Prosegue con la tomba
Il tempo
irreversibile inizia con il rumore parassitario, con la fluttuazione, il
clinamen, scorre in un solo senso. Il tempo irreversibile non sarebbe iniziato
senza l’inseminazione del disordine nella ridondanza. Nello spazio bianco di
cui ho parlato sopra, un atomo di disordine, un atomo di relazione, è
sufficiente a che la deriva inizi. Da questo spazio bianco, tutto sorge a
condizione di questo quark di rumore.
Il tempo
irreversibile del vivente inizia con la vita parassita, con la sua doppia
attività di rumore e di necessità. Essa intercetta e canalizza. Questa doppia
operazione è in fondo unica, si tratta di un raddrizzamento, si tratta di
produrre l’unicità di un senso e di una direzione. Lo scarto dall’equilibrio è
in atto, l’intreccio del ridondante e dell’irreversibile è afferrato nel suo
punto di biforcazione. Riconosciamo ormai il funzionamento di questa
declinazione, di questo angolo, di cui si conosceva soltanto l’andatura
geometrica.
Si capisce
male come le due cronie o tempi irreversibili si intreccino a loro volta.
Come l’uno rotoli verso la morte e la distruzione, mentre l’altro affini senza posa differenze e novità. Il parassita finalmente permette di capire questa divergenza massimale. La sua alta necessità lo fa spostare sempre verso la valle, per costituzione di sportelli successivi e la legge della sua vita è quella di non lasciarsi mai soppiantare. Di colpo, espone ogni sistema alla rovina, tende a esaurire le riserve, può uccidere tutto ciò che incontra.
Ma
allo stesso modo moltiplica la complessità che, essa stessa, può essere
soffocamento o novità, eccita la produzione, esalta, accelera gli scambi dei
suoi ospiti. È boltzmanniano e darwiniano insieme. È pericoloso, è così
pericoloso che può sradicare tutto nei dintorni (e per questo potere di
sradicamento, riconosciamo che siamo dei parassiti, una nuova fatica per la
filosofia). Ma esalta qua e là moltiplicazioni produttive. Porta parallelamente
l’operazione di novità radicale e di distruzione per sradicamento.
Questo risultato inatteso non era tuttavia imprevedibile.
Sappiamo da
qualche tempo che l’intervento parassitario all’interno di un canale può essere
nello stesso tempo d’aiuto e d’ostacolo. Che il parassita è un terzo incluso.
Che è il terzo in una relazione e che vi entra. Che si preoccupa che altri
parassiti non vi entrino, che la eviti e che non la eviti. Che ubbidisce dunque
a due logiche, quella del terzo escluso e quella del terzo incluso. E che
attraversa lo spettro del vago. Che è dunque produttore, induttore, non di un
senso, come ho appena detto, ma esattamente di una direzione e su questa
direzione, di due sensi opposti.
La stessa
direzione, escludendo le altre, include il senso che porta al crollo del
sistema e al suo perpetuo rinnovamento. La stessa direzione porta il disordine
e l’alta complessità, l’alta complessità, talvolta, fa disordine, il disordine,
talvolta, fa complessità. La posta in gioco delle polemiche sul secondo
principio è una posta vaga e la polemica è a terzo incluso.
Boltzmann e Darwin tengono i due estremi di una catena, ma la catena è unica, è la catena parassitaria. Il parassita è l’operatore attivo e l’operazione logica dell’evoluzione, del tempo irreversibile della vita. Il tempo fisico irreversibile comincia da un parassita inseminato in una ridondanza. Da un rumore o da un disordine aleatoriamente venuto in uno spazio bianco, esso stesso, senza dubbio, apparso per caso.
Questo
rumore, questo parassita producono una fenditura, uno scarto, uno squilibrio, e
la fenditura produce il rumore; il processo, intrattenuto, non si arresterà più
alla svelta. Parte a cercare fortuna nel mondo. Essa può essere immensa o
mediocre, o nulla. Il disordine locale attira l’ordine locale verso
un’asimmetria.
Il
parassita è un operatore, è un clinamen generalizzato.
Il tempo irreversibile del vivente inizia con l’introduzione di un parassita. Nella vicinanza comune di ciò che si chiama inerte e di ciò che si definisce vivente, un certo virus si riproduce in maniera parassitaria. Non è ininteressante che lo si sia battezzato fago. A seguito della classificazione e durante l’evoluzione il parassita è là, protozoo, metazoo, presente ovunque per mantenere la continuità del corso.
Le vacche
che si mangiano le une con le altre, allineate sulla riva del Nilo, fanno
scorrere il Nilo. E i fiumi di Babilonia. Esse portano il tempo a valle. Tempo
di feste e di fame.
Il tempo irreversibile della storia inizia con l’introduzione dell’uomo parassita. Almeno a partire dall’agricoltura e dall’allevamento. Forse ancora prima, tra gli alberi, nessuno lo sa. Il tempo della storia è cominciato dal momento in cui una specie parassitaria nel senso dell’evoluzione si mette a intercettare messaggi e diventa parassita nel senso del software, dal momento in cui il senso della parola si completa, dal momento in cui l’animale mangia alla tavola dell’ospite, inventando di scambiare con lui il software del senso del suo nominare contro l’hardware.
Quando
l’uomo diventa uomo per essere una pulce chiacchierona, un topo loquace o un
fago che balbetta.
Torniamo ancora alla caduta bianca. Al vento della voce, al grido, al flusso aperto sonoro delle vocali. Invito o protesta, fiume unito, soffio laminare. Il linguaggio articolato comincia con l’inseminazione delle consonanti. Le consonanti sono le interruzioni della voce. La rottura, l’arresto, la biforcazione di questo flusso. Sì, le consonanti sono parassitarie. Esse bloccano il soffio, lo tagliano, l’interdicono, lo chiudono, lo fanno avanzare, l’aiutano, lo modulano. Esse sono ostacoli e aiutanti, come parassiti ordinari.
Moltiplicano
le inclinazioni e gli angoli nel corso della voce, moltiplicano le barriere e
le chicane, codificano, di colpo, codificano la stoffa bianca, moltiplicano il
senso, di colpo, producono il senso. Le lingue articolate sono soffi
parassitati. Come si diceva nell’età classica, la vocale è un’anima, cioè
vento, la consonante è un corpo, ovvero un limite e la prigione temporanea
dell’anima.
La vocale è aperta, la consonante muta è chiusa. Bisogna vedere la topologia del canale. Qualunque sia la sua forma, il passaggio è libero per la prima, costretto o ingombro per la seconda. La voce è imprigionata in una complicata burocrazia di intrighi, di sportelli. L’articolazione è un insieme di strozzature, le consonanti strozzano le voci. Esse le serrano.
Il
parassita faceva la coda, la catena. È elemento qualunque di una catena
qualunque. E ora fa ‘il goccia a goccia’. Στράγξ, la goccia, il flusso
strozzato. Lo στραγγεῖον è un bisturi adatto per trarre il sangue,
per intercettarlo, per interrompere il flusso, per captarlo.
La goccia è il fonema. Il flusso un
po’
vischioso è deviato, costretto da chicane, da saracinesche,
da semiconduttori a valvole temporaneamente chiuse o da luce molto stretta e,
per queste torsioni, queste inclinazioni, queste strozzature, si distilla. Come
se il fonema goccia fosse un’unità di strozzatura. Una vescica vuota. Stretta
ai due margini, chiusa.
Le consonanti rendono peristaltica la progressione delle voci. L’articolazione è l’insieme dei nodi di interdizioni temporanee dove il soffio si comprime. Ogni lingua li distribuisce a suo modo. Ogni lingua è una inseminazione singolare, una distribuzione originale di parassiti. Basta, in teoria, cacciarli per ottenere una lingua universale, ed è per questo che la voce del Paracleto non è che un suono, o un vento. Vocale dell’uccello di fuoco.
Talvolta, i
venti, i soffi, composti insieme, s’inclinano gli uni con gli altri senza
intervento di valvole, di consonanti. Oui è una torsione, una treccia di
voci. Un po’ libera, un po’ lenta, disfatta, senza l’angoscia della
strozzatura. Oui, senza il pullulare dei parassiti. Oui, nel
vento del Paracleto. Oui, la chioma turbolenta del fiume. Oui,
finalmente, si schiude.
Alla tavola dell’ospite, si sforza di piacere, è invitato con questo scopo e in questo spirito. Il clima conviviale è cambiato per i suoi gesti, il suo balbettio e le sue smorfie; fa ridere; prende, dà, riprende, orienta la parola, comunica all’assemblea un piccolo grido caloroso, quello che ci assicura che siamo insieme. Senza di lui, la festa è solo un pasto freddo. Il suo ruolo è animare l’atmosfera, cattiva parola per dire ambiente, ma si impiegano qui solo parole nere, ambiente non essendo migliore.
Il suo
ruolo è societario e perciò teatrale.
Talvolta
professorale, qualche volta pastorale.
Un chierico
a tavola fine parlatore, fa indovinare dove il comico ha preso Tartuffe. E
perché lo si chiami così. Quando i parassiti pullulano, crescita fulminante se
la minestra è buona, essi assicurano lo splendore degli evergeti (è questa,
ancora, una buona parola?) o dei donatori generosi. Il ricco paga col vino
delle legioni per cantare la sua grandezza. Nascita della pubblicità, suonate,
trombe della celebrità. I loro applausi, con le mani magre, fanno il successo
delle maschere e dei capi.
Con loro,
la rappresentazione non è un fiasco.
Resta vero che non ci sono grandi uomini senza di loro. Ed è così, talvolta, che essi diventano grandi uomini, per essere esperti in questa strategia.
Egli entra
nei corpi, infetta. Il suo potere infettivo si misura con la sua capacità di
adattarsi a uno o a più ospiti. Questa capacità fluttua e la sua virulenza
varia, insieme alla sua produzione di sostanze tossiche. Esse dormono, si
esaltano, si esasperano, possono perdersi a lungo.
Come,
perché?
Lo ignoriamo in generale, il nostro sapere si distribuisce su casi di specie. La parassitologia è un sapere esuberante e parcellizzato, a immagine dei suoi oggetti, un sapere locale, specifico, stavo per dire storico, almeno nel vecchio senso di storia naturale, dove il globale, bisogna dirlo, è deludente. Vi si può scoprire molto ancora, le sintesi concettuali vi sono disagevoli. Forse è una scienza più medica che biologica, in cammino verso la biologia. Vi si conoscono alcuni parassiti, la loro distribuzione, il loro ciclo, i loro effetti, li si può talvolta combattere efficacemente; si sa in generale che cos’è un parassita? Qual è, in generale, la sua azione fluttuante e variabile?
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