CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

venerdì 25 aprile 2025

IL DIARIO PROSEGUE IN COMPAGNIA DEL LUPO (6)

 








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Nemmeno gli uomini possono udire la voce del bestiame; sia gli uccelli del cielo che le bestie sono fuggiti, se ne sono andati. ‘Le foreste sono silenziose, su colline e valli aleggia un drappo nero; bestie e uccelli si nascondono; le voci sono soffocate. Ma prima che scomparissero, seguendo le tracce di altri, ho cercato di cogliere il ronzio dell’ape, il cinguettio dell’uccello, il richiamo del cervo, il canto del cigno morente e tutte le storie che bestie, uccelli e piccoli coleotteri raccontano ai loro piccoli prima che si addormentino, prima che il lampo della lucciola guizzi attraverso l’oscurità della foresta. 

 

Ho seguito fino alle loro tane il lupo feroce, il cane irascibile, la volpe astuta e il saggio riccio, ho ascoltato l’allodola e l’usignolo e ho reso omaggio al piccolo scricciolo reale. Chissà per quanto tempo ancora si divertiranno nei campi e nelle foreste della Romania, dove gli zoccoli dei cavalli, gli zoccoli degli uomini in marcia, il grido di battaglia e il rombo dei cannoni hanno messo a tacere – speriamo solo per un po’ – la voce delle creature mute, che ancora parlano con tanta eloquenza a chi conosce la loro lingua e comprende l’astuto incantesimo della loro saggezza nascosta.




È come se avessi colto fiori dal campo dell’immaginazione popolare rumena. Sono freschi di campo, e la rugiada pende ancora su di essi come tanti diamanti, che brillano alla luce della poesia popolare; anzi, a volte qualche granello di terreno originale è ancora aggrappato alle radici. Non li ho pressati tra le pagine di questo libro. Li ho maneggiati con tenerezza. È stata un’opera d’amore, le fantasie sognanti della giovinezza, il conforto dell’età matura. Forse l’uno o l’altro possono essere sradicati e ripiantati nei vivai dell’Occidente, dove possono fiorire e crescere di nuovo.

 

Potrebbero portare con sé il respiro dei campi aperti, il profumo della foresta. Potrebbero evocare il tempo in cui le nazioni erano ancora giovani e vivevano nel grande Vivaio della Natura. Se solo si potesse offrire alle nazioni dell’Occidente, per un po’, uno scorcio del tempo della loro giovinezza!

 

Nei miei vagabondaggi attraverso questi campi incantati ho cercato di scoprire da dove provengano i semi, quali mani li abbiano seminati e quale vento e clima spirituale ne abbiano favorito la crescita, se la pioggia del cielo o le fontane del profondo abbiano irrigato le radici, quale sole abbia brillato su di loro, quale soffio di fuoco abbia fatto appassire e morire questi fiori.




I problemi antropologici, storici e psicologici alla base dei nostri studi devono essere affrontati – mi azzardo a pensare – da un punto di vista nuovo. La mia opinione è che le nazioni europee formino un’unica unità spirituale e che all’interno di tale unità i vari gradi di sviluppo attraversati dall’una o dall’altra siano ancora conservati.

 

Credo che dobbiamo studiare le manifestazioni dello spirito umano da una prospettiva geografica, che questo sviluppo si sia diffuso direttamente da un gruppo di uomini all’altro e che, prima di spingerci fino ai confini estremi della terra alla ricerca di indizi dubbi, dobbiamo prima cercare di trovarli, e forse riusciremo a trovarli più facilmente e in modo soddisfacente, presso alcune delle nazioni europee il cui folklore non è stato ancora sufficientemente indagato.

 

Possiamo trovare in Europa vari stadi di ‘cultura’, e questi dobbiamo rintracciare con una lenta discesa fino al gradino più basso della scala. A un certo punto della nostra discesa potremmo imbatterci nello strato del folklore asiatico che può condurci ulteriormente nel nostro studio comparativo. Permettetemi di fornire alcuni esempi pratici di ciò che intendo dire:




‘il rapporto tra uomo e animale è stato oggetto di numerose indagini altamente speculative, ma non per questo meno interessanti e acute. Abbiamo avuto il totemismo, l’animismo e molte altre spiegazioni, che per il loro numero sono diventate semplicemente sconcertanti. Gli studiosi si sono rivolti ai Boscimani dell’Australia e ai Pellerossa d’America per trovare parallelismi e spiegazioni, o per trovare prove delle loro ingegnose teorie.’

 

…Ma non esistono forse in Europa storie di animali e uccelli che ci mostrino come, ancora oggi, le persone intendano le relazioni tra l’uomo e le altre creature viventi, quali opinioni abbiano di uccelli, bestie e insetti?

 

Gli animali sono umanizzati – usando il termine nel senso di impersonare un essere umano?

 

Le persone vedono qualche differenza fondamentale tra le cose create?

 

Nella fiaba, in ogni caso, non si può discernere una distinzione così netta tra uomo e animale.






Ma alla base di molti miti antropologici l’animale è solo un essere umano travestito. Il valore di queste  storie rumene, raccolte come sono dalla bocca del popolo, hanno la capacità di mostrare come ancora oggi la gente consideri il mondo animale. Forse un’altra visione finirà per farsi strada tra gli studiosi del folklore. Ciò che mi preme sottolineare è il fatto che, per la ricerca degli studiosi del folklore, esistono miniere di incalcolabile ricchezza che finora non sono state sufficientemente sfruttate.

 

Questi racconti rappresentano una o più delle fasi iniziali del folklore europeo. Gli elementi, non ancora del tutto fusi tra loro, ci permettono talvolta di svelare le fonti e quindi di tracciare la storia profonda di questa parte del folklore. La gente si trova di fronte a un mondo popolato di animali, uccelli e insetti bizzarri e misteriosi, ognuno con le proprie peculiarità che suscitano interrogativi.

 

Quasi tutto ciò che non è di uso quotidiano suscita la curiosità della gente, che ne chiede una spiegazione: da dove viene questo o quell’animale, e perché ha questa o quella particolarità nelle sue abitudini, nei suoi colori, nella sua forma e in altre cose?




Sono molto grati per l’insegnamento. Ma deve essere di un tipo adatto alla loro comprensione. Deve essere plausibile, anche se mette a dura prova la loro immaginazione. Quanto più una spiegazione è meravigliosa e bizzarra, tanto più facilmente viene accettata dalla gente e tanto più fermamente vi si crede. La questione della ‘fede’ è stata spesso sollevata in relazione alle fiabe. Ci si chiede se la gente creda nell’esistenza di fate, mostri, animali meravigliosi e taumaturgici, in breve, in tutti i meccanismi della fiaba.

 

A questa domanda si può dare una risposta senza esitazione per quanto riguarda questi racconti e leggende rumeni. Vi si crede implicitamente. Costituiscono parte integrante – mi sento quasi propenso a dire che ne costituiscono una parte esclusiva – delle credenze religiose popolari del popolo. Il popolo non è né troppo schizzinoso né troppo sofista nella sua fede, né indaga troppo a fondo sul carattere dogmatico di tali credenze o sulle fonti da cui provengono.

 

Anche in Oriente la gente, di norma, è di buon carattere e una bella storia rimane una bella storia, indipendentemente dal fatto che a raccontarla sia un credente o un infedele.




Dal momento che troviamo in Europa racconti di animali simili a quelli che si trovano tra i popoli primitivi in ​​altre parti del mondo, ci troviamo di fronte a un nuovo problema. Potremmo riconoscere all’opera la stessa parentesi spirituale: potremmo vedere la stessa azione della mente, che chiede ovunque una spiegazione dei fenomeni da bestie e uccelli, dal cielo e dal mare. Fin qui le menti di tutte le nazioni corrono su linee parallele.

 

La differenziazione inizia con la risposta, ed è qui che sorge il problema.

 

Quante nazioni danno la stessa risposta e, così facendo, formano, per così dire, un gruppo a sé stante?

 

Quanto è antica questa o quella risposta o il racconto che la contiene?

 

E in che forma viene data?

 

È una favola o ha una impronta religiosa?

 

Nel tentativo di rispondere a questi interrogativi ci troviamo faccia a faccia con i problemi del carattere indigeno, dell’origine primitiva, dell’evoluzione indipendente e della questione della sopravvivenza. Ci troviamo così di fronte a un’altra teoria: la teoria delle sopravvivenze, la più importante di tutte, che influenza l’andamento dello studio del folklore moderno.




Devo affrontarla qui più ampiamente.

 

Mi riferisco, naturalmente, alla teoria che vede in ogni manifestazione dello spirito popolare, in ogni storia, in ogni ballata o canzone, una sopravvivenza di un’antichità remota, un residuo di tempi preistorici, a cui il popolo si è aggrappato con una tenacia straordinaria, pur avendone completamente dimenticato il significato. Per un’inconscia debolezza da antiquario, si suppone che abbiano conservato ogni fossile anche se e quando fosse diventato per loro e noi che lo narriamo, un peso.

 

Ma non bisogna dimenticare che il popolo conserva solo quelle pratiche e credenze attraverso le quali spera di ottenere salute, ricchezza e potere, e si assicurerà di non compromettere tali benefici con alcuna negligenza. Finché si attendono questi risultati, il popolo si aggrapperà tenacemente alle credenze che promettono loro i doni più grandi. Non è impossibile che tali convinzioni, essendo troppo radicate, possano sopravvivere ai cambiamenti politici locali.

 

Ma per sopravvivere, due condizioni sono essenziali: la continuità del luogo e la continuità dell’unità etnica simmetrica alla Natura ‘con ed in cui’ insieme evolvono. Anche la continuità religiosa è una condizione importante, sebbene non così essenziale.




Lo scontro tra due o più dottrine religiose provoca da un lato la distruzione del sistema ufficiale di cerimonie e pratiche religiose, e dall’altro spinge a fondo quella massa di cerimonie dalla cui osservanza ci si aspettano benefici per la salute e la ricchezza. Nel momento in cui la fede nella loro efficacia svanisce, esse scompaiono senza lasciare traccia.

 

Ben poco, se non nulla, sopravvive.

 

È un errore credere, come è ormai di moda, che senza tale continuità possa aver luogo una vera sopravvivenza. Questa teoria è stata spinta fino all’estremo, senza la minima giustificazione. Tutto si basa su ipotesi finemente elaborate in cui tempo e spazio sono completamente scomparsi.

 

Se, come presumo, fu l’influenza onnipresente delle sette religiose che si estese dall’estremo Oriente all’estremo Occidente e abbracciò tutte le nazioni colte d’Europa, imprimendo loro lo stesso sigillo: un certo cristianesimo modificato dal popolo, abbellito da leggende e racconti che stimolano l’immaginazione, contenente una forte tensione didattica ed etica, che proponeva una nuova soluzione dei problemi del mondo adatta alla comprensione delle persone, che spiegava in modo soddisfacente il male nel mondo, che scongiurava gli effetti di questi spiriti maligni, allora non c’è da stupirsi che il loro insegnamento penetrò più profondamente nel cuore delle persone e portò a quella sorprendente unificazione spirituale nella religione delle masse che sopravvive nel folklore.




Essi risalirebbero quindi più o meno allo stesso periodo, in cui tutta l’Europa subì l’influsso di insegnamenti durati almeno due o tre secoli, un periodo sufficientemente lungo da lasciare tracce indelebili.

 

In questi racconti, che appartengono al gruppo delle favole animali, ci troviamo in un’atmosfera diversa, molto lontana da quella della leggenda della creazione. Ci stiamo avvicinando a quella fase dell’evoluzione in cui l’animale rappresenta un essere umano travestito che, nonostante il suo appellativo, parla e agisce in piena conformità con modi e concezioni umani. Questi non sono ancora stati riscontrati tra i rumeni e quelle nazioni il cui folklore mostra una stretta affinità con il loro.

 

Avendo finora stabilito che questi racconti di animali, favole e leggende della creazione non sono né di origine locale né indigena, né sopravvivono da un passato remoto, e che anche i racconti rumeni non sono isolati, ma fanno parte di un gruppo di racconti e leggende comuni alla maggior parte delle nazioni che circondano la Romania in misura più o meno completa, ci tocca cercare di risalire alla loro probabile origine e anche di spiegare la forma che hanno assunto, come dimostrato nel corso di questa indagine.




Questi racconti tra le nazioni orientali dell’Europa sono così affini tra loro che devono essere giunti a queste nazioni quasi simultaneamente. Tutti devono essere stati sottoposti alla stessa influenza, che deve essere stata abbastanza potente e duratura da lasciare tracce così indelebili nelle credenze e nell'immaginazione della gente.

 

Una grande difficoltà sorge quando si tenta di definire l’influenza che portò queste storie e favole alle nazioni del Vicino Oriente e da lì in Occidente. Alcuni le hanno collegate all'invasione dei Mongoli. Se si potessero trovare racconti simili tra di loro, una tale data potrebbe anche corrispondere all'introduzione delle fiabe sugli animali nell’Europa orientale, soprattutto se originariamente avevano un background buddista. Nulla, infatti, potrebbe apparentemente armonizzarsi meglio con l’insegnamento buddista della Metempsicosi e con il principio della trasformazione dell’uomo in bestia per espiare i peccati commessi di alcuni di questi racconti.

 

Naturalmente, le influenze egiziane non possono essere trascurate in questo contesto. Potrò farvi riferimento più avanti. Il peso della maggior parte è in effetti che gli uccelli e gli insetti non sono altro che esseri umani trasformati in forme sgraziate a causa di qualche torto da loro commesso.




Un insegnamento eterodosso dualistico con un simile background si estese dai confini dell’India fino al sud della Francia, attraversando l’Europa centrale. Probabilmente fu lo stesso ente che trasformò la vita del Buddha nelle leggende dei santi Barlaam e Giosafat.

 

Né questa è l’unica leggenda inventata, manipolata e diffusa dalle numerose sette gnostiche. Chi ha studiato la storia della letteratura apocrifa conosce perfettamente i Vangeli apocrifi, gli Atti degli Apostoli e il resto dei racconti apocrifi che furono già inseriti nell’‘Indice’ nei primi secoli dell’era volgare.

 

Alcuni racconti cosmogonici sull’origine dualistica del mondo, sull’influenza dello Spirito Maligno, sull’origine dell’Ape, della Lucciola, del Lupo e altri mostrano inequivocabilmente un’origine gnostica. (una più che saggia nonché Eretica interpretazione - in appendice - a questa nota introduttiva, fornita da Giuliano, alla pagina 21 del presente documento…)




Non è quindi esagerato supporre che siano stati portati in Europa e diffusi dallo stesso ente. Solo questi settari entrarono in contatto diretto con le masse popolari. Predicavano le loro dottrine agli umili e ai poveri. Erano conosciuti come i puri (Catari) e i poveri (Pobres). Solo loro raggiunsero il cuore del popolo e furono in grado di influenzarlo in misura ben maggiore rispetto ai sanguinari Mongoli o ad altre nazioni che devastarono il paese.

 

Il punto da tenere presente in questa indagine sull’origine dei racconti e delle leggende rumeni non è tanto quello di rintracciare la remota possibile fonte del ‘dualismo’, quanto piuttosto le influenze immediate che hanno influito sulla forma assunta da queste leggende.

 

Questo è il problema saliente.

 

Dähnhardt, naturalmente, discute l’ulteriore sviluppo della concezione dualistica, attraverso il manicheismo e il bogomilismo, e finora è utile per stabilire il collegamento tra Iran e Tracia e per rafforzare la tesi secondo cui dobbiamo far risalire alcune di queste leggende sulla ‘creazione’ alla propaganda di queste sette.




Va ricordato che questi racconti, nelle versioni europee, hanno un aspetto profondamente cristiano. Presuppongono l’esistenza di Dio e dei Suoi santi; anzi, mostrano una stretta familiarità con le narrazioni apocrife, che si sono raccolte attorno alle storie e agli episodi biblici canonici. Lo Spirito Maligno è una personalità chiaramente definita, e il suo antagonismo verso Dio non è del tipo acutamente controverso. Tipo come l’Angromainya che, nell’insegnamento dell’Avesta, è l’avversario diretto e quasi negativo di Dio.

 

La letteratura indiana è piena di simili racconti di animali, che spesso si avvicinano ad alcune favole rumene. Le raccolte di Frere, Temple, Steele, Skeat e Parker abbondano di tali racconti, in cui l’animale più agile e arguto, sebbene piccolo e debole, ha regolarmente la meglio sul rivale più grande e forte, ma più ottuso e lento. Nessuna lezione morale viene spremuta dai racconti, e l’animale non è un essere umano appena camuffato. Eppure, non può esserci errore più grande che, guidati da questa somiglianza, presumere un’origine indiana diretta delle favole rumene.




Nessuna di queste favole di animali si conclude con la consueta ‘morale’, nota a noi da Esopo in poi. Né il popolo sembra essere influenzato da queste favole artificiali. Nella favola letteraria europea l’animale è semplicemente un essere umano travestito. Gli animali compiono azioni che non hanno nulla dell’animale in sé. La favola indiana e orientale differisce sotto questo aspetto da quella europea, in quanto in un buon numero di esse il carattere animale degli animali che compiono è fedelmente preservato.

 

Esattamente lo stesso accade con le favole di animali rumene. Il gatto non interpreta il ruolo della regina, e la volpe non è una cortigiana astuta. Il gatto è gatto, e la volpe è volpe. Eppure non ignoravano le favole di Esopo. Ho trovato queste favole in molti antichi manoscritti rumeni, e uno dei primi libri popolari stampati nel paese fu la Raccolta di Esopo.

 

La recente scoperta tra i papiri di Elefantina nell’Egitto meridionale della storia di Ahikar ha riportato la conoscenza delle favole allegoriche sugli animali almeno al V secolo a.C. In quella storia non troviamo solo il prototipo della vita di Esopo, ma anche un certo numero di massime e ‘saws’, e non poche storie di animali, menzionate da Ahikar per istruire il suo ingrato nipote Nadan. Vi troviamo, ad esempio, il prototipo del lupo ‘pio’, che appare nella storia di Ahikar come uno studente innocente, ma che non riesce ad assimilare la lezione che gli viene impartita, con la mente che vaga verso le pecore. Ci sono altre favole di lupi, volpi, topi e uccelli nella versione rumena e, ancor di più, in quella orientale e in altre versioni. Ahikar stesso racconta le storie di animali, permettendo a Nadan di trarne la lezione.




Dal modo in cui vengono citati questi racconti, è ovvio che dovevano essere racconti ben noti e correnti tra la gente.

 

La vera importanza di questa scoperta risiede nel fatto che abbiamo qui una serie di racconti popolari di animali sapientemente utilizzati, risalenti a più di duemila anni fa, la cui patria era con ogni probabilità la Siria o l’Egitto, inseriti in una raccolta che ha profondamente influenzato l’apocrifo Libro di Tobia e, in una certa misura, persino gli autori del Nuovo Testamento, come dimostrato dai professori Rendel Harris e Conybeare nell’introduzione alla loro edizione della Storia di Ahikar (seconda edizione).

 

L’affermazione di un’origine indiana di queste favole dovrà essere abbandonata, a meno che qualcuno non possa dimostrare scritti più antichi provenienti dall’India e la possibile via attraverso cui queste favole avrebbero potuto raggiungere la costa occidentale dell’Asia Minore ed essere adottate dai popoli di Siria ed Egitto in un’epoca così antica.

 

Non è affatto improbabile che alcune di queste favole, così come viaggiarono verso ovest, si siano spostate anche verso est e abbiano trovato casa in India, così come avevano trovato casa in Romania e Russia. Se si ricorda ora che la favolosa “Vita” di Esopo attribuita a Planude è quasi identica in parte a quella di Ahikar, come ho dimostrato fin dal 1883 nella mia ‘Storia della letteratura popolare rumena’ (Bucarest 1883, p. 104 e segg.), non sarà difficile spiegare l’origine asiatico-occidentale delle favole stesse.




Torniamo ancora una volta allo stesso centro, Siria e Bisanzio, per la diffusione di queste favole. Tali racconti erano allora alla portata dell’insegnamento di varie sette, come Manichei, Bogomili, Catari, ecc., e viaggiarono con loro da Oriente a Occidente, dove incontrarono l’altra corrente delle favole esopiche trasmesse in Occidente attraverso fonti latine e arabe. Secondo questa teoria, i settari religiosi fecero abile uso anche di racconti di animali, allo scopo di inculcare una morale, di trarre una lezione, di esporre la Chiesa e lo Stato al ridicolo e al disprezzo delle masse, creando così la satira sugli animali, il cui esempio migliore è il ciclo di Rinardo la Volpe.

 

Non ignoro il fatto che nella letteratura araba sia stato fatto un uso allegorico di racconti di animali, come il ‘Giudizio degli animali’, sotto il titolo di Hai ben Yokdhan, scritto in arabo da Ibn Tophail, tradotto in inglese da Simon Ockley nel 1711, in cui il leone tiene un tribunale e un animale dopo l’altro sembra accusare l’uomo; o la raccolta di Sahula (XIII secolo) nel suo antico apologo Mashal ha-kadmoni. Ma non c’è alcun collegamento reale tra questo ciclo e quello di Rinardo la Volpe.




Ci sono due o tre punti in relazione a questo ciclo che devono essere tenuti costantemente a mente. In primo luogo, la sua quasi completa indipendenza dalla favola puramente esopica, con la sua forma raffinata, con i suoi attributi umani appena camuffati e con la sua ‘morale’ ampollosa e rigida. Sebbene modificato in qualche modo in Babrio, Aviano, persino Maria di Francia e Berachya, quest’ultimo ciclo appartiene più alla classe letteraria. Gli ‘scrivani’ non potevano offenderli. Non così i racconti del ciclo di Reynard.

 

Sono estremamente popolari.

 

Gli animali mantengono i loro attributi naturali, agiscono come ci si aspetta che facciano e vengono utilizzati allo stesso modo delle ‘bordate politiche’ in epoca successiva. Gli esseri umani rappresentati in questi ‘fogli satirici’ sono travestiti da animali, e non gli animali travestiti da esseri umani. Qui sta la profonda differenza tra queste due serie di racconti di animali.

 

E a causa della loro propensione animalesca, gli esseri umani vengono ridicolizzati e ridicolizzati sotto forma di animali, esposti allo scherno e alle risate del lettore. L’uomo cattivo, come nell’antica storia di Ahikar, viene paragonato alla bestia e punito di conseguenza. L’origine popolare e il carattere di questo tipo di satira sono evidenti. Cortigiani e impiegati non avrebbero mai tentato una tale persigliata ai loro superiori, e certamente non in modo così prolungato.




Tra gli uomini così ridicolizzati, nessuno viene attaccato con tanta virulenza quanto il Clero. La gente non si fa scrupoli a fare occasionalmente una piccola parodia sui preti e altre classi privilegiate, e ci sono moltissimi fabliaux che lasciano ben poco a desiderare dal punto di vista del ridicolo. Ma aver additato il Clero per un vituperio così smisurato dimostra un deliberato tentativo di sminuire e distruggere l’influenza e l’autorità della Chiesa in generale e dei suoi ministri in particolare.

 

Solo i sostenitori dell’insegnamento eterodosso potevano trovare piacere e profitto nell’applicare le storie di bestie per abbattere i muri della Chiesa. Solo gli uomini a contatto con le masse potevano instillare quel lievito di analisi critica nei cuori delle persone e aprire loro gli occhi per mezzo di bestie racconti sulle debolezze e i vizi del loro clero ufficiale. Una critica così schietta raramente proviene dall’interno. Spesso viene importata indiscriminatamente dall’esterno, o almeno proviene da una parte avversa.

 

Nella loro propaganda polemica, questi insegnanti eterodossi introdussero e utilizzarono anche alcune di quelle storie di volpi per le quali, cosa abbastanza significativa, si trovano parallelismi soprattutto nei racconti slavi provenienti dalla Russia e dai Balcani.




Se questa fosse l’origine parziale di questi racconti di Reynard, si può facilmente capire perché siano apparsi nell’XI o nel XII secolo, e in particolare nei paesi che allora erano i veri centri di tale insegnamento eterodosso: il Sud della Francia, le Fiandre e altrove. Un fatto davvero notevole sembra corroborare questa ipotesi. Uno dei presunti autori di un ‘ramo’ del ciclo francese di Reynard , Pierre Cloot, fu bruciato a Parigi nel 1208 per eresia. Abbiamo qui un uomo che pagò con la vita la sua fede eretica, impegnato effettivamente a scrivere questi racconti. Potrebbe trattarsi di una mera coincidenza, tuttavia non si può negare un qualche legame tra il poema di Reynard e gli ‘eretici’.

 

Sono pienamente consapevole dell’obiezione che si potrebbe sollevare contro l’attribuzione di tanta influenza all’attività e alla propaganda delle sette eretiche. Si potrebbe sostenere che la loro influenza non fosse in alcun modo commisurata ai risultati loro attribuiti, che non trascinassero le masse a tal punto da lasciare tracce indelebili nella loro vita religiosa e nell’immaginario popolare.




Alcuni potrebbero arrivare a considerare la loro attività simile a quella di alcune... frati mendicanti durante il Medioevo, eppure, i frati mendicanti furono in grado di esercitare un’enorme influenza sul popolo e, aiutati da altre potenze politiche, riuscirono a creare un movimento che portò alle Crociate. Si impadronì delle masse europee con una forza irresistibile. In modo minore, ma non meno efficace, le stesse forze furono in grado di armare i re di Francia contro gli Albigesi in Provenza.

 

La storia della Chiesa, tuttavia, mostra molto chiaramente che il potere dei Manichei era così grande che la Chiesa impiegò molti secoli per portare la lotta a una conclusione soddisfacente. I Catari (puri) hanno dato il nome di ‘Ketzer’ agli eretici tedeschi, e ogni lingua in Europa mostra tracce di questa nomenclatura eretica. La lotta fu terribile e lunga, e se non fosse stato per il braccio secolare che si mise al servizio della Chiesa per ragioni politiche, chissà se la Chiesa romana ne sarebbe uscita vittoriosa?

 

Con i Catari e i Bogomili siamo su un terreno più solido. Questa nuova corrente di tradizioni simili fu portata da un movimento religioso analogo e fu propagata con mezzi identici: scritti e canti nella lingua del popolo, leggende e racconti e un credo semplice e comprensibile da tutti.




 Ci si potrebbe chiedere, se questa teoria è corretta, se questi racconti e leggende furono introdotti prima in Tracia e poi si diffusero da quel paese alle altre nazioni, come mai così poche tracce di essi si trovino nel folklore greco?

 

Per quanto paradossale possa sembrare, l’assenza di tali creazioni e di altre leggende e racconti dal folklore greco è, se non altro, un’ulteriore prova dell’accuratezza della teoria avanzata. Va ricordato che non vi fu persecuzione più spietata dell’antico paganesimo, dell’idolatria, delle cerimonie e delle leggende di quella condotta dalla Chiesa greca contro qualsiasi cosa ricordasse il passato ellenico o pagano. Nulla fu risparmiato, né santuari né libri.

 

La mente sottile dei greci ideò il primo sistema completo di caccia e persecuzione delle eresie. Spaziava da dialoghi polemici e innocui alla consegna dei cosiddetti eretici al fuoco e alla spada. Lì, più che altrove, il potere secolare era il rappresentante del potere religioso e giustificava la sua esistenza, per così dire, solo in quanto esecutore del mandato della Chiesa.




Basta leggere gli innumerevoli decreti di concili e sinodi per vedere come manicheismo, arianesimo e gnosticismo in ogni sua forma siano stati spietatamente sradicati, e per capire che questa lotta non si è fermata al bogomilismo. Le polemiche si sono protratte fino all’epoca di Eutemio Zigabeno e persino gli imperatori sul trono di Bisanzio non hanno ritenuto indegno della loro dignità combattere gli insegnamenti eretici, i cui seguaci non ricevevano alcun perdono. C’era anche un altro fattore che militava contro il successo dell’insegnamento gnostico: il passato letterario dei Greci. Alla circolazione di libri apocrifi e racconti leggendari, i Greci erano in grado di opporre una vasta gamma di testi letterari.

 

In Grecia i bogomili non avevano a che fare con gente ingenua e analfabeta alle cui origini letterarie si trovavano; al contrario, dovettero combattere contro un’antica letteratura influente e contro menti addestrate alla dialettica più sottile. Pertanto, non avrebbero potuto avere successo così facilmente, se non addirittura mai.




L’Inquisizione, la Chiesa e altre influenze contribuirono, come già accennato, a distruggerli. Nella tragedia della caccia all’eresia e del rogo delle streghe, l’accusa di adorazione del diavolo fu il principio fondamentale, il principale capo d’accusa. Era chiaramente concepita contro i seguaci dell’insegnamento dualistico. Raccontare una storia come una qualsiasi di queste storie rumene sulla ‘creazione’ avrebbe significato incorrere nella punizione più severa: crederci avrebbe significato morte certa. Non c’è da stupirsi che siano scomparse rapidamente, o siano state trasformate in satire innocue, come nel Ciclo di Reynard, o siano state persino utilizzate per vignette politiche in manifesti, come il Ciclo del Pettirosso all’epoca di Carlo II, che, una volta trapiantato in Russia, divenne una satira politica su Pietro e la sua corte.

 

La caccia all’eresia diventa una distrazione popolare solo quando il clero ufficiale lo ritiene redditizio, e quando il popolo è costretto ad attribuire i propri mali e problemi, le perdite nei campi e nelle stalle, alle malvagie macchinazioni di questi strumenti del diavolo. Finché non soffre nel corpo o nel denaro, il popolo è assolutamente indifferente ai dogmi e accetterà con entusiasmo qualsiasi cosa gli piaccia. Non sorprenderà quindi, alla luce di quanto detto, se troveremo alcune strane concezioni tra i contadini rumeni.




Studiati dal punto di vista dell'eresiologia o meglio della psicologia popolare, alcuni di questi racconti ci appariranno come altrettante testimonianze viventi del grande movimento spirituale che per secoli ha dominato l’Europa e che nel frattempo si è estinto.

 

Finora si è prestata troppa poca attenzione all'influenza di quelle numerose sette che si estendevano dall’Asia Minore al sud della Francia, dilagando persino in Inghilterra. Il loro dualismo, la forte fede nel potere del Male, in Satana e nelle sue schiere, e il conseguente dovere dei fedeli di bandirlo o sottometterlo, si svilupparono così nel malinteso della stregoneria, con i conseguenti orrori dell’Inquisizione di doverla combattere.



 

 

PERCHÉ GLI OCCHI DEL LUPO BRILLANO E IL SUO PELO SI IRRITA?

 

 

La storia del lupo, di Dio e del diavolo.

 

Quando Dio ebbe terminato la creazione del mondo e creato tutti gli animali e le bestie buone, il diavolo pensò di creare anche alcune creature. Prese un po’ di argilla e creò il lupo. Quando ebbe finito, Dio andò a vedere cosa aveva fatto. Quando vide la bestia, chiese al diavolo cosa fosse.

 

‘Oh, vedrai presto cos’è. Su, lupo, e vattene a cercarlo’.

 

Ma il lupo non si mosse. Giaceva lì dove il diavolo lo aveva plasmato. Quando il diavolo vide che il lupo non si muoveva, che non c’era più vita in lui, si rivolse a Dio e disse:

 

‘Fallo andare e basta’.

 

E Dio disse:

 

‘Va bene.’

 

Ma prima di farlo partire, sminuzzò il lupo, lo plasmò e lo plasmò un po’ meglio di quanto avesse fatto il diavolo. Da queste schegge d’acqua ove di nuovo battezzato, o meglio ‘creato’; nacquero i serpenti e i rospi. Quando ebbe finito di plasmarlo, Dio gridò:

 

‘Su, lupo, e aggrediscilo’.

 

Il lupo balzò in piedi e si avventò sul diavolo, sull’uomo evoluto, il quale si spaventò così tanto che corse via il più velocemente possibile.

 

Quando il diavolo vide che il lupo lo stava inseguendo da vicino, si strappò tre peli dal corpo e li gettò dietro di sé sul lupo. Il lupo, che fino a quel momento era glabro e liscio, si ricoprì improvvisamente di folte setole, che, in un modo o nell’altro, gli avrebbero impedito di correre così veloce dietro al diavolo. È per questo che il lupo ha setole così folte e i suoi occhi brillano nel buio. Sono i capelli del diavolo e le scintille che gli sono entrate attraverso i capelli del diavolo. E da quel momento, quando sente i lupi ululare, il diavolo si dà alla fuga, per paura che lo prendano come Dio ha comandato loro di fare.

 

(PUBBLICAZIONI DELLA SOCIETÀ FOLKLORE RUMENO)


 




  

LA FONTE DEL LUPO

 

(un eretico contributo di Giuliano)


 

 

Procedendo all’inverso dell’equazione del tempo relativo, quindi, dalla frammentata curva verso il ‘Tutto’ ove posto l’invisibile Sentiero, tendiamo verso l’Infinito ove tempo e materia nati, perdersi nella beatitudine dell’èstasi mistica a cui apparteniamo - per nostra dall’altrui natura - simile al ‘nulla’ e Dio ‘da cui ed in cui’ sancita una ortodossia come una eresia negativa ‘verso’ un non definito e/o ‘indefinito’ ‘punto’ ove concentrato un Pensiero antecedente al Tempo  il quale cogita se stesso medesimo ogni qual volta ode un ‘verso’ provenire da una più elevata Cima nell’atto contemplativo divenire Sacro a Dio!

 

In tale regressione ‘mistico-contemplativa’ in piena armonia con l’Uno e il Tutto della Natura, l’antica strada dall’oriente si ricongiunge fino all’ultimo profeta morto - come o peggio - d’una bestia posta qual monito su di un teschio, ed in cui paradossalmente nata e incisa la materia del tempio, la quale per sua limitata natura conia e conierà il dogmatismo curvato e/o piegato, quindi asservito, al demone del suo ed ogni tempo pregato!

 

In questa difficile Geografia, in questo periglioso Passo privato di ogni dogmatismo del tempio, di ogni tempio nel tempo costretto e narrato, ci accorgiamo di aver creato come Lui ogni Elemento - ed in qual tempo - fuori dal tempo medesimo un Tutt’Uno con ciò che abbiamo appena creato…

 

Osserva un lupo quando diviene come me eretico pensiero, e il ghiaccio nella forma un sol Essere narrare la dura crosta scorto da lontano, in cui l’umano a carponi arranca e non più cammina, e spesso scivola, aggrappato ad una corda non comprendendo, né il ruolo né lo strano ‘verso’ come un lontano ululato d’un dèmone antico attentare la pecunia qual orrendo tellurico richiamo esulare da ogni retto Pensiero…

 

…Se hai compreso o solo udito il suo ‘verso’ il suo strano ‘ululato’, comprenderai anche il resto dell’invisibile Linguaggio, nonché la vigilata pecunia divenire un paradosso per ogni agnello ben pascolato esulare dal Suo e nostro Universo! 

 

Il quale, in tale Pensiero creativo, ci riconosce in ‘atto’ più o meno predatorio e come tale, non suscettibile alle condizioni del tempo anch’esso più o meno allevato.

 

Ovvero, anche se il paragone azzardato pur consono alla morale d’ogni buon Pastore a cui circoscritto costretto ed in ultimo braccato ogni innominato immondo Eretico, posto al rogo e/o all’Indice d’un’altrettanto immondo misfatto avverso alla pecunia ben recintata nonché egregiamente allevata nei confini del tempo, svelare l’inganno per ciò che leggeremo per medesimo Sentiero intrapreso, in cui il libero predatore attentare e compiere l’orrendo eretico peccato svelato dall’abominio quotidiano d’un più atroce pastore per ogni agnello sacrificato, per poi fuggire verso il karma d’uno strano ululato udito sino ai Confini d’un incompreso Universo volgere all’Infinto medesimo Dio…

 

Il Pastore immola l’Agnello e in qual Tempo il Lupo narrato e braccato indistintamente nel ‘dogmatico dogmatismo’ del tempo ben recintato come pascolato esposti alle paradossali conflittuali sorti d’una invisibile muta materia! 

 

Solo fuggendo dal ristretto recinto in cui pascolata la via della nota pecunia, il Lupo conquisterà ogni Bellezza giacché un Tutt’Uno dal ghiaccio al fitto della Selva ove, seppur braccato dalla sacra onesta ‘materia’, potrà sfuggire al tempo per sempre pascolato con solo il ‘verso’ divenuto eretico Linguaggio con cui nominare ogni inganno!

 

Questi oscuri versi per ogni Cima sino alla più alta vetta ci ispirano l’Universo profondo donde deriva la Parola d’un Primo innominato Dio svelare o cantare l’inganno in cui pascolato fors’anche confinato ed esiliato!

 

L’immateriale bestiale occhio il segreto patto della moneta coniata; il verso solo una soave eretica Rima d’accompagno per ogni Frattura evolvere sino alla più elevata Cima a cui ispira il vero rinnegato Primo Linguaggio! 

 

Se così non fosse e avremmo detto il falso, nessun Essere aspirerebbe al non-Essere maledire Dio ed ogni suo Elemento, giacché questo procedimento lo raccogliamo in ogni Essere vivente da quando, non solo lotta per la vita ma il motivo della sua stessa sopravvivenza…; solo l’agnello e la pecora sua sorella si cimentano in un più dotto inarticolato linguaggio prima d’esser sacrificati dal dio del tempio…

 

Ancor meglio interpretando, e in qual medesimo Infinito Tempo ‘restituendo’, la paternità di un’antica dignità storica troppo spesso confusa e/o sottratta ad una più probabile consona e più ‘umana’ negata ‘verità’ abdicata ad una falsa ‘demagogia’ figlia del proprio tempo posto nell’orbita di un limite del tutto ‘terreno’. Se non addirittura del tutto e volutamente fraintesa (giacché ciò che adombrò il profilo di un ultimo Imperatore-Filosofo - più lupo che uomo - si è di nuovo svelato nella secolare successione stratigrafica figlia o frattura del nostro odierno tempo, circa un determinato limite intellettuale in cui la Geografia intrapresa difetta ed in qual tempo abbonda di medesima ‘docta ignorantia’… asservita alla ‘materia’ in uso al mito d’un nuovo fallace progresso e il suo falso dio ben assiso nel nuovo tempio esulare e negare ogni dio…

 

Giacché, da dove scrivo medito e risolvo un difficile ‘malinteso’, o meglio ed ancor meglio, un ‘dilemma’ storico-psicologico, un falso dogmatismo tende ad asservire medesimo dio al tempio di mammona. Quindi non possiamo che dedurne ciò che ispirò un ‘presunto’ malinteso dogmatico il quale apparentemente rinnegava medesimo dio crocefisso, scaturiva dai fuochi sulfurei della terra a cui ogni dio nemico.

 

E se quanto detto potrà ricalcare il Pensiero di un apostata a cui indebitamente ‘confinato’, gli odierni accadimenti confermano ed elevano ancor meglio risaltandola, la volontà manifesta in cui l’immateriale combatte la materia. Ovvero, il limite dell’ignoranza coltivata e ben modellata dalle urgenze storiche a cui si evolve sprofondando, in verità e per il vero, ogni Essere e il dio che in ognuno - dalla pietra alla foglia fino all’umano profilo -, medita cogita e prega, sprofondandolo nell’abisso dell’anticristo.

 

Ci consolidano e confermano in questo perseguitato Sentiero circa la finalità di pace eterna sancita e coniata nell’unicità di medesima volontà di ricongiungere la Strada maestra in merito al superamento cui ogni Infinita Idea aspirare - per sua divina natura - ricongiungersi al proprio Dio, quindi allo Spirito dell’Universo.

 

Solo con tale pretesa ed armati da medesima uguale finalità si potrà compiere il miracolo del vero Tempo a cui ogni Esistenza assoggettata dal limite della materia, non approfondendo in questa sede il karma a cui il dogma impone un proprio nell’altrui limite comprensivo. Quindi di nuovo frammentando in successive vie la Cima a cui aspiriamo per propria natura abdicando ad ognuno la forma ed il conio della vera moneta in cui riconosciamo lo specchio dell’universo per ogni elemento il quale cresce lasciando immutata la forma; quindi ogni essere vivente dalla pietra alla foglia libero di interpretare il proprio credo al di fuori da ogni subdolo dogmatismo del proprio tempo ed aspirare all’infinito… 

(Giuliano)