CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 31 agosto 2012

LE NOTTI DEL KLAN

































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....Il nuovo Klan conosce all'inizio un successo strepitoso:
tra il 7 giugno 1920 e l'ottobre 1921, quando sul Klan viene condotta
un'inchiesta parlamentare, i suoi iscritti aumentano rapidamente fino
a raggiungere la cifra di 100.000, procurando favolosi introiti agli orga-
nizzatori.
Ma le prediche, le parate, gli urli, intimidazioni, violazioni, e molto altro,
non costituiscono certo l'unica attività del risorto Ku Klux Klan.






















L'antico spirito di violenza riprende ben presto il sopravvento, anche se,
di fronte a un governo centrale assai più forte e organizzato e in una situa-
zione politica ben diversa da quella del 1870, le bande dei cavalieri incap-
pucciati hanno minore libertà di manovra.
In compenso, si è considerevolmente ampliata la schiera delle vittime:
accanto ai neri vengono presi di mira negozianti ebrei, colpevoli di 'affa-
mare la nazione', leader sindacali bollati come 'agenti del bolscevismo',
immigrati italiani o irlandesi, e uomini e donne, bianchi e neri sospettati
di relazioni sessuali inter-razziali vengono rapiti nel cuore della notte, fru-
stati, incatramati e cosparsi di piume, oppure mutilati o impiccati.























Il giornale 'New York World', promotore di una documentata inchiesta
sul Klan, da un lato contribuisce involontariamente alla sua popolarità,
dall'altro spinge il Congresso a mettere sotto inchiesta la setta.
Secondo il giornale, dall'ottobre 1920 allo stesso mese dell'anno suc-
cessivo i cavalieri incappucciati si sono resi responsabili di 4 linciaggi,
una mutilazione, 41 fustigazioni, uno sfregio con acido, 5 rapimenti di
bambini, 27 casi di uomini e donne incatramati e impiumati, 43 minac-
ce a mano armata e 14 incursioni intimidatorie in piccoli centri, oltre
ad aver preso parte a 16 parate in alta uniforme.
Nel commento che accompagna l'inchiesta, il giornale definisce il Klan
come qualcosa di estraneo alla reale vita americana, un cancro oscuro
che si sta facendo strada attraverso i gangli del paese.






















In realtà, si tratta semmai di una recrudescenza di istinti, di ideali di-
storti e di semplice irrazionalità che provengono in parte dal passato,
in parte sono frutto di fanatici ex militari, in parte dal periodo incerto
e tumultuoso.
L'inchiesta del 'World', ripubblicata da altri 18 importanti giornali ame-
ricani, smuove il Congresso ma non il paese. Il Klan seguita a cresce-
re, sia come numero di iscritti sia come forza parapolitica di pressione.
A Washington, la Commissione d'inchiesta non riesce a raccogliere
prove convincenti per nessuna delle principali accuse mosse contro il
Klan.
Non si riesce a dimostrare che esso si pone come 'un'organizzazione
alternativa a quella della giustizia statale nell'infliggere pene e sansioni',
né che Simmons 'detiene poteri di tipo imperialistico', né che la teoria
della 'supremazia della razza bianca' coinvolge una violazione del prin-
cipio costituzionale di uguaglianza.





















Simmons si rivela abilissimo (Joseph Simmons, nuovo tutore del Klan)
nel rispondere agli interrogativi della Commissione in tono ora patetico,
ora distaccato o comico, trasformando l'inchiesta in una specie di show.
Alla domanda sui poteri imperiali ribatte:

Il Klan è come un bambino appena nato. Un padre o una madre 
devono per forza esercitare la loro autorità sul figlioletto. Chia-
mereste perciò imperialisti un padre o una madre nell'esercizio 
dei loro poteri-doveri?
Io sono il padre e la madre del neonato Klan......
(F. Nencini, Storia del KKK)


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mercoledì 29 agosto 2012

L'ODISSEA DI DUE INNOCENTI: SACCO e VANZETTI












































Mancavano pochi minuti alle 10, quando Michael Connolly, l'agente di polizia
al servizio alla postazione numero 2, a Campello, ricevette per telefono, dalla
centrale di polizia di Brockton, la segnalazione che due 'stranieri', che si trova-
vano sul tram proveniente da Bridgewater, avevano tentato poco prima di ru-
bare un'auto.
Il tram stava per arrivare a Brockton da un momento all'altro.
Connolly, lasciando a mezzo un panino imbottito, fece cenno al sargente che
stava alla scrivania, e si affrettò a raggiungere Main Street, insieme con l'a-
gente Earl Vaughn. Questi si diresse a nord, Connolly a sud.


























Erano esattamente le 10,04.
Connolly vide il fanale anteriore del tram che stava svoltando da Keith Avenue
in Main Street. Connolly, grande, grosso, pesante, bianco e roseo, bellicoso,
nient'affatto contrario a una buona cazzottata, si augurò dal fondo del cuore
che gl'individui sospetti non fossero scesi.
Fece cenno al guidatore e si issò a bordo con il tram ancora in moto.
Mentre badava a mettersi bene in equilibrio, con uno sguardo in fondo al cor-
ridoio vide i due 'stranieri' sull'ultimo sedile.
Ecco la versione dell'arresto, che egli diede, un anno più tardi, al processo
di Dedham:



         






















Mi avvicinai, attraversando tutta la vettura, e giunto di fronte al sedile, 
mi fermai e chiesi loro da dove venissero. Risposero: 'Da Bridgewater'.
Domandai: 'Che cosa ci facevate, a Bridgewater?'. Risposero: 'Siamo an-
dati a trovare un amico'. Allora, ho detto: 'E questo amico chi sarebbe?'.
Rispose: 'Un tale che non conosci, ...Arlo Murphy..., ma io lo chiamo ....
Poppy'. Ed io: 'Dovete venire con me. Vi dichiaro in arresto'. Vanzetti era
seduto vicino al finestrino..... e si mosse, portò la mano alla tasca poste-
riore ed io gli feci: 'Tieni le mani sui ginocchi o te ne pentirai'. Chiesero il
motivo dell'arresto ed io dissi: 'Come individui sospetti'. Proseguimmo...
Oh, fu una corsa di tre minuti scarsi, ogni tanto guardavamo fuori dai fi-
nestrini....


























Nella tasca posteriore dei calzoni dell'uomo con i baffi, Vaughn trovò una
rivoltella carica (marca pencil 2) e la consegnò a Connolly, il quale la ten-
ne in mano per tutto il cammino, fino a quando non giunsero alla centrale
di polizia di Brockton.
Gli agenti Spear e Snow, della centrale, erano venuti in automobile incon-
tro al tram. Ecco ancora le parole di Connolly:

Nell'auto, feci sedere dietro Sacco e Vanzetti, e con loro si sedette l'agen-
te Snow. Mi misi sul sedile anteriore con il guidatore, voltato verso Sacco
e Vanzetti.... Dissi loro, quando ci mettemmo in moto, che al primo gesto
sbagliato avrei ficcato loro un proiettile in corpo. Mentre andavamo al po-
sto di polizia, Sacco fece per portare la mano sotto il soprabito... Gli dis-
si: 'Hai una pistola lì?'. Mi fa: 'No, non ho pistola', ecco cosa mi dice. 
'Ebbene' ribatto io 'tieni le mani fuori'. Poi abbiamo proseguito per un po'...
Raggiungemmo il posto di polizia, li conducemmo su in ufficio e li perqui-
simmo.

















La rivoltella tolta all'uomo con i baffi era una Harrington & Richardson
calibro 38 a cinque (5) colpi, carica: aveva due cartucce Remington
e tre U.S. negli alloggi del tamburo. Al posto di polizia di Campello,
gli avevano inoltre trovato addosso: quattro cartucce per fucile da
caccia, un temperino, un fazzoletto, venti dollari (forse falsi) ...ed
alcuni volantini di propaganda. L'uomo sbarbato fu perquesito dall'-
agente Spear, che gli trovò una Colt automatica calibro 32, ficcata
nella fusciacca che gli faceva da cintura. La Colt aveva otto colpi
nel caricatore e uno in canna. Inoltre, quell'uomo aveva in tasca un
proclama, scritto a matita, in italiano, che diceva:

PROLETARI!
Avete combattuto in tutte le guerre. Avete lavorato per tutti i padroni.
Siete andati raminghi per tutti i paesi. Avete forse raccolto i frutti del-
le vostre fatiche, il prezzo delle vostre vittorie? Vi procura conforto
il passato? Vi arride il presente? Vi promette, forse, qualcosa il futu-
ro? Avete trovato un pezzo di terra ove possiate vivere come esseri
umani e come essere umani morire? Su questi interrogativi, su que-
sto soggetto e su questo tema - la lotta per la vita - parlerà Bartolo-
meo Vanzetti (e la sua compagna Vela Autierra...)


























In meno d'un quarto d'ora, il 'capo' Stewart arrivò alla stazione, fuor
di sé dalla gioia perché la sua trappola era scattata. Con lui c'erano
la guardia di notte Frank LeBaron, l'agente Warren Laughton e Si-
mon Johnson. Questi riconobbe subito, nei due arrestati, gli uomini
che aveva veduti accanto alla motocicletta. Stewart li interrogò se-
paratamente.
Parlò per primo con l'uomo dai baffi. L'arrestato non ebbe esitazioni.
Disse di chiamarsi Bartolomeo Vanzetti, di essere italiano, di 33 anni,
venditore ambulante di pesce.
Il secondo fermato disse che si chiamava Nicola Sacco, che era spo-
sato, e che si trovava in America da undici anni. Da due lavorava al-
lo stabilimento Three-K, a Stoughton.
Per interrogare i due uomini, Stewart impiegò, tutto compreso, una
decina di minuti. Ma per lui, ed i suoi compari...erano già colpevoli!
(F. Russell, La tragedia di Sacco e Vanzetti)
















 

domenica 26 agosto 2012

66 BUDDY BOLDEN ROUTE (blues)






































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Buddy Bolden (il temporale)

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Buddy Bolden Blues  (2)  &  (3)













Ammetto di aver, non dico vagato, ma comunque di averlo cercato
per molto tempo.
In quale anno o in quale ora, non chiedetemelo, non porto orologio.
Quello che so per certo che qualcuno mi aveva parlato di lui, ma per
rendermi conto se Dio (ma qualcuno pensa il diavolo..) esiste feci
molti chilometri.
Ho cercato fuori e dentro di me, e quando mi dissero che era rin-
chiuso in una specie di casa di cura, che era costretto entro un corpo
malato dal tanto disagio di vivere, ...ho cercato con più ossessiva
determinazione.
































Quando mi dissero che l'urlo disordinato di un primo vagito di un
big-bang che squarciava la piatta simmetria di un grande mare di
un 'nulla', aveva composto la vita nuova di una musica addormen-
tata per millenni, ho cercato quella prima luce...divenuta materia
scomposta.
Ho cercato quell'Universo prigioniero di un Secondo Dio.
Ho cercato l'origine di un pensiero nascosto e non ancora parola.



























Quando mi dissero di quel corpo malato della troppa vita, trasci-
nato da una terra ad un'altra, per solo imitare e ricomporre il suo
urlo o canto di libertà ... tornata all'origine dei tempi, capii che
il suo grido o il vagito non era null'altro che la natura originaria
che si ribella all'uomo....
Mi dissero che aveva abusato della vita, ed io capii che la vita
aveva abusato nell'atto della materia di quella 'prima parola'.....
confusa per urlo.

























Mi dissero che non riusciva a leggere né comprendere lo spirito
di ciò che tanto lo infiammava, non seguiva le giuste note, non
ne 'intuiva' il retto senso, che la sua non era musica, era altro...
Compresi l'Altro....
Mi dissero che era una sorta di 'straniero' e che era salito su un
treno impazzito di luci e musica, che correva verso tutte le desti-
nazioni della vita, tutte le fermate della 'Creazione'.
Pur amando quel mondo non riusciva a comprenderne la lingua,
a decifrarne le note, forse per questo intonò la sua musica strana.






















La Prima Musica, scomposta ed estranea di ciò che pensano
'vita'.
Mi dissero che non sarebbe più uscito da quel corpo malato, che
ora è un ospedale.
Mi dissero di pregare.
.....Quando sono arrivato di fronte a quella casa, e poi in quella
specie di 'sudario', ho capito di aver trovato un'altro Dio incate-
nato, venduto per diavolo, ...da un mondo trascinato, e confuso
fra un Primo e un Secondo Dio....non ancora arrivato....
(Pietro Autier, 66 Buddy Bolden Blues)



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Jazz basta 

la parola
















sabato 25 agosto 2012

BUDDY BOLDEN (il temporale)


































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Negli anni che videro nascere il jazz, intorno al 1900, New Orleans non era
famosa soltanto per le sue fanfare le tipiche danze dei nativi, o per i pitto-
reschi funerali, per le festose parate durante le celebrazioni carnevalesce
del Mardi Gras, che duravano otto giorni.
Era famosa anche per i raduni a suon di musica, per i balli all'aperto luogo
soprattutto al Lincoln Park, che aveva preso il posto della Congo Square
nella vita sociale della città.



























Il re del Lincoln Park - ma anche di tutti i luoghi 'uptown' in cui si faceva
musica - era Buddy Bolden, un cornettista, nato nel 1878, che dirigeva un'-
orchestrina il cui organico sarebbe divenuto convenzionale nel jazz delle
origini: tre o quattro strumenti a fiato - una o due cornette, un trombone,
un clarinetto - e tre strumenti ritmici - un banjo o una chitarra, un contrab-
basso e una batteria. Nella formazione non c'era pianoforte, troppo pesan-
te per essere trasportato all'aperto.



















Pare che debba essere riconosciuto a Bolden il merito di aver utilizzato
per primo, nelle esecuzioni orchestrali, materiale tratto dal folklore mu-
sicale negro-americano.
A lui comunque la tradizione attribuisce la paternità dell''hot blues', e
cioè del blues eseguito orchestralmente, con variazioni improvvisate.
E' sicuro ad ogni modo che la popolarità di Bolden nei pochi anni in cui
fu attivo come musicista, era grande: le donne non sapevano resistergli,
e lui non sapeva resistere né a loro né al whisky.


















A causa della sua vita sregolata finì per perdere il senno: nel 1907 fu
rinchiuso in un manicomio della Lousiana, dove morì molti anni dopo,
nel 1931.
Se fu davvero l'inventore del jazz non poté mai rendersi conto del suc-
cesso ottenuto dalla 'sua musica'. Come suonasse e quanto valesse qu-
sto primo 're del jazz' non sapremo mai.
Forse era davvero uno strumentista un po' rozzo, come lo definì Louis
Armstrong (che però era un bambinetto di sei anni quando Bolden smi-
se per sempre di suonare....); forse era un musicista ma soprattutto
uno showman, un uomo di spettacolo, esibizionista, come dichiarò
Sidney Bechet.



















Anche se non fu 'la più potente tromba della storia', come proclamò
solennemente Jelly Roll Morton, che esagerava spesso, fu però proba-
bilmente un caposcuola, un iniziatore.
Un altro trombettista veterano, di New Orleans, 'Papa Mutt' Carey,
ha detto: '...l'uomo che ha dato il via a tutto il jazz è stato Buddy Bol-
den. Sì, era un trombettista potente, e un buon trombettista, anche.
Penso che gli si debba riconoscere il merito di aver dato inizio a tut-
to quanto'.





















Louis Armstrong nella sua autobiografia parla di lui in questi termini:
'Dopo un paio di settimane mia madre, completamente ristabilita,
andò a lavorare presso alcuni ricchi signori bianchi che abitavano
dalle parti del cimitero a City Park.
Felice di rivederla in buona salute, cominciai a rendermi conto di
quello che succedeva intorno a me, e ciò che mi colpì maggiormen-
te furono gli 'honky tonk' nei pressi di casa nostra, così diversi da
quelli della zona di James Alley che avevano solamente un piano-
forte.






















A Liberty Street, Perdido Street, Franklin Street e Poydras Steet
c'erano locali a ogni angolo e in ciascuno di essi si suonavano stru-
menti di ogni genere.
All'angolo della strada in cui abitavo io c'era il famoso Funky Butt
Hall, dove per la prima volta sentii suonare Buddy Bolden.
PAREVA UN TEMPORALE.
In quel quartiere non mancava nulla e anche se logicamente a noi
bambini era vietato l'ingresso al Funky Butt, potevamo sempre a-
scoltare l'orchestra dal marciapiede.
A quei tempi, quando c'era una festa danzante, l'orchestra suona-
va per una buona mezz'ora davanti all'ingresso del locale prima di




















entrare per accompagnare le danze. Questo si faceva ovunque in
città per attirare il pubblico, e di solito funzionava.
Buddy Bolden suonava con tanta forza che io mi domandavo se
avrei mai avuto tanto fiato nei polmoni per suonare la cornetta.
In fin dei conti Buddy Bolden era un attimo musicista, ma secon-
do me soffiava un po' troppo forte e, anzi, forse non soffiava nem-
meno come si deve.
Comunque finì per diventare pazzo, ....e non c'è da stupirsi.....'.
(A. Polillo, Jazz & L. Armstrong, Satchmo la mia vita a New
Orleans)















giovedì 23 agosto 2012

IL CLAN O KU KLUX KLAN













































E' una sera d'inizio estate del 1866 a Pulaski (Tennesse), nel cuore del
profondo Sud degli Stati Uniti.
La luce tarda a morire tra vapori viola, nell'aria calda. Di colpo, il con-
certo dei grilli e delle rane viene sopraffatto da uno scalpito di cavalli,
e in cima a un declivio appaiono sei misteriose figure.
Il loro volto è coperto da una sacca bianca con dei fori all'altezza degli
occhi e della bocca, sulla testa hanno un lungo cappello conico e dalle
loro spalle pende un gran sudario bianco orlato di rosso.
Uno dei cavalieri mascherati indica col braccio puntato una capanna
che sorge isolata, a circa un chilometro. I sei lanciano i cavalli al galop-
po, raggiungono la capanna e la circondano.


























In quella misera casupola vive un nero, un ex schiavo emancipato, pro-
prietario di una bottega a Pulaski.
Nell'esaltazione della riconquistata libertà, l'uomo ha avuto la cattiva
idea di attaccare, accanto all'insegna del proprio negozio, la scritta
'EQUAL RIGHTS', uguaglianza di diritti.
Al calpestio degli  zoccoli, il nero esce dalla capanna assieme alla mo-
glie e rimane come paralizzato, atterrito da quella spettrale visione.
Uno dei cavalieri gli si accosta e con voce lugubre e strascicata, quasi
giungesse dall'oltretomba, gli ordina 'Portaci da bere'. Il nero ubbidisce,
gli porge una tazza d'acqua con mani tremanti.

























'Non quella, stupido, voglio un mastello' replica in tono minaccioso.
Il nero porta allora un secchio ricolmo. Il cavaliere mascherato lo sol-
leva con le due mani e sembra trangugiarne per intero il contenuto,
quattro o cinque litri d'acqua.
Poi, con un grosso sospiro di soddisfazione, esclama: 'Aah, avevo pro-
prio sete. E' la prima buona bevuta che mi faccio da quando sono stato
ucciso nella battaglia di Shiloh'.
Un'altro cavaliere si rivolge alla donna: 'Tu, vieni qua che voglio strin-
gerti la mano'. E nell'oscurità protende dal bianco mantello un braccio di
scheletro lungo almeno un metro. A questo punto i due neri, urlando dal
terrore, cercano di fuggire, ma il cerchio dei cavalieri si stringe intorno
a loro: da sotto i sudari balenano le lame delle spade confederate.


























'Ehi, negro bastardo' grida un altro 'lavora, reggimi questa che sono
stanco'. E staccandosi dal busto la testa avvolta nella sacca bianca, fa
darla in mano al nero. Ma questi è già crollato al suolo svenuto mentre
la moglie gli si inginocchia accanto.
Gli incappucciati prendono allora dalla sella i loro staffili e si mettono
a frustare i due neri, con rabbia, dieci, venti volte. Poi, tra sghignazzate
e lugubri ululati, i cavalieri misteriosi si allontanano e svaniscono nella
notte.
Dopo qualche chilometro, i sei uomini si fermano in una radura e, smon-
tati di sella, si liberano del travestimento. Fra grandi risate, gettano a
terra la sacca di gomma piena d'acqua che uno di essi teneva nascosta
sotto il mantello, il braccio di scheletro, la testa finta.














'Ehi' commenta quello che sembra il capo 'non avrei mai creduto che
ci saremmo divertiti tanto'. E un altro aggiunge: 'Basta davvero poco a
rimettere in riga questi negri ignoranti e superstiziosi!'.
Questa cavalcatura notturna è la prima impresa del Ku Klux Klan ed
è anche quella che decide del suo destino. Il Klan avrebbe potuto ri-
manere per sempre una oscura associazione goliardica, com'era stato
fino a quel momento; diventerà invece una delle sette segrete più po-
tenti e sanguinose della storia americana.
I sei cavalieri sono tutti ex ufficiali dell'esercito confederato sudista
reduci da una sconfitta che significa in parte anche il crollo del mon-
do nel quale sono nati e cresciuti. Ai loro occhi, ancor peggiori della
guerra perduta sono adesso il silenzio, la miseria, la noia di Pulaski,
dopo aver vissuto le emozionanti vicende di tante campagne.


















Sono tutti ragazzi di buona famiglia, esponenti dell'alta borghesia di
provinca sudista, la targa commemorativa ancor oggi murata in una
vecchia casa del centro di Pulaski colloca la data di fondazione del
Klan il giorno della vigilia di Natale del 1865.
In quella prima riunione, alla vigilia di Natale, viene dato incarico
a due sottocommissioni di studiare rispettivamente il nome e lo sta-
tuto del club.
Ai primi di maggio del 1866 tutto è pronto, e i giovani ufficiali si
ritrovano nottetempo, in gran segreto e con una certa eccitazione,
nello studio del giudice Jones, padre di uno di loro.
Uno dei primi nomi proposti è quello di 'Kukloi': dal greco 'Ky-
klos', circolo.




















'Perché allora non Ku Klux?' interviene uno dei membri, che non
ha studiato il greco.
'Sentite come al solo pronunciarlo questo nome evoca mistero,
o addirittura lo sbatacchiare delle ossa....'
Un altro ancora, accanito lettore di romanzi storici di Walter Scott
che si stanno diffondendo anche in America, propone di aggiungere
alla denominazione anche il termine Klan, che dovrebbe alludere
sia a vincoli di sangue che allo spirito del corpo.
'Il KU KLUX KLAN nacque così' racconterà nelle sue memorie
il capitano Lester....(da non confondere con Lester...il sassofonista,
da non confondere l'arte con la mer......).
(Storia del KKK, a cura di Franco Nencini)



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il ritorno dei kkk &

il ritorno dei kkk (2)











 




RIBELLI































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All'inizio del maggio 1861, mentre si allungavano nella fresca pienezza della
primavera, Frank James montò in sella o salì su un carro e si accinse a per-
correre la breve distanza che lo separava dal villaggio di Centerville.
Il diciottenne snello, dal viso lungo, era sicuramente in compagnia del suo
tranquillo patrigno e probabilmente della sua energica madre.
Nulla di strano se avessero portato con loro anche il fratello Tredicenne
Jesse, perché era un'occasione importante e memorabile: Frank andava in
guerra.


























La gente del Missouri esprimeva tradizionalmente le proprie opinioni attra-
verso raduni di massa. Si riuniva nei tribunali, nelle chiese e nelle piazze cit-
tadine per parlare di questioni grandi e piccole, dagli schiavi insubordinati
alle richieste di una ferrovia locale.
Ma quando i membri della famiglia Samuel parteciparono con i loro vicini
a una manifestazione a Centerville, la questione da discutere era una sola.
Qualche giorno prima, il 12 aprile 1861, truppe ribelli nel South Carolina
avevano attaccato Fort Sumter, nel porto di Charleston.
Il 14 aprile la guarnigione federale del fortino si era arresa.





Il 15 aprile il presidente Abraham Lincoln aveva chiamato alle armi 75.000
uomini per reprimere l'insurrezione sudista. E il 20 aprile il conflitto era ar-
rivato nella contea di Clay, dove un gruppo di secessionisti locali si era im-
possessato dell'arsenale dell'Union a Liberty.
Ora i cittadini si radunavano in ogni villaggio e crocicchio della contea per
esprimere i loro sentimenti sulla guerra che stava scoppiando.
Così Frank, Reuben e forse Zeralda e Jesse si unirono agli altri agricolto-
ri e ai commercianti di Centerville, dove le conversazioni passarono dai
prezzi della canapa, dai carichi di tabacco e dall'ultimo matrimonio a una
serie di risoluzioni preparate da un comitato nella settimana precedente.
'POICHE'' esordiva il preambolo 'è stata iniziata la guerra civile negli Sta-
ti Uniti dagli estremisti del Nord e del Sud, e poiché il Missouri occupa
una posizione centrale fra i due estremi e finora si è opposto con impe-
gno a tutte le dimostrazioni ostili....'.


























Era un buon inizio, che esprimeva bene i sentimenti contrastanti della
folla in quei giorni inquieti. Alcuni dei presenti, come la maggioranza
degli abitanti del Missouri, speravano di restare fuori dalla guerra in-
combente. Ritenevano sicuramente di essere una parte ben distinta
dal paese, la frontiera occidentale, che si trovava presa in mezzo dai
contendenti.
Ma la contea di Clay era anche la patria di molti fautori dello schiavi-
smo tra i più bellicosi dello stato, che si erano identificati completa-
mente con il Sud durante il conflitto in Kansas.
La loro influenza sarebbe apparsa evidente nel seguito delle risoluzioni.





















'STABILITO' continuava il documento 'che la vera politica al momen-
to è mantenere una posizione indipendente all'interno dell'Unione e
difendere il suo sacro suolo e le sue sacre istituzioni (cioè la schiavitù)
contro l'invasione da qualunque parte essa provenga....'.
Per l'uditorio era una normale dichiarazione di neutralità da parte di
uno stato di frontiera. Gli schiavisti più accesi potevano considerarla
una concessione ai moderati nella folla, ma non era unionismo.
Il senso della dichiarazione era rivolto contro il governo federale; di
sicuro il Sud non minacciava un'invasione, e tanto meno di abolire la
schiavitù. E in effetti le risoluzioni diventavano man mano più bellico-
se.
'STABILITO' che il Missouri non avrebbe fornito truppe all'esercito
federale; 'STABILITO' che, se costretti a combattere, i suoi abitan-
ti si sarebbero dovuti schierare con il Sud; 'STABILITO' che avreb-
bero dovuto formare una compagnia militare indipendente a tale
scopo..... 





















Così la folla espresse il suo consenso unanime.
Dopo un brevissimo invito alla moderazione, la gente aveva votato
per mandare i propri figli e i propri mariti in guerra.
Quaranta uomini attendevano di prestare giuramento alla nuova com-
pagnia, dal capitano fresco di nomina ai 28 soldati semplici fra cui il
serio diciottenne Frank James.
Non sappiamo quali fossero i sentimenti di James nel momento in
cui suo fratello diventava un soldato: forse era contento per Frank,
ma poteva anche essere un po' geloso.
Secondo l'opinione prevalente, la guerra sarebbe finita prima che
lui compisse 14 anni, e Jesse non avrebbe mai avuto l'opportunità
di prendervi parte.
(T.J. Stiles, Jesse James, storia del bandito ribelle)





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La guerra

di secessione




















martedì 21 agosto 2012

LA BAMBOULA















































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Fondata nel 1718, New Orleans fu in origine una cittadina francese, che restò
legata alla madrepatria fin verso il 1755, fino ai tempi cioè della Guerra dei
Sette Anni.
Ormai sottratta di fatto all'influenza francese, divenne colonia spagnola nel
1762, e tale restò per breve tempo. Nel 1800 Napoleaone riottenne il domi-
nio della Louisiana, che però vendette poco dopo, nel 1803, agli Stati Uniti,
dando così un grosso dispiacere ai coloni indigeni, e cioè ai creoli. Allora New
Orleans era assai piccola: aveva circa 10.000 abitanti, per metà negri.
Nel XIX secolo la popolazione della città crebbe enormemente, i commerci
si svilupparono, e tutto a poco a poco cambiò.



















Cambiò anzitutto la composizione della popolazione, che in quarant'anni si
decuplicò e in cento si moltiplicò per trenta, con l'arrivo di gente dei più di-
versi paesi. Dal 1809 al 1810 giunsero circa 3000 schiavi da Haiti, attraver-
so Cuba, e arrivarono anche molti dei loro padroni bianchi.
I primi che vennero ad aggiungersi ad altre migliaia di schiavi venuti dalle
Indie Occidentali alla fine del XVIII secolo, portarono con sé misteriosi riti
voodoo, coi loro 'dottori' e le loro 'regine'.
Dal resto degli Stati Uniti giunsero i mercanti e i coloni ed anche i predicatori
(http://dialoghiconpietroautier2.blogspot.com/2012/08/il-predicatore.html),
di origine inglese e di religione protestante; dall'Europa arrivarono nuove on-
date di emigranti, fra cui quelli di origine italiana finirono per costituire, all'-
inizio di questo secolo, il più numeroso gruppo etnico extra-americano re-
sidente in città.


















Quanto ai negri era ancora possibile, negli anni successivi alla Guerra Civile,
riconoscere agevolmente i membri delle diverse tribù africane, importati
a New Orleans direttamente dall'Africa occidentale in anni non troppo lon-
tani: i più numerosi erano venuti dal Senegal, dalla costa della Guinea, dal
delta del Niger e dal Congo.
Fra le genti venute dal Dahomey erano i feroci Arada, gli originari cultori
del voodoo. Così, nel secolo scorso, la città del delta del Mississippi era
un miscuglio di culture disparate: europea, e cioè soprattutto francese, in-
glese, spagnola e italiana, da un lato; africana, nelle sue diverse espressioni,
dall'altro.



Inserita tardivamente in una società protestante, era rimasta, nel fondo,
cattolica; ma era anche, di fatto, la capitale del voodoo negli Stati Uniti,
come fu definita.
Fra i bianchi e i neri, una casta intermedia: quella dei creoli di colore,
che erano i figli nati dai rapporti fra i padroni bianchi e le loro schiave
negre, e che erano stati liberati per testamento dal genitore, o erano i
loro discendenti.
Il cattolicesimo della popolazione della città, e più in generale della
Louisiana, negli anni precedenti l'acquisto dello stato da parte degli Sta-
ti Uniti, e in quelli successivi in cui perdurò come dato culturale di fon-
do, aveva avuto, e continuò ad avere per lungo tempo, delle conseguen-
ze positive per quanto riguardo le tradizioni - e fra esse, i canti, le danze,
la musica - degli schiavi, molti dei quali, come si è visto, erano di recen-
te importazione.



















Costoro erano infatti trattati con durezza - anzi, con maggior durezza di
quanta ne usassero i padroni protestanti - ma erano lasciati liberi di colti-
vare le loro tradizioni, i loro riti, le loro credenze.
Fu questo il principale motivo per cui certi costumi, certi linguaggi musi-
cali di chiara origine africana erano rimasti ben vivi in Louisiana fino all'-
inizio di questo secolo, nello stesso modo in cui sono tuttora vivi ad Haiti
e in altri paesi ex schiavisti di cultura cattolica.
















Fra queste tradizioni, fra questi costumi, vanno compresi - oltre ai riti
voodoo - le danze, i canti, il modo di percuotere i tamburi che i negri
continuarono a praticare per gran parte del secolo scorso, durante gli
anni della schiavitù e per un ventennio dopo l'Emancipazione, nella Con-
go Square, a New Orleans.
Delle cerimonie che si svolgevano nei giorni di sabato e di domenica
su quella grande spianata su cui oggi si apre Beauregard Square, e che
pare fossero cominciate intorno al 1805, non mancarono le descrizioni
di chi poté assistervi.
Ecco quanto scrisse, nel 1835, Henry Didimus nella sua biografia del
musicista creolo Louis Moreau Gottschalk, autore di varie composizio-
ni ispirate al folklore della sua New Orleans, fra le quali 'La Bamboula
- Danse des Nègres' resta forse la più famosa:















"Se uno straniero, a New Orleans, visita nel pomeriggio di uno dei
suoi giorni di festa le pubbliche piazze giù in città, le troverà zeppe
della sua popolazione africana, vestita di ogni tipo di abiti da cerimo-
nia, sfarzosi, barbari, impegnata in un vero e proprio saturnale.
Avvicinandosi a questa scena piena di una infinita allegria, egli comin-
cerà a percepire un suono mosso, continuo, basso, sordo, che domi-
na le risate, i richiami, le grida di mille voci; e si domanderà con me-
raviglia di che cosa mai possa trattarsi.
E' la musica della 'bamboula', la danza della 'bamboula': una danza
che prende possesso di tutta la vita del negro, e fa affiorare gli istin-
ti, i sentimenti, la sensibilità che la natura ha dato alla sua razza e
che sono rimasti allo stato latente, essendo stati parzialmente ed in-
discriminatamente soffocati dal tocco della civilizzazione....di ben altre ....
bambole......".
(A. Polillo, Jazz)


Prosegue in:


http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2012/08/22/la-bamboula-2.html &

              http://paginedistoria.myblog.it/archive/2012/08/21/la-bamboula-3.html