CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 23 agosto 2012

IL CLAN O KU KLUX KLAN













































E' una sera d'inizio estate del 1866 a Pulaski (Tennesse), nel cuore del
profondo Sud degli Stati Uniti.
La luce tarda a morire tra vapori viola, nell'aria calda. Di colpo, il con-
certo dei grilli e delle rane viene sopraffatto da uno scalpito di cavalli,
e in cima a un declivio appaiono sei misteriose figure.
Il loro volto è coperto da una sacca bianca con dei fori all'altezza degli
occhi e della bocca, sulla testa hanno un lungo cappello conico e dalle
loro spalle pende un gran sudario bianco orlato di rosso.
Uno dei cavalieri mascherati indica col braccio puntato una capanna
che sorge isolata, a circa un chilometro. I sei lanciano i cavalli al galop-
po, raggiungono la capanna e la circondano.


























In quella misera casupola vive un nero, un ex schiavo emancipato, pro-
prietario di una bottega a Pulaski.
Nell'esaltazione della riconquistata libertà, l'uomo ha avuto la cattiva
idea di attaccare, accanto all'insegna del proprio negozio, la scritta
'EQUAL RIGHTS', uguaglianza di diritti.
Al calpestio degli  zoccoli, il nero esce dalla capanna assieme alla mo-
glie e rimane come paralizzato, atterrito da quella spettrale visione.
Uno dei cavalieri gli si accosta e con voce lugubre e strascicata, quasi
giungesse dall'oltretomba, gli ordina 'Portaci da bere'. Il nero ubbidisce,
gli porge una tazza d'acqua con mani tremanti.

























'Non quella, stupido, voglio un mastello' replica in tono minaccioso.
Il nero porta allora un secchio ricolmo. Il cavaliere mascherato lo sol-
leva con le due mani e sembra trangugiarne per intero il contenuto,
quattro o cinque litri d'acqua.
Poi, con un grosso sospiro di soddisfazione, esclama: 'Aah, avevo pro-
prio sete. E' la prima buona bevuta che mi faccio da quando sono stato
ucciso nella battaglia di Shiloh'.
Un'altro cavaliere si rivolge alla donna: 'Tu, vieni qua che voglio strin-
gerti la mano'. E nell'oscurità protende dal bianco mantello un braccio di
scheletro lungo almeno un metro. A questo punto i due neri, urlando dal
terrore, cercano di fuggire, ma il cerchio dei cavalieri si stringe intorno
a loro: da sotto i sudari balenano le lame delle spade confederate.


























'Ehi, negro bastardo' grida un altro 'lavora, reggimi questa che sono
stanco'. E staccandosi dal busto la testa avvolta nella sacca bianca, fa
darla in mano al nero. Ma questi è già crollato al suolo svenuto mentre
la moglie gli si inginocchia accanto.
Gli incappucciati prendono allora dalla sella i loro staffili e si mettono
a frustare i due neri, con rabbia, dieci, venti volte. Poi, tra sghignazzate
e lugubri ululati, i cavalieri misteriosi si allontanano e svaniscono nella
notte.
Dopo qualche chilometro, i sei uomini si fermano in una radura e, smon-
tati di sella, si liberano del travestimento. Fra grandi risate, gettano a
terra la sacca di gomma piena d'acqua che uno di essi teneva nascosta
sotto il mantello, il braccio di scheletro, la testa finta.














'Ehi' commenta quello che sembra il capo 'non avrei mai creduto che
ci saremmo divertiti tanto'. E un altro aggiunge: 'Basta davvero poco a
rimettere in riga questi negri ignoranti e superstiziosi!'.
Questa cavalcatura notturna è la prima impresa del Ku Klux Klan ed
è anche quella che decide del suo destino. Il Klan avrebbe potuto ri-
manere per sempre una oscura associazione goliardica, com'era stato
fino a quel momento; diventerà invece una delle sette segrete più po-
tenti e sanguinose della storia americana.
I sei cavalieri sono tutti ex ufficiali dell'esercito confederato sudista
reduci da una sconfitta che significa in parte anche il crollo del mon-
do nel quale sono nati e cresciuti. Ai loro occhi, ancor peggiori della
guerra perduta sono adesso il silenzio, la miseria, la noia di Pulaski,
dopo aver vissuto le emozionanti vicende di tante campagne.


















Sono tutti ragazzi di buona famiglia, esponenti dell'alta borghesia di
provinca sudista, la targa commemorativa ancor oggi murata in una
vecchia casa del centro di Pulaski colloca la data di fondazione del
Klan il giorno della vigilia di Natale del 1865.
In quella prima riunione, alla vigilia di Natale, viene dato incarico
a due sottocommissioni di studiare rispettivamente il nome e lo sta-
tuto del club.
Ai primi di maggio del 1866 tutto è pronto, e i giovani ufficiali si
ritrovano nottetempo, in gran segreto e con una certa eccitazione,
nello studio del giudice Jones, padre di uno di loro.
Uno dei primi nomi proposti è quello di 'Kukloi': dal greco 'Ky-
klos', circolo.




















'Perché allora non Ku Klux?' interviene uno dei membri, che non
ha studiato il greco.
'Sentite come al solo pronunciarlo questo nome evoca mistero,
o addirittura lo sbatacchiare delle ossa....'
Un altro ancora, accanito lettore di romanzi storici di Walter Scott
che si stanno diffondendo anche in America, propone di aggiungere
alla denominazione anche il termine Klan, che dovrebbe alludere
sia a vincoli di sangue che allo spirito del corpo.
'Il KU KLUX KLAN nacque così' racconterà nelle sue memorie
il capitano Lester....(da non confondere con Lester...il sassofonista,
da non confondere l'arte con la mer......).
(Storia del KKK, a cura di Franco Nencini)



Prosegue in:

il ritorno dei kkk &

il ritorno dei kkk (2)











 




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