Precedente capitolo:
Bestie di passaggio (84)
Prosegue in:
Gente di passaggio: la polizia dell'anima (86)
Se il calcolo delle vittime dell'Inquisizione romana per taluni può apparire
non eccessivo, non è stato avviato seriamente un conteggio sul fronte non
delle vittime ma dei funzionari e dei protetti (ed anche dei ruffiani di cor-
te....).....
Eppure, non c'è dubbio che fu per questa via che larga parte della società
d'antico regime - o almeno quella parte che contava - fu coinvolta nella
difesa e nell'ampliamento di quel Tribunale di triste memoria.
E' noto che il numero dei familiari del Sant'Uffizio raggiunse cifre esorbi-
tanti; per esempio, a Cremona dove a fine Cinquecento erano un piccolo
esercito, fatto 'delli peggiori della città'; oppure in Sicilia.
Qui, negli stessi anni, don Scipio di Castro osservava che la categoria dei
familiari non escludeva nessun gruppo sociale: 'Ce ne sono Cavalieri, ba-
roni, mercanti, artiggiani, villani, doctori, et d'ogni spetie'.
Marco Antonio Colonna valutava il numero complessivo in circa trentami-
la uomini e segnalava che quel numero comprendeva 'todos los ricos, no-
bles y los delinquentes'.
Giudizi taglianti e ostili, anche se non del tutto concordi nelle analisi socio-
logica: c'era un tratto di classe che univa i 'familiari del Sant'Uffizio' oppu-
re no?
Un uomo di legge e di cultura della statura di Monsignor De Luca, che
aveva fatto le sue esperienze nella Napoli di Masaniello, non aveva dub-
bi: si trattava di un'associazione di nobili, ricchi e mascalzoni, e feccia di
basso rango, - 'i più nobili, overo i più bene stanti, o pure i più discoli e
malviventi' - proprio come aveva detto Marco Antonio Colonna.
E si può ben capire che oggi, retrospettivamente, si sia tentati di vedere
nel rapporto tra Inquisizione e società siciliana 'una delle più grosse orga-
nizzazioni di tipo mafioso che mai abbiano operato nell'isola fino ai nostri
giorni'.
Eppure, anche in questo caso non si inventò niente di nuovo: le associa-
zioni di laici a difesa degli Inquisitori per la lotta contro gli Eretici erano
nate nell'Italia centro-settentrionale fin dal XIII secolo.
Ma, ancora una volta, dietro l'apparente permanere dell'antico, si trova
una realtà completamente diversa: non i corpi organizzati di cittadini in
difesa del partito della Chiesa, ma gruppi di potere che cercano di man-
tenere e di accrescere i loro privilegi.
E' un'evoluzione analoga a quella più generale delle confraternite di lai-
ci, che subirono in questa epoca un diffuso processo di aristocratizza-
zione: la ripresa feudale e la scomparsa delle forme tradizionali di lotta
politica cittadina si tradussero in una modifica sostanziale dei caratteri
di questo genere di corpi collettivi.
Appartenere alla confraternita dei 'Cruxati' o 'Crocesignati' comportava
indulgenze tali 'da mandar subito, entrando in essa, volando in cielo',
scriveva il governatore di Siena nel 1579.
Ma comportava anche privilegi e vantaggi mondani di tutto rispetto: e-
senzioni fiscali, diritto di portare armi, facoltà di non essere giudicato
da altro tribunale che da quello dell'Inquisizione.
Ben si può capire che si cercasse di appropriarsene, facendo valere po-
teri di classe e prepotenze personali.
Che quella dei familiari del Sant'Uffizio fosse semplicemente una conti-
nuazione dell'antica struttura confraternitale, lo sostenne il cardinal Fran-
cesco Albizzi, difensore d'ufficio di tutti i privilegi dell''Inquisizione, quan-
do, quasi novantenne, prese la penna per rispondere alle critiche di De
Luca.
Ma il suo richiamo alle origini non basta a rispondere al puntuale e du-
rissimo atto di accusa di De Luca. Non si tratta solo delle confraternite
di crocesignati: sono in gioco - scrive De Luca - tutte le cariche di con-
sultori, di cancellieri, di bargelli e di mandatarii.
Queste cariche si danno a persone ricche e titolate, a 'professori dell'-
armi' - tutta gente che si fa esentare 'da' pesi publici', cioè non paga le
tasse, non è soggetta ai tribunali ordinari, è autorizzata a portare armi.
Liberi di fare quello che vogliono, senza temere nessuna autorità - 'co-
me non soggetti né a' vescovi, né a' governatori, ma all'inquisitore, che
è un frate esente, non pratico del foro e solito mantenersi benevoli i
suoi patentati' - questi 'familiari' sono un corpo del tutto incontrollabile;
per di più, non si contentano di godere essi quei privilegi, ma li esten-
dono 'a' loro parenti, famigliari e dipendenti'.
Poteri e privilegi creano corruzione: De Luca insinua il sospetto che
quei frati che concedono i titoli familiari lo fanno molto probabilmen-
te per denaro.
Ma soprattutto è evidente l'ingiustizia gravissima che ne deriva 'a' po-
veri, a' quali convien supplire a' publici bisogni con i loro sudori' e
per di più tocca subire prepotenze e ingiustizie senza poter reagire
dalli peggiori malviventi.
Nell'atto d'accusa del De Luca si avverte un senso dello stato e una
consapevolezza politica del problema che furono generalmente assen-
ti negli stati italiani, dove nessuna autorità centrale fu capace di im-
porre un provvedimento di limitazione del numero dei 'familiari' come
che fu adottato per la Spagna nel 1553.
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza; Foto di Lukas Furlan)
(Prosegue....)