragione della forza, essere rimossa.
Ogni altro panorama, in questa geografia tramandata nei secoli, chiuso alla
vista della coscienza e conoscenza. L’antico sapere, prima e dopo, la – Parola
– rivelata, doveva essere accuratamente studiato confrontato, e se fratello –
Eraclio - , con gli alti prelati, convenivano, cancellato dalla verità della
storia. Oppure inserito nel contesto che a maggior ragione si riteneva e
ritiene opportuno.
L’opera di fratello
– Eraclio - , era ed è delicata, e nello stesso tempo fondamento e
continuazione del sapere teologico dei Dottori e Padri della Chiesa, trasmutato
in nuovi ed immutati Dottori e Padri delle nostre coscienze, poi interpretato e
tramandato ai posteri. Qualsiasi
divergenza in seno ad una visione diversa della loro realtà culturale, sociale,
psicologica e teologica, fra un Primo ed un Secondo Dio, poteva e può essere
risolta solo con l’ ‘opera inquisitoria’ di un ‘Dottore di Chiesa’, come per
paradosso, da un ‘Dottore dell’ anima’ riflessa nella moderna scienza nominata
‘psicologia’, l’opera Inquisitoriale mantiene inalterate le sue ‘secolari’
caratteristiche immutate e tramandate nel controllo della Memoria così come
quello della Coscienza.
Il Tempo in cui noi
Perfetti abbiamo abdicato l’opera di codesto limitato Creato ad un Secondo Dio
assente al Tempo dal Primo Creato….
– Eraclio –
scoprimmo presto, non era ed è la verità, bensì la – Storia - . Questa
differenza, che al lettore di oggi può apparire incredibile, era ed è il
fondamento della sua – Istituzione - , il patto di continuità, che si eroga(va)
il diritto, oltre che all’ esistenza, anche al tacito proseguimento di
interpretarla. E con essa, scoprivamo con orrore, anche tutte le discipline a
lei, direttamente o indirettamente, riconducibili. L’ opera sua era (ed è) importante, era (ed
è) l’- Assoluto - , incarnato nell’infallibilità di – Dio - , cui si faceva
solo interprete e custode.
- Eraclio - , non
era solo la Chiesa che rappresentava, ma la possibilità di prosperare e
allargare i suoi confini, i suoi orizzonti, in nome di quel – Cristo - , di cui
era solo ed assoluto interprete. Perciò l’ intero sapere era (….) lo strumento
su cui poggiavano le fondamenta di questa immensa costruzione. La sua ragion
d’essere, era l’esatta interpretazione e collocazione della ‘Parola’,
dall’inizio dei tempi. La storia creata così poteva sopravvivere oltre che a se
stessa, anche al prossimo. Condizione
necessaria e sufficiente, collocarla o ricollocarla nel giusto scaffale, nel
giusto libro, nel retto sapere, letto studiato e troppo spesso interpretato. Questo l’antico ordine della -
Storia - , nella grande biblioteca dell’ immenso Universo di cui – Eraclio –
era custode maestro…. e segreto artefice nonché compositore.
La conoscenza,
ragione per cui, scoprimmo presto, era fondamentale, prioritaria. Indispensabile!
La conoscenza per ordine e gradi ed esatta collocazione nella vastità della
biblioteca, era (ed è) importante almeno quanto ogni elemento della natura, di
cui ogni giorno ed umilmente ci serviamo in ragione della nostra sopravvivenza.
La grande biblioteca era ed è questo – Universo - , di cui ogni pianeta, ogni
meteora, ogni sole, ogni stella, ogni frammento, doveva (e deve ancor oggi…)
avere una sua precisa ubicazione. Ogni
gravità, ogni equilibrio, ogni frammento del
divenire in questo grande – Universo - , doveva essere ubicato nella
giusta dimensione di una conoscenza certa ed assoluta. L’ intera – Creazione - , altrimenti, avrebbe risentito
i dissesti geologici, di cui io, ora,
assisto impietrito ed osservo in tutto il suo orrore e terrore. Quei terremoti,
quelle intemperie, bufere, non avevano ragion d’essere. La stabilità dell’ –
Universo - , di cui fratello – Eraclio - era l’artefice, non poteva conoscere
dissenso, e troppo spesso, come imparammo, diversa e altra verità.
Nell’umiltà di
fratello – Eraclio - , si nasconde(va) il – Potere - , comandato, incaricato, e
poi come ora osserviamo – Incarnato - . Ogni possibile previsione metereologica
doveva essere prevenuta come il peggiore dei mali, nella continuità della
mancanza di verità, tutta la sua potenza vi si nasconde. Ogni altra, e
possibile verità, scoperta come vera, perseguitata.
Questo il compito di
fratello – Eraclio - .
… Ed ora, nel fitto
della foresta, da dove sta prendendo parola con tutta l’umiltà che il potere
concede lui, inizia a soffiare quel vento, del quale il mare preannuncia sicura
burrasca. Nel fondo di quell’ altare inizia a spirare quel vento di cui già
avvertiamo il gelo, fin nel profondo delle ossa. Da dove ammutoliti osserviamo l’ evolversi
di questa natura, il triste epilogo di questo – Universo – increato, udiamo
anche noi la sicura premessa dell’ Inverno - . L’anticipo di un Inverno che non
conoscerà mai nessuna Primavera. Percepiamo nello scuro silenzio l’assenza del
Tempo, del Creato, e di ogni verità. Nel raccoglimento di quegli attimi ogni
parola sembra pesare come l’intera volta in cui ci siamo inchinati, così tante
volte, da non ricordare con precisione le vaghe geometrie che abbiamo
davanti. Quelle forme ora sembrano
sfuggirci, ed i loro simboli veneriamo, per il segreto terrore che il loro
martirio, possa colpire anche noi. Noi che umilmente ci prostriamo di fronte
all’ – Altissimo - nel sicuro timore che la fede, la loro fede possa
condannarci ad un naufragio senza ritorno nel mare di fuoco che sappiamo, poi, elevarsi da quel
ghiaccio.
… E se il freddo ci
gela le ossa, in previsione di qualsiasi fuoco purificatore, abbiamo imparato
ad amarlo, come solo ed unico compagno di ogni prevedibile tormento. Conviviamo
con fratello – gelo - , come solo amico
per i tormenti della carne. Ci è amico
in questi pensieri, e quando il verde campo, fuori dal giardino, si trasforma
nel patibolo dei tanti e troppi umiliati e Perfetti condannati e sacrificati al
fuoco purificatore, nell’odore di bruciato, nelle urla straziate, nei cori
sommessi, percepiamo la – Storia – ed il segreto compito a cui il – Sommo – ha affidato la sua missione.
Capiamo in maniera inequivocabile il lento celebrarsi della – Storia – di cui
fratello – Giovanni – è artefice e custode. In tutta l’umiltà concessa lui, non
vi è altra verità accettata e accertata. Così anche per noi il triste scorrere
del calendario non ha più senso e luogo. Perché sappiamo la verità morta per
sempre e con essa anche il Tempo che la caratterizza e comanda.
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