CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

lunedì 30 dicembre 2024

LA SCHIAVA BIANCA (9)

 









Precedenti anni d'infanzia (7/8)  


Prosegue con l'impressione 


del Genio







Il mercato degli schiavi (in francese Le Marché d'esclaves; in inglese The Slave Market) è un dipinto del pittore francese Jean-Léon Gérôme. Realizzato intorno al 1866, è un dipinto a olio su tela di dimensioni 84,8 cm per 63,5 cm. La trama dell’immagine è costruita attorno alla scelta di una concubina nel mercato arabo. Il dipinto è esposto al Clark Art Institute.

 

Nel 1844, a Parigi, Jean-Léon Gérôme divenne allievo di Charles Gleyre (1806-1874). Gli allievi di Gleyre comprendevano Monet, Renoir, Basile e Whistler. La simpatia di Gleyre per Fidia e Raffaello già a quel tempo sembrava antiquata, ma i suoi allievi li usavano quando dipingevano scene storiche, bibliche e mitologiche. In particolare, Gérôme visitò più volte il Medio Oriente, ed era ben consapevole che ufficialmente la tratta degli schiavi nell’Impero Ottomano durante il periodo Tanzimat era seriamente limitata, anche sotto la pressione degli alleati europei dei turchi.

 

Tuttavia, la trama di Gérôme non contiene solo una scena di una storia recente al momento in cui la dipinse.

 



Il tema della tratta araba di una schiava di Jean-Leon Gérôme è apparso in un contesto sociale specifico, quando le modelle erano costantemente a disposizione dell’artista in studio. Alla fantasia di un uomo che domina una donna, di un possesso assoluto dei corpi delle donne, si contrappone un sentimento di ferocia, crudeltà, bassezza e lussuria della tratta degli schiavi. I dipinti di questo soggetto portarono un tocco scandaloso al lavoro di Jean-Léon Gérôme, che contribuì all’aumento della fama dell’artista.

 

Il dipinto venne acquistato da Adolphe Goupil il 23 agosto 1866 e nel 1867 venne esposto al Salon di Parigi. L’opera venne acquistata e venduta varie volte finché nel 1930 non venne comprata da Robert Sterling Clark. Dal 1955 fa parte della collezione dell'istituto d’arte.

 

Il dipinto presenta un’ambientazione mediorientale o nordafricana non specifica nella quale un uomo ispeziona i denti di una schiava nuda. Sullo sfondo si vedono dei compratori che ispezionano un uomo nudo dalla pelle scura. Maxime Du Camp, che aveva lavorato intensamente in Medio Oriente, recensì il dipinto esposto al Salone del 1867.




Egli individuò la scena nel mercato degli schiavi de Il Cairo e descrisse il quadro come ‘una scena fatta sul posto’. Egli descrisse la donna in vendita come ‘un’abissina’ e definì il venditore un ‘brigante avvezzo a ogni sorta di rapimento’. Secondo lui, la povera fanciulla in piedi è ‘sottomessa, umile e rassegnata’.

 

Le prime raffigurazioni del commercio di schiavi di Gérôme precedono Il mercato degli schiavi e alcune sono ambientate nel mondo classico. In effetti, egli aveva dipinto una scena molto simile nel 1857, intitolata Acquisto di una schiava, ambientata nel mondo greco o romano, nella quale le differenze etniche tra il compratore, il venditore e la schiava non sono così evidenti.




Nel 2019 il partito politico di destra Alternative für Deutschland (lett. ‘Alternativa per la Germania’) adoperò il dipinto per una pubblicità politica in vista delle elezioni europee del 2019. La ristampa venne accompagnata dagli slogan ‘Gli europei votino AfD!’ o ‘Così che l’Europa non diventi un’Eurabia!’.

 

Deutsche Welle riportò come il quadro fosse stato adoperato con un intento razzista, in quanto raffigurava suggestivamente degli uomini dalla pelle scura, barbuti e con dei turbanti che ‘esaminavano i denti di una donna bianca nuda’. L’istituto d’arte statunitense denunciò pesantemente l’AfD per quest’uso del dipinto.

 

 

 

PRIMA E DOPO IL MURO

 

 

 

‘Mi è sempre piaciuto dirigere il dipartimento di opinione. Oggi su Welt am Sonntag è apparso un testo di Elon Musk. Ieri ho presentato le mie dimissioni dopo la stampa’.

 

Con queste tweet, Eva Marie Kogel, la responsabile delle pagine di opinioni Die Welt ha protestato contro la pubblicazione di un intervento in cui l’imprenditore – diventato consigliere di Donald Trump e autore di sparate politiche molto criticate – spiega perché il 20 dicembre scorso ha dichiarato che solo ‘l’Afd può salvare la Germania’. Il servizio è corredato da un articolo di Jan Philipp Burgard – futuro capo redattore – che spiega perché l’imprenditore ha torto.

 

Alternative für Deutschland è un giovane partito di estrema destra la cui ex leader si dimise perché il partito era diventato razzista ed estremista. Alcuni membri tra l’altro hanno minimizzato l’Olocausto, negando le responsabilità tedesche. Posizioni di retroguardia su diritti civili ed etici. Il partito è stato oggetto in passato anche di verifica dell’Ufficio per la difesa della Costituzione per verificare se esistessero le basi per l’avvio di una procedura di incostituzionalità. L’appoggio di Musk a un partito di estrema destra che ottiene successi elettorali, ma viene isolato dalle altre formazioni politiche tedesche per le posizioni controverse, ha scatenato un’accesa polemica.

 

Solo venerdì il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier – che ha sciolto il Parlamento in vista delle prossime elezioni a febbraio- ha aperto la campagna elettorale già incandescente rivolgendo un altolà all’onnipresente Elon Musk anche senza citarlo

 

‘L’influenza esterna è un pericolo per la democrazia: sia quando è nascosta, come nel voto in Romania, sia quando è aperta e palese, come avviene in modo intenso su X’,

 

…ha detto il capo dello Stato rispedendo al mittente l’endorsement all’AfD del futuro Doge di Donald Trump. Musk, patron di Tesla e Space X che ha finanziato in maniera massiccia la campagna elettorale di Trump, il 21 dicembre era entrato a gamba tesa nel dibattitto politico tedesco con questo post:

 

‘Scholz dovrebbe dimettersi immediatamente. Incompetente idiota’.

 

Un durissimo attacco contro il cancelliere tedesco in seguito all’attentato di Magdeburgo – provocato proprio da un simpatizzante di Afd – che ignorava che Scholz si era già dimesso per la crisi del suo governo.

(IlFattoQuotidiano)






  FRANZISKA LA CIMICE 



 

Ero a Berlino nell’agosto del 61. Non c’era ancora il muro. Andai a passare la domenica dall’altra parte. Il tempo era incerto, ogni tanto uno scroscio di pioggia. Scesi alla Friedrichstrasse, dieci minuti di treno. Accanto a me sedeva un anziano signore dalla giacchetta di alpaca: fumava un sigaro, aveva voglia di chiacchierare, cercava di rendersi utile: ‘Vede quello? E’ l’ospedale della Charité. Lì operava il famoso Sauerbruch, un genio. Aprì la pancia anche a Hitler. Quell’edificio distrutto era il Reichstag. Rovine, sempre rovine’.

 

Mi fermai, per dare un’occhiata ai giornali, al caffè del Presse Club. Nella Berliner Zeitung c’era Togliatti che sorrideva accanto a Granzotto, e un articolo illustrava la nuova sede de l’Unità. Un opuscolo era dedicato alle conquiste delle donne cinesi, una rivista spiegava le meraviglie della Bulgaria. Quando chiesi il conto, la commessa mi pregò di mostrarle il passaporto. Voleva controllare se avevo cambiato la valuta regolarmente.




Sulla Sprea passavano carichi di sabbia o di carbone. Qualche pescatore buttava la lenza nell’acqua cupa: sotto un ponte della ferrovia faceva la guardia, col mitra a tracolla, un milite della Volkpolizei. Pareva un giorno di novembre, l’aria aveva i tremori dell’autunno, le vetrine dei negozi quasi vuote erano ancora più malinconiche.

 

‘La mia bottega è chiusa il mercoledì’, avvertiva un cartello, e l’insegna diceva che il proprietario, non ancora collettivizzato, tagliava barba e capelli dal 1908.

 

‘La mia bottega’: che scritta insolita, pensavo, quasi patetica. Camminavo dalle parti dell’Akademie Platz, le erbacce crescevano sulle gradinate del teatro di Federico, fumo e stagioni avevano annerito gli antichi muri: brillava appena, tra fregi dorici, l’oro di qualche parola sconvolta dalle bombe. Trovai un tassì e dissi di portarmi alla Cancelleria.

 

Il ‘Bunker’ dove morì Hitler, non c’è più.




I russi l’hanno fatto demolire, adesso è diventato una collinetta, che odora di fieno bagnato, dove è spuntata l’erba medica.


‘Lui se ne è andato’, disse l’autista con confidenza ‘ma per noi non è cambiato gran che. Sa che cosa si dice? Siamo liberi di fare quello che vogliono. Ma non i può andare avanti. Mia moglie aveva bisogno di prezzemolo per preparare il brodo, ho attraversato la città, trenta chilometri, per trovarlo. Sa come chiamano la margarina? Gagarina. E’ gonfia d’acqua: appena la metti in padella, salta per aria. Una volta o l’altra scappo di là, ma quello che mitrattiene, è l’idea di finire in un campo profughi: ho due bambini. Trova che la mia automobile è sfasciata? E’ mia solo per guidarla, appartiene allo Stato. E’, anche lei, reduce della guerra. Ha vent’anni. Non ci sono ricambi, fa miracoli, poveretta. Senta questa: raccontano che i russi hanno regalato a Ulbrich una bella macchina, ma senza motore. Tanto, gli hanno detto, tu vai sempre in discesa. Buona, no?’.


 

Passai un pomeriggio senza emozioni, come un qualunque cittadino della Repubblica Democratica. Vidi saltellare gli scoiattoli nei viali del Tiergarten, i soldati russi in libera uscita che si fermavano ad osservare il sonno degli orsi, o il ragazzo che andava a raccogliere, sui trespoli sparsi un po’ dappertutto, diffidenti e loquaci pappagalli. Anche i militari sovietici si mescolavano con le famiglie che attendevano il loro turno per ricevere un bicchiere  di birra o una bevanda ingiustamente definita aranciata.




Alla Marx-Engels-Platz era arrivata la carovana del circo Busch: il direttore mi disse con orgoglio che era il maggiore della Deutsche Demokratisce Republik, erano stati in tourné e anche in Polonia e in Cecoslovacchia, ma gli incassi non bastavano al mantenimento degli artisti e degli animali.

 

Finii dalle parti dell’Alexanderplatz, a cercare invano, nei buoi tra le macerie, l’ombra degli eroi romanzeschi di Doblin. Non c’erano più gli avventurosi straccioni e le birrerie dalle quali uscivano fumo di sigari e suoni di chitarre e di fisarmoniche, ma solo la composta tristezza di qualche passante, marito e moglie, coi vestitucci dozzinali, e un bambino, tra le braccia, addormentato.

 

Quel paesaggio è profondamente mutato. Pochi giorni dopo, Ulbricht dava un ordine, e i Vopo piantavano i paletti e alzavano il filo spinato e le torrette di osservazione, muravano le finestre degli edifici sul confine, bloccavano ogni uscita. Se dalla RDT è impossibile uscire, non è semplice neppure entrare.

 

Ho impiegato quasi un’ora per i controlli di polizia. Bisogna denunciare anche la macchina fotografica, ed è proibito introdurre giornali. Una guardia, con un aggeggio munito di specchi, ispeziona perfino il telaio dell’automobile. Non si sa mai.




‘Sa che cos’è una sardina?’ mi raccontava un loquace autista di Berlino-Est, un brav’uomo esente da preoccupazioni ideologiche. ‘E’ una balena sopravvissuta al comunismo’.

 

Questa l’aveva messa in giro, dicono i teatranti, niente meno che Bertolt Brecht. Chiede il capo cellula: ‘Compagno Meier, perché non ti abbiamo visto all’ultima riunione?’. ‘Non sapevo che fosse l’ultima’, spiega Meier, ‘altrimenti ci sarei stato sicuramente’.

 

L’ironia delle storielle colpisce certi aspetti della vita quotidiana e del carattere dell’uomo germanico, sia di qua o di là dal muro, si esercita su passioni costanti, come, ad esempio, l’ossequio per l’autorità. C’è un signore che in un giorno caldo d’estate, il cielo sgombro di nuvole, non tira una bava di vento, va in giro con cappotto e ombrello, e si giustifica: ‘La radio ha annunciato che a Mosca piove e fa freddo’.




Ancora: tre cronisti, un russo, un cinese e un tedesco si trovano attorno a un tavolo per discutere. A un tratto il sovietico si sente pizzicare da UNA CIMICE, la prende e la butta via, il cinese, irritato ma riflessivo, la infila nell’orlo della tunica:

 

‘Può sempre servire’; il tedesco obbediente, la lascia fare: ‘SE C’E’ VUOL DIRE CHE IL PARTITO E’ DACCORDO,

 

   E IL PARTITO HA SEMPRE RAGIONE...’

 

(Enzo Biagi, Germania)

 

 

 

LANNO DEL TOPO






Incontrai anche Fanziska….: 

 

Lo stato totalitario era un oppressore, ma era anche uno stato che si prendeva cura dei suoi seguaci. Le autorità hanno chiesto dove si trovasse il bambino scomparso da scuola, lo hanno cercato e aiutato finché non è tornato al suo posto.

 

Droga e violenza nelle scuole?

 

Ciò non esisteva e, se esistesse, le autorità statali sarebbero intervenute; e i genitori avrebbero sostenuto la ricerca di una soluzione invece di, come fanno oggi, impegnarsi per proteggersi dalla loro prole viziata. Nel centro medico, tutti i reparti erano in un unico posto e ora dovevi guidare per ore da un medico all’altro. Lo stato totalitario aveva dato a ognuno il suo lavoro, e ora si diceva: trova il tuo lavoro da solo, aiutati. Era finito lo stato premuroso che aveva regolato la vita quotidiana; Non controllava più, ma non era nemmeno più interessato ai singoli individui. All’improvviso c’era molta paura per la libertà che le persone avevano tanto desiderato.




E così è successo che, anche se le persone erano più libere che mai, essenzialmente si sentivano molto impotenti.

 

Zastrow aveva già capito da tempo dove si stava sviluppando l’AfD.

 

Era diventato il nuovo partito popolare nazionale tedesco, rappresentava le vittime dei “vecchi partiti” che avevano lasciato dietro di sé “deserti” “dove un tempo c’erano paesaggi fioriti”. A meno che la DDR non fosse intesa con “prima”, va detto: il tasso di disoccupazione nei Länder della Germania dell’Est è del 7,4%, in Sassonia e Turingia è del 6% – dopo aver superato il 20% prima della fine del millennio. In media, le persone se la passano meglio dal punto di vista economico rispetto a 20 anni fa, ma è comunque emerso l’odio verso l’economia di mercato e la democrazia.




Il catalogo segreto dei desideri dell’AfD comprende tutti i tipi di misure contro l’immigrazione che non sono giuridicamente applicabili: esclusione della cittadinanza per i richiedenti asilo, cittadinanza per discendenza, esclusione dell’ingresso da paesi musulmani, esclusione degli stranieri dai fondi di previdenza sociale, immigrazione solo per i ricchi e/o ben istruito.

 

La richiesta di reintrodurre la pena di morte è spesso sollevata ai tavoli degli iscritti abituali. Dirlo pubblicamente è vietato perché metterebbe in discussione l’Ufficio per la Tutela della Costituzione.

 

Paradossalmente per ciò che mi ha appena detto circa l’interpretazione della politica economica e una certa dittatura del mercato… Franziska continua in questo modo…




I nostri leader non sono stati mai così brillanti come il giorno successivo al giuramento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e al discorso inaugurale spettacolarmente deludente (‘America first!’). Geert Wilders, Marine Le Pen, l’austriaco Harald Vilimsky (FPÖ), l’italiano Matteo Salvini (Lega Nord) e Frauke Petry sono saliti sul palco con musica da marcia trionfale. Sembrava che tutti attendessero con ansia la rivoluzione degli stati-nazione, almeno qualcosa di rivoluzionario, prima in Francia, poi nei Paesi Bassi e infine in Germania, dove c’era motivo di sperare in successi simili a quelli di Donald Trump (America first? Franziska?).

 

Geert Wilders ha raccomandato ai tedeschi ‘Frauke invece di Angela’ e ha detto:

 

‘Siamo all’inizio di una primavera patriottica in tutta Europa’.



 

Ha promesso: il 2017/2025 sarà

 

‘l’anno del popolo’

 

‘l’anno in cui ci libereremo della democrazia’.

 

Anche Salvini ha criticato, a mio avviso, giustamente, la politica economica europea corporativa, la globalizzazione sotto regole ingiuste, la disoccupazione e la mancanza di prospettive tra i giovani in Italia e in altri paesi dell’UE.

 

‘Una nuova Europa è possibile’,

 

….ha gridato alla folla.

 

(F. Schreiber) 







mercoledì 25 dicembre 2024

L'INFANZIA (7)

 








Precedenti capitoli (6/1) 


& un regalo  


Prosegue con il capitolo 


completo, ovvero, l'infanzia 







di un Romano(v) 


& i Doppi (8)  


& la schiava (9)








Era l’agosto dell ’85, intendo dire del 1855, il Fiume quell’anno èra in forma splendida, andava navigato conquistato e soprattutto conosciuto. E un futuro letterato deve imparare a farlo, se vuole trarre spunto dalle sue acque la dovuta saggia ispirazione.

 

Nello stesso anno Lincoln scriveva ad un suo amico…






TUTTI GLI UOMINI SONO CREATI UGUALI

 

SPRINGFIELD, 24 agosto 1855

 

 

CARO SPEED:

 

…Sai che pessimo corrispondente sono. Da quando ho ricevuto la tua graditissima lettera del 22 maggio, ho avuto intenzione di scriverti una risposta. Suggerisci che nell’azione politica, ora, tu e io saremmo in disaccordo. Immagino che lo saremmo; non tanto quanto, tuttavia, come potresti pensare.

 

Sai che detesto la schiavitù e ammetti pienamente il suo infinito torto. Finora non c’è stato motivo di divergenza. Ma dici che piuttosto che cedere il tuo diritto legale allo schiavo, specialmente su richiesta di coloro che non sono interessati, vedresti l’Unione sciolta. Non mi risulta che qualcuno ti stia chiedendo di cedere quel diritto; certamente non lo sono io. Lascio questa questione interamente a te.

 

Riconosco anche i tuoi diritti e i miei obblighi ai sensi della Costituzione nei confronti dei tuoi schiavi. Confesso che detesto vedere quelle povere creature braccate, catturate e riportate alle loro strisce e al loro lavoro non ricompensato; ma mi mordo le labbra e sto zitto.

 

Nel 1841 tu e io abbiamo fatto insieme un noioso viaggio in acque basse su un battello a vapore da Louisville a St. Louis.

 

Forse ricorderai, come me, che da Louisville alla foce dell’Ohio c’erano a bordo dieci o una dozzina di schiavi incatenati insieme con i ferri. Quella vista era un tormento continuo per me, e vedo qualcosa di simile ogni volta che tocco l’Ohio o qualsiasi altro confine schiavista. Non è giusto da parte tua presumere che io non abbia alcun interesse in una cosa che ha, e continua ad esercitare, il potere di rendermi infelice.

 

Dovresti piuttosto apprezzare quanto la grande massa del popolo del Nord crocifigga i propri sentimenti, al fine di mantenere la propria lealtà alla Costituzione e all’Unione. Mi oppongo all’estensione della schiavitù perché il mio giudizio e il mio sentimento mi spingono così, e non ho alcun obbligo di fare il contrario.

 

Se per questo tu e io dobbiamo dissentire, dobbiamo confrontarci e dialogare serenamente. Dici che, se fossi Presidente, manderesti un esercito e impiccheresti i leader dei ribelli del Missouri in attesa delle elezioni del Kansas; tuttavia, se il Kansas vota come Stato schiavista, deve essere ammesso o l’Unione deve essere sciolta.

 

Ma come fare se vota ingiustamente come Stato schiavista, cioè con gli stessi mezzi per cui dici che impiccheresti gli uomini?

 

Deve essere comunque ammesso o l’Unione deve essere sciolta?

 

Questa sarà la fase della questione quando diventerà per la prima volta pratica. Nella tua ipotesi che possa esserci una giusta decisione sulla questione della schiavitù in Kansas, vedo chiaramente che tu e io saremmo in disaccordo sulla legge del Nebraska. Considero quella promulgazione non come una legge, ma come una violenza fin dall’inizio.

 

È stata concepita nella violenza, è mantenuta nella violenza e viene eseguita nella violenza.

 

Dico che è stata concepita nella violenza, perché la distruzione del Compromesso del Missouri, nelle circostanze, non era niente meno che violenza. Fu approvata con violenza perché non avrebbe potuto essere approvata affatto se non per i voti di molti membri violenti nelle intenzioni piuttosto noti ai loro elettori. È mantenuta con violenza, perché le elezioni da allora ne richiedono chiaramente l’abrogazione; e la richiesta è apertamente ignorata.

 

Tu dici che gli uomini dovrebbero essere impiccati per il modo in cui mettono in pratica o interpretano la legge; io dico che il modo in cui viene eseguita è buono quanto qualsiasi altro precedente nell’applicarla. Viene eseguita nel modo preciso come era stato previsto fin dall’inizio, altrimenti perché nessun uomo del Nebraska esprime stupore o condanna? Il povero Reeder è l’unico uomo pubblico che è stato abbastanza sciocco da credere che qualcosa di simile all’equità fosse mai stato previsto, ed è stato coraggiosamente disingannato.

 

Che il Kansas formi una costituzione e una legge schiavistica e con essa chieda di essere ammesso nell’Unione, ritengo sia già una questione risolta, e così risolta proprio con gli stessi mezzi che tu condanni così acutamente. Secondo ogni principio di legge mai sostenuto da qualsiasi corte del Nord o del Sud, ogni negro portato nel Kansas è libero; eppure, in totale disprezzo di ciò, semplicemente per spirito di violenza, quella bella legislatura approva gravemente una legge per impiccare chiunque si azzardi a informare un negro dei suoi diritti legali.

 

Questo è il soggetto e il vero obiettivo della legge.

 

Se, come Haman, dovessero essere impiccati alla forca del loro stesso palazzo, non sarò tra coloro che piangeranno per la loro sorte. Nella mia umile sfera, sosterrò il ripristino del Compromesso del Missouri finché il Kansas rimarrà un Territorio, e quando, con tutti questi mezzi ignobili, cercherà di entrare nell’Unione come Stato schiavista, mi opporrò.

 

Sono molto riluttante in ogni caso a negare il mio assenso al godimento di proprietà acquisite o localizzate in buona fede; ma non ammetto che la buona fede nel portare un negro in Kansas per tenerlo in schiavitù sia una probabilità per chiunque. Chiunque abbia abbastanza buonsenso da essere il controllore della propria proprietà ha troppo buonsenso per fraintendere il carattere scandaloso dell’intera faccenda del Nebraska.

 

Ma sto divagando.

 

Nella mia opposizione all’ammissione del Kansas avrò un po’ di compagnia, ma potremmo essere sconfitti. Se lo fossimo, non tenterò per questo motivo di sciogliere l’Unione. Penso che sia probabile, tuttavia, che saremo sconfitti. Stando uniti tra di voi, potete, direttamente e indirettamente, convincere abbastanza dei nostri uomini per vincere, come potreste fare con la proposta aperta di stabilire una monarchia.

 

Gli allevatori di schiavi e i mercanti di schiavi sono una classe piccola, odiosa e detestata tra voi; e tuttavia in politica dettano il corso di tutti voi e sono completamente i vostri padroni come voi siete padroni dei vostri negri.

 

Chiedi dove mi trovo ora.

 

Questo è un punto controverso. Penso di essere un Whig; ma altri dicono che non ci sono Whig e che sono un abolizionista. Quando ero a Washington, ho votato per la ‘Wilmot Proviso’ ben quaranta volte; e non ho mai sentito nessuno che cercasse di farmi uscire dal Whig per questo.

 

Ora non faccio altro che oppormi all’estensione della schiavitù. Non sono un ‘Know-Nothing’; questo è certo. Come potrei esserlo? Come può qualcuno che aborrisce l’oppressione dei negri essere a favore di classi degradanti di bianchi?

 

Il nostro progresso nell’inumana degenerazione mi sembra piuttosto rapido. Come nazione abbiamo iniziato dichiarando che ‘tutti gli uomini sono creati uguali’. Ora lo leggiamo praticamente ‘tutti gli uomini sono creati uguali, tranne i negri’. Quando i ‘Know-Nothing’ prenderanno il controllo, si leggerà ‘tutti gli uomini sono creati uguali, tranne i negri, gli stranieri e i cattolici’.

 

Quando si arriverà a questo, preferirò emigrare in qualche paese dove non si finga di amare la libertà, in Russia, per esempio, dove il dispotismo può essere preso allo stato puro e senza la vile lega dell’ipocrisia.

 

Il tuo amico per sempre,

 

LINCOLN


 


 


 

L’INFANZIA 


 

 

Quando arrivò la primavera, con la vita che sbocciava e gli impulsi che si acceleravano; quando gli alberi nei parchi cominciarono a mostrare un accenno di verde, l’idea amazzonica si sviluppò di nuovo e il futuro navigatore si preparò per la sua spedizione. Aveva risparmiato un po’ di soldi, abbastanza per arrivare a New Orleans, e decise di iniziare il suo lungo viaggio lungo il Mississippi, per una volta, almeno, per abbandonarsi a quel lusso indolente del maestoso fiume che era stato una parte così importante dei suoi primi sogni.

 

I piroscafi del fiume Ohio non erano le imbarcazioni più sontuose in circolazione, ma erano lenti e ospitali. L’inverno era stato cupo e duro. La ‘febbre primaverile’ e un grande amore per l’irriverenza si erano combinati in quella condizione di sonnolenta umiltà che rende disposti a riprendersi il proprio tempo.

 

Mark Twain ci racconta in ‘Life on the Mississippi’ che ‘scappò via’, giurando di non tornare mai più finché non fosse tornato a casa come pilota di battelli a vapore, o perdendo l’onore se non ci fosse riuscito.

 

Questa è una dichiarazione letteraria.




L’ambizione del pilota non era mai morta del tutto; ma era l’Amazzonia a dominare la sua mente quando si imbarcò sul Paul Jones per New Orleans, conferendo così l’immortalità a quell’antica piccola imbarcazione. Salutò Macfarlane, mise a bordo le sue trappole, suonò la campana, suonò il fischietto, fu issata la passerella e lui partì per un viaggio che non sarebbe durato una settimana o due, ma quattro anni: quattro anni meravigliosi e soleggiati, la cui gloria avrebbe colorato tutto ciò che avrebbe incontrato durante la navigazione.

 

Nel libro sul Mississippi l’autore trasmette l’impressione di essere allora un ragazzo di forse diciassette anni. Scrivendo da quel punto di vista, registra incidenti che erano più o meno invenzioni o che erano accaduti ad altri. In realtà, aveva molto più di ventun anni, perché era nell’aprile del 1857 che si imbarcò sul Paul Jones; ed era abbastanza familiare con i battelli a vapore e i requisiti generali necessari per la dovuta navigazione.




Era cresciuto in una città che sfornava navigatori; aveva sentito parlare del loro mestiere. Almeno uno dei ragazzi Bowen era già sul fiume mentre Sam Clemens era ancora un ragazzo ad Hannibal, ed era spesso tornato a casa per ostentare la sua grandezza e dilungarsi sulla meraviglia del suo lavoro. Conoscere il fiume non fosse un compito da poco, Sam Clemens lo sapeva molto bene. Tuttavia, mentre la piccola barca procedeva assonnata lungo il fiume verso terre che diventavano sempre più piacevoli con l’avanzare della primavera, la vecchia ‘permanente ambizione’ dell’infanzia si agitò di nuovo e il richiamo della lontana Amazzonia, con la sua variegata zoologia, si fece più flebile.




 Avevo letto il resoconto fatto dal tenente Herndon delle sue esplorazioni in Amazzonia e mi attrasse molto ciò ch’egli diceva della coca. Decisi di risalire alle sorgenti del Rio delle Amazzoni e raccogliere le piante di coca e venderle e fare fortuna. Partii per New Orleans col vapore Paul Jones con questa grande idea che mi ribolliva nella mente. Uno dei piloti del battello era Horace Bixby. A poco a poco presi confidenza con lui e presto fui al suo timone per lunghi tratti durante i turni diurni. Giunto a New Orleans, chiesi se vi fossero navi in partenza per Parà e scoprii che non ve n’erano e seppi che forse non ve ne sarebbero state per tutto il secolo. Non avevo pensato d’informarmi di questi particolari prima di lasciare Cincinnati; ed eccomi qui.

 

Non ero in grado di andare in Amazzonia.

 

A New Orleans non avevo amici, né denaro di cui parlare. Andai da Horace Bixby e gli chiesi di fare di me un pilota. Disse che l’avrebbe fatto per cinquecento dollari, con cento dollari di anticipo. Pilotai fin su a St Louis, presi a prestito il denaro da mio cognato e conclusi l’affare. Questo cognato l’avevo acquisito parecchi anni prima. Era William A. Moffett, commerciante, virginiano, ottimo uomo da ogni punto di vista. Aveva sposato mia sorella Pamela. In diciotto mesi divenni un ottimo pilota e lo fui finché il traffico sul Mississippi non fu paralizzato dallo scoppio della Guerra Civile.

 

A New Orleans avevo sempre un posto. Avevo il privilegio di sorvegliare le cataste di merce dalle sette della sera alle sette della mattina, e per questo ricevevo tre dollari. Era un’occupazione che durava tre notti e ricorreva ogni trentacinque giorni.

 

Henry mi raggiungeva sempre verso le nove di sera, quando aveva terminato il suo lavoro, e spesso facevamo insieme i giri della ronda e chiacchieravamo fino a mezzanotte. Questa volta stavamo per separarci, così la sera prima che il battello salpasse gli detti dei consigli.

 

Gli dissi:

 

“Nel caso di un disastro sul piroscafo, non perdere la testa: lascia questa pazzia ai passeggeri: in ciò sono bravi e ci pensano loro. Tu corri alla coperta superiore e a poppa, dove c’è una scialuppa assicurata dietro la ruota di sinistra, e obbedisci agli ordini del secondo: così ti renderai utile. Calata la scialuppa, fa’ del tuo meglio per farvi entrare le donne e i bambini, e non cercare di scendervi tu. Siamo in estate, il fiume generalmente non supera il miglio in larghezza e tu puoi tranquillamente raggiungere la riva a nuoto”.

 

Due o tre giorni dopo, di buon’ora, esplosero le caldaie a Ship Island, un po’ prima di Memphis, e ciò che accadde in seguito l’ho già raccontato in ‘Vita sul Mississippi’. Come ho detto in quel libro, seguii il Pennsylvania su un altro battello, a un giorno circa di distanza, e raccoglievo notizie del disastro a ogni porto che toccavamo, e quando giungemmo a Memphis di esso sapevamo ogni cosa.

 

(M.T. Autobiografia)




Horace Bixby, pilota del Paul Jones, allora un uomo di trentadue anni, ancora in vita (1910) e al timone, [L’autore di queste memorie ha intervistato personalmente il signor Bixby e ha seguito le sue sincere memorie di quei tempi] — stava guardando fuori dalla prua alla testa dell’isola n. 35 quando udì una voce lenta e piacevole dire:

 

‘Buongiorno’.

 

Bixby era un uomo pulito, diretto e cortese.

 

‘Buongiorno, signore’,

 

…disse con voce vivace, senza guardarsi intorno.

 

Di solito al signor Bixby non piacevano i visitatori nella cabina di pilotaggio. Questo si avvicinò subito e si fermò un po’ dietro di lui.

 

‘Come vorresti che un giovane imparasse a conoscere il fiume?’

 

Gli chiese.

 

Il pilota si voltò a guardare e vide un ragazzo piuttosto snello, con una carnagione chiara e femminile e una folta chioma di capelli castano rossicci.




‘Non mi piacerebbe. I piloti di ‘Cub’ sono più un problema che un guadagno. Molti più problemi che profitti’.

 

Il richiedente non si scoraggiò.

 

‘Sono uno stampatore di professione’,

 

…continuò, nel suo modo semplice e deliberato.

 

‘Non mi va bene. Pensavo di andare in Sud America’

 

Bixby tenne d’occhio il fiume, ma una nota di interesse si insinuò nella sua voce.

 

‘Cosa ti fa tirare le parole in quel modo?’ (‘tirare’ è il termine usato dai fiumi per indicare il modo strascicato di parlare), chiese.

 

Il giovane si era seduto sulla panchina degli ospiti.




‘Dovresti chiederlo a mia madre’,

 

…disse, più lentamente che mai.

 

‘Anche lei tira fuori il suo’.

 

Il pilota Bixby si risvegliò a quelle parole e rise; aveva un acuto senso dell’umorismo e il modo in cui rispose lo divertì. Il suo ospite fece un altro passo avanti.

 

‘Conosci i ragazzi Bowen?’

 

…chiese,

 

‘piloti che commerciavano tra St. Louis e New Orleans?’

 

‘Li conosco bene, tutti e tre. William Bowen mi ha fatto il primo timone; anche lui un bravo ragazzo. Aveva un Testamento in tasca quando è salito a bordo; dopo una settimana lo aveva scambiato con un mazzo di carte. Conosco anche Sam e Bart’.




 'Vecchi miei compagni di scuola ad Hannibal. Sam e Will in particolare erano i miei amici’.

 

‘Vieni e mettiti al mio fianco’,

 

…disse.

 

‘Come ti chiami?’

 

Il richiedente glielo disse e i due rimasero lì a guardare l’acqua illuminata dal sole.

 

‘Bevi?’

 

‘NO’.

 

‘Giochi d'azzardo?’

 

‘No, signore’.

 

‘Lo giuri?’

 

‘Non per divertimento; solo sotto pressione’.




‘Mastichi?’

 

‘No, signore, mai; ma devo fumare’.

 

‘Hai mai sterzato?’

 

…fu la domanda successiva di Bixby.

 

‘Ho guidato tutto sul fiume, tranne un battello a vapore, credo’.

 

‘Benissimo; prendi il timone e vedi cosa riesci a fare con un battello a vapore. Tienilo così com’è, verso quel pioppo più in basso’.

 

Bixby aveva un piede dolorante ed era contento di un po’ di sollievo. Si sedette sulla panchina e tenne d’occhio il percorso. Dopo un po’ disse:

 

‘C’è solo un modo in cui porterei un giovane a imparare a navigare sul fiume: per soldi’.

 

‘Quanto fate pagare?’

 

‘Cinquecento dollari, e non dovrai sostenere alcuna altra spesa’.




A quei tempi ai piloti era consentito trasportare gratuitamente un principiante, o ‘cucciolo’. Il signor Bixby intendeva dire che non avrebbe dovuto sostenere spese in porto o per spese accessorie. Le sue condizioni sembravano piuttosto scoraggianti.

 

‘Non ho cinquecento dollari in contanti’,

 

disse Sam;

 

‘Ho un sacco di terra nel Tennessee che vale venticinque centesimi l’acro; te ne do duemila acri’.

                                 

Bixby non era d’accordo.

 

‘No, non voglio immobili incolti. Ne ho già troppi’.

 

Sam pensò alla cifra che avrebbe potuto probabilmente prendere in prestito dal marito di Pamela senza mettere a dura prova il suo credito.

 

‘Bene, allora ti darò cento dollari in contanti e il resto quando li avrò guadagnati’.

 

Qualcosa in questo giovane aveva conquistato il cuore di Horace Bixby. Il suo parlare lento e piacevole; il suo modo tranquillo e pacato di governare il timone, la sua evidente sincerità di intenti: erano aspetti esteriori, ma sotto sotto il pilota sentiva qualcosa di quella qualità di mente o cuore che in seguito fece amare al mondo Mark Twain.




I termini proposti furono concordati.

 

I pagamenti differiti sarebbero iniziati quando l’allievo avesse imparato a conoscere il fiume e avesse ricevuto la paga da pilota. Durante i turni diurni del signor Bixby, il suo allievo era spesso al timone, mentre il pilota sedeva a dirigerlo e a curargli il piede dolorante.

 

Qualsiasi ambizione letteraria Samuel Clemens potesse aver avuto si affievolì; quando giunsero a New Orleans, aveva quasi dimenticato di essere stato uno stampatore e quando apprese che nessuna nave avrebbe navigato verso il Rio delle Amazzoni per un periodo indefinito, la sensazione crebbe come se una mano direttiva avesse preso in mano i suoi affari.

 

Da New Orleans il suo capo non tornò a Cincinnati, ma andò a St. Louis, portando con sé il suo nuovo ‘cucciolo’, che pensò che fosse bello, davvero, arrivare a vapore in quella grande città con il suo affollato lungomare; la sua diga piuttosto piena di camion, carri e mucchi di merci, il tutto fiancheggiato da un bel miglio di battelli a vapore affiancati, la prua un po’ a monte, i loro fumaioli ruggenti che si ergevano alti contro l'azzurro: un imponente fronte di commercio.




Era glorioso farsi strada verso un posto in quella linea maestosa, per diventare un’unità, per quanto piccola, di quella imponente flotta.

 

A St. Louis Sam prese in prestito dal signor Moffett i fondi necessari per effettuare il suo primo pagamento, e così concluse il suo contratto. Poi, quando all’improvviso si ritrovò su una bella grande barca, in una cabina di pilotaggio così alta sull’acqua che sembrava appollaiato su una montagna, un ‘castello sontuoso’, la sua felicità sembrò completa.

 

(A. B.Paine)





 

QUALCHE SECOLO PRIMA


 

 

Non mi aspettavo Satana, perché era più di una settimana che non lo vedevo o sentivo parlare, ma ora è entrato, l’ho capito dal tatto, anche se c’erano persone in mezzo e non potevo vederlo. L’ho sentito scusarsi per l’intrusione; e stava andando via, ma Marget lo  esortò a restare, e lui la ringraziò e rimase. Lei lo portò con sé, presentandolo alle ragazze, a Meidling e ad alcuni degli anziani; e ci fu un bel fruscio di sussurri:

 

‘È il giovane straniero di cui sentiamo tanto parlare e che non riusciamo a vedere, è sempre via’.

 

‘Caro, caro, ma è bello, come si chiama?’

 

‘Philip Traum’.

 

‘Ah, gli sta bene!’ (Vedi, ‘Traum’ in tedesco significa ‘Sogno’).

 

‘Cosa fa?’

 

‘Studia per il ministero, dicono’.

 

‘Il suo volto è la sua fortuna: un giorno diventerà cardinale’.

 

‘Dov’è la sua casa?’

 

‘Dicono che laggiù da qualche parte ai tropici, ha uno zio ricco laggiù’.

 

E così via.

 

Si fece strada subito; tutti erano ansiosi di conoscerlo e di parlare con lui. Tutti notarono quanto fosse fresco e il tempo peggiorato, all’improvviso, e se ne meravigliarono, perché potevano vedere che il sole stava picchiando come prima, fuori, e il cielo era sgombro da nuvole, ma nessuno ne indovinò il motivo, naturalmente. 

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